La piccola Ehra e i medici del Santobono, così Napoli risponde all’emergenza umanitaria
Domenica mattina 465 anime sono sbarcate nel porto di Napoli dopo un viaggio che con un eufemismo si potrebbe definire atroce. Tra loro tanti bambini, almeno 50, segnati dalla scabbia e dalla disidratazione. A prendersi cura di questi piccoli, inconsapevoli, migranti c’era l’equipe dell’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon. Un’esperienza che il responsabile del pronto soccorso, Vincenzo Tipo, definisce «drammatica e toccante». Assieme a lui la dottoressa Margerita Rosa, Serenza Ascione (specializzanda in pediatria), l’infermiera Ginevra Pesce e l’autista dell’ambulanza di soccorso avanzato Ligi Mastrogiacomo.
«Quello che ho visto domenica – racconta Vincenzo Tipo mi ha segnato profondamente. Per il lavoro che faccio sono abituato a vedere negli altri la paura, a volta anche la disperazione, ma negli occhi di quei bambini c’è altro. Sono occhi che ti scrutano nell’anima. Una decina di questi bimbi non avevano più i genitori, erano soli. Come medico sono preparato, ma situazioni del genere provocano emozioni forti. Ci siamo trovati davanti persone disperate, a piedi nudi, vestiti con abiti di fortuna. Il Santobono – aggiunge – è stato chiamato in quest’emergenza e ha risposto prontamente».
I migranti e i vaccini
Recentemente sul tema dei migranti e dei vaccini, Walter Ricciardi (Istituto Superiore di Sanità) ha parlato non di un aggravio del rischio, ma della necessità di non mettere la tesa sotto la sabbia. Le migliaia di persone che si stanno muovendo in tutto il mondo possono involontariamente creare delle emergenze sanitarie, in questo senso i vaccini costituiscono uno strumento importante. Se un bambino o un anziano non è protetto, in questa epoca di mobilità passiva, sono più esposti a virus e batteri che portano malattie che consideriamo debellate. Ma anche per noi che andiamo fuori per lavoro o per svago, la protezione e la vigilanza non possono mai essere abbassate.
La piccola Ehra
Tra i tanti bimbi che hanno fatto capolino a Napoli c’era anche la piccola Ehra, il simbolo di questa emergenza. «Porterò nell’animo – dice il pediatra – quest’esperienza che mi ha insegnato che la solidarietà “è dovuta” ai più sfortunati. Nel cuore avrò per sempre la piccola Ehra – credo si chiamasse così, aggiunge – che quando è arrivata si è mostrata spaventata. Come biasimarla, si è trovata davanti degli estranei con le mascherine. Poi gli occhi le si sono riempiti di lacrime e piangendo mi si è lanciata con le braccia al collo, come a voler dire “proteggimi”».