Giorno dopo giorno, durante il lockdown, l’Italia intera ha guardato al numero dei contagi da Covid-19 e dei morti. Una preoccupazione più che comprensibile, che ha però in qualche modo compresso dati altrettanto preoccupanti. Esiste, anche se nessuno sembra parlarne, una platea sconfinata di pazienti cronici; donne e uomini che per paura del contagio hanno rinunciato a curarsi o, peggio, non hanno avuto modo di farlo.
Vincenzo Russo, ricercatore all’Università Vanvitelli e aritmologo del Monaldi (azienda ospedaliera dei Colli), cita uno studio italiano pubblicato sulla rivista European Heart Journal. Lo studio ha preso in considerazione 54 ospedali italiani e ha dimostrato che la mortalità per infarto è passata in questi mesi di lockdown dal 4,1 al 13,7%. Nello stesso periodo i ricoveri per patologie cardiovascolari si sono ridotti fino al 70% e le procedure interventistiche sono calate del 37%. «La paura di essere contagiati – dice Russo – ha convinto i pazienti a non ricorrere al pronto soccorso o a trascurare malattie croniche anche molto serie». In campo cardiovascolare, le cronicità da gestire sono principalmente tre: fibrillazione atriale, infarto del miocardio e scompenso cardiaco. Senza dimenticare che le malattie cardiovascolari sono responsabili di circa 45% di tutti i decessi (con una prevalenza del 10% legata alla cardiopatia ischemica). Patologie che l’azienda dei Colli è riuscita a gestire utilizzando sistemi di telemedicina. «Per due mesi ci siamo visti esclusivamente come potenziali pazienti Covid – aggiunge Russo-, tralasciando l’aspetto delle cronicità. Il sistema sanitario deve approfittare del calo dei contagi per prepararsi a cosa accadrà tra ottobre e novembre». Una delle branche nelle quali la consapevolezza di doversi curare ha prevalso sulla paura del contagio è l’oncologia, con 3,5 milioni di pazienti, per i quali follow up, terapie e interventi chirurgici sono vitali. Saverio Cinieri, direttore dell’oncologia medica e brast unit dell’ospedale Perrino di Brindisi, eletto presidente Aiom, spiega che «a differenza di tante altre branche, l’oncologia medica e l’oncoematologia non si sono mai fermate». Si sono avute comunque misure e procedure specifiche. «Il 13 marzo – spiega Cinieri – abbiamo scritto e fatto firmare le raccomandazioni per la gestione dei pazienti oncologici in corso di pandemia». In queste raccomandazioni i punti chiave per affrontare al meglio la gestione dei problemi oncologi durante la pandemia. «Le visite di follow up, ad esempio, sono andate avanti grazie a sistemi di telemedicina. Quanto alle visite in day hospital, solo per alcuni pazienti particolarmente fragili si è scelto di evitare l’accesso. Tutte gli altri sono stati regolarmente convocati». Anche in questo caso alcuni, fortunatamente pochi, hanno rinunciato alle cure per il timore del contagio. Molto si è fatto anche per evitare di chiudere i reparti di oncologia medica e oncoematologia, anche in quelle regioni che più sono state colpite dal virus.
Da considerare, poi, le conseguenze psicologiche della pandemia. Marco Marchetti, ordinario dell’Università del Molise e psicoanalista, ricorda la nostra natura di animali sociali: «L’isolamento ci ha destabilizzati. Sono aumentati i disturbi d’ansia e anche i disturbi del sonno; l’inversione sonno-veglia è comprensibile, è una risposta ancestrale». Ma ciò che più colpisce è la personalizzazione del virus. «Si parla di guerra al virus – prosegue Marchetti – ma la guerra si fa a un nemico che ha un’intenzione. La lettura intenzionale dell’azione del virus è tra gli errori più grandi che si possano compiere».
Marchetti, assieme alla professoressa Francesca Baralla (psicologa), ha avviato un servizio gratuito di consulti a disposizione di tutto il personale dell’università e degli studenti. «Siamo venuti a conoscenza di realtà molto complesse. Non sappiamo quanto ancora durerà questa crisi, di certo la pandemia segnerà molte più persone di quante si possa immaginare».
Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione