Le ultime sconvolgenti vicende di cronaca, che hanno coinvolto i due fratellini di Cardito (Napoli) uno dei quali è stato barbaramente ucciso, ci spingono, prima come essere umani, poi come operatori dedicati alla cura della salute e del benessere psicologico, a riflettere e prendere atto delle enormi fragilità e sofferenza che si celano e instaurano nel segreto dei legami familiari. Il silenzio, il nascondimento, e l’invisibilità sono le condizioni che caratterizzano e sostengono i circuiti di violenza intrafamiliare, come anche di ogni altra forma di sofferenza psichica.
I volti della violenza
La violenza assume molti volti: da quelli mascherati dai rigidi stili educativi, a sottili svalutazioni, a manifesti rimproveri. Fino ad esplosioni incontrollate che esitano in atti indicibili, che ci obbligano ad aprire gli occhi e a vedere ciò che la mente preferirebbe evitare di pensare o immaginare. La violenza è trasversale alle generazioni, alle culture e alle classi sociali, ma prevede un unico denominatore: l’affermazione del proprio potere e l’annientamento del valore dell’altro a vantaggio della conferme del proprio sé. La violenza perpetrata ai danni dell’infanzia mina il valore e il futuro dell’intera specie umana.
Funzione e disfunzione
La famiglia di Cardito, composta da una giovane coppia con figli acquisiti da una precedente unione della mamma e uno della coppia, si trova ad affrontare il delicato e complesso compito di ricomporre storie personali e familiari precedenti. È impegnata a riscrivere una nuova storia cercando una sintesi tra un passato fatto di memorie e stili affettivi ed educativi precedentemente regolamentati e un presente che richiede una nuova regolamentazione e orientamento dove il legame coniugale e genitoriale è basato esclusivamente sull’affettività e non su aspetti biologico o legali.
Negoziare gli spazi affettivi e le regole che governano le relazioni è un’operazione molto complessa che si intreccia con la propria storia familiare, le proprie credenze e i propri valori, la propria maturità affettiva, la solidità e la continuità del proprio senso di sé. Progettare una famiglia significa rispondere al bisogno di creare appartenenza, sicurezza e protezione e allo stesso tempo sviluppo ed evoluzione, ciò è possibile solo nell’idea che l’amore sia condivisibile, perché se il denominatore comune della violenza nelle famiglie disfunzionali è la sottrazione e l’accentramento dell’attenzione a favore del singolo, nelle famiglie funzionali il denominatore comune è la moltiplicazione degli affetti nella condivisione della cura. Così può accadere che in relazioni di coppia dove le personalità fragili spesso associate a storie di deprivazione affettiva e maltrattamento, colludano con aspetti sofferenti del sé e che se non elaborati portano spesso alla reiterazione di modelli di funzionamento a loro volta deprivanti e violenti.
Sofferenza
Viviamo in un Paese che ha ratificato il 27 maggio del 1991 con l legge 176 la Convenzione ONU sui Diritti internazionali del bambino che all’articolo 6 recita: “il bambino ha diritto alla vita”. Garantire il diritto alla vita significa garantire la possibilità di crescere in un contesto accudente e protettivo, la famiglia è il luogo d’elezione per garantire tale diritto attraverso i legami di attaccamento che determinano protezione e sicurezza, ma quando questa è in difficoltà o versa in gravi sofferenze, la comunità tutta dovrebbe farsi garante assumendo la responsabilità di rilevare, segnalare situazioni di sofferenza dei bambini e individuare alternative, disporre misure protettive per i minori e di cura e presa in carico degli adulti. Non bisogna sottovalutare i segnali di sofferenza psicologica, spesso erroneamente si crede che il malessere psichico sia trascurabile e transitorio. E soprattutto lavorare in prevenzione, il modo migliore per combattere la violenza è prevenirla. Bisogna lavorare per la consapevolezza e l’assunzione di uno stile di vita affettivo libero e responsabile.
di Rosaria Ponticiello
Psicologa e psicoterapeuta – Socio ordinario SIPPR