Giornata Mondiale dell’emofilia 2021: i bisogni dei pazienti ai tempi del coronavirus
Per due pazienti su tre la pandemia è l’occasione per incrementare l’assistenza domiciliare; mentre per colpa di Covid, più della metà dei pazienti ha interrotto le attività motorie. A dirlo due indagini condotte da FedEmo e Università Bicocca di Milano che mostrano come, solo con una giusta integrazione tra assistenza a distanza, terapie personalizzate e accesso alla telemedicina, possano essere superate le difficoltà degli emofilici, rese ancora più gravi dalla pandemia.
Giornata Mondiale dell’emofilia 2021
Assistenza domiciliare, approccio multidisciplinare, telemedicina e cure personalizzate: è questa la ricetta per il trattamento del paziente con emofilia e malattie emorragiche congenite proposta dalla Federazione delle Associazioni emofilici (FedEmo) in occasione della Giornata Mondiale dell’emofilia 2021, celebrata con un evento in streaming. “Partendo dall’unicità della patologia emofilica e dalla personalizzazione delle terapie ad essa destinate, abbiamo condotto un’indagine tra i nostri pazienti e le indicazioni raccolte tramite i questionari sembrano rappresentare la soluzione più adatta per rispondere ai bisogni che sono emersi”, ha spiegato Cristina Cassone, presidente FedEmo durante i lavori che si sono tenuti ieri al Palazzo dell’Informazione.
In quest’anno complicato, in cui la pandemia da Covid-19 ha messo in grave difficoltà intere fasce di pazienti con malattie pregresse, i pazienti emofilici non hanno riscontrato particolari problemi nell’approvvigionamento dei farmaci e non sono stati costretti a modificare il regime di trattamento in uso. A rivelarlo i dati di un sondaggio condotto su un campione di circa 70 persone che hanno riposto a un questionario somministrato attraverso i canali social. Se, fortunatamente, la stragrande maggioranza dei pazienti non ha rilevato specifici problemi legati alla pandemia, l’aspetto più colpito è stato quello legato alla attività fisica.
Più della metà dei pazienti intervistati (57 per cento) ha dichiarato che durante l’emergenza non ha più svolto alcuna attività fisica, dimenticando che lo screening articolare periodico e l’attività fisica sono elementi fondamentali per prevenire i danni articolari e i micro-sanguinamenti, non sempre evidenti, che nel tempo portano a perdita di funzionalità. Ben il 63 per cento dei rispondenti vede la pandemia come un’opportunità per riflettere concretamente sulla necessità di aumentare i trattamenti domiciliari. Ciò che è emerso chiaramente dal sondaggio è stata una richiesta di estendere i servizi territoriali già esistenti anche ai pazienti emofilici. L’appello è arrivato dal 75 per cento degli intervistati. L’82 per cento dei pazienti ha dichiarato, inoltre, di non aver mai utilizzato un servizio territoriale, ma per l’83 per cento un’assistenza territoriale efficiente, in cui una serie di prestazioni sono erogate su distretti periferici, potrebbe rappresentare una valida alternativa alla necessità di rivolgersi all’ospedale, specie in un periodo di emergenza come questo. Tra le prestazioni che vorrebbero veder erogate ci sono: fisioterapia (30 per cento); analisi del sangue e infusione a domicilio (14 per cento); distribuzione farmaci (11 per cento); ambulatori emofilia pediatrici (6 per cento).
“Questi risultati ci confermano che non esiste una terapia e un’assistenza uguale per tutti – ha continuato Cassone -. Inoltre, nella gestione della malattia è fondamentale analizzare possibili sinergie con servizi assistenziali extra ospedalieri dedicati ad altre aree terapeutiche e già oggi in essere nei diversi territori, al fine di rendere accessibili quei percorsi anche ai pazienti emofilici. Con il risultato di alleggerire il carico dei Centri Emofilia insistenti presso i presidi sanitari e rendere i pazienti protagonisti e responsabili in prima persona del proprio percorso di cura, principio che rappresenta ormai una reale necessità, resa se possibile ancor più evidente dalle problematiche connesse alla pandemia attualmente in corso”.
Un’altra importante survey condotta tra novembre 2019 e giugno 2020 dall’Università degli Studi di Milano Bicocca ha invece visto coinvolti 144 pazienti adulti e 94 caregiver. Dall’indagine è emerso che il 15 per cento degli intervistati trovava già difficoltoso l’accesso al Centro Emofilia prima della pandemia e di questi circa il 25 per cento soprattutto perché non facilmente raggiungibile. Per il 20 per cento il Centro eroga solo visite per l’emofilia e nessun altro servizio. Infine, sulla qualità della vita, oltre il 50 per cento degli adulti ha dichiarato di avere difficoltà nel camminare e nel 35 per cento dei casi di aver provato o provare dolore. Il 16 per cento dei pazienti si è dovuto rivolgere a specialisti al di fuori del Centro e per oltre il 60 per cento del campione l’emofilia ha impattato negativamente sull’attività lavorativa.
“L’indagine che abbiamo realizzato con l’Università Bicocca ci ha confermato che sarebbe inoltre opportuno incentivare una de medicalizzazione assistenziale, avvalendosi di strumenti e tecnologie sanitarie innovative, come ad esempio la telemedicina, al fine di conseguire anche a livello locale l’attivazione e l’efficace gestione di quella che dovrebbe essere un’impostazione di sistema condivisa a livello nazionale”, ha spiegato Cassone.
FedEmo ha così lanciato un appello: “Chiediamo alle istituzioni competenti di muoversi in questa direzione. Un simile approccio potrebbe inoltre favorire l’uscita dall’attuale fase di stagnazione in cui versa l’applicazione dell’accordo sulle Malattie Emorragiche Congenite (MEC) e garantirebbe una maggiore efficienza e autonomia nelle terapie, impiegando peraltro risorse oggi già disponibili e utilizzate per altre patologie croniche. In rappresentanza degli oltre 10.000 pazienti italiani, desideriamo infine richiamare l’attenzione dell’Aifa – ha concluso il presidente FedEmo – sulla situazione di potenziale grave rischio che si è venuta a determinare per i protocolli delle gare di acquisto dei farmaci adottati da alcune delle Regioni del nostro Paese, auspicando che il principio della non equivalenza terapeutica tra farmaci in emofilia in sia presto sancito una volta per tutte.”
Che cosa è l’emofilia
Si tratta di una malattia rara dovuta a un deficit delle proteine coinvolte nel processo della coagulazione. Due di queste, il fattore VIII ed il fattore IX, sono mancanti o poco presenti nelle persone colpite da emofilia. Quindi, se in una persona sana un sanguinamento si blocca rapidamente grazie all’azione di una serie di proteine del plasma, in un soggetto emofilico, la mancanza delle proteine suddette può trasformare una piccola lesione in un’emorragia e provocarne di frequenti, anche spontanee.
Solo in Italia ne soffrono circa 5.000 persone, oltre 32.000 in Europa, quasi tutti maschi. Questo perché il difetto di coagulazione che determina l’emofilia si trova sul cromosoma X (che si viene così a chiamare Xe), ma mentre le donne hanno una doppia copia del cromosoma X, per cui nelle portatrici di un cromosoma Xe, l’altro cromosoma X, non colpito, compensa la produzione di fattore VIII o IX, negli uomini ciò non può avvenire perché non esistono geni per i fattori della coagulazione sul cromosoma Y. Le donne possono però essere portatrici sane.
Due i tipi di emofilia: la “A” è la forma più comune ed è dovuta ad una carenza del fattore VIII della coagulazione, presente in un caso ogni 10.000 maschi; la “B” è provocata dalla carenza del fattore IX della coagulazione e colpisce un individuo ogni 30.000 maschi.
In entrambi i casi, la gravità della malattia dipende dalla percentuale di fattore coagulante presente nel sangue della persona. Si parla di:
- emofilia grave quando la percentuale del fattore coagulante è inferiore all’1% del valore normale;
- emofilia moderata quando la percentuale è compresa tra 1 e 5%;
- emofilia lieve quando la percentuale è tra 5 e 40%.
I numeri
- Secondo gli ultimi dati rilasciati dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2018 in Italia risultano: 10.554 pazienti affetti da Mec presenti nel Registro nazionale delle Coagulopatie congenite: 4.109 affetti da emofilia A, 882 da emofilia B, 3.245 da malattia di von Willebrand e 2.318 da difetti di altri fattori della coagulazione. Tra i soggetti analizzati, 234 pazienti risultano HIV positivi ma nessun nuovo caso è stato segnalato negli ultimi 30 anni; i pazienti HCV positivi sono in totale 1.510. Per l’anno 2018 sono pervenuti piani terapeutici relativi al 54,2% dei pazienti con emofilia A grave e al 53,2% dei pazienti con emofilia B grave.
Il trattamento della patologia prevede la somministrazione, tramite infusioni, del farmaco, ormai da tempo non più emoderivato ma ricombinante (prodotto cioè in laboratorio con tecniche di ingegneria genetica), contenente il fattore coagulativo carente. L’evento avverso più importante consiste nello sviluppo di anticorpi anti-FVIII e anti-FIX (inibitori), che rendono inefficace il trattamento, con conseguente minor controllo degli episodi emorragici. In presenza di inibitori, la terapia prevede l’utilizzo di farmaci cosiddetti bypassanti del trattamento di induzione dell’immunotolleranza, che ha successo nel 60-80% dei casi e, dalla seconda metà del 2018, un anticorpo monoclonale (Emicizumab) che simula l’azione del FVIII.
La ricerca
In occasione della Giornata Mondiale dell’Emofilia CSL Behring ha annunciato anche l’avvio della fase B dello studio osservazionale “IDEAL” in pazienti con emofilia B. Questa prosecuzione dello studio IDEAL si è resa possibile a seguito della modifica della scheda tecnica dell’Albutrepenonacog alfa che consente infusioni fino a 21 giorni in selezionati soggetti adulti con emofilia B. L’emendamento allo studio IDEAL è già stato approvato dal Comitato Etico Coordinatore dello studio stesso, l’Ospedale Careggi di Firenze, con l’obiettivo di valutare i regimi posologici e il consumo annuo del farmaco nella ‘real life’ e, come studio di Real World Evidence, ha come obiettivo il massimo benessere del paziente.
In occasione della celebrazione annuale per l’awareness dell’emofilia, CSL Behring ha realizzato delle infografiche per sensibilizzare e diffondere la conoscenza di una malattia sostanzialmente rara: sono state scelte tre parole chiave per sintetizzare quello che unisce l’azienda ai propri pazienti. Euforia, nella passione di andare avanti; Eleganza, nel modo in cui le persone si adattano a sfide inaspettate, come quelle presentate da una malattia; Determinazione, nel superare anche i propri limiti.