Tobaldini: «Terapia enzimatica domiciliare, diritto da garantire ai pazienti lisosomiali»
La diagnosi della Malattia di Anderson-Fabry può arrivare con grande ritardo. Eppure, una diagnosi precoce (possibile solo con lo screening neonatale) è importante non solo per il bimbo, perché permette di prevenire gravi compromissioni d’organo o disabilità, ma anche per la sua famiglia, perché porta ad identificare altri casi familiari non ancora diagnosticati. Ecco perché un tema di fondamentale importanza è l’accesso agli screening neonatali: già a fine 2018 abbiamo sostenuto un emendamento alla legge di bilancio, poi approvato, ma di fatto non sono ancora stati approvati i decreti attuativi». A parlare è la Presidente di AIAF Onlus Stefania Tobaldini. «A parte i progetti avviati in Toscana e Veneto, nelle restanti regioni lo screening neonatale per la Malattia di Anderson-Fabry non è previsto. Per questo lo scorso 10 dicembre abbiamo consegnato al Vice Ministro della Salute un appello congiunto con le altre associazioni di pazienti con malattie lisosomiali. Un altro tema su cui stiamo spingendo insieme alle altre associazioni di pazienti con malattia Lisosomiale (Gaucher, Glicogenosi e Mucopolisaccaridosi) è il diritto di scegliere la terapia domiciliare in tutte le regioni italiane. Per i pazienti con malattia lisosomiale trattabili con terapia enzimatica sostitutiva (Ert) che deve essere somministrata ogni 7 o 14 giorni, la gestione della terapia, le giornate di assenza dal lavoro e dalla scuola possono arrivare a 52 giorni all’anno. Purtroppo ai pazienti lisosomiali spesso non viene riconosciuta l’invalidità e per questo motivo sono costretti ad usufruire di molte giornate di ferie ogni anno. La possibilità di curarsi in casa, in orari extra lavorativi, non solo migliorerebbe la qualità della vita dei pazienti, ma ridurrebbe anche gli accessi in ospedale, a vantaggio della sanità regionale. Con un documento approvato nel 2012 dal Tavolo Tecnico Interregionale per le Malattie Rare, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, è stato esplicitamente dichiarato che la terapia domiciliare è un diritto del paziente. Le regioni quindi avrebbero dovuto attivarsi, ma anche in questo caso si sono create disparità territoriali e a distanza di otto anni ci sono ancora alcune regioni che non la concedono. Spesso sono le aziende produttrici dei farmaci a sostenere i costi delle agenzie infermieristiche private che somministrano la terapia domiciliare, e questo, da alcune regioni, viene visto come un’interferenza da parte dei privati. Eppure di fatto, il servizio sanitario pubblico non offre una soluzione alternativa. Dal 2018 abbiamo iniziato un dialogo con le istituzioni, ma c’è ancora poco ascolto – conclude Tobaldini.