Diciassette milioni di italiani soffrono di ipertensione. All’origine ci sarebbe un fattore genetico secondo un nuovo studio globale. Si tratta di un terzo della popolazione coinvolto nel disturbo, uno dei maggiori elementi di rischio per le malattie cardiovascolari e la morte prematura. Si stima che sia responsabile di un carico di malattia globale e mortalità prematura maggiore di qualsiasi altro fattore di rischio, ma solo un paziente iperteso su quattro è adeguatamente curato. Uno dei più estesi studi genetici sulla pressione arteriosa realizzati fino ad oggi che ha interessato 347.000 soggetti ha rivelato che trentuno nuovi geni sono legati alla pressione del sangue. Le scoperte riguardano i cambiamenti del DNA in tre geni che hanno effetti molto più importanti sulla pressione arteriosa nella popolazione rispetto a quanto ipotizzato in passato, suggerendo nuovi bersagli per il trattamento.
La ricerca è stata condotta congiuntamente dalla Queen Mary University di Londra e dall’Università di Cambridge e ha riunito 200 ricercatori provenienti da 15 paesi, compresi diversi centri italiani. Sono stati studiati i genotipi e le cartelle cliniche dei soggetti (sani e con diabete, malattia coronarica e ipertensione) provenienti da tutta Europa, Stati Uniti, Pakistan e Bangladesh, per trovare collegamenti tra il loro patrimonio genetico e la salute cardiovascolare.
La maggior parte delle scoperte sulla pressione arteriosa fino ad ora hanno riguardato varianti genetiche comuni che hanno piccoli effetti su di essa. Lo studio pubblicato su Nature Genetics, invece, ha trovato varianti in tre geni che sembrano essere rari nella popolazione, ma che hanno fino a due volte l’effetto delle precedenti sulla pressione sanguigna.
“Sappiamo già da studi precedenti che la pressione alta è un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari”, ha commentato la professoressa Patricia Munroe della Queen Mary University di Londra, autrice dello studio. “Trovare altre regioni geniche associate alla condizione ci permetterà di mappare e capire i nuovi percorsi biologici attraverso i quali la malattia si sviluppa, e anche mettere in evidenza nuovi potenziali bersagli terapeutici. Questo potrebbe anche rivelare farmaci che sono già esistenti, ma che ora potrebbero essere utilizzati per trattare l’ipertensione”.
Un altro studio complementare, pubblicato sempre su Nature Genetics e condotto da Patricia Munroe e Christopher Newton-Cheh (della Harvard Medical School), ha scoperto 17 nuovi geni coinvolti nella regolazione della pressione sanguigna, che giocano un ruolo nei tessuti oltre a quello svolto dai reni.
“L’ampiezza del nostro studio ci ha permesso di identificare varianti genetiche possedute da meno di una persona su cento, che influenzano la regolazione della pressione sanguigna”, ha dichiarato la dottoressa Joanna Howson dell’Università di Cambridge, autrice dello studio. “Anche se sappiamo da tempo che la pressione arteriosa è un fattore di rischio per la malattia coronarica e l’ictus, il nostro studio ha dimostrato che ci sono fattori di rischio genetici comuni alla base di queste condizioni”.
“Gli studi genetici su larga scala continuano ad espandere il numero di geni che possono contribuire allo sviluppo di malattie cardiache, o fattori di rischio come l’ipertensione”, ha spiegato il professor Jeremy Pearson, vicedirettore medico presso la British Heart Foundation, che ha finanziato la ricerca insieme al National Institute for Health Research (NIHR), ai National Institutes of Health (NIH), al Wellcome Trust e al Medical Research Council.
“Ma finora la maggior parte dei geni scoperti in questi studi hanno, singolarmente, solo effetti molto esigui sul rischio, anche se possono fornire indizi preziosi per nuovi bersagli farmacologici”, continua Pearson. “Questo studio ha portato quasi a 100 il numero di geni implicati nel controllo della pressione sanguigna e ha inoltre identificato tre geni che hanno grandi effetti sulla pressione arteriosa rispetto a quanto trovato in passato”.