Tempo di lettura: 2 minutiSi chiama “economia non osservata” ed è composta da sommerso e attività illegali. Nel 2015, secondo l’ultimo rapporto Istat presentato la scorsa settimana, ammonta a circa 208 miliardi, il 12,6% del Pil.
Il valore aggiunto generato dall’economia sommersa è poco più di 190 miliardi, quello che riguarda le attività illegali (incluso l’indotto) è di circa 17 miliardi.
C’è una buona notizia: l’incidenza della componente non osservata dell’economia sul Pil, che aveva registrato una tendenza all’aumento nel triennio 2012-2014 (quando era passata dal 12,7% al 13,1%), ha segnato nel 2015 una brusca diminuzione, scendendo di 0,5 punti percentuali rispetto all’anno precedente.
Nel 2015, la componente che riguarda la sotto-dichiarazione pesa per il 44,9% del valore aggiunto (circa 2 punti percentuali in meno rispetto al 2014). La restante parte riguarderebbe per il 37,3% l’impiego di lavoro irregolare (35,6% nel 2014), per il 9,6% le altre componenti (fitti in nero, mance e integrazione domanda-offerta) e per l’8,2% le attività illegali (rispettivamente 8,6% e 8,0% l’anno precedente).
Tuttavia, la cattiva notizia è che nonostante i comparti dove l’incidenza dell’economia sommersa è più elevata siano le Altre attività dei servizi (33,1% nel 2015), il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (24,6%) e le Costruzioni (23,1%), in una quota di poco più del 5% c’è anche la sanità (che fa gruppo con istruzione e assistenza sociale).
Ma il rapporto Istat sottolinea che in questo settore “il sommerso economico (non attività illegali, ndr.) è presente esclusivamente nei servizi di istruzione, sanità e assistenza sociale che producono per il mercato”.
Secondo le tabelle 2015 l’economia sommersa di istruzione e sanità vale circa il 7% della quota legata alla sotto-dichiarazione e al lavoro irregolare dei 190 che riguardano l’economia sommersa in senso stretto, attività illegali escluse, quindi poco meno di 13 miliardi.
La presenza del lavoro irregolare (rilevato assieme al sommerso nella sanità che non comprende attività illegali) spiega l’Istat, è molto eterogenea nel comparto dei servizi, poiché al suo interno sono comprese sia le attività delle Amministrazioni Pubbliche, che impiegano solo lavoro regolare, sia le attività dei servizi privati alle imprese e alle famiglie, dove gli irregolari sono più diffusi. Il lieve aumento del tasso di irregolarità registrato nel terziario, salito al 17,4% nel 2015, è interamente riconducibile alla componente dipendente, mentre per quella degli indipendenti è rimasto stabile rispetto all’anno precedente. L’incremento più accentuato si registra negli Altri servizi alle imprese (+0,3 punti percentuali), mentre nel comparto del Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione e in quello degli Altri servizi alle persone si rileva una crescita di 0,2 punti percentuali.
Nel comparto che raggruppa Istruzione, sanità e assistenza sociale il tasso di irregolarità è rimasto quasi stabile rispetto all’anno precedente (-0,1%).
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Osteoporosi, il rischio di procurarsi «fratture a cascata»
PrevenzioneL’80% dei pazienti che ha avuto una frattura non è sottoposto a terapia per evitarne una seconda, né ad accertamenti per verificarne le cause. Per questo la Società italiana dell’osteoporosi del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro (Siommms) lancia l’allarme, in occasione della Giornata mondiale dell’osteoporosi 2017, che si terrà il prossimo 20 ottobre.
L’allarme degli esperti
In questo scenario è importante favorire un dialogo e una sensibilizzazione degli specialisti che si trovano a curare questi pazienti. I medici sono infatti gli unici che possono evitare le «fratture a cascata». Un osso rotto significa il 90% di probabilità di rompersene un altro. Infatti, il 50% delle persone con frattura da fragilità ne subisce un’altra dopo 6-8 mesi.
La proposta è quindi di focalizzarsi su diagnosi e terapie adeguate che possono ridurre il rischio di fratture fino al 70%, abbattendo anche il rischio di mortalità, il quale si attesta al 20-24% nel primo anno successivo alla prima frattura. Parola d’ordine è “Prevenzione” non solo di rischi per il paziente ma anche di costi per il sistema sanitario nazionale.
A rischio ci sono in Italia 5 milioni di persone affette da osteoporosi, malattia che indebolisce le ossa e le rende esposte a rottura.
Trauma annunciato
Come recita la campagna dell’International Osteoporosis Foundation «le fratture da fragilità non sono incidenti». Secondo gli ultimi dati, in 10 anni il numero assoluto di fratture di femore da osteoporosi in Italia è cresciuto rispettivamente del 27% e del 36% nel sesso femminile e in quello maschile. Se nella donna la causa principale dell’osteoporosi è legata al deficit estrogenico dopo la menopausa, nel maschio, nella maggior parte dei casi (circa 65-70%), è dovuta per esempio a uso di farmaci, altre patologie che determinano perdita di massa ossea o, infine, abuso di alcol. Per questo la Siommms dedica alla prevenzione le iniziative della Giornata Mondiale, che si svolgeranno in tutta Italia a partire dal 20 ottobre prossimo in diverse strutture ospedaliere. Per maggiori informazioni basta cliccare qui.
Siommms
La Società italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro è la più importante società scientifica che in Italia ad occuparsi di promuovere la diffusione di conoscenze nel settore, il progresso scientifico e la prevenzione senza trascurare gli aspetti sociali di queste malattie. Attualmente riunisce oltre 600 soci in tutta Italia. Tra le sue attività: aggiornamento e formazione permanente dei soci, bandi a sostegno di giovani ricercatori e iniziative di sensibilizzazione sugli aspetti sociali di queste malattie. A livello internazionale, la Siommms è membro dell’International osteoporosis foundation e dell’European calcified tissue society.
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Infezioni respiratorie, ecco quali bambini rischiano grosso
News PresaOgni anno circa il 30% dei bambini italiani in età pre-scolare sono colpiti da infezioni respiratorie quali polmoniti, bronchiti, faringiti, laringiti o tracheiti. La più grave è la bronchiolite di origine virale che attacca le piccole vie aeree e può arrivare addirittura ad ostruirle. Non a caso è proprio questa la principale causa di ricovero in ospedale per i neonati nel primo anno di vita. Le conseguenze della malattia sono diverse, si va dal semplice raffreddore fino a serie complicanze che possono portare anche al ricovero in terapia intensiva. Per questo la Società italiana per le malattie respiratorie infantili (Simri), in occasione del suo 21° congresso nazionale ha deciso di fornire ai genitori un decalogo della prevenzione.
Ecco le regole dei pneumologi pediatri per evitare le infezioni respiratorie autunnali-invernali:
Bambini a rischio
A spiegare che alcuni bambini corrono maggiori rischi di altri quando si parla di infezioni respiratorie è Renato Cutrera, presidente nazionale Simri e direttore dell’unità operativa di broncopneumologia all’ospedale Bambino Gesù di Roma «Anche la broncolite – dice – nell’80% dei casi è di origine virale. Alcuni dei nostri piccoli pazienti sono maggiormente esposti, perché più di altri possono sviluppare una forma grave della malattia. Corrono maggiori rischi i bimbi nati prematuramente, gli immunodepressi, quelli afflitti da malformazioni polmonari o da patologie neuromuscolari che necessitano di ossigenoterapia e i neonati con sindrome di down. Per questi pazienti esiste una profilassi con un anticorpo monoclonale che si è dimostrata particolarmente efficace nel prevenire la patologia. Viene somministrata per via intramuscolare una volta al mese nel periodo più freddo dell’anno, di solito tra novembre e marzo». Recentemente l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha deliberato chi può accedere alla cura ma non ha incluso tutti i bimbi. Per esempio sono stati momentaneamente esentati quelli afflitti da malattie polmonari, La Simri sta perciò cercando di ottenere un incontro con l’Agenzia per sollecitare le istituzioni sanitarie ad aumentare la platea dei beneficiari della terapia. La stagione fredda è ormai alle porte e quindi non c’è più tempo da perdere.
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Sommerso: vale 208 mld nel 2015. C’è anche la sanità
Economia sanitariaSi chiama “economia non osservata” ed è composta da sommerso e attività illegali. Nel 2015, secondo l’ultimo rapporto Istat presentato la scorsa settimana, ammonta a circa 208 miliardi, il 12,6% del Pil.
Il valore aggiunto generato dall’economia sommersa è poco più di 190 miliardi, quello che riguarda le attività illegali (incluso l’indotto) è di circa 17 miliardi.
C’è una buona notizia: l’incidenza della componente non osservata dell’economia sul Pil, che aveva registrato una tendenza all’aumento nel triennio 2012-2014 (quando era passata dal 12,7% al 13,1%), ha segnato nel 2015 una brusca diminuzione, scendendo di 0,5 punti percentuali rispetto all’anno precedente.
Nel 2015, la componente che riguarda la sotto-dichiarazione pesa per il 44,9% del valore aggiunto (circa 2 punti percentuali in meno rispetto al 2014). La restante parte riguarderebbe per il 37,3% l’impiego di lavoro irregolare (35,6% nel 2014), per il 9,6% le altre componenti (fitti in nero, mance e integrazione domanda-offerta) e per l’8,2% le attività illegali (rispettivamente 8,6% e 8,0% l’anno precedente).
Tuttavia, la cattiva notizia è che nonostante i comparti dove l’incidenza dell’economia sommersa è più elevata siano le Altre attività dei servizi (33,1% nel 2015), il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (24,6%) e le Costruzioni (23,1%), in una quota di poco più del 5% c’è anche la sanità (che fa gruppo con istruzione e assistenza sociale).
Ma il rapporto Istat sottolinea che in questo settore “il sommerso economico (non attività illegali, ndr.) è presente esclusivamente nei servizi di istruzione, sanità e assistenza sociale che producono per il mercato”.
Secondo le tabelle 2015 l’economia sommersa di istruzione e sanità vale circa il 7% della quota legata alla sotto-dichiarazione e al lavoro irregolare dei 190 che riguardano l’economia sommersa in senso stretto, attività illegali escluse, quindi poco meno di 13 miliardi.
La presenza del lavoro irregolare (rilevato assieme al sommerso nella sanità che non comprende attività illegali) spiega l’Istat, è molto eterogenea nel comparto dei servizi, poiché al suo interno sono comprese sia le attività delle Amministrazioni Pubbliche, che impiegano solo lavoro regolare, sia le attività dei servizi privati alle imprese e alle famiglie, dove gli irregolari sono più diffusi. Il lieve aumento del tasso di irregolarità registrato nel terziario, salito al 17,4% nel 2015, è interamente riconducibile alla componente dipendente, mentre per quella degli indipendenti è rimasto stabile rispetto all’anno precedente. L’incremento più accentuato si registra negli Altri servizi alle imprese (+0,3 punti percentuali), mentre nel comparto del Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione e in quello degli Altri servizi alle persone si rileva una crescita di 0,2 punti percentuali.
Nel comparto che raggruppa Istruzione, sanità e assistenza sociale il tasso di irregolarità è rimasto quasi stabile rispetto all’anno precedente (-0,1%).
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Osteoporosi. Senza cure adeguate 8 su 10. Mortalità uomini più alta
PrevenzioneIn Italia ci sono 5 milioni di persone affette da osteoporosi che sono in grave pericolo. L’80% dei pazienti a seguito di una frattura non viene sottoposto alle cure adeguate per evitarne una seconda, né ad accertamenti per verificarne le cause. Per questo, la Società Italiana dell’Osteoporosi del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (Siommms), in occasione della Giornata Mondiale dell’Osteoporosi 2017, che si terrà il 20 ottobre, mette in guardia: “la parola d’ordine dev’essere Prevenzione”. I dati sono chiari. Si tratta di 8 pazienti su 10 che a seguito di una frattura non ricevono le giuste cure e non fanno accertamenti per capire le cause ed evitarne altre.
Gli esperti quest’anno si rivolgono ai medici, in prima linea per evitare le “fratture a cascata”. Un osso rotto significa il 90% di probabilità di rompersene un altro e, infatti, il 50% delle persone con frattura da fragilità ne subisce un’altra dopo 6-8 mesi.
La proposta della Siommms è quindi di “focalizzarsi su diagnosi e terapie adeguate che possono ridurre il rischio di fratture fino al 70%, abbattendo anche il rischio di mortalità, il quale si attesta al 20-24% nel primo anno successivo alla prima frattura. Parola d’ordine è ‘Prevenzione’ non solo di rischi per il paziente ma anche di costi per il sistema sanitario nazionale.”
Nonostante sia percepita come una malattia esclusivamente femminile, la mortalità e la morbilità dell’osteoporosi sono più elevate nel sesso maschile; inoltre, circa il 20% delle fratture di femore e il 50% delle fratture vertebrali nel nostro Paese avviene nell’uomo.
Le differenze di genere confermano la necessità della prevenzione e dell’attenzione da parte di tutti: secondo gli ultimi dati, in 10 anni il numero assoluto di fratture di femore da osteoporosi in Italia è cresciuto rispettivamente del 27% e del 36% nel sesso femminile e in quello maschile. Se nella donna la causa principale dell’osteoporosi è legata al deficit estrogenico dopo la menopausa, nel maschio, nella maggior parte dei casi (circa 65-70%), è dovuta a cause secondarie quali ad esempio altre patologie che determinano una perdita di massa ossea, l’uso di farmaci come i corticosteroidi e quelli contro il carcinoma prostatico e, infine, l’abuso di alcol.
In Italia, circa un quarto della popolazione è over 65; nel 2050, la percentuale di anziani salirà a oltre il 35%. Oltre 5 milioni di persone sono affette da osteoporosi nella penisola e circa 2 milioni di anziani non sono autonomi perché affetti da disabilità, spesso provocata da fratture.
Gli ultimi dati nazionali parlano di oltre 90mila ultrasessantacinquenni ospedalizzati per frattura di femore nel nostro Paese, con un costo a carico del SSN di oltre 1,2miliardi. L’aumento atteso del numero di femori rotti nel mondo è drammatico: saranno 6,3 milioni nel 2050, con una spesa di gestione di circa 500 milioni di euro.
Servono prevenzione e cure adeguate. Come recita la campagna dell’International Osteoporosis Foundation, “le fratture da fragilità non sono incidenti”.
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Dietisti in campo per «dare peso ai fatti»
AlimentazioneSino al 23 ottobre a Napoli si discute di corretta alimentazione e, perché no, di buon senso. Torna l’appuntamento annuale con «La Settimana del Dietista» iniziativa promossa dall’Associazione nazionale dietisti (Andid) che coniuga innovazione e sostenibilità e propone iniziative in tutta Italia per favorire l’adozione di sani stili di vita e una sempre maggiore consapevolezza della propria salute nutrizionale. Tante le idee e le iniziative messe in campo (anche nell’ambito del concroso “Good Idea wanted”). Si va dalle iniziative contro lo spreco alimentare, alla valorizzazione delle spezie per non rinunciare al binomio gusto e salute, fino alla riscoperta dell’orto e all’attenzione all’alimentazione di bambini e anziani. Per scoprire il programma completo clicca qui.
Gli abusivi della tavola
Quest’anno Andid è scesa in campo anche su un tema molto delicato: l’abusivismo professionale e lo ha fatto con la campagna «Fai la scelta giusta. Dai peso ai fatti». Obiettivo dichiarato quello di contrastare la diffusa abitudine di alcune categorie professionali, che lavorano principalmente nel settore del benessere, che spesso forniscono suggerimenti e consigli dietetici ai loro clienti, pur non avendone competenza e mettendo a rischio la loro salute. E’ la presidente Andid Ersilia Troiano a spiegare che «alimentazione e nutrizione sono oggi vere e proprie giungle, nelle quali perdersi è sempre più facile. Le informazioni sono sovrabbondanti e quasi sempre contraddittorie. Le fake news, la diffusione della diet industry, ovvero quel ricchissimo mercato che propone prodotti e programmi per la perdita di peso, i nuovi “influencer” affollano il mondo della rete e non solo. Il nuovo volto dell’abusivismo professionale è rappresentato dai “consigli utili”, che di fatto, celano un’indicazione sulle scelte di salute».
Fare chiarezza
La campagna di comunicazione nasce dunque dall’esigenza di tutelare la salute collettiva e di ridurre il rischio per la salute dei cittadini che spesso si affidano ai suggerimenti di sedicenti esperti in tema di salute nutrizionale. La campagna si concentra sulla diversità delle competenze e sul conseguente legame fiduciario che va stabilito con le diverse figure professionali. «Abbiamo il dovere conclude la Troiano – di ricordare che la salute non è una tendenza, una moda o una filosofia e che non passa attraverso dei suggerimenti o la personalizzazione delle esperienze, per cui se la vicina ha perso peso utilizzando uno o più prodotti viene identificata come la più credibile delle testimonial, trasformandosi spesso anche in promoter. In sintesi, è necessario affidarsi esclusivamente ai professionisti giusti, alle loro competenze per evitare di correre inutili rischi, dando peso ai fatti e non alle parole».
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Lorenzin contro la proletarizzazione dei professionisti
PrevenzioneIl farmacista, il medico o il ricercatore non fanno manodopera. A ribadirlo è stato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, intervenendo al seminario promosso dalla Fofi (Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani) sul tema “Legge sulla concorrenza: società di capitali, professioni e farmacia”. “La sanità del futuro – ha continuato – è un processo da costruire insieme, partendo dal riconoscimento del ruolo di ciascuno”.
La farmacia, spiega il ministro, è da anni sottoposta ad attacchi che “scaturiscono da una visione distorta che considera la farmacia e il farmacista un semplice erogatore di un prodotto e non un erogatore di un servizio”. Ecco perché, spiega Lorenzin “dobbiamo combattere contro la proletarizzazione del professionista”.
Nell’ambito delle polemiche contro le farmacie, ha poi evidenziato la necessità di tenere lo sguardo su tutta l’Italia. “Non pensiamo solo alle realtà delle grandi città. L’Italia non è Roma. Nei piccoli centri, in alcune Regioni o nei territori più isolati, la farmacia svolge, nei fatti, il lavoro di un poliambulatorio. È la verità e dobbiamo tenerne conto quando parliamo di fare sistema. Alcune Regioni, ad esempio, stanno coinvolgendo le farmacie nei piani di presa in carico dei pazienti cronici, ed è questa la direzione verso cui deve muoversi la sanità del futuro. Su due linee, in particolare: la prevenzione, a cominciare dagli stili di vita; e una nuova organizzazione della Medicina del territorio affinché riesca a gestire la cronicità in modo efficiente e forte. Questo – ha detto Lorenzin – è un processo da costruire insieme, partendo dal riconoscimento del ruolo di ciascuno”.
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Emicrania e cefalee, sconfiggerle con gli «anticorpi»
Ricerca innovazioneEmicrania, arriva un farmaco che potrà metterci al riparo da questa sventura. Semplificando, si tratta di anticorpi monoclonali che una volta iniettati nell’organismo ci renderanno immuni dal «mal di testa», anzi da emicrania e cefalea a grappolo. Quella che potrebbe sembrare fantascienza è invece una realtà ormai prossima a venire, grazie alle ricerche condotte presso il Centro Cefalee dell’Università Vanvitelli di Napoli. La notizia arriva dal congresso della Società italiana di neurologia e riguarda i dati preliminari delle nuove sperimentazioni cliniche di fase III. Con un’iniezione di anticorpi a cadenza variabile da uno a tre mesi, a seconda della molecola, la frequenza e l’intensità degli attacchi di mal di testa può ridursi fino al 70%.
Polo di riferimento
Il Centro sta conducendo una sperimentazione per ben 3 dei 4 anticorpi anti-CGRP attualmente allo studio, utilizzati in casi di emicrania cronica, emicrania episodica grave che non risponde ai farmaci, cefalea a grappolo cronica e cefalea a grappolo farmaco-resistente. «Gli anticorpi monoclonali anti-CGRP o Calcitonin Gene RelatedPeptide sono allo studio da tempo: si è scoperto infatti che questo piccolo peptide di 37 aminoacidi è un vasodilatatore coinvolto nella trasmissione dei segnali di dolore durante gli attacchi di emicrania», spiega Gioacchino Tedeschi, direttore del Centro Cefalee della I Clinica Neurologica dell’Università Vanvitelli, presidente eletto Sin e coordinatore degli studi in corso.
Professor Gioacchino Tedeschi, presidente eletto della Sin
«I livelli di CGRP – aggiunge – aumentano in concomitanza delle crisi e tornano alla normalità quando l’attacco si risolve: gli studi di fase I e II hanno dimostrato che anticorpi monoclonali diretti contro il peptide o contro i suoi recettori presenti sul sistema trigeminale, bloccano questa via del dolore impedendo a CGRP di innescare la crisi dolorosa. In questo momento sono allo studio 4 diversi anticorpi monoclonali, 3 di questi sono in sperimentazione presso il nostro Centro con risultati ottimi: uno di questi anticorpi riduce in media del 70 % la frequenza e l’intensità degli attacchi di emicrania cronica con una sola iniezione sottocute ogni mese».
Presto in commercio
Si tratta di Erenumab, il più vicino ad arrivare in clinica: il dossier per l’autorizzazione al commercio è già stato presentato presso la European Medicines Agency. Gli altri 2 anticorpi monoclonali in sperimentazione a Napoli sono Eptinezumab, che si somministra per via endovenosa ogni 3 mesi, e Fremanezumab, da assumere ogni mese per via endovenosa o sottocute. «Tutti questi anticorpi monoclonali sono molto promettenti – sottolinea Tedeschi – Stiamo parlando di pazienti con attacchi di emicrania per oltre 14 giorni al mese o che hanno un’emicrania episodica che non risponde alle terapie preventive, oppure di pazienti con cefalea a grappolo cronica, la cosiddetta cefalea da suicidio perché le crisi si susseguono di fatto ogni giorno, oppure con cefalea a grappolo episodica resistente ai farmaci: tutte persone per le quali una riduzione del numero di giorni con mal di testa significa tornare ad avere una qualità della vita accettabile. Nella nostra casistica ci sono perfino pazienti che hanno di fatto risolto il mal di testa liberandosi dalle crisi. In totale per le sperimentazioni in atto stiamo seguendo una ventina di casi, suddivisi fra i 3 diversi anticorpi monoclonali».
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La risonanza è un viaggio nel bosco incantato per i bimbi del Regina Margherita
BambiniÈ difficile spiegare a un bambino il motivo per il quale debba sottoporti ad una risonanza magnetica. Ecco perché all’ospedale Regina Margherita di Torino ne hanno inventata una anti stress adatta ai piccoli pazienti. Inaugurata in questi giorni, è stata resa possibile dalla Fondazione Forma che con il raduno dei Babbi Natale nel 2016 ha raccolto la cifra necessaria, attorno ai 10-15mila euro. Così il tunnel è stato decorato come fosse una vera e propria navicella spaziale, immersa all’interno di un bosco incantato con disegni di alberi, animali di ogni specie e paesaggi di montagna.
Il tutto – spiegano i medici – per ridurre la tensione nervosa, eliminare paure ed angosce. Il bambino potrà anche vedere la tivù con i suoi cartoni animati preferiti e, al termine dell’esame, riceverà un ‘Diploma di grande coraggio’ firmato da dottore e infermiera. Si tratta del tassello di un percorso, partendo dalla sala d’attesa con pupazzi e disegni accattivanti che immergono i piccoli pazienti in una dimensione di gioco.
Se le stanze appunto portano i bambini in un bosco incantato, il macchinario della risonanza magnetica li porta nello spazio. Il tunnel a forma di navicella spaziale è stato completamente dipinto di giallo e ricoperto di stelle colorate. I bambini ci entrano dentro, mentre un enorme simpatico gatto arancione sorride loro dalla parete a fianco.
Si tratta di un esame lungo, dai trenta ai quaranta minuti, durante il quale il paziente deve restare immobile: un esame spesso accompagnato dall’ansia per un responso che può dire molto.
“E’ un’opera che non ha eguali in Italia – osserva Luciana Accornero, presidente della fondazione – e Forma vuole essere uno spunto per qualunque nosocomio pediatrico in Italia”.
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A centinaia sul lungomare per la maratona della prevenzione
News Presa, PrevenzioneLa maratona della prevenzione si è chiusa con una maratona podistica, una staffetta ideale tra visite di controllo, buoni consigli sugli stili di vita e sport vero e proprio. A tagliare per primo il traguardo sul lungomare liberato di Napoli è stato Andrea Borsacchi (atleta della Canottieri Napoli Triathlon) che ha fatto segnare il tempo di 32′ 14″, andando così a vincere la Prevention Race 2017, conclusione della Settimana della prevenzione. Alessandra Ambrosio, invece, è la prima tra le donne. In gara anche l’olimpionico Massimiliano Rosolino che non si è risparmiato dopo lo start della professoressa Annamaria Colao, responsabile scientifica del progetto insieme a Tommaso Mandato, presidente di Sportform.
Numeri da record
Da record anche i numeri fatti segnare dalla settimana del Campus 3S, dedicata alla Salute conclusa con oltre 2.500 visite mediche gratuite (numeri mai raggiunti nelle precedenti edizioni). Tanto sport, grazie ai 1.500 studenti che hanno potuto provare una decina di discipline, ma anche solidarietà che è stata protagonista anche della passeggiata amatoriale che nel week end ha visto la partecipazione delle Donne in rosa e, tra i tanti, una cinquantina di rifugiati dell’associazione Aics. Una giornata all’insegna della internazionalità con una delegazione di corridori spagnoli, i rappresentanti dell’associazione italocinese “Tue” e tanti turisti anche stranieri che hanno anche approfittato per ricorrere agli ambulatori nei quali si svolgevano le visite mediche.
Verso i cittadini
Un modello che sino ad ora è stato vincente per il Campus della Salute che negli anni è diventato una presenza fissa a Napoli e in tutte le città della Campania. Una proposta che dallo scorso anno, con il progetto AlfaOmega che precede le giornate in piazza, consente di avere un confronto scientifico di grande livello internazionale ai relatori che affrontano ogni tema della ricerca in campo medico. «Il successo di questa formula – spiega Annamaria Colao, coordinatore scientifico della manifestazione significa che la popolazione avverte l’esigenza di un contatto diretto con il medico e spesso forse non ci va per pigrizia, perché costa, perché pensa di consultarlo solo quando si sta male. In questo modo abbiamo salvato molte vite e di ciò io e le tante persone che lavorano volontariamente a questa iniziativa siamo molto fieri. Miriamo a promuovere una campagna nazionale di prevenzione primaria vera che, oltre a garantire un abbassamento delle percentuali di malati, riduca anche i costi per la sanità pubblica. Intendiamo così anche ribaltare l’approccio alla cura delle malattie. Bisogna ricercare le cause più che mirare alla semplice terapia sugli effetti. E lo stile di vita, il mangiare bene, il dormire adeguatamente, l’esercizio fisico, rappresentano un elemento essenziale per ridurre l’impatto che le malattie hanno sulla nostra popolazione».
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Novità in campo neurologico: intervista al Prof. Tedeschi
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