Cancro, studi sugli animali che non si ammalano
Esistono animali che sembrano immuni al cancro. E il caso degli elefanti, che nonostante le dimensioni e una vita media ben più longeva degli uomini, non sviluppano la malattia. Circostanza che ovviamente non è sfuggita ai ricercatori che nel corso del tempo hanno cercato di comprendere il perché di questa resistenza. A quanto pare il segreto di questa “immunità” al cancro legata alla presenza di 20 copie del gene p53, noto per essere in grado di sopprimere l cellule tumorali e prevenire le mutazioni genetiche che scatenano il cancro. Tanto per fare un raffronto, gli esseri umani ne hanno solo una copia. Già questo basterebbe a spiegare come mai solamente il 5 per cento degli elefanti sviluppa il cancro in confronto al 17 per cento degli umani. Un nuovo studio ha poi chiarito che esiste anche un secondo fattore che protegge gli elefanti dal cancro, un vero e proprio gene anti-cancro che si comporta come una sorta di zombie: torna in vita dopo la sua “morte” e uccide le cellule cancerose.
Sulla scia di queste evidenze si muove una nuova ricerca, opera di uno scienziato italiano, che ha scelto di concentrare i propri studi su una forma di vita decisamente più piccola, e meno complessa, ma anche questa resistenze al cancro.
ESTRUSIONE
Angelo Fortunato, questo il nome del nostro connazionale che attualmente vive in Arizona, ha guardato al Tricoplax aderens, tra i più semplici organismi multicellulari. «Questo organismo – dice – sembra essere capace di riparare il danno subito dal DNA dopo un irraggiamento con i raggi X, e successivamente sembra in grado di estromettere, o meglio estrudere, le cellule che si suppone siano danneggiate». Un meccanismo molto interessante, perché quello che i ricercatori credono è che questa capacità di estrudere le cellule malate possa esistere anche in organismi più complessi, come i mammiferi. Ora fortunato ha avviato un nuovo studio che si concentra stavolta sulle spugne, organismi che pare abbiano la stessa capacità e resistenza al cancro. «Le spugne – aggiunge Fortunato – sembrano essere molto resistenti alla danno del DNA e riescono a tollerare delle quantità di radiazioni che sono del 100 volte maggiori di quelle che è in grado di sopportare un mammifero». Le cellule delle spugne oltre a riparare il danno al DNA vanno incontro ad una trasformazione cellulare. Un’attività di riparazione in cui sono attivati alcuni geni già noti per il coinvolgimento in questi meccanismi, mentre di altri è ancora sconosciuta la fusione. Proprio su questo si potrebbero concentrare studi futuri, poiché il cancro è una malattia evolutiva, spiega il ricercatore, si può imparare molto. «È importante studiare questi organismi che apparentemente sono molto lontani dagli studi classici che riguardano il cancro – conclude Fortunato – per poter apprendere delle informazioni che questi organismi hanno sviluppato nel corso della loro evoluzione».