Gli additivi e i conservanti presenti in molti cibi, soprattutto quelli confezionati, potrebbero contribuire alla sedentarietà. A suggerirlo è uno studio pubblicato sulla rivista Circulation che mostra come i fosfati riducano la capacità di movimento negli animali, impoverendo i muscoli di energia. Inoltre, un eccesso di fosfati nel sangue è associato a sedentarietà nell’uomo. Il lavoro di ricerca è stato condotto da Wanpen Vongpatanasin della UT Southwestern Medical Center di Dallas che spiega: non si dovrebbero mangiare più di 700 milligrammi di fosfati al giorno, ma circa un terzo della popolazione ne consuma anche 4 volte di più quotidianamente.
I fosfati
I fosfati vengono spesso associati al prosciutto cotto. In realtà gli additivi di fosfato sono contenuti anche in tantissimi altri cibi in commercio: dal purè ai formaggini, passando per i gelati e le bibite a base di Cola. Questi additivi vengono aggiunti per diversi motivi: per prevenire grumi negli impasti e migliorare la consistenza del cibo. Tuttavia i fosfati più pericolosi per l’organismo sono quelli aggiunti ai cibi come conservante: si ritrovano ad esempio nei cibi pronti surgelati, nelle carni lavorate come wurstel e salsicce, nelle bibite.
Lo studio
I ricercatori texani hanno visto che i topolini cui veniva somministrata una dieta molto ricca di fosfati inorganici nell’arco di 12 settimane avevano difficoltà a svolgere attività fisica, ridotte fonti di energia nei muscoli e modifiche nel funzionamento di geni importanti per il metabolismo dei muscoli. Inoltre gli esperti hanno studiato i livelli di fosfati nel sangue del campione afferente allo studio Dallas Heart Study e hanno visto che maggiore era la concentrazione di questi composti nel sangue, più sedentari risultavano gli individui.
In altre parole, se il fosforo contenuto naturalmente negli alimenti non crea particolari problemi alla salute perché non viene metabolizzato dall’organismo, quello artificiale va guardato con sospetto. Trattandosi di sostanze molto diffuse nell’industria alimentare, concludono i ricercatori, è auspicabile che altri studi facciano chiarezza sul tema.