Anticorpi di ultima generazione contro il cancro
Anticorpi di ultima generazione contro forme di cancro resistenti alle cure. È una nuova prospettiva che offre speranza a chi purtroppo deve fare i conti con una neoplasia che non rispondere alle terapie. Questi nuovi anticorpi potrebbero agire in due modi: da un lato colpendo le cellule malate e dall’altro risvegliando le difese immunitarie. Questa terapia potrebbe essere efficace contro il linfoma a cellule B, il più comune tra i linfomi non-Hodgkins. Si tratta di una malattia rara e molto aggressiva che colpisce in Italia circa 4.400 persone l’anno, in maggior parte di età adulta, di cui almeno il 35% purtroppo non risponde ai trattamenti standard o sviluppa successivamente recidive. Per questi pazienti “difficili” da trattare, arrivano proprio i nuovi anticorpi nati dalla ricerca dell’IRCCS Candiolo di Torino. «Negli ultimi anni abbiamo assistito a un fiorire di tecniche altamente innovative per il loro trattamento che fanno ben sperare visti i risultati finora ottenuti – commenta Umberto Vitolo, Ematologia-oncologia medica IRCCS Candiolo, coordinatore degli studi oncoematologici – La prospettiva di guarigione dipende dal tipo di linfomi ma oggi le possibilità di sconfiggere anche tumori aggressivi come i linfomi a cellule B, che non rispondono alle terapie standard o si dimostrano recidivi, sono molto aumentate».
DOPPIA AZIONE
Gli anticorpi di ultima generazione detti “bispecifici” riescono ad attaccare le cellule del linfoma e, contemporaneamente, risvegliare le difese immunitarie del paziente contro il tumore, rendendo attive le cellule T. I protocolli di terapia si concentrano soprattutto nei pazienti con linfoma a cellule B che hanno fallito la terapia standard di prima linea non possono per ragioni di età o perché il paziente soffre anche di altre malattie, essere trattati con trapianto di cellule staminali o con CART. Sei mesi fa è partito anche un altro studio di cui il Candiolo è coordinatore nazionale, su un anticorpo per pazienti di nuova diagnosi, ma con malattia estremamente aggressiva. «La ricerca ha come obiettivo di valutare se, aggiungendo l’anticorpo monoclonale anti-CD19 insieme a un “agente biologico” che modula la risposta immunologica, alla chemioimmunoterapia standard migliorano i tassi di guarigione di questi pazienti attualmente fermi al 50%. L’anticorpo, che sarà presto autorizzato in Italia nei pazienti in ricaduta, funziona legandosi a una sorta di ‘tag’ molecolare sulla cellule del tumore e, dopo essersi ‘arpionato’ a esse, innesca dei meccanismi che la annienta».