Così i medici napoletani vissero «La grande guerra a casa»
«La Grande Guerra a casa», è questo il titolo di una due-giorni che inaugura una mostra che rimarrà negli Incurabili per mesi, per ricordare non soltanto l’eroismo di chi era al fronte ma anche e soprattutto, quello di chi la guerra la affrontò “a casa”. A cominciare dai medici e paramedici che si presero cura dell’enorme numero di militari feriti che furono trasferiti e ospedalizzati a Napoli sotto le insegne della Croce rossa italiana. E con loro il dottor Giuseppe Moscati, che in qualità di direttore generale del Reparto medico militare – allestito proprio nell’ospedale “Incurabili” di Napoli – si occuperà personalmente di ben 2.524 soldati (come attestano i registri del nosocomio), salvando la vita a molti di essi. Una volta venuti a conoscenza de fatto che a Napoli era all’opera Giuseppe Moscati, infatti, le autorità militari cominciarono a far dirottare sullo storico ospedale di Caponapoli i casi più difficili o impossibili. Ma la manifestazione vuole essere anche un omaggio alle vittime e ai feriti del primo bombardamento aereo subito dalla città (nel marzo del 1918) e allo strazio di tutte mamme, le mogli e le fidanzate che avevano i loro uomini nelle lontane trincee del Piave e delle Alpi orientali (in tutta Italia furono mobilitati oltre 5 milioni di giovani).
Il programma
La kermesse prenderà avvio alle 11 di venerdì 15 settembre nel cortile barocco del complesso monumentale con l’inaugurazione della mostra “La Croce rossa nella Grande Guerra” organizzata e allestita dal Museo delle Arti sanitarie insieme con il Corpo della Croce Rossa militare italiana. In esposizione una serie di oggetti, anche rari, che costituiranno il filo conduttore del racconto di quegli anni difficili ripercorrendo le gesta della sanità militare, l’eroismo dei militari e il sacrificio dei civili. È il caso, ad esempio, della ricca esposizione di lettere e di cartoline d’epoca che attraverso la lettura dei testi permettono di rivivere la tensione e l’intensità di quegli anni. A restituire ulteriore “fisicità” alla memoria saranno poi le suggestive riproduzioni di una sala operatoria, di una medicheria da ospedale da campo, di un refettorio per i feriti (con oggetti originali), ma pure gli inquietanti set operatori usati dai chirurghi di guerra, con tanto di grosse seghe da amputazione, perché, purtroppo, quello era uno degli interventi più frequenti. E altre parti di quelle strutture che decenni dopo negli Usa chiameranno “Mobile Army Surgical Hospital”, cioè “Mash” (che diventerà anche il titolo di un bel romanzo di Richard Hooker, quindi del film capolavoro di Robert Altman a esso ispirato e infine a una celebre serie tv, che cercavano di sdrammatizzare la mattanza bellica). La mostra – a ingresso libero – rimarrà aperta per tre mesi e sarà il fulcro di una serie di iniziative che hanno come obiettivo primario quello di far conoscere ai più giovani le vicende umane e storiche del Primo conflitto mondiale, che in Italia provocò la morte di oltre un milione di civili (parte dei quali per la denutrizione e anche per la micidiale epidemia detta “Spagnola”) e di circa 650mila militari (378mila uccisi in azione o morti per le ferite riportate, 186mila morti di malattie, 87mila invalidi deceduti durante il periodo compreso tra il 1918 e il 1920 a causa delle ferite riportate in guerra). Al fine di tener viva la memoria di quell’immane sacrificio. Il Museo delle Arti sanitarie ha attivato una sinergia con il Provveditorato agli Studi di Napoli con l’obiettivo di coinvolgere durante il periodo dell’esposizione il maggior numero di studenti delle scuole medie e superiori di Napoli e provincia, grazie anche a una serie di letture, concerti, perfomance e convegni scientifici. Un progetto che si cercherà di ampliare anche al resto della Campania con la collaborazione dell’assessorato all’Istruzione e della presidenza della Regione. A chiudere la prima giornata della manifestazione sarà un’esibizione musicale degli allievi del Conservatorio di San Pietro a Maiella. E sempre nel segno della musica si caratterizzerà il secondo appuntamento, il giorno dopo: alle 18 di sabato infatti sarà di protagonista la prestigiosa Banda Militare del Centro di Mobilitazione Tosco-Emiliano con un vasto repertorio ispirato all’anniversario del conflitto e ai temi della due-giorni.
Bombe su Napoli
Tra le peculiarità della mostra ricorderemo la scheggia di bomba che afferisce al bombardamento aereo della città effettuato da uno Zeppelin della Marina imperiale tedesca, che nella notte tra il 10 e l’11 marzo 1918, a 4800 metri di altitudine, dunque ben al di là della portata dei cannoni antiaerei e delle fotoelettriche, sgancerà le sue bombe su Napoli. Per un errore di calcolo, però, gli ordigni finiranno fuori bersaglio colpendo Posillipo, i Quartieri Spagnoli, la zona dei Granili, piazza del Municipio, via Toledo, il Corso Vittorio Emanuele (centrando tra l’altro due chiese, la Galleria Umberto I, un ospizio delle Suore dei Poveri), Solo sulla via del ritorno, le bombe dell’aeromobile centrarono gli stabilimenti dell’Ilva di Bagnoli, che erano il vero obiettivo del raid insieme alle altre fabbriche belliche dell’area flegrea. Alla fine i morti saranno diciotto e i feriti un centinaio, ma da quel momento la popolazione vivrà nel terrore di altri attacchi aerei.
Valori positivi
Nelle parole del professor Gennaro Rispoli, fondatore e direttore del Museo delle Arti Sanitarie: «Innanzitutto ai più giovani vogliamo ricordare non solo le brutture della guerra ma anche e soprattutto la generosità mostrata nell’accoglienza ai feriti che giungevano qui dal fronte, compresi quelli nemici. E vogliamo anche sottolineare il ruolo professionale di Moscati, che proprio agli Incurabili selezionava i pazienti idonei a tornare in battaglia; un ruolo di grande responsabilità che il futuro santo svolse con rigore e umanità. Testimonianza importante – aggiunge il direttore del Museo napoletano – è pure quello della musica, che divenne un supporto fondamentale per battere prima del nemico la nostalgia di casa e l’angoscia dell’assalto. Quelle tenere parole sussurrate nei versi della ricca produzione canzonettistica partenopea riecheggiano, con intatta potenza, la voglia di pace di una gioventù che non poté vivere il suo tempo».
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