Tempo di lettura: 3 minutiCarni, latte, frumento e pesce: il nostro Paese fa arrivare ogni anno dall’estero prodotti agroalimentari per un bilancio totale di 42 miliardi di euro. Si tratta di materie prime, alla base di molti marchi dell’industria alimentare nostrana, d’altronde il Made in Italy fonda le sue radici proprio nella lavorazione.
Ma cosa succede se alcuni cibi sono contaminati da sostanze chimiche che da noi sono vietate? La cartina dell’importazione tracciata da Coldiretti mostra da dove vengono queste materie prime. Il primo dato che colpisce riguarda un ingrediente alla base della dieta mediterranea. Circa la metà del grano duro fa un viaggio transatlantico dal Canada per giungere fino al Belpaese, qualche migliaio di chilometri in meno se arriva dall’Ucraina. Da più vicino, invece, arriva la carne bovina refrigerata (Francia o Polonia) e il latte (Germania e Slovenia).
Insomma, la produzione interna non basta per coprire il fabbisogno del Paese. Giusto per rendere un’idea: le aziende italiane spendono 460 milioni di euro all’anno per assicurarsi il caffè grezzo in Brasile; 170 milioni di euro per le mandorle statunitensi e 67 milioni per i crostacei e i molluschi cinesi.
Il prodotto più importato in assoluto è la carne: il 70% delle proteine ovicaprine (pecore e capre) proviene da oltre confine. Quelle bovine (manzo e vitello) si fermano al 40%. Stesso discorso vale per il 35% dei salumi e della carne suina, nonostante la tradizione di insaccati italiani e per la pasta: composta per il 50% di grano duro estero (il grano tenero destinato ai panifici si ferma al 30%). Così come per latte, formaggi e yogurt. Il Mediterraneo che circonda la nostra Penisola non basta neanche per il pesce. Le nostre aziende spendono oltre quattro miliardi all’anno per pesce, crostacei e molluschi. C’è un’unica produzione che non teme scarsità: quella degli ortaggi che è italiana al 99%. Dietro questo andamento che ha cifre stabili da ormai 4 anni, non c’è solo l’abbattimento dei costi, specie del lavoro. In realtà entrano in gioco tecniche di coltivazione diverse: «Soprattutto nei Paesi extraeuropei si utilizzano fitofarmaci che qui da noi sono fuori legge», spiega sulle pagine de La Stampa, il biologo Luciano Atzori. Un esempio è la matrina: «Si tratta di un diserbante molto utilizzato in Cina che si estrae da una radice. Per cui si ottiene a basso costo e passa pure come sostanza naturale. Ma i rischi per la salute sono enormi», rivela Atzori. La sostanza, infatti, prodotta maggiormente in Cina e India, non è commerciabile in Europa perché ritenuta neurotossica, allo stesso modo dei più pericolosi e dannosi fitofarmaci quali i carbammati, i fosforganici e i cloro derivati come il Ddt. La sostanza agisce inibendo l’attività della colinesterasi e provocando la sindrome da avvelenamento con tremori, scordinamento dei movimenti, scarso equilibrio, disturbi intestinali e la morte per blocco della respirazione. Oltre a questi sintomi acuti i composti neurotossici possono determinare fenomeni di bio- accumulo nei tessuti lipidici provocando nel tempo fenomeni di tossicità cronica. Insomma “naturale” non è sinonimo di “sano” o di “sicuro”. Molti veleni sono naturali, come appunto la Matrina, di origine vegetale sì, ma altamente tossica per l’uomo, per l’ambiente e per gli animali, che a volte è stata venduta come fertilizzante naturale agli agricoltori. Una vera e propria frode scoperta qualche anno fa a seguito dell’operazione Mela Stregata che ha visto tra le sue vittime soprattutto il settore biologico, con i suoi produttori ingannati dal paradosso del “naturale”. Il caso scoppiò a seguito di una segnalazione di FederBio, da Icqrf (Ispettorato Centro della tutela della Qualità e Repressione Frodi agro- alimentari) e Guardia di Finanza.
Nella black list di Coldiretti sui Paesi che importano prodotti con più residui tossici, in cima alla classifica c’è la Cina. Solo nel 2016 sono aumentate del 43% le importazioni di concentrato di pomodoro dal Paese asiatico che hanno raggiunto circa 100 milioni di chili, pari a circa il 10% della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente. Se nella maggioranza dei broccoli cinesi è stata trovata la presenza in eccesso di Acetamiprid, Chlorfenapyr, Carbendazim, Flusilazole e Pyridaben, nel prezzemolo vietnamita – sottolinea la Coldiretti – i problemi derivano da sostanze come Chlorpyrifos, Profenofos, Hexaconazole, Phentoate, Flubendiamide mentre il basilico indiano contiene Carbendazim che è vietato in Italia perché ritenuto cancerogeno. Nella classifica dei prodotti più contaminati che provengono dall’estero ci sono anche le melagrane dall’Egitto che superano i limiti in un caso su tre (33%), ma fuori norma dal Paese africano sono anche l’11% delle fragole e il 5% delle arance.
Secondo gli economisti, una delle ragioni che obbliga l’Italia a una forte importazione dall’estero riguarda la regolamentazione. In primis quella europea. Il mercato unico si reggerebbe ancora su dei limiti di produzione che avvantaggiano alcuni dei nostri partner europei a discapito dell’Italia. Gli strumenti per migliorare il saldo fra produzione e importazione non mancano. Come ad esempio nel caso dei contratti di filiera: accordi fra produttori e aziende per cui si coordinano colture agricole e necessità industriali al fine di non sprecare risorse e favorire le produzioni locali. Una soluzione che potrebbe anche migliorare i già alti standard di sicurezza alimentari italiani.
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Malattie dell’apparato digerente, prevenzione gratuita in piazza
PrevenzioneSe non è un allarme, non si può dire comunque che sia rassicurante: «In Campania il tasso di ospedalizzazione per le malattie dell’apparato digerente è il più alto d’Italia (17.3 pazienti colpiti su 1.000 abitanti e 101.195 dimissioni l’anno). Tutto questo anche per effetto della maggiore prevalenza di virus epatitici, in Italia le Epatiti di tipo B e C colpiscono circa 2,5 milioni di persone (65-70% virus c, 10-15% virus B)». I dati sono quelli dell’ Associazione Italiana Gastroenterologi e ed endoscopisti Ospedalieri (AIGO) e riguardano anche le malattie infiammatorie croniche intestinali. Se in Italia si registra una media di 250 casi ogni 100mila abitanti, in Campania la prevalenza stimata è di 15.000 persone. Su base nazionale, un cittadino su 100 è affetto da celiachia mentre quasi il 20% della popolazione italiana è affetta da patologie funzionali dell’apparato digerente.
Aigo In… forma
«I dati, – avverte la dottoressa Rossella Pumpo, gastroenterologa, consigliere campana AIGO (Associazione Italiana Gastroenterologi e ed endoscopisti Ospedalieri) – registrano, soprattutto in Campania, un significativo incremento e trattandosi di patologie invalidanti la diagnosi precoce diventa lo strumento più efficace per la gestione e la soluzione di queste patologie ed in particolare delle malattie infiammatorie croniche intestinali». Di qui l’iniziativa di una campagna itinerante di diagnosi precoce e cura delle malattie infiammatorie croniche intestinali che, dopo le positive tappe di Salerno e Benevento, approda anche a Napoli col Gazebo-ambulatorio “ AIGO In…forma !”, che sarà allestito domani, dalle 16,00 alle 21,00, in piazza San Domenico Maggiore.
Test gratuiti
«Grazie alla disponibilità dell’Asl Napoli 1 Centro, in collaborazione con AMICI, l’associazione dei pazienti affetti da malattie infiammatore croniche intestinali, – spiega il presidente del Consiglio Regionale Aigo, Ernesto Claar – torniamo nelle piazze con lo scopo di fare emergere il bisogno di salute in ambito gastroenterologia della nostra regione. Sarà disponibile uno stand presso il quale i cittadini potranno ricevere informazioni circa i percorsi disponibili su tutto il territorio, effettuare test gratuiti e ricevere una consulenza sulle malattie infiammatorie croniche intestinali oltre ad un counseling con uno specialista psicologo». Presso il gazebo-ambulatorio sarà inoltre possibile ritirare un ticket gratuito per un accesso presso il presidio ospedaliero San Paolo di Napoli dove effettuare il dosaggio di specifici marcatori per la diagnosi precoce di patologie infiammatorie croniche intestinali.
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Celiaci: solo un sesto degli adulti lo è davvero. Mercato da 6 miliardi
AlimentazioneCeliaci per convinzione, ma senza aver avuto una diagnosi. La sempre più diffusa e costosa ‘fobia’ del glutine, motivata da possibili problemi di intolleranza, è infondata nella gran maggioranza dei casi. Un nuovo studio australiano pubblicato sul Medical Journal of Australia ha raccolto numeri impressionati. Secondo i ricercatori dell’Università di Newcastle, il glutine fa scattare problemi di salute in appena un sesto degli adulti che accusano intolleranza alla proteina. Il giro d’affare globale del gluten-free vale più di 6 miliardi di dollari Usa e gli studiosi pongono interrogativi verso questo mercato lucrativo.
Alla guida del team di ricercatori ci sono Marjorie Walker e Michael Porter della Scuola di patologia anatomica dell’atene che si sono rivolti all’8% degli australiani che sostengono di essere celiaci, secondo le statistiche. Si tratta di coloro che incolpano il glutine per una serie di disturbi, dal gonfiore di stomaco a mal di testa e nausea, a dolore alle giunture, da depressione a febbre da fieno. “Risulta che solo una piccola proporzione sia veramente suscettibile al glutine o al frumento. Molti si sottopongono senza necessità a una costosa dieta gluten-free“, commentano gli scienziati. La celiachia è una condizione autoimmune in cui il glutine induce il sistema immunitario ad attaccare l’intestino e altri organi, ma per ogni persona realmente affetta, circa altre sette si dichiarano suscettibili alla proteina senza soffrire di celiachia, riferiscono gli studiosi. Una dieta gluten-free costa 17 volte più di una regolare, ed espone la persona a carenza di oligoelementi e di vitamine. Insomma, i medici avvertono: tale dieta può anche aggravare i rischi di attacchi cardiaci o ictus, di ipertensione, di alti livelli di colesterolo di sovrappeso, perché le alternative senza glutine hanno alti contenuti di carboidrati. Evitare il glutine interferisce inoltre con importanti batteri intestinali e aumenta l’esposizione alle tossine. Un altro studio recente lo ha anche collegato ad alti livelli di arsenico nelle urine. Dallo studio emerge che ad accusare problemi legati al glutine sono in maggioranza donne e relativamente giovani. Secondo gli studiosi, molte sono in cerca di facili soluzioni piuttosto che seguire tradizionali consigli di salute come evitare cibo confezionato.
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Come rendere la casa a misura di bambino. I consigli dei medici
BambiniBastano poche regole: montare reti a protezione dei balconi, non lasciare soli i piccoli mentre fanno il bagnetto o durante la pappa in cucina. Nel nuovo numero del magazine digitale ‘A Scuola di salute’ a cura dell’IBG (Istituto Bambino Gesù per la Salute del Bambino e dell’Adolescente) diretto dal prof. Alberto G. Ugazio, i consigli degli esperti dell’Ospedale Pediatrico romano su come rendere la casa più sicura. Ecco quali misure di sicurezza adottare per prevenire eventuali incidenti domestici.
Quando lo mettiamo a letto. Per scongiurare il rischio di soffocamento, ad esempio, non riempire la culla di giocattoli, peluche, laccetti del ciuccio o di altri giochi. Sconsigliate anche catenine, braccialetti o ciondoli. Il bambino va fatto addormentare sul dorso e non sul ventre, in modo da consentirgli una respirazione corretta e il cuscino su cui poggia la testa non deve essere troppo grande e neppure soffice. Il lettino in cui dorme deve avere sponde alte almeno 75-80 cm, mentre le sbarre devono essere distanti tra loro non più di 8 cm per evitare che ci possa infilare la testa. Un’altra indicazione per la casa è quella di installare zanzariere alle finestre o quelle di protezione sulla culla e divieto di fumare in casa, ma soprattutto nella stanza in cui dormono i bambini.
Giochiamo sul sicuro. I giochi devono essere realizzati con materiali atossici e non infiammabili, rispettare le norme di sicurezza ed avere ottenuto l’omologazione europea. Attenzione ai palloncini gonfiabili in lattice: possono rompersi all’improvviso in piccoli pezzi ed essere inalati se in prossimità della bocca del bambino.
Il momento del bagnetto. Qui i rischi maggiori sono legati alle ustioni, il 75% delle quali provocate da acqua bollente o vapore, o da annegamento. Prima di immergere il bambino controllare sempre che la temperatura si trovi tra i 36 e i 38 gradi al massimo. La temperatura centrale dell’acqua (l’impostazione data alla caldaia) va invece sempre regolata sotto i 48 gradi per prevenire che il bambino si ustioni con l’acqua di casa.
Si possono prevenire rischi di annegamento evitando di lasciare soli i bambini in vasca. I più piccoli possono trovarsi in pericolo anche senza lanciare alcun segnale di allarme, all’improvviso (si perde conoscenza nel giro di due minuti) e in uno spazio di appena 5 cm d’acqua. Per rendere il ‘rito’ del bagnetto sicuro, oltreché divertente, utilizzare tappetini antisdrucciolo a terra e protezioni antiurto sulle rubinetterie.
In soggiorno. E’ lo spazio della casa in cui di solito avviene maggiore condivisione tra genitori e figli, ma anche il posto in cui urtare uno spigolo oppure infrangere una cristalleria pregiata. Paracolpi e paraspigoli, in tal senso, consentiranno ai bambini di muoversi quasi come fossero in cameretta. Il momento dei cartoni animati è forse quello più atteso dai bambini. Quando si guarda la tv ricordarsi sempre di farlo alla giusta distanza (pari a 5 volte la diagonale dello schermo).
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Così il sorriso incide sulla salute e migliora la vita
Ricerca innovazionePuò sembrare una banalità ma non lo è, sorridere fa bene alla salute. A dirlo era stata qualche anno fa una ricerca scientifica pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Social Cognitive & Affective Neuroscience. Ora ricercatori inglesi hanno confermato questa scoperta e aggiunto nuovi dettagli alla terapia del sorriso. Stando a quanto scoperto, quando sorridiamo riusciamo a recepire in modo diverso le emozioni che ci arrivano dall’esterno. Gli studiosi hanno chiesto a 25 partecipanti di sfogliare una serie di foto che mostravano volti sorridenti o con un’espressione neutrale e hanno registrato le reazioni del loro cervello usando un elettroencefalogramma. Hanno così osservato che quando i partecipanti sorridevano guardando l’immagine di un volto neutrale, il loro cervello avvertiva l’espressione della foto come un sorriso. «È la dimostrazione del ruolo fondamentale che l’espressione facciale ha, soprattutto quando si tratta di decifrare quella altrui – scrivono i ricercatori -. Il nostro studio sembra supportare la frase: se sorridi, il mondo ti sorriderà».
«Apatia» da botx
Una delle scoperte sorprendenti che sono arrivate in questi anni riguarda l’utilizzo del botox, chi si è sottoposto a trattamenti di estetici ed è arrivato fino al punto da ottenere un irrigidimento dei muscoli facciali, è meno portato a provare le immediate sensazioni di benessere scatenate dal sorriso. Meno si sorride, meno si è capaci di provare l’immediato piacere che deriva da emozioni positive. Indipendentemente dagli stimoli esterni. In questo senso, un interessante esperimento risale agli anni ’80, quando alcuni ricercatori portarono a termine uno studio molto eloquente. Ad un gruppo di volontari fu chiesto di guardare una serie di cartoni animati. Coloro che guardarono lo schermo mordendo una penna risultarono più divertiti e più entusiasti rispetto a quelli che, invece, seguirono la storia a bocca chiusa.
Una vita più lunga
Ultimo aspetto che dovrebbe indurci a cercare di sorridere di più è quello che riguarda la longevità. Chi sorride, infatti, in media vive più a lungo e sembra più giovane. Il sorriso naturale ringiovanisce il viso di circa tre anni e chi sorride di più può vedere prolungata la propria aspettativa di vita anche di sette anni. Inoltre, sorridere aiuta il corpo a rilassarsi. Il relax permette al sistema immunitario di reagire in modo più rapido ed efficace di fronte alle minacce. Tanti buoni motivi per guardare alla vira con una luce nuova e regalarci uno splendido sorriso.
Fuoco di Sant’Antonio, il vaccino che nessuno conosce
News PresaChi lo ha sperimentato da che il fuoco di Sant’Antonio (principale complicanza dell’herpes zoster porta un dolore forte, costante o intermittente, veramente insopportabile. Oggi però esiste una soluzione, un vaccino monodose, che però è sconosciuto in buona parte d’Italia. Addirittura, tre italiani su quattro non conoscono questa opportunità. Eppure il foco di Sant’Antonio colpisce 157mila persone in Italia ogni anno, con una durata media che va dai 5 ai 7 mesi e con un costo complessivo di 42milioni di euro sul Sistema Sanitario Nazionale. Insomma, una nevralgia post erpetica che veramente cambia (in peggio) la qualità di vita di centinaia di migliaia di pazienti. Gli esperti stimano che il fuoco di Sant’Antonio colpisca circa il 20% di quanti entrano in contatto con lo Zoster. Il tema è stato oggetto di un importante dibattito romano, nel quale si è discusso proprio del «Dolore neuropatico da fuoco di Sant’Antonio» grazie alle testimonianze dei pazienti dell’Istituto Don Luigi Sturzo.
Qualità di vita
Una recente indagine di Doxapharma, che ha coinvolto oltre 200 persone fra i 60 e i 70 anni colpite dall’herpes zoster rivela come il 43% dei pazienti ha avuto ripercussioni sul lavoro, con 13 giorni persi di media, mentre il 55% non è stato autonomo nelle più semplici attività quotidiane. Eppure, come detto, il dolore da nevralgia post erpetica potrebbe essere evitato grazie a un vaccino in unica dose, con alto grado di tollerabilità, in grado di prevenire l’insorgenza dello zoster e della neuropatia che ne consegue, gratis per i 65enni e per alcune categorie (diabetici, ammalati cronici, affetti da neoplasie, che hanno molte più chances di essere colpiti dallo Zoster rispetto ai soggetti sani) del nuovo Piano nazionale prevenzione vaccinale.
Resistente alle terapie
«Il dolore della nevralgia post erpetica – spiega Sandro Giuffrida, direttore dell’unità operativa complessa di Igiene e Sanità Pubblica dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria – ha la particolarità di essere molto resistente alle comuni terapie antalgiche, solo un paziente su due riferisce infatti una attenuazione del dolore a seguito dell’utilizzo di farmaci. Per questo motivo, la prevenzione è determinante, ma su questa patologia c’è un gap comunicativo reale e rilevante: la percezione del rischio di ammalarsi di zoster è elevata solo nelle persone che hanno conosciuto la malattia per averla contratta personalmente o averla sperimentata attraverso un familiare o un amico». Chi non ha la percezione del rischio non sa nemmeno che esiste un vaccino che può prevenire la malattia. Per questo motivo è importante che si faccia informazione, anche circa il maggior rischio che si corre oltre i 60 anni, o se affetti da patologie croniche, di contrarre l’herpes zoster. Allo stesso tempo è importante far sapere che, grazie alla vaccinazione, è possibile ridurre di molto le probabilità di contrarre la malattia.
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Iperemesi. Una donna su 100 ha lo stesso problema di Kate Middleton
PrevenzioneUn’attesa non proprio dolce per chi, come Kate, soffre di iperemesi. Può accadere, infatti, di stare male fino a 50 volte al giorno, con nausea e vomito gravi. Una condizione, quella della duchessa di Cambridge, che interessa una donna su cento in gravidanza. Stando ai dati si verifica in rari casi, ma va gestita con attenzione, spiegano i medici. Se nausea e vomito sono sintomi sperimentati da quasi tutte le donne durante la gestazione (circa 8 su 10), soprattutto nei primi mesi probabilmente a causa dei cambiamenti ormonali, nell’iperemesi gravidica continuano per tutto il periodo della gravidanza. Kate ne è stata colpita durante tutte le gravidanze, compresa l’ultima, annunciata pochi giorni fa. Chi, come lei, vive questa condizione manifesta nausea e vomito prolungate e gravi. La disidratazione è tra i problemi principali, perché non si riesce a trattenere i liquidi, ma può subentrare anche perdita di peso, pressione bassa quando si sta in piedi e chetosi. Quest’ultima provoca l’accumulo di sostanze chimiche acide nel sangue e nelle urine, un meccanismo che si aziona perché il corpo fa leva sulle riserve di grasso piuttosto che sugli zuccheri per l’energia.
Il sistema sanitario inglese ha voluto mettere in evidenza questa problematica attraverso una scheda dedicata alla patologia sul proprio sito (Nhs). Purtroppo l’iperemesi non si allevia entro 14 settimane, come accade per chi sperimenta forme lievi o moderate di nausea e vomito, ma può durare per l’intera gravidanza, finche’ il bimbo non nasce, tuttavia alcuni sintomi possono migliorare a circa 20 settimane. C’è anche un’altra cattiva notizia che riguarda questa condizione. Proprio come è avvenuto al Kate Middleton, chi l’ha già sperimentata in gravidanze precedenti ha una maggiore possibilità che si ripresenti.
Alcuni rimedi utili ci sono. Si possono contrastare i sintomi con gli anti-emetici, la vitamine b6 e b12 e eventualmente steroidi, anche in combinazione. Tuttavia, il vomito e la nausea possono anche diventare incontrollabili e questo può richiedere un ricovero in ospedale, dove è possibile effettuare trattamenti con fluidi intravenosi. Prima si iniziano i trattamenti maggiore è la probabilità di avere effetti positivi.
Se trattata per tempo questa condizione non provoca problemi al bambino, anche se la perdita di peso della mamma può portarlo a nascere a propria volta con un peso inferiore al normale. Sono davvero rari invece i casi in cui si verificano conseguenze gravi, come una trombosi venosa profonda, dovuta alla disidratazione e alla mancanza di movimento.
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La buona cucina italiana, ma metà delle materie prime viene dall’estero
AlimentazioneCarni, latte, frumento e pesce: il nostro Paese fa arrivare ogni anno dall’estero prodotti agroalimentari per un bilancio totale di 42 miliardi di euro. Si tratta di materie prime, alla base di molti marchi dell’industria alimentare nostrana, d’altronde il Made in Italy fonda le sue radici proprio nella lavorazione.
Ma cosa succede se alcuni cibi sono contaminati da sostanze chimiche che da noi sono vietate? La cartina dell’importazione tracciata da Coldiretti mostra da dove vengono queste materie prime. Il primo dato che colpisce riguarda un ingrediente alla base della dieta mediterranea. Circa la metà del grano duro fa un viaggio transatlantico dal Canada per giungere fino al Belpaese, qualche migliaio di chilometri in meno se arriva dall’Ucraina. Da più vicino, invece, arriva la carne bovina refrigerata (Francia o Polonia) e il latte (Germania e Slovenia).
Insomma, la produzione interna non basta per coprire il fabbisogno del Paese. Giusto per rendere un’idea: le aziende italiane spendono 460 milioni di euro all’anno per assicurarsi il caffè grezzo in Brasile; 170 milioni di euro per le mandorle statunitensi e 67 milioni per i crostacei e i molluschi cinesi.
Il prodotto più importato in assoluto è la carne: il 70% delle proteine ovicaprine (pecore e capre) proviene da oltre confine. Quelle bovine (manzo e vitello) si fermano al 40%. Stesso discorso vale per il 35% dei salumi e della carne suina, nonostante la tradizione di insaccati italiani e per la pasta: composta per il 50% di grano duro estero (il grano tenero destinato ai panifici si ferma al 30%). Così come per latte, formaggi e yogurt. Il Mediterraneo che circonda la nostra Penisola non basta neanche per il pesce. Le nostre aziende spendono oltre quattro miliardi all’anno per pesce, crostacei e molluschi. C’è un’unica produzione che non teme scarsità: quella degli ortaggi che è italiana al 99%. Dietro questo andamento che ha cifre stabili da ormai 4 anni, non c’è solo l’abbattimento dei costi, specie del lavoro. In realtà entrano in gioco tecniche di coltivazione diverse: «Soprattutto nei Paesi extraeuropei si utilizzano fitofarmaci che qui da noi sono fuori legge», spiega sulle pagine de La Stampa, il biologo Luciano Atzori. Un esempio è la matrina: «Si tratta di un diserbante molto utilizzato in Cina che si estrae da una radice. Per cui si ottiene a basso costo e passa pure come sostanza naturale. Ma i rischi per la salute sono enormi», rivela Atzori. La sostanza, infatti, prodotta maggiormente in Cina e India, non è commerciabile in Europa perché ritenuta neurotossica, allo stesso modo dei più pericolosi e dannosi fitofarmaci quali i carbammati, i fosforganici e i cloro derivati come il Ddt. La sostanza agisce inibendo l’attività della colinesterasi e provocando la sindrome da avvelenamento con tremori, scordinamento dei movimenti, scarso equilibrio, disturbi intestinali e la morte per blocco della respirazione. Oltre a questi sintomi acuti i composti neurotossici possono determinare fenomeni di bio- accumulo nei tessuti lipidici provocando nel tempo fenomeni di tossicità cronica. Insomma “naturale” non è sinonimo di “sano” o di “sicuro”. Molti veleni sono naturali, come appunto la Matrina, di origine vegetale sì, ma altamente tossica per l’uomo, per l’ambiente e per gli animali, che a volte è stata venduta come fertilizzante naturale agli agricoltori. Una vera e propria frode scoperta qualche anno fa a seguito dell’operazione Mela Stregata che ha visto tra le sue vittime soprattutto il settore biologico, con i suoi produttori ingannati dal paradosso del “naturale”. Il caso scoppiò a seguito di una segnalazione di FederBio, da Icqrf (Ispettorato Centro della tutela della Qualità e Repressione Frodi agro- alimentari) e Guardia di Finanza.
Nella black list di Coldiretti sui Paesi che importano prodotti con più residui tossici, in cima alla classifica c’è la Cina. Solo nel 2016 sono aumentate del 43% le importazioni di concentrato di pomodoro dal Paese asiatico che hanno raggiunto circa 100 milioni di chili, pari a circa il 10% della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente. Se nella maggioranza dei broccoli cinesi è stata trovata la presenza in eccesso di Acetamiprid, Chlorfenapyr, Carbendazim, Flusilazole e Pyridaben, nel prezzemolo vietnamita – sottolinea la Coldiretti – i problemi derivano da sostanze come Chlorpyrifos, Profenofos, Hexaconazole, Phentoate, Flubendiamide mentre il basilico indiano contiene Carbendazim che è vietato in Italia perché ritenuto cancerogeno. Nella classifica dei prodotti più contaminati che provengono dall’estero ci sono anche le melagrane dall’Egitto che superano i limiti in un caso su tre (33%), ma fuori norma dal Paese africano sono anche l’11% delle fragole e il 5% delle arance.
Secondo gli economisti, una delle ragioni che obbliga l’Italia a una forte importazione dall’estero riguarda la regolamentazione. In primis quella europea. Il mercato unico si reggerebbe ancora su dei limiti di produzione che avvantaggiano alcuni dei nostri partner europei a discapito dell’Italia. Gli strumenti per migliorare il saldo fra produzione e importazione non mancano. Come ad esempio nel caso dei contratti di filiera: accordi fra produttori e aziende per cui si coordinano colture agricole e necessità industriali al fine di non sprecare risorse e favorire le produzioni locali. Una soluzione che potrebbe anche migliorare i già alti standard di sicurezza alimentari italiani.
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Abusi sui minori, 2 volte su 3 il mostro è in famiglia
PrevenzioneOgni anno sono più di 70mila i bambini italiani che subiscono a busi o maltrattamenti e al livello regionale la Campania ha molte vulnerabilità sulle quali lavorare. I dati emergono dal progetto «Stop agli abusi sui bambini», che torna a fare scuola tra i pediatri con il preciso scopo di cambiare lo stato delle cose. In particolare si punta alla creazione di una rete antiabusi, che vedrà impegnati pediatri trainer e «a cascata» arriverà a coinvolgere 15mila medici «sentinella» tra pediatri e medici di base. Attraverso il sostegno di questi eventi formativi e di sensibilizzazione diretti ai medici, il progetto è svolto in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria (SIP) e la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) che hanno individuato i pediatri “trainer”.
Un mondo sommerso
Purtroppo molti casi di violenza e di abusi restano nell’ombra, i minori sono a rischio di subire incuria, maltrattamenti, violenze psicologiche e fisiche e nel 70% dei casi violenze e abusi fisici, psicologici e sessuali sono consumati tra le mura di casa, due volte su tre per mano di un genitore. Anche per il 2017 i corsi di formazione destinati ai pediatri affinché diventino sentinelle coinvolgeranno molte città italiane (13 per la precisione) e l’iniziativa contribuirà a far emergere il sommerso, a dare un segnale di aiuto concreto alle piccole vittime senza voce. I medici che seguiranno i corsi diventeranno un punto di riferimento sul territorio, saranno in grado di fornire ai colleghi consigli e aiuti per la gestione di casi sospetti di abusi e maltrattamenti.
I pediatri
«Abusi e maltrattamenti – commenta Renato Vitiello, vicepresidente SIP Campania – creano gravi conseguenze sulla salute del bambino nel breve e lungo termine: un bambino maltrattato o abusato, infatti, non solo è più a rischio di disturbi fisici, psicologici e del comportamento, ma anche di danni organici nella vita adulta». Per Luigi Nigri, responsabile del progetto per la Federazione Italiana Medici Pediatri (Fimp) «Finalmente si comincia ad alleviare il senso di solitudine del pediatra di fronte ad eventi così dolorosi per i nostri piccoli pazienti. Siamo molto soddisfatti di contribuire in maniera determinante alla realizzazione di una coscienza sociale non più passiva ma finalmente operativa e di forte contrasto al problema».
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Vaccini e malaria, settembre nero tra caos e psicosi
News PresaVaccini e allarme malaria, sono questi due temi a tener banco nei primi giorni di un settembre che si prospetta estremamente stressante per migliaia di famiglie. E se le difficoltà sono un po’ ovunque, anche in regioni normalmente considerate virtuose, è anche vero che in Campania i cittadini sono costretti a fare i conti con servizi depotenziati e, spesso, anche con gravi ritardi degli uffici competenti.
L’input regionale
Forse proprio per mettere ordine in una potenziale situazione di caos, Vincenzo De Luca ha dato nei giorni scorsi disposizioni a tutti i direttori generali delle Asl di verificare la funzionalità dei 18 centri deputati ai vaccini. «Occorre – dice il governatore – garantire i servizi attivati, a cominciare da quello telefonico, e che il personale impegnato abbia la conoscenza e la capacità relazionale per rispondere ai cittadini, e per farlo sempre con il dovuto garbo e la dovuta chiarezza. Anche in questo, tutte le Asl sono chiamate a fare un salto di qualità». Immediata la risposta delle Aziende sanitarie locali, che stanno mettendo in campo il massimo dell’impegno. Tutti i centri vaccinali dell’Asl Napoli 2 Nord, ad esempio, stanno funzionando a pieno regime in questi giorni, assicurando ai cittadini dei 13 Comuni afferenti i servizi di vaccinazione, prenotazione delle vaccinazioni e rilascio delle certificazioni. Basti pensare che negli ultimi 5 giorni sono state circa 4mila le nuove vaccinazioni effettuate. Tantissime anche le richieste di informazioni e di rilascio delle certificazioni.
La psicosi
Tutt’altra questione riguarda invece la psicosi che si sta creando attorno ad alcuni casi di malaria che si sono registrati, non solo in Campania. Maria Triassi, direttore del Dipartimento di Sanita’ pubblica della Federico II spiega che «non siamo di fronte ad allarmi o a emergenze: i due casi registrati di malaria, a Napoli, sono fisiologici. SI è creato un allarme nell’opinione pubblica per quanto accaduto alla bambina che ha contratto il virus ed è morta, ma casi sospetti e confermati di malaria ne abbiamo tanti». Questo accade perchè «ci sono bambini che provengono da realta’ in cui questa malattia è all’ordine del giorno. Occorre evitare una psicosi perché non ce n’è motivo e non ci sono qui zanzare portatrici di quel virus. E’ abbastanza anomalo quanto accaduto – ha spiegato in riferimento alla bimba deceduta a Trento. E’ tutto da verificare, è un caso di studio, ma non è la norma». Il consiglio, quando ci si reca in Paesi dove si può contrarre la malattia, è «seguire la profilassi sia prima sia dopo, secondo un protocollo molto chiaro».
Settembre: tempo di buoni propositi. Ma perché spesso non riusciamo a mantenerli?
PsicologiaDopo le vacanze arriva il tempo dei buoni propositi. Tra quelli più gettonati ci sono: “da lunedì mi metto a dieta”, “smetto di fumare”, “mi iscrivo in palestra”, “mi prendo del tempo per me”, “mangio bene”. Al rientro dalle vacanze, estive o natalizie, in pochi possono fare a meno di promesse. Durante le ferie probabilmente ci si è lasciati andare, venendo meno alle rigide regole della routine quotidiana. Questo stile di vita diverso, però, fa scattare al rientro i sensi di colpa.
I buoni propositi non sono solo frutto dei sensi di colpa ma anche dei resoconti sulla propria vita elaborati in genere durante la pausa, quando si ha più tempo per se stessi.
«Questo significa – spiega la psicoterapeuta Maura Manca – che il tempo per noi durante l’anno è molto limitato, che scandiamo la nostra vita con le vacanze, con i momenti di stacco, come se mettessimo il pilota automatico durante l’anno e vivessimo nei momenti di pausa. È normale che questa condizione generi tendenzialmente stress e che sia il presupposto di base per far fallire i buoni propositi».
Secondo l’esperta, è rischioso attendere che siano gli eventi o le ricorrenze ad indurre a fare un’analisi su se stessi e sulla propria vita. L’attesa, infatti, porta a non affrontare e quindi a sommare situazioni da elaborare poi tutte insieme in un secondo momento. «Il troppo da fare – spiega – richiede uno sforzo mentale importante che indirizza verso un fallimento assicurato, mentre l’affrontare i problemi tutti i giorni, aiuta a prendersi cura di se stessi e a non accumulare mai, quindi ad un successo assicurato».
Mettersi al centro della propria vita, suggerisce la psicoterapeuta, e imparare a «trovare dei piccoli obiettivi raggiungibili e a godere di ciò che abbiamo, prima di fare dei cambiamenti. Non ha senso aspettare che la vita cambi, la vita cambia se cambiamo noi».
Spesso le valutazioni tendono ad essere negative, perché è più difficile guardare gli aspetti positivi della propria vita ed essere orgogliosi di se stessi e di ciò che si è realizzato. «Ci si affida ad oroscopi e ai consigli di chi ci dice come vivere meglio e a non rifare gli errori dell’anno prima – continua l’esperta – le soluzioni e le risposte si cercano sempre all’esterno, non rendendosi conto che sono solo risposte illusorie di facile portata per non guardarci dentro e capire che possiamo trovare risposte e risorse dentro di noi».
Se i resoconti appesantiscono a livello emotivo, perché ci portano a guardare ciò che abbiamo fatto giorno dopo giorno, i “buoni propositi” è come se ridessero speranza, hanno una funzione di rinforzo psichico e rappresentano una via d’uscita a tutto ciò che ci si è trascinati inutilmente per un altro anno. Spesso e volentieri, infatti, i buoni propositi sono sempre gli stessi, anno dopo anno.
Invece, «i buoni propositi devono essere applicati ogni giorno e il segreto sta nell’imparare a porsi obiettivi più raggiungibili e soprattutto ad accettarsi. Devono essere visti come un mettersi in discussione e una voglia di cambiare, allora sì che funzioneranno: dobbiamo credere in noi stessi e nelle nostre capacità perché lo vogliamo davvero e solo in quel momento ci sarà un cambiamento».
Insomma, l’invito della dottoressa è ad agire e provare a cambiare le cose ogni giorno, perché: «c’è sempre e comunque una via d’uscita e nulla è mai perduto, questo ce lo dobbiamo stampare a lettere cubitali nella mente».