Il proteasoma è una struttura della cellula che provvede alla degradazione e al rinnovo delle proteine. I suoi inibitori sono farmaci utilizzati nella terapia di alcuni tumori del sangue, come il mieloma multiplo e il linfoma mantellare. Non tutti i pazienti rispondono però a questi farmaci, alcuni fin dall’inizio, altri sviluppando nel tempo una resistenza.
I risultati di uno studio coordinato da Roberto Piva dell’Università di Torino suggeriscono una possibile strategia per migliorare la risposta dei pazienti, basata sulla combinazione di inibitori del proteasoma e inibitori di molecole che compongono una via biochimica fondamentale per i processi energetici della cellula. I risultati dello studio sostenuto da AIRC sono pubblicati sulla rivista Blood.
“Siamo partiti dall’analisi di linee cellulari tumorali resistenti agli inibitori del proteasoma, nelle quali abbiamo inattivato uno alla volta una serie di geni implicati nella genesi e nello sviluppo tumorale” spiega Piva. “Abbiamo scoperto che quando viene inattivato il gene IDH2, codificante per un enzima attivo nei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, le cellule recuperano la sensibilità ai farmaci”. Successivamente i ricercatori hanno verificato che si ottiene lo stesso effetto sinergico inattivando IDH2 non con un approccio genetico ma con un farmaco: “Lo abbiamo riscontrato in linee cellulari sia di mieloma multiplo, sia di linfoma mantellare e linfoma di Burkitt”. Non solo: l’effetto sinergico è stato osservato anche inattivando altre molecole che fanno parte della stessa via biochimica alla quale appartiene IDH2. Questo effetto è stato confermato anche in cellule tumorali direttamente prelevate da pazienti con mieloma multiplo.” Questo studio dimostra che IDH2, e gli enzimi che portano alla sua attivazione, possono essere ottimi bersagli terapeutici per strategie mirate ad aumentare l’efficacia degli inibitori del proteasoma. In futuro questo approccio potrebbe rivelarsi utile non solo per superare la mancata risposta e la resistenza nei tumori del sangue, ma anche per ampliare l’utilizzo clinico di questi farmaci in tumori solidi come il carcinoma polmonare non a piccole cellule o il cancro della prostata, dove sembravano promettenti ma si sono rivelati tossici.“L’effetto sinergico permetterebbe di aumentare l’efficacia pur riducendo i dosaggi degli inibitori di proteasoma a livelli non pericolosi” conclude Elisa Bergaggio, coautrice della ricerca.