Sindrome da ostruzione in uscita
Sindrome da ostruzione, ci sono disturbi che ancora oggi sono un tabù e, per una forma di estremo pudore, anche i pazienti sono poco inclini a parlarne e cercare aiuto. È il caso della sindrome da ostruzione in uscita, una condizione che può influenzare profondamente la vita quotidiana di chi ne soffre. Si tratta di un disturbo che interessa il processo di evacuazione intestinale, rendendo difficile, e talvolta doloroso, il passaggio delle feci. «Questa difficoltà non è da sottovalutare, poiché può portare a complicazioni e ridurre significativamente la qualità della vita», spiega Francesco Selvaggi, ordinario di Chirurgia e primario del reparto di Chirurgia Colorettale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli.
Cause e sintomi
«Le cause di questa sindrome – aggiunge il professor Selvaggi – possono essere molteplici e spesso si dividono in due categorie principali: cause organiche e cause funzionali. Le cause organiche sono quelle che hanno a che fare con anomalie fisiche o strutturali, come ad esempio un prolasso rettale, un’intussuscezione (disturbo per cui un segmento dell’intestino scivola su un altro, ndr) o nei casi più gravi la presenza di tumori che possono ostruire il passaggio delle feci. D’altra parte, le cause funzionali sono legate a disfunzioni dei muscoli del pavimento pelvico o a problemi di coordinazione tra i muscoli e i nervi coinvolti nel processo di defecazione». I sintomi possono variare da persona a persona, ma in genere includono difficoltà a svuotare completamente l’intestino, necessità di sforzarsi eccessivamente per evacuare, e una frequenza ridotta dei movimenti intestinali. Altri segni possono essere la presenza di dolore durante o dopo la defecazione, gonfiore addominale e, in alcuni casi, la necessità di assistere manualmente l’evacuazione. Come sempre in questi casi, il fattore decisivo è la diagnosi precoce. Per diagnosticare la sindrome da ostruzione in uscita, i medici possono avvalersi di diversi strumenti. Selvaggi chiarisce che oltre all’esame clinico, che include l’esame rettale digitale, possono essere utilizzati esami di imaging come la defecografia e la risonanza defecografica, che permette di identificare eventuali anomalie strutturali. La manometria anorettale è un altro esame fondamentale che misura la pressione all’interno del retto e valuta la funzione dei muscoli.
Come intervenire
Quanto al trattamento «varia a seconda della causa sottostante e della gravità dei sintomi. Per le cause funzionali, spesso si inizia con un approccio conservativo che può includere modifiche alla dieta, come l’aumento dell’assunzione di fibre e liquidi, e l’uso di lassativi per ammorbidire le feci e facilitarne il passaggio. La fisioterapia – prosegue lo specialista – può essere molto utile per insegnare ai pazienti come rilassare e attivare correttamente i muscoli del pavimento pelvico. Dove è presente un prolasso interno che viene ben evidenziato con esame clinico e defecografico, spesso associato al rettocele, l’unica soluzione valida è l’intervento chirurgico mininvasivo transanale. L’intervento prevede la resezione del retto con tecnica definita secondo Altemeier, oppure una plicatura della parte muscolare del retto secondo Delorme, con un tempo di degenza media di 24 o 48 ore. Affrontare la sindrome da ostruzione in uscita richiede un approccio multidisciplinare, in questo senso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli è un punto di riferimento non solo regionale. È importante affidarsi ad una equipe specializzata per trovare la strategia di trattamento più efficace. «Con il supporto adeguato e, se necessario, con l’aiuto della chirurgia – conclude Selvaggi – è possibile superare le difficoltà legate a questa condizione e a ritrovare una vita più confortevole e senza ostacoli».
Articolo pubblicato si IL MATTINO il giorno 21 aprile 2024 a Firma di Renato Bellotti con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute