La demenza frontotemporale, malattia che ha costretto l’attore americano Bruce Willis a ritirarsi dalle scene, potrebbe esserci una speranza di cura. In particolare, a fermarne l’evoluzione potrebbe essere una molecola che combatte la neuroinfiammazione. Una notizia che ha subito acceso l’interesse di centinaia di migliaia di pazienti e, naturalmente, anche dei tanti fan di Willis.
NEURO DEGENERZIONE
Tuttavia, per comprendere bene quelli che sono i meccanismi in gioco, è necessario comprendere che il problema primario della demenza frontotemporale è la neurodegenerazione che interessa in primis i lobi frontali o temporali del cervello. Non a caso, i sintomi riguardano la compromissione delle funzioni esecutive frontali, deficit del linguaggio o cambiamenti del comportamento e della personalità. Con un peggioramento costante e globale. Giacomo Koch, neurologo professore ordinario di fisiologia all’università di Ferrara e direttore del Laboratorio di Neuropsicofisiologia sperimentale della Fondazione Santa Lucia, spiega che ad oggi non c’è un trattamento farmacologico efficace specifico per rallentare la progressione della malattia e le strategie terapeutiche si basano principalmente sull’uso di agenti sintomatici per controllare i sintomi comportamentali. Recenti scoperte supportano l’idea che la neuroinfiammazione sia un elemento chiave nel processo patogenetico della malattia a partire dalle prime fasi di malattia ed è stato ipotizzato che nuovi farmaci mirati a modulare la neuroinfiammazione cerebrale possano potenzialmente rallentare la progressione della malattia.
LO STUDIO
Lo studio ha riguardato un campione di 50 pazienti affetti da demenza frontotemporale per valutare la sicurezza e l’efficacia della somministrazione di questa molecola. I ricercatori hanno testato l’impatto clinico della molecola sulla gravità della malattia e gli eventuali effetti benefici sui deficit cognitivi, sui sintomi comportamentali, sulle autonomie della vita quotidiana ed il rallentamento della progressione del declino funzionale. Secondo gli studiosi i dati clinici e neurofisologici fino ad oggi raccolti sono molto. La speranza è che nei prossimi anni si possa realmente incidere sul questa malattia, cambiando in meglio la vota di centinaia di migliaia di pazienti.