Malattia di Crohn perianale, funziona l’uso di staminali autologhe
La malattia di Crohn si caratterizza per la formazione di aree d’infiammazione lungo tutto il tratto digerente. Si estendono dalla bocca all’ano e non sono escluse possibili localizzazioni perianali e del tratto esofago-gastrico (malattia di Crohn perianale). Si tratta di una patologia cronica, quindi non si può guarire. Tuttavia, grazie alle terapie a disposizione, la malattia può andare incontro ad una remissione prolungata.
Le stime più recenti parlano di 130mila persone affette in Italia. Di queste, il 25% manifesta anche la malattia perianale, vale a dire oltre 32mila. La maggior parte sono pazienti giovani che vivono l’esordio dei sintomi fra i 20-30 anni. Le conseguenze sono invalidanti sulla vita sociale, relazionale e lavorativa. Oggi si registrano dei passi in avanti sia nella chirurgia sia nel trattamento farmacologico, grazie all’uso dei biologici.
Gli ultimi progressi nella gestione chirurgica e medico-farmacologica della malattia di Crohn perianale sono stati al centro della quarta sessione del XIII Congresso nazionale dell’Italian Group For The Study Of Inflammatory Bowel Disease (IG-IBD), nei giorni scorsi a Riccione.
Malattia di Crohn perianale, lo studio sulle cellule staminali
La novità più recente per il trattamento della malattia di Crohn perianale «è rappresentata dall’uso delle cellule staminali autologhe ed eterologhe». Lo ha spiegato il professor Gilberto Poggioli, Direttore del Dipartimento Medico chirurgico delle malattie digestive, epatiche ed endocrino-metaboliche dell’IRCCS Sant’Orsola e ordinario dell’Università degli Studi “Alma Mater” di Bologna. “Le autologhe, che vengono prelevate da tessuto adiposo dell’addome, poi frazionate e iniettate localmente dove ha origine la fistola, ci hanno dato risultati finora eccellenti”. I dati sono “confermati da risonanza magnetica, su 90 pazienti e abbiamo già registrato un follow-up di quattro anni in cui le recidive sono limitate.
Per quanto riguarda le eterologhe, invece, abbiamo usato un farmaco ad uso compassionevole (data la mancata autorizzazione) su un numero più ristretto di pazienti che avevano un pregresso di diversi interventi chirurgici non risolutivi. Gli outcome sono buoni in termini di efficacia, perché le fistole sono state completamente chiuse nella maggior parte dei casi. Il farmaco appare promettente ma per ottenere un’evidenza tuttavia occorrerà aspettare”.
In generale, negli ultimi due decenni, la chirurgia e la farmacologia hanno apportato dei cambiamenti radicali per la condizione di vita dei pazienti. “Oggi – osserva il professor Poggioli – è possibile chiudere le fistole e sostenere la formazione di tessuto cicatriziale. In passato era possibile solo controllare lo stato dell’infezione. La chirurgia, in particolare nei pazienti che non manifestano malattia a livello del retto, risolve nel 90% delle fistole. Nella malattia del retto, invece, il rischio delle recidive è alto e nel 30-40% dei casi è necessario togliere il retto e procedere con una stomia”.
Farmaci e cura
“La terapia farmacologica della malattia perianale ha l’obiettivo di determinare la chiusura delle fistole complesse dopo bonifica chirurgica della sepsi. Ad oggi, i farmaci che hanno dimostrato maggiore efficacia rimangono gli anti-TNF Alpha, in particolare l’infliximab”, osserva Sara Renna, medico gastroenterologo dell’unità operativa di malattie infiammatorie croniche dell’intestino dell’Az. Ospedaliera Villa Sofia-Cervello di Palermo.
La malattia di Crohn perianale va affrontata con approccio multidisciplinare, secondo il professor Paolo Gionchetti, Direttore della SSD Malattie infiammatorie croniche intestinali dell’IRCCS Sant’Orsola e associato di Medicina interna dell’Università degli Studi “Alma Mater” di Bologna.
“Va gestita in primo luogo dal medico gastroenterologo e dal chirurgo – commenta il professor Gionchetti – che discutono delle strategie migliori, ma anche dal radiologo, capace di eseguire delle risonanze magnetiche pelviche. La malattia perianale può alterare in maniera significativa la qualità della vita dei pazienti. Possono essere interessati da questa complicanza fino al 25% dei pazienti che presentano dolore anale. Spesso fanno fatica a stare seduti e a muoversi, creando grossi problemi ad avere una normale vita sociale e relazionale”.
“Come equipe – continua – seguiamo i pazienti in un ambulatorio congiunto medico-chirurgico. Il primo passo è quello di bonificare l’area perianale con intervento chirurgico che dreni l’infezione e determini l’assenza di infezione residua. Successivamente si decide la strategia migliore, che nel caso di una malattia luminale spenta può consistere nel tentativo di riparazione chirurgica diretta (flap mucoso di avanzamento, uso di protesi biologiche etc.). Nel caso ci sia malattia luminale attiva allora la scelta cadrà sulla terapia con farmaci biologici che possono controllare sia la malattia perianale che quella luminale. Se anche con i biologici non si ottiene la chiusura delle fistole, allora, si possono utilizzare tecniche innovative con l’impiego delle cellule staminali”.