L’obesità è una condizione medica caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo che può portare effetti negativi sulla salute. Rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale, sia perché la sua prevalenza è in costante aumento, non solo nei paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito, sia perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche. Sentiamo spesso parlare di anoressia e bulimia psicogena, ma molto meno di quella chiamata “obesità psicogena” causata da fattori psicologici, nella quale il cibo viene usato come compensazione di disagi psichici e stati ansiosi-depressivi. Chi ne è affetto solitamente ha una scarsa autostima, vive nella vergogna, senso di colpa, rabbia, solitudine. Sono spesso presenti una serie di difficoltà relazionali e un’incapacità a manifestare le proprie emozioni. Il cibo funge da riempimento di un ‘vuoto’ che ha origini lontane; diviene un espediente ambivalente: da una parte si mangia per proteggersi dal mondo esterno, costruendosi una corazza costituita dalla propria mole, dall’altra ci si sottopone a un continuo rischio per la salute.
Il modello sistemico-relazionale dei disturbi alimentari considera le problematiche relazionali all’interno della famiglia un elemento che rafforza e sostiene la sintomatologia. La paziente designata è portatrice di un disagio all’interno di un sistema più complesso, ma diventa anche la leva di un cambiamento di regole e modalità comunicative. Le scelte alimentari sono difficili da realizzare per il singolo individuo. Più una eventuale dieta viene condivisa in famiglia, più può avere successo. La psicoterapia sistemica ha tra le finalità quella di ricercare il significato che il cibo assume nella famiglia, per aiutare i suoi componenti a sperimentare altri linguaggi, dinamiche relazionali maggiormente flessibili e funzionali. Mangiare male è un modo disfunzionale di rapportarsi agli altri. La psicoterapia con il nucleo familiare aiuta a collocare il cibo nella sua giusta dimensione. Le caratteristiche del funzionamento di queste famiglie sono: mancanza di comunicazione e partecipazione emotiva, mancata risoluzione dei conflitti, iperprotettività, rigidità delle regole familiari e mancanza di adattamento al cambiamento.
L’obeso usa il cibo talvolta anche come compensazione e spostamento dei propri bisogni sessuali, rifiutando l’idea di avere la necessità di una propria vita sessuale. Purtroppo la maggior parte di questi pazienti nega di avere le maggiori difficoltà nella sfera psicologica, preferendo attribuire le cause del problema solo a fattori genetici e fisici; si cercano, allora, sempre soluzioni che taglino fuori la psiche e passino solo attraverso la via somatica come l’utilizzo di farmaci “miracolosi” e, in ultima analisi, l’intervento chirurgico. Questo fenomeno del ricorso alla soluzione chirurgica bariatrica è sempre più frequente e specie nella giovane età. Dobbiamo, però, credere nella possibilità di superare questa divisione cartesiana della mente scissa dal corpo e guardare alla possibilità di raggiungere una condizione di benessere solo in un’integrazione delle due componenti.
“Il corpo non dovrebbe essere uno strumento di difesa e attacco all’altro, vicariando le difficoltà di comunicazione”
Nell’obesità psicogena, invece, ci troviamo davanti ad un uso patologico del corpo che diviene la tela su cui tessere la sofferenza, il mezzo più duttile per comunicare gli stati interni della mente. In tale stesso scenario possiamo leggere tutte le azioni di trasformazione e attacco al corpo: piercing, tatuaggi e certi comportamenti di accanimento agli interventi estetici. Si scorge il tentativo disperato di trasformare il contenitore ‘corpo’ per cambiare in realtà il contenuto, operando sul corpo perché sconfitti nella mente.
La storia che non possiamo evitare di raccontare è quella che inevitabilmente racconta il nostro corpo.