La comunicazione digitale oggi fornisce nuove chiavi interpretative del comportamento umano. Un gruppo di psicologhe di università inglesi e australiane (Linda K. Kaye, Helen J. Wall e Stephanie A. Malone) hanno realizzato un lavoro, pubblicato su Trends in cognitive sciences (Cell press), sui comportamenti online. La comunicazione avviene in forma verbale e non verbale, quest’ultima spesso più importante e portatrice di significato della comunicazione verbale. Riportando questi concetti alla comunicazione scritta, nella forma prima degli SMS (Short Message Service) poi sulle varie piattaforme dei social network, i semplici messaggi di testo non esistono quasi più nella modalità basic, ma sono nella maggior parte dei casi accompagnati da immagini e faccine (emoji).
Se alcuni social come Instagram hanno da subito fatto delle immagini il loro cavallo di battaglia e il principale mezzo di comunicazione, per tutti gli altri social network, e a maggior ragione per i messaggi di testo via SMS o whatsapp, si è assistito nel tempo all’inarrestabile boom delle emoji.
Le faccine sorridenti e i disegnini naive, non saranno mai abbastanza efficaci come nell’interazione del faccia a faccia di un incontro reale o anche virtuale, come quello di una videochiamata. Tuttavia, le emoji sono entrate nella quotidianietà della messaggistica e non accennano a tramontare. Anzi, il loro repertorio si arricchisce e si amplia periodicamente con i nuovi aggiornamenti.
Sebbene le ricerche sull’uso di emoticon/emoji sia ancora agli albori, gli esperti ritengono che siano strumenti preziosi per sondare la personalità dei loro utilizzatori. Un database sterminato insomma alla portata di tutti, vista l’accessibilità di molte piattaforme online, e la possibilità di esplorare il comportamento umano attraverso la lente della contemporaneità.
“Lavori pionieristici sull’analisi cognitiva delle emoticon – scrivono le tre psicologhe – rivelano che possono servire come utili forme di comportamento non verbale, oltre a rivelare nuovi aspetti dei meccanismi cognitivi e neurali coinvolti nella comunicazione digitale.” Alcuni studi ad esempio sono andati alla ricerca dei neurocorrelati delle frasi infiocchettate di emoticon per capire quali regioni cerebrali siano coinvolte in questa forma di comunicazione a metà tra il verbale e il non verbale. Pare che ad attivarsi siano sia il giro frontale inferiore destro, che il sinistro (quest’ultimo coinvolto soprattutto in compiti verbali).
Dal punto di vista dei rapporti interpersonali, le emoji sono eccellenti strumenti di disambiguazione, in grado ad esempio di chiarire il tono di un determinato messaggio. E per questo sono considerate un po’ alla stregua della comunicazione non verbale veicolata dai gesti o dalle espressioni del viso durante un discorso. Le emoji insomma danno quella pennellata di emozioni che si viene spesso a perdere in assenza di un’interazione faccia a faccia e forniscono agli utilizzatori una ‘tavolozza’ alla quale attingere per chiarire l’aspetto emotivo di un concetto.
“I dati digitali – scrivono le autrici – forniscono un modo nuovo ed eccitante per riesaminare molti concetti psicologici relativi a percezione e comunicazione, comprese le espressioni emotive, la mimica emotiva, la valutazione emotiva, la pragmatica e la scoperta delle intenzioni. Facendo un’analisi comparata dei comportamenti faccia a faccia con quelli online sarà possibile stabilire se i comportamenti attuali, come l’utilizzo delle emoji, possano essere considerati vere forme di emozione a livello neurologico e interpersonale”.
In conclusione, le interazioni virtuali sono sempre più comuni nella vita quotidiana e rappresentano una miniera di informazioni pronta per essere utilizzata da addetti ai lavori e non solo.