Vaccini: negli immunodepressi efficacia minore, terza dose indispensabile. Tre studi
Tre pazienti immunodepressi su dieci non rispondono al vaccino anti SARS-CoV-2. Sette su dieci sviluppano anticorpi e linfociti specifici contro il virus, soprattutto dopo la seconda dose, ma in quantità inferiori rispetto alle persone sane. Il dato emerge da 3 studi condotti su 3 diverse categorie vulnerabili. I risultati confermano la necessità di dosi di richiamo e confermano la sicurezza dei vaccini anti-COVID: nessuna reazione avversa significativa è stata registrata.
Gli studi dei ricercatori italiani
Gli studi sull’efficacia dei vaccini anti-COVID sugli immunodepressi sono stati condotti dai ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù su 3 diverse categorie: un gruppo di 21 pazienti affetti da immunodeficienza primitiva; una coorte di 34 ragazzi e giovani adulti sottoposti a trapianto di cuore e polmone (30 cuore, 2 cuore-rene, 2 polmone) e un gruppo di 45 giovani con trapianto di fegato e rene (12 fegato, 33 rene).
Le indagini sui pazienti con immunodeficienza primitiva e sul gruppo di trapiantati cuore/polmone sono state condotte dall’Unità di ricerca di Immunologia clinica e Vaccinologia, e sono state pubblicate, rispettivamente, sulle riviste scientifiche Frontiers in Immunology e Transplantation. Entrambe fanno parte di uno studio più ampio, denominato CONVERS, a cura dei medici e dei ricercatori guidati dal prof. Paolo Palma, che include altre 3 ricerche in via di conclusione su pazienti con infezione perinatale da HIV, malattia infiammatoria cronica intestinale e Sindrome di Down. Lo studio sui giovani con trapianto di fegato e rene è stato invece coordinato dai ricercatori della struttura complessa di Follow-up Trapianto renale guidata dal dott. Luca Dello Strologo.
Su tutti i pazienti inclusi nei 3 studi è stata analizzata sia la risposta sierologica al vaccino (cioè la quantità di anticorpi presenti nel sangue), sia la risposta cellulare (ovvero la presenza di linfociti T specifici contro il SARS-CoV-2 e, nel caso dei trapiantati di fegato e rene, dei linfociti B). I dati sono stati poi confrontati con quelli di gruppi di controllo composti da persone sane, sottoposte alla vaccinazione anti-COVID nello stesso periodo.
I risultati
Dai tre studi emerge che, in media, il 30% dei pazienti immunodepressi non sviluppa alcuna forma di immunità al virus, mentre il restante 70% risponde al vaccino, soprattutto dopo la seconda dose, ma in misura minore rispetto ai soggetti sani (meno anticorpi e meno linfociti specifici contro il SARS-CoV-2) e con delle differenze da gruppo a gruppo.
Pazienti con immunodeficienza primitiva: l’analisi sierologica effettuata dopo la seconda dose di vaccino ha rilevato che il 14% dei ragazzi non ha sviluppato anticorpi. Sul restante 86% è stata riscontrata una buona risposta anticorpale, benché inferiore al dato medio del gruppo di controllo. L’analisi cellulare ha invece rilevato l’assenza dei linfociti T specifici nel 24% dei soggetti inclusi nello studio.
Pazienti con trapianto di cuore e polmone: al termine del ciclo vaccinale il 31% dei giovani inclusi nello studio non ha sviluppato anticorpi. Sul restante 69% è stata registrata una risposta anticorpale, ma a livelli significativamente inferiori a quelli del gruppo di controllo. Stesse percentuali sul fronte dell’analisi cellulare: nessun incremento di linfociti T SARS-CoV2 specifici per il 31% dei pazienti.
Pazienti con trapianto di fegato e rene: dopo la seconda dose ha risposto al vaccino l’83% dei trapiantati di fegato e il 58% dei trapiantati di rene, con una sostanziale concordanza tra risposta sierologica e cellulare. «La diversa risposta al vaccino tra i trapiantati di fegato e il gruppo sottoposto al trapianto di rene – spiega il dott. Luca Dello Strologo, responsabile della struttura di Follow-up Trapianto renale del Bambino Gesù – sembra correlata al tipo di immunosoppressori somministrati. Alcuni farmaci più di altri, infatti, interferiscono sulla capacità dell’organismo di attivare la risposta immunitaria a seguito di uno stimolo immunogeno».
Sicurezza terza dose
«I risultati dei nostri studi dimostrano che è indispensabile proteggere le categorie più fragili somministrando la terza dose di vaccino, calibrando i dosaggi o ricorrendo a nuove formulazioni vaccinali adiuvate in grado di potenziare la risposta immunitaria al virus e mantenerla nel tempo» sottolinea il prof. Paolo Palma, responsabile di Immunologia clinica e Vaccinologia del Bambino Gesù. «Al tempo stesso è necessario raggiungere una copertura vaccinale quanto più estesa possibile. Il rischio di infezione è maggiore tra i bambini e i ragazzi immunodepressi. Ognuno di noi, con il proprio vaccino, è responsabile anche della loro salute».
Tutti gli studi confermano la sicurezza del vaccino anti SARS-CoV-2 anche sulle categorie più fragili: nei tre gruppi analizzati, dopo la somministrazione delle dosi sono stati registrati solo effetti collaterali transitori e di lieve entità. In nessun caso è stato necessario il ricovero ospedaliero.