Niemann-Pick tutta colpa di un enzima
Ad ottobre è stata celebrata la giornata dedicata alla Niemann Pick, malattia rara da “accumulo lisosomiale”. Di questa malattia oggi si conosce più che in passato e, anche se purtroppo non esiste ancora una terapia risolutiva, molto presto nuovi farmaci cambieranno le prospettive di vita di chi è affetto dal “tipo B”. Ma andiamo con ordine. «Quella che sino a qualche tempo fa era descritta come malattia Niemann – Pick (dal nome dei medici che inizialmente l’avevano descritta, ndr), oggi viene chiamata ASMD, (da “acid sphingomyelinase deficiency”) e viene distinta in due sottotipi, A e B, entrambi dovuti al deficit dello stesso enzima, la sfingomielinasi acida lisosomiale a sua volta causato da mutazioni del gene che lo codifica» spiega il dott. Antonio Barbato, specialista in medicina interna presso il Dipartimento di Medicina Interna dell’A.O.U. Federico II di Napoli.
DIFETTO ENZIMATICO
Al di là di termini complessi e della descrizione dei meccanismi fisiopatologici che richiederebbero conoscenze specialistiche per essere compresi a fondo, il dottor Barbato chiarisce che l’ASMD (per la quale ci sono circa 30 diagnosi certificate in tutta Italia) è causata da un difetto enzimatico. «Semplificando – dice lo specialista – si deve immaginare l’enzima in questione come uno strumento che dovrebbe degradare delle sostanze che hanno esaurito il loro ciclo vitale, così da scomporle in elementi più piccoli che possono essere riutilizzati dall’organismo. Un meccanismo che in questo caso non funziona, o non funziona bene». Si deve insomma immaginare un sistema di “riciclo” che, per un difetto (nella fattispecie enzimatico), non riesce più a funzionare correttamente. L’ASMD tipo B può insorgere sia durante l’infanzia che nell’età adulta, colpendo più organi ed apparati e determinando un aumento degli organi ipocondriaci, ha un decorso più lento del tipo A che invece manifesta un interessamento precoce ed aggressivo soprattutto del cervello e del sistema nervoso. «Il grado di coinvolgimento clinico del paziente dipende dal tipo di mutazioni ereditate e dall’effetto di queste mutazioni sull’attività enzimatica: maggiore è il difetto enzimatico, più severa sarà la malattia».
SINTOMI
Facile comprendere da questo esempio per quale ragione questi gruppi di malattie rare si definiscano da “accumulo lisosomiale”. Il problema è determinato proprio dall’accumulo di questa sostanza, che non viene degrada, all’interno del lisosoma, prima, e della cellula, poi. Il dottor Barbato spiega che i campanelli d’allarme sono principalmente rilevabili a carico di alcuni organi che si possono considerare “bersaglio”. Nell’ASMD di tipo A l’organo più colpito è il cervello. Nel sottotipo B gli organi colpiti sono quelli addominali, in particolare la milza. «Si ha solitamente un aumento della milza e del fegato – dice lo specialista -. A volte vengono colpiti anche cuore e polmone, con gravi conseguenze per il paziente. Il sottotipo B può insorgere nell’adolescenza, ma anche nell’età adulta». Questo rende molto complessa una diagnosi già difficile, perché di solito si tende a pensare che queste patologie si manifestino solo in età infantile. Determinante è il ruolo dei medici chiamati a sospettare questo tipo di diagnosi come i medici di famiglia o i pediatri di libera scelta. «Un tema delicato, perché i casi sono molto rari e i sintomi possono essere aspecifici. Campanelli d’allarme possono essere l’anemia, l’astenia, dolori alle ossa, diarrea, solo per citarne alcuni, ma che se abbinati a segni clinici suggestivi come una splenomegalia senza diagnosi, devono far pensare anche alle malattie d’accumulo lisosomiale”.
TERAPIE
Oggi fortunatamente esiste una maggiore sensibilità su questi temi». In tutta Italia esistono centri di riferimento ai quali si può accedere per una presa in carico globale. Alla Federico II, ad esempio, è attivo il Centro diretto dal professor Giancarlo Parenti che si occupa di malattie metaboliche. Così come a livello europeo esiste il network MetaBern che consente un confronto costante tra esperti a livello internazionale. La buona notizia riguarda le nuove terapie disponibili. Il Centro della Federico II di Napoli è uno dei due in Italia (assieme a quello di Udine) ad aver sperimentato l’efficacia di un nuovo farmaco nell’adulto. «I risultati sono incoraggianti – conclude Barbato – anche se ancora non possiamo correggere il difetto enzimatico dell’enzima nativo, ne possiamo somministrare uno funzionate dall’esterno. Grazie a questa nuova terapia si può avere una vita decisamente migliore. Si spera che il farmaco possa entrare in commercio al più presto, forse già nei primi mesi del 2023».