Tempo di lettura: 3 minutiL’Italia è uno dei paesi dove si vive più a lungo, ma andando a setacciare il territorio si scopre che la salute non è uguale per tutti.
Se in Campania gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3, a Trento i primi arrivano a una media di 81,6 anni e le seconde a 86,3. Un italiano può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso ma può arrivare a 82 anni se possiede almeno una laurea. Tra i 25 e i 44 anni le persone con almeno una cronica grave sono il 5,8% tra chi ha un titolo di studio basso, ma 3,2% tra i laureati.
Tuttavia il Servizio sanitario nazionale resta uno dei migliori in Europa in termini di efficacia, nonostante le risorse impegnate siano tra le più basse registrate nell’Ue.
I dati emergono dal focus dedicato alle disuguaglianze in Italia dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, progetto nato e che ha sede a Roma presso l’Università Cattolica, ideato dal professor Walter Ricciardi.
Aspettativa di vita
La maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nord-est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali si attesta a 79,8 anni per gli uomini e a 84,1 per le donne. Tra il 2005 e il 2016, i divari di sopravvivenza rimangono persistenti, in particolare Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata, Lazio, Valle d’Aosta e Piemonte restano costantemente al di sotto della media nazionale. Tra queste Regioni la Campania, la Calabria e la Sicilia peggiorano addirittura la loro posizione nel corso degli anni. Per contro, quasi tutte le regioni del Nord, insieme ad Abruzzo e Puglia, sperimentano, stabilmente, una aspettativa di vita al di sopra della media nazionale. Non meno gravi secondo lo studio sono i divari sociali di sopravvivenza. In Italia, un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea; tra le donne il divario è minore, ma pur sempre significativo: 83 anni con una istruzione minore, circa 86 per le laureate.
Mortalità prematura
La Campania, la Sicilia, la Sardegna, il Lazio, il Piemonte e il Friuli hanno i più alti valori di mortalità prematura, con una dinamica negativa tra il 2004 e il 2013 che le vede sempre al di sopra della media nazionale.
Cronicità
la differenza aumenta con l’età, nella classe 45-64 anni, ne soffre il 23,2% tra le persone con la licenza elementare e l’11,5% tra i laureati.
Obesità
Interessa il 14,5% delle persone con titolo di studio basso e solo il 6% dei più istruiti ed è uno dei maggiori fattori di rischio per la salute. L’obesità affligge il 12,5% del quinto più povero della popolazione e il 9% di quello più ricco. I fattori di rischio si riflettono anche sul contesto familiare, infatti il livello di istruzione della madre rappresenta un destino per i figli (il 30% di questi è in sovrappeso quando il titolo di studio della madre è basso, mentre scende al 20% per quelli con la madre laureata).
Disservizi
Alle disuguaglianze di salute si affiancano quelle di accesso all’assistenza sanitaria pubblica, si tratta delle rinunce, da parte dei cittadini, alle cure o prestazioni sanitarie a causa della distanza delle strutture, delle lunghe file d’attesa e dell’impossibilità di pagare il ticket per la prestazione. Nella classe di età 45-64 anni rinuncia ad almeno una prestazione sanitaria il 12% tra chi ha completato la scuole dell’obbligo e al 7% tra i laureati. La rinuncia per motivi economici è il 69% tra gli italiani con livello di istruzione basso e il 34 % tra i laureati.
La conclusione a cui giunge l’Osservatorio è che il quadro presentato, più che un reale problema di sostenibilità economica, rappresenta un elemento di preoccupazione per la sostenibilità politica del Servizio sanitario nazionale, perché i divari sociali che lo caratterizzano potrebbero far vacillare il principio di solidarietà che ispira il nostro welfare, contrapponendo gli interesse delle fasce di popolazione insofferenti per la crescente pressione fiscale, a quelli delle fasce sociali più deboli che sperimentano peggiori condizioni di salute e difficoltà di accesso alle cure pubbliche.
promuoviamo salute
Istruzione e residenza determinano la salute degli italiani
Economia sanitaria, PrevenzioneL’Italia è uno dei paesi dove si vive più a lungo, ma andando a setacciare il territorio si scopre che la salute non è uguale per tutti.
Se in Campania gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3, a Trento i primi arrivano a una media di 81,6 anni e le seconde a 86,3. Un italiano può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso ma può arrivare a 82 anni se possiede almeno una laurea. Tra i 25 e i 44 anni le persone con almeno una cronica grave sono il 5,8% tra chi ha un titolo di studio basso, ma 3,2% tra i laureati.
Tuttavia il Servizio sanitario nazionale resta uno dei migliori in Europa in termini di efficacia, nonostante le risorse impegnate siano tra le più basse registrate nell’Ue.
I dati emergono dal focus dedicato alle disuguaglianze in Italia dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, progetto nato e che ha sede a Roma presso l’Università Cattolica, ideato dal professor Walter Ricciardi.
Aspettativa di vita
La maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nord-est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali si attesta a 79,8 anni per gli uomini e a 84,1 per le donne. Tra il 2005 e il 2016, i divari di sopravvivenza rimangono persistenti, in particolare Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata, Lazio, Valle d’Aosta e Piemonte restano costantemente al di sotto della media nazionale. Tra queste Regioni la Campania, la Calabria e la Sicilia peggiorano addirittura la loro posizione nel corso degli anni. Per contro, quasi tutte le regioni del Nord, insieme ad Abruzzo e Puglia, sperimentano, stabilmente, una aspettativa di vita al di sopra della media nazionale. Non meno gravi secondo lo studio sono i divari sociali di sopravvivenza. In Italia, un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea; tra le donne il divario è minore, ma pur sempre significativo: 83 anni con una istruzione minore, circa 86 per le laureate.
Mortalità prematura
La Campania, la Sicilia, la Sardegna, il Lazio, il Piemonte e il Friuli hanno i più alti valori di mortalità prematura, con una dinamica negativa tra il 2004 e il 2013 che le vede sempre al di sopra della media nazionale.
Cronicità
la differenza aumenta con l’età, nella classe 45-64 anni, ne soffre il 23,2% tra le persone con la licenza elementare e l’11,5% tra i laureati.
Obesità
Interessa il 14,5% delle persone con titolo di studio basso e solo il 6% dei più istruiti ed è uno dei maggiori fattori di rischio per la salute. L’obesità affligge il 12,5% del quinto più povero della popolazione e il 9% di quello più ricco. I fattori di rischio si riflettono anche sul contesto familiare, infatti il livello di istruzione della madre rappresenta un destino per i figli (il 30% di questi è in sovrappeso quando il titolo di studio della madre è basso, mentre scende al 20% per quelli con la madre laureata).
Disservizi
Alle disuguaglianze di salute si affiancano quelle di accesso all’assistenza sanitaria pubblica, si tratta delle rinunce, da parte dei cittadini, alle cure o prestazioni sanitarie a causa della distanza delle strutture, delle lunghe file d’attesa e dell’impossibilità di pagare il ticket per la prestazione. Nella classe di età 45-64 anni rinuncia ad almeno una prestazione sanitaria il 12% tra chi ha completato la scuole dell’obbligo e al 7% tra i laureati. La rinuncia per motivi economici è il 69% tra gli italiani con livello di istruzione basso e il 34 % tra i laureati.
La conclusione a cui giunge l’Osservatorio è che il quadro presentato, più che un reale problema di sostenibilità economica, rappresenta un elemento di preoccupazione per la sostenibilità politica del Servizio sanitario nazionale, perché i divari sociali che lo caratterizzano potrebbero far vacillare il principio di solidarietà che ispira il nostro welfare, contrapponendo gli interesse delle fasce di popolazione insofferenti per la crescente pressione fiscale, a quelli delle fasce sociali più deboli che sperimentano peggiori condizioni di salute e difficoltà di accesso alle cure pubbliche.
promuoviamo salute
Le malattie renali croniche (MRC) affliggono le donne in tutto il mondo
PrevenzioneIl rischio di sviluppare malattie renali è almeno equivalente nelle donne rispetto agli uomini, ma potrebbe essere addirittura più elevato. Secondo alcuni studi, la probabilità di sviluppare una malattia renale cronica è più elevata nel sesso femminile, con una prevalenza media del 14% per le donne e 12% per gli uomini. Tuttavia, il numero di donne sottoposte a dialisi è inferiore rispetto al numero di uomini, e questo per almeno 3 ragioni: da un lato, la progressione della malattia renale cronica è piu’ lenta nelle donne rispetto agli uomini, dall’altro, barriere psico-sociali tra cui una minore conoscenza della malattia, possono indurre a non iniziare la dialisi o iniziarla a uno stadio piu’ avanzato della malattia; nei paesi senza una copertura sanitaria globale, la discriminazione nell’accesso alle cure è un problema maggiore.
Anche l’accesso al trapianto renale è differente nei due sessi, e lo è per ragioni sociali, culturali e psicologiche: anche in paesi dove i trapianti d’organo sono accessibili e ben sviluppati ed il sistema sanitario favorisce un accesso equo indipendente dal sesso, le donne tendono piu’ spesso ad essere donatrici che riceventi di un trapianto renale. Esiste quindi una chiara esigenza di affrontare a livello mondiale la questione dell’ accesso equo alle cure e di aumentare conoscenza ed educazione per facilitare l’accesso delle donne alle cure appropriate, per una salute migliore.
La Giornata Mondiale del Rene e la Giornata Mondiale delle Donne sono commemorate lo stesso giorno, offrendo l’opportunita’ di riflettere sull’importanza della salute delle donne e in particolare della loro salute renale. Nel suo 13esimo anniversario, la Giornata Mondiale del Rene promuove accesso equo e giusto alle cure, all’educazione e alla prevenzione delle malattie renali per tutte le donne del mondo.
In tutto il mondo, le persone si uniranno per celebrare la Giornata Mondiale con tantissime iniziative.
Vaccini e scuola, il 10 marzo scade il termine
News PresaIn quasi tutte le regioni d’Italia questi sono giorni concitati per i genitori che ancora non hanno adempiuto all’obbligo di procedere ai vaccini previsti dalla legge per le iscrizioni a scuola. Ovviamente, come sempre accade nel nostro paese, nonostante il termine ultimo per procedere ai vaccini sia unico (sabato 10 marzo) le differenze tra regione e regione sono enormi. In Campania, ad esempio, sono ancora moltissimi i bimbi che non sono in regola.
Bollini verdi
Per fare ordine in un mondo che definire frammentato sarebbe eufemistico, la Regione Campania ha portato avanti un’iniziativa che dal prossimo anno diventerà obbligatoria. Alle scuole è stato chiesto di fornire i dati dei propri iscritti, così le Asl hanno potuto elaborare delle liste (una per ciascun istituto) di bambini con il bollino verde e di bambini da valutare. Mentre per i bambini da bollino verde l’obbligo vaccinale è stato certamente rispettato, per quelli da rivalutare non si ha la stessa certezza. Il dubbio nasce da due fattori: il primo riguarda i tempi di trasmissione delle liste, il secondo eventuali spostamenti da una Asl all’altra o da una scuola all’altra. In altre parole, è possibile che alcuni bambini non risultino ancora in regola con l’obbligo vaccinale, ma che di fatto si siano messi in regola durante l’elaborazione delle liste. Altri invece possono risultare inadempienti a causa di una mancata trascrizione a seguito di un trasferimento.
Dove e quando
A lavoro sul territorio di Napoli ci sono tutti i centri vaccinali pubblici della Asl Napoli 1. Ecco quali sono e a che ora sono aperti:
Distretto 24 – Chiaia, Posillipo, San Ferdinando, Isola di Capri
Distretto 25 – Bagnoli, Fuorigrotta
Distretto 26 – Pianura, Soccavo
Distretto 27 – Arenella, Vomero
Distretto 28 – Chiaiano, Piscinola, Marianella, Scampia
Distretto 29 – Colli Aminei, San Carlo all’Arena, Stella
Distretto 30 – Miano, Secondigliano, S. Pietro a Patierno
Distretto 31 – Avvocata, Montecalvario, Pendino, Mercato, S. Giuseppe, Porto
Distretto 32 – Barra, S. Giovanni, Ponticelli, Insediamento 167
Distretto 33 – Vicaria, S. Lorenzo, Poggioreale
Malattia di Pompe, ecco l’App che aiuta i pazienti
Ricerca innovazioneDa quando il telefonino è diventato smartphone abbiamo iniziato a familiarizzare con le “App”. Oggi c’è un’applicazione praticamente per tutto, e la salute non fa eccezione. AIGkit è l’App per iPhone e Android che guarda in maniera specifica a chi è colpito da Malattia di Pompe. L’idea nasce da una considerazione: negli ultimi anni le potenzialità della smart technology di apportare soluzioni innovative per la gestione della malattia, ha progressivamente creato alte aspettative per la comunità di pazienti e professionisti della salute. Gli smartphone hanno quasi sostituito i personal computer, sono il simbolo di una rivoluzione nel modo in cui gli individui comunicano. Questi elementi offrono un’opportunità unica di offrire supporto medico quando e dove le persone ne hanno bisogno.
Tre obiettivi
AIGkit è specificamente disegnata per pazienti adulti con diagnosi della Malattia di Pompe, e si pone tre obiettivi molto precisi. In primo luogo aiutare i pazienti a gestire i problemi relativi alla malattia e ridurne il peso, quindi essere continuamente consapevoli della salute e della qualità della vita. In secondo luogo, fornire ai medici una traccia continua e aggiornata della malattia in ogni paziente in tempo reale e le condizioni generali della vita di tutti i giorni. Da ultimo, ma non meno importante, raccogliere dati utili a migliorare la conoscenza della storia naturale della Malattia di Pompe
L’architettura dell’App
Pensata per essere intuitiva e funzionale, l’applicazione offre quattro sezioni molto utili. La prima si chiama «conoscere la mia malattia» e contiene utili informazioni per i pazienti riguardanti le caratteristiche mediche della Malattia di Pompe: dalla diagnosi alla gestione. Nella sezione «news» si possono trovare notizie flash sui problemi medici o sociali della malattia. Questa funzione si avvale della sincronizzazione tramite internet con i siti AIM e AIG. La sezione «la mia documentazione medica» è strutturata come un diario in cui il paziente può schedare le sue infusioni terapeutiche. Impostando la data della prima infusione l’App sincronizzerà e ricorderà le successive. Inoltre, cosa ancora più importante, raccoglie diversi dati sul suo stato di salute in un contesto reale. Nella sezione dedicata al «piano di allenamento motorio» si possono trovare tutti gli strumenti che servono a creare sessioni di allenamento mixando diversi esercizi.
Funzioni aggiuntive
Nella home page ciascuno potrà trovare due voci molto importanti: «la mia linea di assistenza», che contiene i contatti dell’associazione AIG e indirizzi email per domande e supporto, e «i miei numeri di emergenza», in cui attraverso un singolo bottone l’utente può chiamare il numero di cellulare che è stato preventivamente impostato o mandare un breve messaggio di servizio che mostra automaticamente la sua posizione geografica su Google Maps.
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Prevenzione, visite gratuite contro le malattie della pelle
PrevenzioneIl gioco di parole è un modo per attirare l’attenzione su un tema che non è eccessivo definire vitale. Parte il 16 marzo la campagna #PreVieni, patrocinata dall’azienda ospedaliera e dall’università della Campania Luigi Vanvitelli. L’obiettivo è quello di fare diagnosi precoce sul tumore cutaneo e la psoriasi e l’appuntamento è, oltre a venerdì 16 marzo, anche per venerdì 23 marzo all’edificio 9C del Nuovo Policlinico (Via Pansini 5). Porte aperte a tutti coloro che desiderano sottoporsi a screening gratuiti mirati ad individuare la presenza delle più comuni patologie che interessano la pelle. Ad accogliere i pazienti un team di esperti della Clinica di dermatologia, co i dottori Alessio Gambardella, Gabriella Brancaccio e Teresa Russo, guidati dal professor Giuseppe Argenziano.
Venerdì 16 marzo
Dalle 10.00 alle 12.00, ai pazienti over 50 saranno effettuati screening per l’individuazione di eventuali tumori della pelle. Stando alle statistiche dell’Associazione italiana registri tumori, il numero delle persone che si ammalano di tumore cutaneo è in crescita di circa il 20% tra le persone di età compresa tra i 50-60 anni e fino al 40% per quelle oltre i 70 anni. Dati preoccupanti che spingono gli specialisti a valutare i danni procurati dai raggi ultravioletti dovuti all’esposizione continua e senza protezione durante i mesi più caldi. «La prevenzione dei tumori cutanei è essenziale – spiega Giuseppe Argenziano -. Il nostro scopo giornaliero nella sfida contro i tumori cutanei è quello di riuscire a diagnosticarli precocemente, quando cioè la loro semplice asportazione è garanzia di guarigione definitiva. L’obiettivo di questa giornata è duplice: in primo luogo, offrire all’utenza un accesso gratuito e diretto per una visita dermatologica completa al fine di scoprire se ci sono macchie e lesioni sospette. In secondo luogo, contribuire ad aumentare la consapevolezza delle persone sull’importanza della prevenzione primaria e secondaria». La diagnosi e il trattamento tempestivo diventano quindi fattori fondamentali che permettono al paziente di avere aspettative di vita migliori e buoni risultati di guarigione.
Venerdì 23 marzo
Dalle 10.00 alle 12.00, tutti i pazienti under 50 potranno sottoporsi allo screening di prevenzione per la diagnosi della psoriasi. L’appuntamento si pone un duplice obiettivo: verificare l’eventuale presenza di patologie e fornire ai pazienti informazioni utili sulle ultime novità scientifiche che anno dopo anno si inseriscono nell’armamentario terapeutico del medico specialista. Secondo i ricercatori in Italia si contano circa due milioni e mezzo di persone affette da psoriasi. Poiché le cause dell’insorgere della patologia non sono ancora del tutto chiare e non esiste una cura definitiva, per molti pazienti questa patologia non è solo un problema dermatologico ma finisce per avere ripercussioni, talvolta anche pesanti, sulla sfera psicologica.
Una patologia insidiosa
Della psoriasi parlano i i dermatologi dell’università della Campania Luigi Vanvitelli: «La psoriasi è una patologia infiammatoria della cute a eziologia multifattoriale, generalmente cronica e spesso recidivante, che colpisce circa l’1-2% della popolazione mondiale. Nella razza caucasica, la psoriasi colpisce in ugual misura uomini e donne anche se esistono sottotipi della patologia in cui c’è prevalenza di uno dei due sessi. Nelle razze orientali (e in particolar modo nei giapponesi) la malattia interessa maggiormente gli uomini (rapporto 2:1). Le donne, generalmente, sono colpite più precocemente rispetto agli uomini, inoltre i soggetti dalla pelle chiara sono più colpiti rispetto a quelli con cute più scura». La psoriasi può manifestarsi in qualsiasi fascia di età, ma il problema interessa soprattutto le persone di età adulta; la fascia maggiormente colpita è quella che va dai 10 ai 40 anni e, generalmente il primo attacco si manifesta tra i 15 e i 25 di età. Per questa ragione lo screening preventivo, effettuato periodicamente, e la corretta informazione possono migliorare le condizioni di salute del paziente e rallentare il corso della patologia.
Unicef, un milione di neonati muoiono il giorno in cui nascono
Bambini, News Presa, PrevenzioneI numeri diffusi dall’Unicef denunciano 2.600.000 neonati morti nei primi 28 giorni di vita. La mortalità infantile raccontata nello studio ridisegna contorni geografici profondamente discordanti. Drammatici i dati sull’India, con 600.000 bambini morti entro 28 giorni dalla nascita (si tratta di un quarto di tutti i decessi neonatali del pianeta). Nel ranking globale per questo settore, l’India ha una tasso di 25,4 decessi di neonati prima di 28 giorni su 1.000, dati che la pongono al 153esimo posto su 184 paesi presi in considerazione.
Prospettive sulla mortalità infantile
Secondo l’Onu se ogni Paese portasse il suo tasso di mortalità neonatale alla media dei Paesi ad alto reddito entro il 2030, si potrebbero salvare 16 milioni di vite. “Mentre, negli ultimi 25 anni abbiamo più che dimezzato il numero di morti fra i bambini sotto i cinque anni, non abbiamo fatto progressi simili nel porre fine alla morte di bambini con meno di un mese di vita – ha dichiarato Henrietta H. Fore, direttore generale dell’Unicef -. Dato che la maggior parte di queste morti sono prevenibili, non abbiamo ancora raggiunto i risultati necessari per i bambini più poveri del mondo”. Ancora oggi, spiega l’Unicef, nonostante l’80% di questi decessi possa essere prevenuto, nel mondo ogni anno 2,6 milioni di neonati non sopravvivono al primo mese di vita. Un milione di questi, nemmeno al primo giorno.
Infanzia negata
Il report “Ogni bambino vivo” studia le cause e cerca di dettare le linee guida per incentivare i governi a porre un freno alla mortalità dei neonati. Il rapporto Unicef sostiene che le cause dei decessi infantili sono prevedibili e trattabili, e che l’80% delle morti avviene per ragioni non gravi. I primi 28 giorni di vita sono i più critici per la sopravvivenza di un bambino, che in quel momento vive il suo momento di massima vulnerabilità. La media globale del fenomeno è di 19 morti per ogni 1.000 nuovi nati, con punte di 27 decessi nei Paesi a basso reddito e di 3 in quelli ad alto reddito.
I Paesi dove è più sicuro nascere
Si tratta di Giappone, Islanda e Singapore, dove si registra solo un decesso infantile su 1.000 nuove nascite nei primi 28 giorni. Le nazioni dove la vita dei neonati è maggiormente a rischio sono il Pakistan, la Repubblica Centrafricana e l’Afghanistan: qui il tasso di sopravvivenza è più basso. Il rapporto sottolinea inoltre che 8 dei 10 luoghi più pericolosi per nascere si trovano in Africa Subsahariana, dove le donne in gravidanza hanno probabilità molto inferiori di ricevere assistenza durante il parto a causa di povertà, conflitti e istituzioni deboli.
Promuoviamo salute
Ippoterapia combatte disturbo post traumatico da stress. Lo studio
PsicologiaAndare a cavallo e prendersi cura dell’animale riduce i sintomi del disturbo post traumatico da stress. Lo ha stabilito uno studio condotto su 32 veterani Usa, molti dei quali avevano combattuto in Vietnam. La ricerca sugli effetti dell’ ippoterapia, anche a livello clinico, è stata pubblicata da Military Medical Research ed è coordinata da Rebecca Johnson, dell’Università del Missouri.
Lo studio
Al programma hanno partecipato 32 veterani. Dopo tre sessioni di equitazione settimanali registravano una riduzione dei sintomi del disturbo da stress post-traumatico. Inoltre, dopo sei settimane, gli autori dello studio osservavano una riduzione clinicamente significativa dei sintomi: i 32 veterani erano in grado di fare cose, come andare al supermercato, che non riuscivano a fare prima.
Dai dati del Dipartimento Usa che studia le patologie dei Veterani di guerra emerge che almeno uno su cinque sviluppa un disturbo post traumatico da stress che si manifesta con pensieri, sentimenti e sogni inquietanti. Durante le sessioni di ippoterapia, i 32 partecipanti hanno interagito con i cavalli, molti erano veterani della guerra del Vietnam, che soffrivano di disturbo post traumatico da stress da decenni. “Potrebbe essere importante consigliare l’ippoterapia come terapia complementare praticabile”, osserva l’autrice principale dello studio, Rebecca Johnson.
L’ ippoterapia, o equitazione a scopo terapeutico, ha origine empiriche antiche perché il cavallo, con le sue straordinarie doti di sensibilità, di adattamento, di intelligenza è ritenuto, da sempre, “straordinaria medicina”.
promuoviamo salute
Calcoli al Pancreas, a Salerno un intervento unico in Italia
Ricerca innovazioneI calcoli del pancreas verranno operati per via endoscopica, attraverso la bocca, con una tecnica innovativa mini-invasiva effettuata dall’equipe dell’unità operativa salernitana del San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona. Questa tecnica endoscopica di alta specializzazione prevede la rimozione di calcoli di grandi dimensioni che si trovano nel pancreas grazie ad una mini sonda laser. I chirurghi entreranno dalla bocca del paziente, evitando interventi chirurgici demolitivi, gravati da un alto tasso di complicanze e mortalità.
Rendez vous
A giugno, a Washington (USA), in occasione della Digestive disease week (Ddw) verranno presentati i risultati di uno studio scientifico internazionale che ha coinvolto diversi centri di riferimento mondiali, tra cui la Johns Hopkins University di Baltimora (USA) con la Dottoressa Gutierrez ed il professor Khashab e l’Unità operativa complessa di Mercato San Severino (Salerno) diretta dal dottor Maurano, assistito dal dottor Zulli. E quello di Salerno è l’unico centro italiano a partecipare a questo prestigioso studio internazionale.
Opportunità uniche
L’equipe del Dr Maurano da anni è fautore delle innovazioni in campo mini-invasivo endoscopico per la risoluzione della patologia calcolotica difficile delle vie biliari, del fegato e del pancreas. «Questa sperimentazione – spiega il dottor Maurano – fa seguito ad un percorso di collaborazione internazionale nato alcuni anni orsono e si avvale dell’utilizzo straordinario di un millimetrico endoscopio (colangioscopio) che, attraverso un altro strumento simile ma di dimensioni maggiori, viene introdotto attraverso la bocca fino all’intestino, per permette di entrare all’interno delle vie biliari e dei dotti pancreatici, di vedere dall’interno il fegato e il pancreas, e di trattare patologie che altrimenti necessiterebbero di una chirurgia complessa».
Formaggio, un grande business italiano. Ma sappiamo sceglierlo e conservarlo?
AlimentazioneMangiamo 23 kg di formaggio a testa (media annua) di cui 10 kg di prodotti freschi. Sono il 25% di ciò che mettiamo nel carrello. I formaggi sono una vera passione degli italiani. Il settore non conosce crisi: abbiamo 460 formaggi diversi, con un giro d’affari di 1,5 miliardi di euro. Ma i formaggi non sono tutti uguali, ad esempio ci sono i freschi o gli stagionati. Qual è la differenza? Il formaggio fresco oggi in Italia è quello più venduto, dalle mozzarelle alla ricotta, alle robiole di vari tipi. La produzione annua di formaggi arriva a un totale di 1.232.000 tonnellate. Quelli di latte bovino sono 1.005.000 tonnellate (di cui dop 441.000 tonnellate). I formaggi di altro latte sono invece 228.000 tonnellate (di cui dop 86.000).
Come scegliere i formaggi?
Quando si acquista formaggio al banco, o nel supermercato è importante stare attenti alla data di scadenza, le fette devono essere integre e devono avere un colore chiaro privo di muffe. Per quanto riguarda i formaggi freschi che subiscono dei deterioramenti rapidi, possono cambiare sapore dopo essere stati per molte ore nel frigorifero, ma questo non vuol dire che non siano più buoni.
Valori nutrizionali e stagionatura
I valori nutrizionali variano molto a seconda dei formaggi, come spiega il biologo nutrizionista Luciano Atzori, intervistato dalla tv pubblica. Durante la stagionatura i formaggi hanno un radicale cambiamento. Per quanto riguarda i grassi, spesso si parla di formaggi freschi come prodotti con poco grasso, in realtà non è così. Ad esempio il quartirolo è un formaggio magro, ma la mozzarella arriva invece anche ad avere il 19% di grassi, se poi è di bufala arriva anche al 23, 24% e vengono considerate erroneamente dalla massa dei formaggi tipicamente magri. Ciò che fa la differenza è sicuramente il tipo di latte utilizzato (se parzialmente scremato, totalmente scremato o intero).
Stagionatura e lattosio.
Con la stagionatura cambia la percentuale di acqua che si asciuga notevolmente, aumenta quindi la quantità di formaggio e questo è un aspetto importante dal punto di vista della dieta. In alcuni formaggi, però, scompare completamente il lattosio, questo è fondamentale per le persone intolleranti. Anche la proteina casina scompare, specialmente nei formaggi con 30 mesi di stagionatura e sono molte le persone sensibile a questa proteina. Dall’altra parte aumenta invece la concentrazione di sale, negativo per chi soffre di pressione alta.
Il colesterolo
Negli ultimi anni il formaggio è stato un po’ demonizzato anche dai dietologi per alcuni aspetti: il primo è per il colesterolo, ma in realtà il colesterolo ematico, presente nel nostro sangue è per la maggior parte, circa il 90% endogeno, cioè lo produciamo noi stessi. Solamente una piccola parte circa il 10% e esogeno, cioè proviene dall’esterno, quindi non è il formaggio in sé in quanto tale pericoloso. Tuttavia si consiglia di mangiare generalmente 50 g di formaggio stagionato tre volte a settimana e 100 g se è fresco.
La crosta del formaggio è edibile, tranne quando sono presenti delle scritte o delle lucidature con la cera. Per utilizzare la crosta, ad esempio dei minestroni, va raschiata la parte che presenta inchiostro o cera.
Cosa fare se nel formaggio si crea un po’ di muffa?
La muffa si forma soprattutto nei formaggi freschi, perché più ricchi di acqua e quindi deperibili. Se la muffa è una minima parte, basta eliminarla, spiega Atzori. Se il formaggio è invece notevolmente invaso dalla muffa, va buttato perché non si conosce la natura della muffa.
Come conservare il formaggio?
Sono sconsigliate le pellicole cellofan, perché hanno, anche se in bassissima concentrazione, il PVC che può rilasciare sostanze pericolose. Infatti su molte confezioni c’è scritto che non è idonea per prodotti oleosi o grassi. Di recente però si trovano in commercio pellicole che derivano dal mais o da prodotti naturali che quindi possono essere utilizzati anche per prodotti grassi come formaggi. Va bene invece la carta stagnola. Non è idoneo, invece, dal punto di vista igienico sanitario utilizzare le stoffe perché creano le condizioni ideali perché si sviluppino microorganismi.
Promuoviamo salute
Obesità, i campani sono «condannati»
AlimentazioneGrassi come ora non lo erano mai stati, ed entro il 2020 un campano su due sembra condannato all’obesità. Il dato emerge dallo studio «Okkio alla Salute», nel quale si evidenzia come il 46% dei campani in sovrappeso sia in realtà obeso. Il problema è di salute, ma anche di economia sanitaria. All’aumentare del peso, aumenta infatti la possibilità di sviluppare malattie correlate. Diabete e patologie, coronariche e respiratorie, ma anche una minore possibilità di avere un ruolo attivo nella società. «A tutto questo – dice Annamaria Colao, professore ordinario di Endocrinologia alla Federico II di Napoli – si aggiunge la situazione diventa collegata all’ultimo decreto regionale (decreto n° 4 del 17/01/2018) che ha contribuito a rendere ancora più difficile la fruibilità di pacchetti ambulatoriali complessi per l’obesità.
Esperti a confronto
Su questo tema, declinato in tutti i suoi aspetti, si stanno confrontando a Napoli esperti del calibro di Silvia Savastano (professore associato di Endocrinologia), Luigi Barrea (nutrizionista) e Giovanna Muscogiuri (ndocrinologa). Il simposio è cominciato oggi alla presenza del direttore della scuola di medicina Luigi Califano, del professore della Sapienza di Roma Andrea Lenzi, del presidente della Società italiana dell’obesità Fabrizio Muratori con discussioni sulle complicanze endocrine e metaboliche del paziente obeso, il deficit di vitamina D, l’approccio farmacologico e le problematiche legate alla tiroide.
Il programma Opera
L’acronimo sta per Obesity programs of nutrition, education, research, assessment of the best treatment ed è lo strumento migliore per attivare ancor più concretamente la comunità scientifica in questo campo. Per Annamaria Colao «l’obesità è un problema che riguarda principalmente le categorie sociali svantaggiate, vale a dire la fascia di popolazione che presenta minori livelli di istruzione e maggiori difficoltà ad accedere all’assistenza medica, a causa dei bassi livelli di reddito. Nonostante la Campania detenga il primato per la percentuale di obesi sul territorio italiano, l’ultimo decreto regionale ha contribuito a rendere ancora più difficile la fruibilità di pacchetti ambulatoriali complessi per l’obesità demandando ai medici di base e ai pediatri la prescrizione dei singoli codici delle prestazioni incluse nel pacchetto, producendo ricette separate per ogni prestazione appartenente ad una branca specialistica diversa. Questa modalità di prescrizione del PAC non consentirà al paziente obeso di avere nessun vantaggio rispetto all’esecuzione dei singoli esami e consulenze non inseriti all’interno di un percorso assistenziale, rendendo difficoltoso una seria presa in carico dei bisogni complessi e rendendo i percorsi assistenziali non lineari e fruibili per professionisti e pazienti».