Il Covid non è riuscito ad infettare un numero considerevole di bambini, ma il lockdown ha avuto effetti molto pesanti sotto il profilo psicologico. Sono alcune delle certezze che emergono da uno studio portato avanti dalla FIMP Napoli sull’epidemia da Sars-CoV-2 in età pediatrica su Napoli e provincia, il primo con una casistica molto ampia. In dieci mesi (da febbraio a novembre 2020) hanno realizzato 6.200 visite presso i propri studi (2 visite al mese) solo per gestire l’ansia e l’angoscia di bambini costretti a casa per le misure anti Covid. Sono 330.000, tra Napoli e provincia, i piccoli pazienti che i circa 340 pediatri napoletani della Federazione Italiana Medici Pediatri hanno seguito. Una fotografia che svela il dramma del disagio, ma anche le difficoltà pratiche e soprattutto la capacità del Covid di attaccare anche i più piccoli entrando poi nelle famiglie. «Noi pediatri di famiglia impegnati sul territorio – spiega il vice presidente nazionale FIMP Antonio D’Avino – ci siamo confrontati con una realtà di difficile gestione, che da un lato ha previsto la messa in atto di una complessa attività di prevenzione e contenimento della diffusione della pandemia, dall’altro l’attenta osservazione di pazienti contatti familiari e scolastici di positivi e di pazienti positivi».
I CASI
Ed è da questo lavoro fatto sul campo che emerge lo studio che presto sarà pubblicato. Su 330.000 bambini, 29.600 sono stati analizzati come casi sospetti; e i casi positivi di Covid 19 sono stati 5.900 (il 19,9%) testati tutti con tampone esaminato attraverso PCR Real Time. «Dunque su una platea di 330.000 bambini – aggiunge Patrizia Gallo, coordinatrice del Centro Studi Scientifico FIMP Napoli – la percentuale di casi positivi è stata pari all’1,7%. Ma è chiaro che una percentuale di casi del tutto asintomatici può essere sfuggita alla rete dei controlli». Dallo studio FIMP Napoli, che proprio in Patrizia Gallo ha visto una figura centrale, visto che è stata lei ad analizzare i dati provenienti da decine e decine di pediatri di famiglia, emerge anche che i contatti negativi al test, ma ugualmente isolati e seguiti per 14 giorni, sono stati 23.900 (il 7,3% dell’intera popolazione pediatrica), «dato di rilievo perché legato alle sofferenze psicologiche dei piccoli pazienti e alle difficoltà pratiche delle famiglie»m precisa Luigi Cioffi, componente del Centro Studi Scientifico FIMP Napoli. Quanto alla gravità della malattia, su una popolazione di 5.900 casi positivi, i piccoli pazienti gravi sono stati 60 (1,1 %) e sono stati indirizzati verso l’Unità HUB dell’Università Federico II° e verso l’Unità SPOKE dell’Ospedale Santobono. I pazienti con sintomi moderati sono stati 940 (16 %) e quelli con sintomi lievi sono stati 3.112 (54%). Gli asintomatici sono stati 1750 (29,6 %).
SUPERLAVORO
Lo studio mette anche in luce l’enorme lavoro ricaduto sui pediatri di famiglia. Solo per far fronte all’emergenza Covid, per ciascun paziente positivo, ogni pediatra ha effettuato in media 10,4 telefonate per seguirne l’evoluzione della malattia. Mentre per ciascun contatto sono state effettuate in media 6,7 telefonate nei 14 giorni dopo il contatto. Tra febbraio e novembre 2020 i 340 pediatri di famiglia napoletani hanno effettuato 111.000 bilanci di salute, pari ad una media di 32 bilanci al mese per ciascun pediatra. Ben 250.000 visite di routine, pari a 73 al mese per ciascun pediatra. Sono state 40.800 le visite di prevenzione, pari a 12 al mese per ciascun pediatra, e 61.250 le visite in urgenza, pari a 18 al mese per ciascun pediatra. Durante il lockdown e nei mesi successivi, i bambini hanno vissuto l’ansia e l’angoscia di un periodo comprensibilmente difficile, isolati tra le mura domestiche con genitori non abituati a gestirli 24 ore su 24. Dallo studio FIMP Napoli emerge un disagio psicologico spesso anche grave, di solito manifestato attraverso sintomi organici come dolori addominali, cefalea, stipsi; ma anche difficoltà ad addormentarsi e irritabilità e disturbi relazionali. Per seguire il disagio di questi bambini sono state effettuate 6.200 visite. «Non è stato facile aggiungere a tutta la routine il corredo di attività inerenti la pandemia – conclude D’Avino -. Nei primi mesi siamo stati costretti a lavorare senza i dispositivi di protezione individuale, sono stati mesi accompagnati dall’ansia per la nostra stessa sopravvivenza e per quella dei nostri familiari. Il contenimento dei contagi, con la limitazione degli accessi agli studi per i tanti pazienti abituati ad accedere senza appuntamento ha comportato un sovvertimento di regole, consuetudini, modalità di lavoro e rapporti sociali. Le prescrizioni attraverso i sistemi tecnologici delle software houses hanno consentito alle persone di non doversi spostare da casa e questa è stata la reale conquista di un periodo durante il quale la parola contenimento è stata determinante. Durante questa fase, l’attività consueta del pediatra di famiglia non si è fermata, ma ciascuno è stato presente nel proprio studio per rispondere alle richieste di un territorio di volta in volta confuso, disorientato e spaventato, per dare normalità ad un periodo che, almeno per ora, di normale non ha ancora nulla».