Infarto miocardico acuto, dai sintomi alle terapie
Ogni anno in Italia ci sono tra i 130 mila e i 150 mila nuovi casi di Infarto Miocardico Acuto. Oltre 25 mila pazienti muoiono prima di arrivare al ricovero. Se le cure registrano standard elevati, per quanto riguarda la prevenzione c’è ancora molto da fare. L’8% dei pazienti ricoverati muore entro 30 giorni dalla dimissione dall’ospedale. Circa l’8-10% muore entro un anno. Dal 16 al 20% delle persone che sopravvivono a un infarto muoiono entro 12 mesi dal ricovero ospedaliero.
In generale nel nostro Paese, i pazienti con Infarto Miocardico Acuto ricevono cure di alto livello. Infatti, procedure come l’angioplastica e la coronarografia hanno ridotto la mortalità a 30 giorni dall’evento acuto dal 16% all’8%.
I cardiologi del SSN utilizzano al meglio le risorse farmacologiche, combinando i farmaci più efficaci. Tuttavia, è necessario migliorare la gestione dei fattori di rischio e il percorso di cura per ridurre l’incidenza dell’infarto e la mortalità. Sono alcune delle indicazioni dell’Audit clinico condotto dall‘ANMCO – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri con il sostegno non condizionante di Amgen e presentato al 55° Congresso nazionale dell’associazione.
Risultati dell’Audit clinico dell’ANMCO
L’Audit clinico ha indagato l’operato di molte strutture e operatori sanitari italiani. In tutto ha coinvolto 50 Centri cardiologici ospedalieri e 500-600 cardiologi. Ogni struttura ha ricevuto un report dettagliato, per poi iniziare una fase di formazione mirata a migliorare gli indicatori principali e la qualità complessiva delle cure.
I risultati hanno mostrato miglioramenti significativi nei percorsi di cura. Il follow up è migliorato: la percentuale di pazienti che hanno fatto una visita di controllo a 4-6 settimane dalla dimissione è salita dal 70% a oltre l’80%. È aumentata anche la percentuale di pazienti che ha raggiunto gli obiettivi terapeutici raccomandati dalle Linee Guida. Inoltre i livelli di sicurezza del colesterolo sono migliorati, salendo dal 65% a oltre l’80%.
Tecniche di rivascolarizzazione
Le tecniche di rivascolarizzazione hanno dimezzato la mortalità entro i 30 giorni, che in passato superava il 15%. Tuttavia, la mortalità fuori ospedale non è migliorata. Questo evidenzia l’importanza di seguire i pazienti adeguatamente anche sul territorio, per assicurare la continuità delle terapie e della riabilitazione cardiologica, sottolinea l’associazione.
Cos’è l’infarto miocardico acuto
Si verifica quando il flusso sanguigno diretto al cuore si interrompe improvvisamente. L’Infarto Miocardico Acuto (IMA) è causato da un restringimento o un’ostruzione (coagulo) di una o più arterie coronarie. Se non si interviene rapidamente per ripristinare il flusso, l’area del cuore coinvolta viene danneggiata dalla mancanza di ossigeno e va incontro a necrosi dei tessuti.
Cause
La causa principale dell’Infarto Miocardico Acuto è l’aterosclerosi (ATS). Questo processo patologico progressivo è dovuto all’accumulo di materiale lipidico (grasso) sulle pareti delle arterie coronarie. Nel tempo, questo porta alla formazione delle cosiddette ‘placche’ (ARTS). Una placca può rompersi all’improvviso e creare un coagulo che può crescere fino ad occludere completamente il vaso arterioso.
Sintomi dell’Infarto Miocardico Acuto
L’Infarto Miocardico Acuto può essere annunciato da diversi sintomi, tra cui il dolore costrittivo e violento al centro del petto, senso di pesante oppressione, dolore bruciante che può irradiarsi alla mascella, alle spalle, alle mani o alla schiena. Altri sintomi possono essere sudorazione fredda, affanno, debolezza o senso di svenimento. Nelle donne, possono manifestarsi anche vertigini, dolore addominale e senso di stordimento.
Fattori di rischio modificabili
I fattori di rischio modificabili includono uno stile di vita sedentario, il fumo di tabacco, un’alimentazione ipercalorica e ricca di grassi e carboidrati, sovrappeso e obesità, colesterolo alto (ipercolesterolemia), ipertensione e diabete. Questi fattori possono essere gestiti attraverso cambiamenti nello stile di vita.
Fattori di rischio non modificabili
I fattori di rischio non modificabili includono l’età, infatti con l’avanzare degli anni il rischio di infarto aumenta. Il sesso è un altro fattore, con l’infarto più frequente negli uomini in età giovanile-adulta, mentre dopo la menopausa il rischio si equipara tra i due sessi. Anche la familiarità gioca un ruolo importante.
Diagnosi dell’infarto miocardico acuto
La diagnosi di infarto miocardico acuto viene effettuata a partire dalla storia familiare e clinica del paziente. Questa viene seguita da esami di laboratorio e indagini strumentali. Le analisi del sangue valutano i markers specifici di necrosi del miocardio, in particolare lo sviluppo di troponine, CK o CK-MB, che vanno ripetute più volte nel tempo.
Le indagini strumentali includono l’elettrocardiogramma (ECG), che segnala i cambiamenti delle onde elettriche del muscolo cardiaco ed eventuali aritmie (battiti anomali del cuore). La radiografia del torace, ecocardiografia e angiografia coronarica, servono, invece, a individuare le ostruzioni presenti nelle arterie coronarie. L’angiografia può essere seguita dalla procedura di angioplastica per ripristinare il flusso di sangue attraverso l’impianto di stent.
Terapie per l’infarto miocardico avuto
Le cure attuate in reparto intensivo dipendono dal tipo di infarto e dalla gravità. Queste sono standardizzate da precise linee guida nazionali e internazionali. L’intervento più importante è il ripristino e il mantenimento del flusso sanguigno nel più breve tempo possibile.
Le terapie farmacologiche includono trombolitici, acido acetilsalicilico, eparina, antidolorifici, nitroglicerina, beta-bloccanti, ipolipemizzanti, morfina e ACE-inibitori. Tra le procedure interventistiche, l’angioplastica con stent coronarici è la più comune. Nei casi più seri, si ricorre all’intervento di bypass coronarico.
Post infarto: prevenzione delle recidive
Dopo la dimissione, il paziente deve adottare una serie di misure per evitare delle recidive. Includono terapie ipolipemizzanti da assumere in maniera continuativa come prescritto dal cardiologo curante, controlli periodici, riabilitazione cardiologica e attenzione allo stile di vita.
Oltre a ridurre il rischio di incorrere in un secondo evento ischemico, l’obiettivo di queste misure è migliorare la qualità della vita del paziente, favorendo un ritorno alla normalità, alla vita lavorativa e di relazione.
«La cardiologia italiana ha un ruolo sempre più centrale e attivo all’interno del Servizio Sanitario Nazionale – dichiara Fabrizio Oliva, Presidente ANMCO e Direttore Cardiologia 1 Ospedale Niguarda di Milano – siamo positivamente colpiti dai dati di Audit clinico che ha verificato l’operato di un cospicuo numero di strutture e operatori sanitari italiani, con un’attenzione particolare alla prevenzione secondaria dei pazienti con Infarto Miocardico Acuto».
Ridurre la mortalità
«Ci sono margini rilevanti per ridurre la mortalità post infartuale dei pazienti italiani e per tali ragioni abbiamo voluto guardare cosa succede dentro le nostre cardiologie e attivare un processo interno di verifica, valutazione e formazione volto a migliorare il governo clinico, l’attività delle strutture cardiologiche ospedaliere e la gestione del paziente con sindrome coronarica acuta – afferma Furio Colivicchi, Past President ANMCO, Direttore Cardiologia Clinica e Riabilitazione Ospedale San Filippo Neri, Roma e Coordinatore nazionale del programma Audit clinico di ANMCO».
Pazienti molto più anziani che in passato e nuove terapie
Oggi i pazienti ricoverati per infarto sono molto più anziani che in passato, con molteplici fattori di rischio e spesso pregressi infarti. La maggior parte dei pazienti è sottoposta ad angioplastica e la quasi totalità è sottoposta a coronarografia. L’Audit ha messo in luce anche la rivoluzione nell’approccio terapeutico dell’ipercolesterolemia. I cardiologi italiani hanno recepito l’indicazione della comunità cardiologica internazionale per l’utilizzo di terapie di combinazione e impiegano in misura crescente farmaci biologici innovativi, come gli anticorpi monoclonali anti PCSK9, per ridurre il colesterolo LDL nella fascia di pazienti più gravi e ad altissimo rischio di successivi eventi ischemici.
Disparità nell’assistenza territoriale
«I risultati ottenuti – commenta Furio Colivicchi – dimostrano l’efficacia dell’Audit clinico come strumento che può favorire il cambiamento e il miglioramento della pratica clinica ed evidenziano il forte impegno della cardiologia ospedaliera italiana nei confronti dei pazienti con infarto per garantire loro trattamenti ottimali, e ridurre così le recidive, abbattere la mortalità e migliorare la qualità di vita.
Parte integrante di questo impegno è la costruzione della continuità assistenziale ospedale-territorio, in modo da non disperdere quanto si fa durante il ricovero e aiutare i pazienti ad affrontare la riabilitazione cardiologica, continuare nel tempo i controlli e proseguire nell’arco della vita le terapie avviate in ospedale. Oggi ci confrontiamo con un’assistenza cardiologica territoriale ancora molto frammentata. L’auspicio è che tale situazione possa migliorare a fronte dei fondi messi a disposizione del PNRR e del futuro nuovo Piano Sanitario Nazionale».