Il Covid può bloccare il dolore. È questo il presupposto sul quale si innesta una delle più interessanti ricerche che riguardano il SARS-CoV-2 e, se confermato, potrebbe aprire la strada ad una nuova generazione di farmaci per la cura del dolore cronico. Andiamo con ordine. Semplificando, questa nuova ricerca parte dall’osservazione dei meccanismi che sono alla base della diffusione del virus, in particolare della sua capacità di inibire il dolore così da garantirsi una maggiore capacità di contagio. Per i ricercatori statunitensi quest’azione potrebbe essere sfruttata a vantaggio di pazienti che soffrono di dolore cronico, dando vita ad una nuova categoria di antidolorifici Studi recenti, non ancora sottoposti ad una revisione paritaria, hanno suggerito che questo virus può infettare le cellule umane non solo tramite la proteina ACE2, ma anche tramite il sistema nervoso. È seguendo questa “pista” che i ricercatori hanno individuato un particolare legame tra una determinata proteina cellulare e il dolore, un collegamento che il SARS-CoV-2 sarebbe in grado di spezzare.
BACK DOOR
Al momento lo studio, benché promettente, non ha ancora trovato una sua pubblicazione, ma se le conclusioni dovessero trovare importanti conferme potrebbe arrivare a conquistarsi un posto importante sulla rivista Pain. Il team intanto continua ad indagare i meccanismi cellulari che sono alla base di questa variazione nell’eccitabilità delle cellule nervose a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2. È come se il virus usasse una sorta di back door per introdursi nel nostro organismo, per intrufolarsi nelle nostre cellule senza far suonare allarmi di alcun tipo. Questo stesso meccanismo potrebbe forse essere utilizzata in futuro per contrastare il dolore cronico senza far ricorso ad alternative a base di oppioidi.
MECCANISMI CELLULARI
Intanto, alcune evidenze di laboratorio sembrano confermare diverse importanti fasi di questo meccanismo. In particolare, quando la proteina spike presente sulla superficie del virus SARS-CoV-2 si lega alla proteina neuropilina-1 per invadere le cellule nervose, il virus stesso blocca anche la proteina VEGF-A (fattore di crescita endoteliale vascolare A) dal tentativo di legarsi alla neuropilina-1. L’interazione tra neuropilina-1 e VEGF-A innesca un segnale attraverso il midollo spinale che arriva fino al cervello e che provoca la sensazione del dolore. Interrompendo dunque questa interazione, il virus interrompe anche il segnale del dolore, portando ad una minore sensibilità al dolore stesso. La speranza è che questi processi possano essere compresi meglio e che quindi nei prossimi anni si possa arrivare a dar vita ad un nuovo percorso per la gestione del dolore cronico grazie a farmaci che in sostanza replichino il meccanismo messo in atto dal Covid. Insomma, anche da un dramma assoluto come quello attuale potrebbe emergere qualcosa di positivo.