Carcinoma mammario, scoperto il ruolo chiave dei linfociti Treg
Un filo rosso si dipana tra i meccanismi invisibili del sistema immunitario e l’implacabile progressione del tumore al seno. A tesserlo, un team di ricercatori dell’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia sperimentale del Cnr (Cnr-Ieos) e dell’Università Federico II di Napoli, che ha svelato il ruolo decisivo di un gruppo di cellule immunitarie – i linfociti T regolatori, o Treg – nel determinare l’aggressività del carcinoma mammario. Una scoperta che non solo accende una luce sulla biologia del cancro, ma disegna una mappa per future terapie più precise, capaci di aggredire il male senza tradire l’equilibrio dell’organismo.
Il doppio volto dei linfociti Treg nel carcinoma mammario
Coordinato da Veronica De Rosa, immunologa del Cnr-Ieos, e frutto di una collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale e i dipartimenti di Biologia e Medicina Molecolare della Federico II, lo studio pubblicato su Science Advances rivela un paradosso. I Treg, normalmente guardiani della tolleranza immunitaria, si trasformano in complici del tumore quando invadono il tessuto mammario. Presenti in abbondanza sia nei tumori primari sia nel sangue delle pazienti con prognosi più severa, queste cellule sembrano plasmare un microambiente tumorale fertile, quasi complice, dove il cancro attecchisce e metastatizza.
Freni del sistema immunitario
«Sono come freni applicati al sistema immunitario – spiega De Rosa –. Esprimono molecole di superficie, i checkpoint, che spegnono la risposta antitumorale. Ma se li blocchiamo, soprattutto nelle fasi iniziali, possiamo riaccendere le difese dell’organismo». Un principio noto all’immunoterapia, che da anni punta ai Treg come bersaglio. Ma qui la sfida si fa più sottile: come colpire solo quelli “traditori”, senza intaccare quelli buoni, vitali per prevenire malattie autoimmuni?
La firma della proteina FOXP3E2
La risposta arriva da una variante proteica, FOXP3E2, identificata come marcatore distintivo dei Treg tumorali. Analizzando campioni di sangue e tessuto di pazienti con carcinoma mammario in fase precoce – reclutate negli ultimi cinque anni al Pascale e alla Federico II – i ricercatori hanno scoperto che maggiore è la concentrazione di linfociti Treg con FOXP3E2, peggiore è la prognosi. Una correlazione confermata anche dallo screening computazionale di oltre mille casi nella banca dati The Cancer Genome Atlas, estendendo il potenziale di questa firma molecolare ad altri tumori, dal renale al polmonare.
«Misurando questi linfociti con la biopsia liquida – aggiunge De Rosa – possiamo prevedere l’evoluzione della malattia già alla diagnosi. E immaginare terapie che li eliminino selettivamente».
Una speranza lunga vent’anni
I numeri parlano chiaro: la presenza di Treg con FOXP3E2 permette di anticipare prognosi e recidive fino a due decenni. Un orizzonte temporale che trasforma la lotta al cancro in una partita più lunga, ma anche più strategica. «Non tutti i Treg sono uguali – sottolinea la ricercatrice –. La loro eterogeneità è un rompicapo, ma oggi abbiamo un indizio in più per disinnescarli».
Il percorso è ancora in salita: serviranno trial clinici più ampi per tradurre la scoperta in marcatori diagnostici e farmaci mirati. Ma intanto, quel filo rosso tra immunità e cancro – tessuto con pazienza tra i laboratori napoletani – disegna una via possibile. Perché la scienza, a volte, è anche l’arte di trasformare un paradosso in una speranza.
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