Nel nostro Paese ci sono 643 imprese innovative di nuova costituzione che si dedicano alle lifescience. Rappresentano l’8,8%, punta avanzata delle 7.310 startup entrate nel Registroimprese.it da gennaio 2021 a giugno 2023. Di queste, 140 sono focalizzate sulla digital health e solo 6 sono impegnate nella ricerca e produzione di terapie digitali. Al momento la sanità digitale in Italia è carente di regole.
Il settore nelle sole terapie digitali (i farmaci somministrati via app, con smartphone e pc, con un software come principio attivo anziché una sostanza chimica) vale, a livello globale, 6,5 miliardi di dollari con la Germania trainante in Europa che può contare già oggi su 49 terapie disponibili. Questi sono alcuni dei numeri presentati dal primo DTx Monitoring Report, ieri al Senato in un incontro promosso dalla presidente dell’intergruppo parlamentare per la Sanità Digitale, onorevole Simona Loizzo, e organizzato da Indicon Società Benefit, con il supporto di Ladiesfirst.
I fondi a disposizione dello sviluppo della digital health in Italia sono: circa 27,5 miliardi di euro da fonte pubblica, a valere su fondi del PNRR attraverso i ministeri dell’Università e Ricerca, dalla Salute e delle Imprese e Made in Italy, a cui si aggiungono circa 4,2 miliardi attraverso il venture capital della Cassa Depositi e Prestiti e i fondi Enea Tech e Biomedical. Quindi gli apporti in venture capital di investitori privati e degli incubatori e acceleratori di startup, per altri circa 700 milioni”.
La sanità digitale e in particolare le DTx “hanno effetti migliorativi sulle condizioni cliniche dei pazienti”, ha detto l’onorevole Loizzo. “Consentono un migliore monitoraggio dei progressi da parte del medico e sono anche utili ai fini della ricerca – ha continuato – permettendo la raccolta dei dati dei pazienti praticamente in tempo reale. Portano anche a ridurre i costi per il SSN, ne accelerano la digitalizzazione con benefici per l’efficienza del sistema e anche per le competenze digitali dei pazienti stessi. Adesso l’introduzione di questi strumenti innovativi mette alla prova la politica”, ha ribadito Loizzo.
Terapie digitali e incertezze normative
L’Italia è tra i Paesi meno attivi sia nella definizione dei criteri di valutazione per i dispositivi medici digitali sia in termini di policy di accesso e rimborso. Ad oggi, i software che effettuano una terapia possono essere classificati come dispositivi medici, alcuni sono già disponibili per medici e pazienti spesso attraverso canali privati, altri sono in fase di ricerca e sviluppo. Nonostante le incertezze normative, numerose startup e aziende stanno lavorando per produrre dispositivi conformi alla definizione di terapie digitali. Oltre agli aspetti medici, scientifici e finanziari, i dati sono il lato più delicato della sanità digitale, oltre a essere il vero propellente del sistema, la cui gestione è il tema principale, sia dal punto di vista tecnologico sia legislativo.
Il sistema richiede la convergenza di più attori, tra cui le Istituzioni, fra cui oggi ancora vige una grande frammentazione di competenze nelle fasi di regolazione, autorizzazione e controllo; l’Università e la ricerca privata nello sviluppo; la finanza, sia pubblica sia privata per alimentare il sistema.
A livello globale
“In America 1,5 miliardi, in Germania 600 milioni, in Italia siamo appena in partenza: sono investimenti dalle straordinarie potenzialità – ha spiegato Elena Paola Lanati, CEO di Indicon SA – che ha presentato il ‘core’ del Report, i dati e la loro analisi – siamo di fronte ad attività tipiche da Venture Capital, che, avendo cicli di vita più brevi rispetto ai grandi investimenti industriali, possono garantire delle exit più rapide. In Italia, sono presenti 13 imprese coinvolte nella produzione e sviluppo di terapie digitali, tra cui 8 start up innovative, 1 start up, 1 PMI innovativa e 3 aziende consolidate. Su un totale di 28 DTx italiane, 21 sono in fase di sviluppo e 7 già riconosciute come dispositivo medico di classe I, presso il Ministero della Salute. Lo sviluppo e l’applicazione delle terapie digitali hanno il potenziale per attivare gli investitori privati per contribuire a rimodellare il panorama sanitario, fondendo farmaci, dispositivi e software innovativi. È un campo sfidante per la finanza e per le imprese, oltre che per gli operatori sanitari che per i pazienti”.
Accanto ai dati a livello globale, sono state avanzate delle proposte dal Digital Health Policy Lab che ha sviluppato il report. Le ha riportate la prof.ssa Paola Minghetti, ordinario di tecnologia, socioeconomia e normativa dei medicinali dell’Università di Milano. “Il gruppo di lavoro prevede la creazione di una nomenclatura specifica da includere nella Classificazione Nazionale dei Dispositivi Medici (CND) e nella European Medical Device Nomenclature (EMDN), per una regolamentazione coerente e una comprensione condivisa delle DTx. L’istituzione di una valutazione nazionale delle tecnologie sanitarie (HTA) per garantire che vengano messi a rimborso del Servizio Sanitario Nazionale prodotti sperimentati, convalidati e con un buon rapporto costo efficacia. La creazione di un fondo dedicato e una definizione chiara del canale di distribuzione per favorire l’accessibilità alle DTx. Inoltre, prendendo ispirazione dalle migliori pratiche internazionali, stiamo sviluppando una checklist che semplificherà il processo di approvazione e accesso”.