Quando i social possono alimentare la solitudine
I social network nascono per metterci in contatto, per agevolare le relazioni sociali o, meglio, per creare nuove e più ampie “reti sociali”. Eppure, se da una parte i social network permettono maggiori contatti con le persone, dall’altra le esperienze negative aumentano le probabilità di solitudine e di isolamento sociale. E non è solo una questione psicologica, ma questa condizione peggiora diverse malattie dell’organismo. E’ quanto emerge da uno studio condotto sui ragazzi dai 18 ai 30 anni da parte del Centro di ricerca sulla tecnologia e la salute dell’Università di Pittsburgh e pubblicato sull’American Journal of Health Promotion.
Lo studio
Allo studio hanno partecipato 1.178 studenti della West Virginia University: per ogni 10% di aumento delle esperienze negative sui social media, i partecipanti hanno riportato un aumento del 13% dei sentimenti di solitudine. Questa modifica, però, non è stata riscontrata all’opposto per le esperienze positive: a ogni loro aumento del 10%, infatti, non c’è stato alcun cambiamento.
Un mondo pervarsivo
«L’isolamento sociale percepito, che è sinonimo di solitudine, è associato a cattive conseguenze sulla salute, come l’ipertensione, le malattie cardiache e la depressione – ha spiegato l’autore principale della ricerca, Brian Primarck -. I social network sono così pervasivi che è fondamentale capire meglio in che modo possiamo aiutare le persone a navigare nei social, senza le tante conseguenze negative».
Solitudine
Al di là delle cause “esterne” c’è poi da rilevare un dato sulla solitudine che non tutti conoscono: in alcuni casi esiste una vera e propria propensione genetica, un codice scritto nel DNA. Il dato emerge da alcuni studi della University of California San Diego School of Medicine, effettuati dapprima su un campione di bambini e successivamente su 10.760 persone dai 50 anni in su. Analizzando le risposte alla domanda: «Quante volte ti sei sentito messo da parte, isolato o senza persone vicino?», gli studiosi hanno verificato come in un campione di individui sottoposti a esperimento, ognuno di loro avvertisse diversamente “il senso di solitudine”. Alcuni cioè, si sentivano soli anche in presenza di un numero discreto di amici o famigliari; tutto ciò a conferma del fatto che le sensazioni e quindi il proprio punto di vista sul nucleo famigliare e l’ambito sociale di cui facevano parte, poteva essere completamente diverso. L’influenza esercitata dal fattore genetico, il nostro DNA, è risultata essere pari al 14-27%, una percentuale considerevole anche se non determinante.