Alzheimer: piccole molecole e intelligenza artificiale per fermare la malattia
Le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson sono tra le sfide più complesse della medicina contemporanea. Oggi, le terapie si concentrano principalmente sul controllo dei sintomi, ma il futuro promette di più. La ricerca scientifica punta a trattare le cause scatenanti della malattia, principalmente l’accumulo aberrante di proteine, come le placche amiloidi nel cervello. Questo è il tratto distintivo dell’Alzheimer e i recenti progressi stanno aprendo nuove strade per affrontare la malattia in modo radicalmente diverso. La tecnologia gioca un ruolo chiave in questa rivoluzione. Intelligenza artificiale (IA) e machine learning stanno accelerando i tempi della ricerca e aumentando le possibilità di trovare trattamenti più efficaci.
Negli ultimi anni, tre terapie basate su anticorpi monoclonali sono state approvate in paesi come Stati Uniti, Giappone, Cina e Regno Unito. Questi farmaci attaccano le aggregazioni proteiche disfunzionali che caratterizzano l’Alzheimer. Tuttavia, secondo Michele Vendruscolo, professore di biofisica all’Università di Cambridge, intervistato dal Sole 24 ore, queste terapie hanno un’efficacia limitata e non sono adatte a trattamenti di massa, a causa degli effetti collaterali e dei costi. L’Europa, ad esempio, non ha ancora approvato questi farmaci. Ciò spinge la comunità scientifica a cercare soluzioni alternative e meno invasive. Tra queste, l’utilizzo di piccole molecole, che potrebbero rappresentare una svolta.
L’era delle small molecules
Le “small molecules” sono il nuovo obiettivo della ricerca scientifica. Questi composti chimici, di dimensioni ridotte rispetto agli anticorpi monoclonali, potrebbero offrire un trattamento più efficace e accessibile. A differenza delle attuali terapie, le small molecules potrebbero essere somministrate facilmente attraverso una semplice pillola, rendendo la cura più sostenibile su larga scala. Vendruscolo sottolinea come l’intelligenza artificiale stia giocando un ruolo fondamentale nella ricerca di queste molecole. Grazie a strumenti di calcolo avanzati, i costi per testare nuove molecole sono crollati da milioni a migliaia di euro, mentre la velocità di sperimentazione è aumentata di due o tre ordini di grandezza.
Si stima che entro i prossimi cinque o dieci anni potrebbero essere disponibili farmaci capaci di rallentare, se non bloccare del tutto, il progresso della malattia. In alcuni casi, queste molecole potrebbero addirittura invertire gli effetti dell’Alzheimer nelle sue fasi iniziali. In questo scenario, gli anticorpi resterebbero una terapia utile solo per i pazienti in fase avanzata. Tuttavia, il cammino verso queste soluzioni richiede tempo e ingenti investimenti, soprattutto in ricerca e sviluppo.
L’impatto economico e sociale dell’alzheimer
Il progresso della ricerca non riguarda solo la medicina, ma anche l’economia. L’aumento dell’aspettativa di vita ha portato a una popolazione sempre più anziana, e l’Alzheimer rappresenta una sfida per i sistemi sanitari di tutto il mondo. Oggi, i costi legati alla cura di questa malattia sono enormi. Solo in Italia, si stima che il costo annuo per paziente superi i 50 mila euro, con una spesa globale che ammonta a centinaia di miliardi.
Questo rende lo sviluppo di nuove terapie una questione cruciale anche dal punto di vista della sostenibilità economica. Le nuove tecnologie di laboratorio, come le scansioni cerebrali avanzate, stanno fornendo informazioni sempre più dettagliate sui meccanismi della malattia, aprendo la strada a terapie più mirate ed efficaci. Questo potrebbe ridurre i costi sanitari, migliorare la qualità della vita dei pazienti e alleggerire il peso sui caregiver e sui sistemi sanitari nazionali.
Le sfide della ricerca multidisciplinare
Michele Vendruscolo sottolinea come la ricerca sia diventata un esercizio collettivo su scala mondiale. Europa e Stati Uniti sono allineati sulla strada da seguire, anche se in Europa si osserva meno intraprendenza negli investimenti rispetto agli Stati Uniti. Il congresso nazionale della Società Chimica Italiana, tenutosi a Milano, ha offerto uno spunto per analizzare i progressi della ricerca. Vendruscolo ha evidenziato come persino un cambiamento nella modalità di somministrazione dei farmaci potrebbe rivoluzionare l’approccio alla malattia. Passare da iniezioni settimanali in ospedale a una pillola da assumere a casa è una soluzione che potrebbe cambiare radicalmente la gestione dell’Alzheimer su larga scala. Un’innovazione di questo tipo renderebbe la terapia più accessibile e meno invasiva.
Un futuro simile alla lotta contro il cancro
Vendruscolo paragona i progressi nella cura dell’Alzheimer a quelli avvenuti nella lotta contro il cancro. Negli anni Settanta, la prima terapia oncologica aprì la strada a decenni di miglioramenti, portando a trattamenti sempre più efficaci e accessibili. Lo stesso potrebbe accadere con l’Alzheimer. Ci vorranno alcuni decenni per raggiungere una maturità paragonabile a quella attuale dell’oncologia, ma la direzione è chiara.
Nel frattempo, le terapie che si stanno sviluppando per l’Alzheimer potrebbero avere ricadute positive anche su altre malattie neurodegenerative, come il Parkinson. Oggi, per il Parkinson non esistono terapie in grado di rallentare il progresso della malattia. I progressi nell’Alzheimer potrebbero quindi aprire la strada a nuove soluzioni anche per queste patologie.