Tempo di lettura: 2 minutiSono 49.152 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza, da quando sono stati istituiti. Di queste, solo 29.227 hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. L’Italia, però, fa troppo poco per combattere i femminicidi e la violenza di genere. A dirlo sono stati gli esperti di Grovio (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence) ad EstremeConseguenze.it. Oggi, in vista della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, dalle 14, a Roma, partirà da piazza della Repubblica “Non Una di Meno”, la manifestazione ” contro la violenza di genere ”.
I centri contro la violenza di genere: i numeri Istat
L’Istat ha svolto per la prima volta l’indagine sui servizi offerti dai Centri antiviolenza alle donne vittime, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari opportunità (Dpo) presso la Presidenza del Consiglio, le regioni e il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr – Irrps). L’indagine è stata effettuata nei mesi di giugno – luglio 2018 e sono stato intervistati 281 centri antiviolenza rispondenti ai requisiti dell’Intesa del 2014. Tra questi 253 hanno completato il questionario, di cui si rilasciano i primi dati.
Le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza sono 49.152, di queste 29.227 hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. Il numero medio di donne prese in carico dai centri (115,5) è massimo al Nord-est (170,9) e minimo al Sud (47,5). Il 26,9 delle donne è straniera e il 63,7% ha figli, che sono minorenni in più del 70% dei casi.
I centri forniscono in prevalenza servizi di ascolto e accoglienza, supporto legale, orientamento e accompagnamento ad altri servizi, supporto psicologico, aiuto nel percorso di allontanamento dal partner violento, orientamento lavorativo, sostegno all’autonomia. In alcuni casi il servizio è fornito direttamente dal centro, in altri, dal centro in collaborazione con i servizi sul territorio, in altri ancora, il centro assolve la funzione di indirizzamento.
La maggior parte dei centri, l’85,8%, lavora in rete con altri enti della rete territoriale e quasi tutti, il 95,3%, aderiscono al numero verde nazionale 1522 contro la violenza e lo stalking.
La possibilità di contattare il centro antiviolenza da parte delle donne è elevata, il 68,8% ha messo a disposizione una reperibilità H24, il 71,1% ha attivato un servizio di segreteria telefonica negli orari di chiusura e il 24,5% possiede un numero verde dedicato.
Sono circa 4.400 le operatrici che nel 2017 hanno lavorato presso i centri antiviolenza, di queste il 56,1% è stato impegnato esclusivamente in forma volontaria. Le figure professionali che sono maggiormente presenti nei centri, coerentemente con i servizi prestati, sono le avvocate, le psicologhe e le operatrici di accoglienza.
Il 93% dei Centri antiviolenza prevede una formazione obbligatoria per le operatrici che sono impegnate presso il centro. Nell’85% dei casi è il centro stesso che ha organizzato corsi di formazione per il personale.
Il vaccino antinfluenzale è gratuito per i donatori di sangue
News PresaIl vaccino antinfluenzale gratuito per i donatori di sangue è stato attivato da tutte le Regioni del nostro Paese. Può essere erogato dai medici di base o anche direttamente nei servizi trasfusionali. A renderlo noto è una survey condotta dal Centro Nazionale Sangue attraverso le Strutture Regionali di Coordinamento per le attività trasfusionali (Src).
Come vaccinarsi
Secondo le risposte ottenute dal CNS in tutte le Regioni e le province autonome i donatori di sangue possono vaccinarsi gratuitamente come previsto dalla circolare ministeriale emanata lo scorso maggio, che ha aggiunto questa categoria a quelle ‘classiche’ come donne in gravidanza, anziani e malati cronici. La principale modalità di erogazione è risultata il medico di base (scelta da Friuli Venezia Giulia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Puglia, Umbria, Marche, Sardegna, Sicilia, Calabria, Lazio, Molise, Abruzzo, Toscana, Campania), insieme agli ambulatori vaccinali delle Asl (modalità prevista da Veneto, Val d’Aosta, Basilicata, province di Trento e Bolzano, Toscana, Umbria, Sicilia, Calabria, Lazio, Abruzzo e Campania). In Val d’Aosta, Emilia Romagna e Liguria è possibile vaccinarsi anche direttamente nei servizi trasfusionali. In tutte le Regioni è necessario presentare un documento che attesti l’iscrizione ad una associazione di donatori o un certificato di avvenuta donazione per accedere al servizio. Dopo la somministrazione del vaccino i donatori dovranno attendere 48 ore prima di poter effettuare una donazione.
L’iniziativa, spiega il Direttore generale del CNS Giancarlo Maria Liumbruno, ha anche lo scopo di limitare le carenze che si verificano di solito in corrispondenza del picco influenzale. “Per questo – afferma – insieme al volontariato ci siamo attivati per far inserire i donatori tra le categorie a cui viene offerta la vaccinazione antinfluenzale. Ora che il servizio è attivo su tutto il territorio nazionale auspichiamo un’adesione massiccia da parte dei donatori”.
La “call” che mette alla prova i medici
Prevenzione, RubricheMessi da parte bisturi e stetoscopio, i medici di tutta Italia sono chiamati ad armarsi di penna (anzi di pc) per partecipare alla call «Parlo per esperienza». Un progetto che il network editoriale PreSa – dedicato alla Prevenzione e alla Salute – lancia per promuovere una corretta informazione su temi molto delicati e spesso affrontati in maniera “approssimativa”. L’idea, insomma, è quella di trasferire a tutti informazioni utili e certificate. «Parlo per esperienza» è dunque un progetto che in qualche modo mette alla prova i medici, sfidando la loro capacità di affrontare (tastiera alla mano) le patologie più diffuse, quelle che comportano maggiori problemi o quelle che solo pochi conoscono. Il tutto usando un linguaggio semplice e diretto. I medici sono infatti chiamati a «parlare per esperienza», ma con un linguaggio che potrà essere compreso con semplicità da chiunque vorrà approfondire l’argomento.
Come partecipare
Per partecipare al contest basta inviare il proprio articolo e il modulo di iscrizione all’indirizzo e-mail redazione@prevenzione-salute.it. L’articolo dovrà essere contenuto tra i 3.000 e i 4.000 caratteri spazi inclusi. Una commissione di esperti selezionerà i migliori 10 articoli che saranno poi pubblicati sul portale PreSa e, a discrezione della commissione, su altre testate giornalistiche regionali e nazionali in partenariato con il network. «Abbiamo deciso di coinvolgere gli“addetti ai lavori” – spiega il direttore scientifico di PreSa Marco Trabucco Aurilio – perché crediamo profondamente in un’informazione medico scientifica diversa, capace di svestire i panni della pretenziosità, mai il rigore scientifico, così da far arrivare ai cittadini messaggi chiari e sicuri». Trabucco Aurilio spiega che «oggi giorno è impensabile vivere il rapporto medico paziente nel ricordo del passato. Anni fa il medico parlava ad un paziente che era del tutto a digiuno di informazioni, che guardava al medico con deferenza e fiducia». Oggi le cose sono ben diverse, nel bene e nel male. Grazie a internet i pazienti di oggi sono molto più informati, ma spesso anche disorientati e tratti in inganno dalle fake news che spopolano sui social.
Cambio di passo
«Con questo progetto – aggiunge Trabucco Aurilio – vogliamo mettere il pallino al centro. Spingere i medici a comprendere l’importanza di una comunicazione diretta ed efficace, ma anche far comprendere ai lettori che esiste una differenza tra “fonti”. Una cosa è leggere un articolo certificato, tutt’altra è fidarsi della prima che si trova on line». Questa in fin dei conti è parte della mission di PreSa – Prevenzione e Salute, (prevenzione-salute.it) network di promozione della salute nato nel 2015 dalla collaborazione tra mondo dei media, universitario e associazionistico. Il progetto partendo dall’articolo 32 della Costituzione Italiana che individua la salute come fondamentale diritto dell’individuo e della collettività, vuole contribuire a promuovere la “cultura della prevenzione” nel Paese, attraverso la diffusione di contenuti dal linguaggio semplice ma conservando il giusto rigore scientifico. Dal 2015 sono stati diffusi tra carta stampata – web e social network migliaia di contenuti privilegiando tematiche legate alla prevenzione primaria, corretti stili di vita, malattie rare e disabilità. L’idea di misurarsi con la sfida di arrivare a solleticare l’attenzione e l’interesse dei lettori ha avuto un gran successo tra i camici bianchi, che a centinaia stanno inviando i propri articoli. Attenzione però, la candidatura potrà essere inviata fino al 23 dicembre 2018, entro le ore 23:59. Tutti gli articoli che arriveranno al di fuori della scadenza prevista non potranno essere presi in considerazione. Terminata la raccolta delle candidature, saranno selezionati 10 articoli in base alla qualità dello scritto e alla corrispondenza con le finalità del network PreSa. Clicca QUI e sfoglia lo Speciale Salute pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno in collaborazione con PreSa
Usa: olio extravergine oliva promosso a “farmaco” per il cuore
Alimentazione“La promozione conquistata negli Usa rappresenta – afferma Coldiretti – un ulteriore riconoscimento degli effetti positivi sulla salute associati al consumo di extravergine che ha determinato negli ultimi venticinque anni un vero e proprio boom degli acquisti, con una crescita a livello mondiale del 49% che ha cambiato la dieta dei cittadini in molti Paesi. Un fenomeno particolarmente evidente negli Stati Uniti dove il consumo di olio di oliva è addirittura triplicato nello spazio di una generazione, arrivando alla cifra record di 315 milioni chili (+174%) e facendo salire gli Usa al terzo posto dopo Italia e Spagna tra i maggiori acquirenti”.
L’olio d’oliva nel mondo
Tuttavia la crescita dell’olio d’oliva sulle tavole di tutto il mondo, spiega la Coldiretti, è avvenuta in modo vorticoso anche in altri Paesi a partire dal Giappone (dove i consumi sono aumentati di 8 volte raggiungendo i 55 milioni di chili), mentre in Gran Bretagna si è registrata una crescita del 247,6% (fino a 58,4 milioni di chili) e in Germania l’incremento è stato del 359,7% (fino ai 61,6 milioni di chili). In Brasile, invece, l’aumento è stato del 313% (per un totale di 60 milioni di chili), in Russia del 233% (anche se le quantità restano limitate a 20 milioni di chili), il Canada con 39,5 milioni di chili e un incremento del 229% e la Francia che con un progresso del 154% ha superato i 111 milioni di chili.
“Si aprono dunque enorme potenzialità per la produzione Made in Italy – afferma la Coldiretti – che è il secondo produttore mondiale dopo la Spagna ma che può contare sul primato qualitativo con 47 olii Dop/Igp riconosciuti dall’Unione Europea e 533 diverse varietà di olive dai quali si ottiene un olio con percentuali di acido oleico che variano dal 72% all’83%, ben al di sopra del livello indicato dall’Fda”.
Danni del maltempo sulle tavole
“A pesare quest’anno è il crollo del 38% della produzione nazionale per un “raccolto” di 265 milioni di chili, un valore vicino ai minimi storici, a causa del maltempo con il gelo invernale di Burian e i venti accompagnati dalla pioggia durante la fioritura che hanno ridimensionato pesantemente i raccolti con almeno 25 milioni di piante di ulivo danneggiate dalla Puglia all’Umbria, dall’Abruzzo sino al Lazio e danni fino al 60% in alcune zone particolarmente vocate. Da qui l’esigenza – sostiene la Coldiretti – del rifinanziamento del piano olivicolo nazionale (Pon) per recuperare il deficit italiano e potenziare una filiera che coinvolge oltre 400 mila aziende agricole specializzate”.
“Sulle confezioni – continua la Coldiretti – è praticamente impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva dal primo luglio 2009, in base al Regolamento comunitario N.182 del 6 marzo 2009. In attesa che vengano strette le maglie larghe della legislazione per non cadere nella trappola del mercato il consiglio è quello di diffidare dei prezzi troppo bassi, guardare con più attenzione le etichette e acquistare extravergini a denominazione di origine Dop, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100 per 100 da olive italiane o di acquistare direttamente dai produttori olivicoli, nei frantoi o nei mercati di Campagna Amica dove è possibile assaggiare l’olio EVO prima di comprarlo e riconoscerne le caratteristiche positive”.
Cibo spazzatura? No grazie
News Presa, RubricheLo sanno tutti: la Dieta mediterranea è uno stile di vita sano, che serve a contrastare l’insorgere di malattie quali tumori, diabete e cardiopatie. L’Italia, e questo vale ancor più per il Sud del Paese, può essere considerata un po’ la “culla” della Dieta mediterranea, un luogo dove le buone abitudini in tavola si traducono in maggiori (e migliori) aspettative di vita. O no? Esiste un paradosso: mentre tutti i Paesi industrializzati (ad eccezione di quelli di area mediterranea) cercano di copiare le nostre tradizioni alimentari, noi sempre più ci orientiamo verso i fast food. Questa è una delle realtà più amare emerse nel corso del 39simo congresso nazionale della Società italiana di nutrizione umana (Sinu) tenutosi a Napoli e presieduto dal professor Mario Mancini, emerito di clinica medica della Federico II.
Il paradosso del Sud
Ma i numeri cosa dicono? «Non sono affatto rassicuranti», spiega Francesco Sofi, professore in Scienze dell’alimentazione all’Università di Firenze e membro del consiglio direttivo Sinu.«Al contrario di quanto si potrebbe pensare, il Sud del Paese è quello che meno segue i dettami della Dieta mediterranea. Purtroppo questo vale ancor di più peri giovanissimi, sempre di più attratti dal cibo spazzatura». Gli esperti della Sinu, proprio per valutare l’adesione ad un regime alimentare sano, hanno realizzato il portale medi-lite.com. E in generale gli smartphone sono diventati un valido strumento al servizio della salute, visto che grazie alle app si possono raccogliere dati e informare i cittadini stimolandoli ad abitudini più sane. «In Italia – chiarisce Sofi – solo un terzo della popolazione ha un’ottima aderenza ai dettami della Dieta mediterranea, un altro 50% può essere considerato “nella media” e il restate 20% fa pessime scelte alimentari. Il grosso problema è che questo 20% coincide con quelle che comunemente si definiscono “fasce deboli”, svantaggiate da un punto di vista socio-economico». La triste verità, anche il paradosso se si guarda alle origini, è che seguire la Dieta mediterranea costa. Non a caso, in occasione del congresso di Napoli, molti specialisti hanno evidenziato la necessità di avviare politiche che possano favorire una maggiore adesione da parte di tutti i cittadini non solo di quelli che possono permetterselo. «Simili azioni da parte della politica – conclude Sofi – ci consentirebbero negli anni a venire di risparmiare molto in termini di assistenza sanitaria. Quindi l’investimento economico sarebbe ben ripagato».
La colazione
Dal congresso Sinu sono emersi anche aspetti che sono centrali in uno stile di vita sano. La colazione, ad esempio, è un pasto molto sottovalutato. «Su questo – spiega Giulia e vice presidente Sinu abbiamo presentato un documento condiviso con Società italiana di scienze dell’alimentazione». Si parte dal definire un concetto univoco di colazione per arrivare a fissare la “colazione tipo”, che abbia anche il giusto apporto di nutrienti e calorie. E soprattutto, che vari nel corso dei giorni. Per intendersi, un biscotto e un caffè non è ciò che gli specialisti definiscono una buona colazione. Cairella parla invece di un «significativo apporto energetico», scelta che consente di ottenere migliori risultati nelle attività della mattinata: lo studio per i ragazzi e il lavoro per gli adulti. Qualche esempio di buona colazione. «Una tazza di latte o un cappuccino, un prodotto da forno (ciambellone), una porzione di frutta (150 grammi) e uno yogurt. Con questo siamo tra il 15 e 25% cento del fabbisogno energetico della giornata, che viene calcolato su uno standard di 2.000 calorie». Ancora: «Yogurt parzialmente scremato con due cucchiai di cereali, due cucchiaidi frutta secca e un frutto di stagione. In questo caso siamo al 20% del fabbisogno giornaliero». Ce n’è anche per chi predilige una colazione salata, che «dev’essere “poco salata”, visto che in Italia siamo molto generosi e di norma usiamo il doppio delle dosi di sale raccomandate dall’Oms». Una valida soluzione è un bicchiere di latte, un caffè e una fetta di pancarrè tostata con 20 grammi di prosciutto e una sottiletta. Da bere si può aggiungere una premuta d’arancia. Molto interessante è scoprire che una buona colazione ha un effetto favorevole sul ritmo fame-sazietà e quindi riduce il rischio di sovrappeso e obesità. La letteratura scientifica, dice la nutrizionista, mette in evidenza vantaggi anche sotto il profilo cardio metabolicoeglicemico, con effetti benefici sulla pressione arteriosa e sui grassi contenuti nel sangue. Ultime raccomandazioni: quando si parla di latte e derivati è sempre bene sceglierli a basso contenuto di grassi e quando si acquista «leggete sempre le etichette nutrizionali- conclude Cairella – non di rado alimenti apparentemente uguali tra loro hanno un diverso apporto di calorie, zuccheri e sale».
Antiossidanti
Altra interessante novità emersa dal congresso di Napoli riguarda i polifenoli che, a quanto pare, dopo quasi un trentennio hanno svelato una natura diversa. I ricercatori hanno scoperto che nella dieta di ogni giorno potrebbero non solo non assolvere ad una funzione antiossidante, ma comportarsi addirittura da “pro-ossidanti”. Ma niente paura, restano comunque validi alleati della salute. Lo spiega Gian Luigi Russo, ricercatore in biochimica della nutrizione al Cnr. «Per funzionare da antiossidanti in una cellula/organismo – dice – dovrebbero essere presenti in concentrazioni talmente elevate da divenire incompatibili con le loro quantità presenti negli alimenti». Il meccanismo è inverso a ciò che si è pensato per anni: «Assunti con l’alimentazione a basse concentrazioni, i polifenoli (o i loro derivati frutto della trasformazione a opera del batteri intestinali) entrano nella cellula e subiscono un processo di “blanda” ossidazione, innescando più complesse ed efficacirisposte antiossidanti. La confusione nasce dal fatto che il potere antiossidante dei polifenoli deriva da misure effettuate in provetta e non in sistemi biologici».Del resto, agenti con attività pro-ossidante (radicali liberi) esistono di norma nelle cellule dove esercitano funzioni molto importanti. Sono le alte concentrazioni che possono essere dannose e contribuire all’insorgenza di patologie. Interessanti le prospettive che potrebbero scaturire dalle ricerche su modelli sperimentali. «Specifiche molecole della famiglia dei polifenoli – conclude il ricercatore – potrebbero entrareafar parte di terapie farmacologiche, come adiuvanti ad esempio della chemioterapia. Clicca QUI e sfoglia lo Speciale Salute pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno in collaborazione con PreSa.
Antibiotico resistenza fa 30mila morti l’anno. Il punto
PrevenzioneSenza antibiotici anche una banale infezione potrebbe essere mortale. Negli ultimi anni, l’uso eccessivo o inappropriato degli antibiotici, sia in medicina umana sia veterinaria e in agricoltura, ha creato il fenomeno dell’antibiotico resistenza. Una correlazione provata a livello scientifico. In un recente articolo, pubblicato su Lancet Infectious Diseases, è stato stimato un numero di decessi intorno a 30 mila l’anno, in Europa, a causa dell’antibiotico resistenza. Un numero aumentato rispetto ad una precedente stima con i dati del 2007. I dati della sorveglianza EARS-Net, coordinata dall’ECDC, alla quale partecipa anche l’Italia con la sorveglianza AR-ISS, mostrano una situazione critica in tutta Europa. Tra le resistenze peggiori, quella ai carbapenemi, soprattutto in Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter baumannii. Ma preoccupa anche l’aumento della resistenza ai glicopeptidi in Enterococcus faecium.
In cifre
Il recente studio dell’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) e del Burden of AMR Collaborative Group, pubblicato su The Lancet Infectious Diseases, stima che:
La situazione critica in Italia
Un terzo dei decessi e in genere un terzo di tutto l’impatto attribuito alle infezioni antibiotico-resistenti è a carico del nostro paese, primo in Europa sia come numero di morti che come incidenza delle infezioni resistenti. In Italia la resistenza agli antibiotici, come documentato dai Rapporti annuali della rete EARS-Net, è maggiore della media europea per molte combinazioni microrganismo/antibiotico di prima linea per la cura delle infezioni.
Un Rapporto dell’OECD (Organization for Economic Co-operation and Development) stima l’impatto economico delle infezioni antibiotico-resistenti in 33 paesi aderenti all’organizzazione. Secondo l’OECD l’Italia si trova minacciata da un vero e proprio tzunami che rischia di travolgere il sistema sanitario. Il costo delle infezioni antibiotico-resistenti solo per l’Italia è stato stimato in 13 miliardi di dollari da qui al 2050.
Tuttavia, ci sono anche segnali positivi. Lo scorso anno è stato approvato il primo Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-resistenza con sei aree di azione, in un’ottica “One health”, cioè integrata tra medicina umana, medicina veterinaria, agricoltura e ambiente. Si basa sulle indicazioni fornite dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dalla Commissione europea.
Il rapporto dell’OECD mostra anche alcune semplici azioni per contrastare l’antibiotico-resistenza, associata soprattutto a infezioni in ambito assistenziale. Tra queste, implementare l’igiene delle mani, l’antimicrobial stewardship per l’appropriato uso di antibiotici e migliorare l’igiene ospedaliera, potrebbero avere un grosso impatto sulla vita delle persone e sul risparmio economico.
“Gli antibiotici sono un bene prezioso che si sta esaurendo nel tempo – scrive l’iss – un loro uso scorretto potrebbe portarci indietro negli anni, quando gli antibiotici non esistevano e le malattie infettive potevano anche essere mortali”.
“È necessario che tutti contribuiscano ad un uso corretto e responsabile degli antibiotici –continua – anche negli animali e adottino alcuni semplici accorgimenti, come lavarsi le mani, che aiutano a prevenire le infezioni.
Tutti possiamo fare la nostra parte per affrontare questa minaccia per la salute umana: pazienti, medici, infermieri, farmacisti, veterinari, agricoltori, cittadini e politici”.
Per approfondire
Tumore al seno, una battaglia possibile
News PresaSono circa 3.650 i nuovi casi di tumore al seno diagnosticati ogni anno in Campania, ma l’adesione agli screening oncologici è ben lontana dall’essere soddisfacente. La Campania, tuttavia, potrebbe riscoprirsi in una posizione migliore di quanto non attesti l’ultima rilevazione ministeriale. Esiste infatti un “bug” del sistema informatico regionale deputato alla confluenza dei dati dalle varie strutture sanitarie, e quindi moltissimi esami che di fatto vengono eseguiti in realtà non vengono assolutamente conteggiati nella valutazione delle adesioni. E’ questa una delle incredibili realtà emerse nel corso di un incontro che ha coinvolto i massimi esperti del campo tra i quali Carlo Varelli, Giacomo Cartenì e Michelino De Laurentiis, Mario Fusco, Orlando Catalano, Umberto Ferbo, Gianfranco De Dominicis, Marco Varelli, Matilde Pensabene, Martino Trunfio, Massimiliano D’Aiuto, Roberto D’Alessio, Achille Aveta, e Ferdinando Riccardi. Un’incredibile svista che nei decenni passati non è mai stata notata, ma che ora potrebbe far fare alla Campania un saltò improvviso. La notizia è emersa nel corso dell’incontro dedicato a “attualità in senologia: dalla diagnostica alla terapia. Opinion Leader a confronto”, organizzato da Health In Progress. L’anello mancante nella catena di rilevazione dei dati è legato all’attività diagnostica di strutture private (accreditate e non, che realizzano ogni anno migliaia di esami per intercettare precocemente i tumori. Migliaia di esami i cui risultati non confluiscono nel sistema di raccolta regionale. Cittadini che fanno prevenzione primaria, spesso anche utilizzando i fondi del sistema sanitario regionale, che semplicemente spariscono. Per il sistema sanitario nazionale dei veri e propri “fantasmi”. Colmare questo gap farebbe guadagnare alla Campania punti nelle griglie Lea in un sol colpo, restituendo una situazione ben più reale di quella che attualmente viene dipinta nelle statistiche. Per gli esperti ciò non vuol dire che non serva ancora un grosso sforzo sulle campagne di screening, ma che esiste una quota di cittadini che al momento non viene considerata e che invece è sensibile al tema della prevenzione.
La rivoluzione delle immunoterapie
E’ una vera e propria rivoluzione quella annunciata da Michelino De Laurentiis (direttore della UOC Oncologia Medica Senologica del Pascale) a margine del convegno e che riguarda l’immunoterapia per una forma di tumore del seno particolarmente aggressivo (il triplo negativo). «Finalmente – spiega De Laurentiis – abbiamo trovato il modo di attivare la risposta immunitaria contro il tumore al seno così come già si fa, da qualche anno, con altri tumori. Si concretizza una nuova possibilità di cura per questo sottotipo tumorale particolarmente aggressivo, possibilità che sarà pienamente disponibile per tutti nel giro di 1-2 anni, ma che è già realtà in alcuni centri oncologici ad elevata specializzazione, come il Pascale. Apre, inoltre, un nuovo percorso di ricerca che porterà rapidamente, sono fiducioso, allo sviluppo di tutto un nuovo filone di trattamenti immunoterapici per il tumore al seno». Lo studio si chiama «ImPassion 130» ed è stato presentato in seduta plenaria al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) a Monaco di Baviera. Le pazienti arruolate sono state in tutto 902, tutte donne con tumore mammario «triplo negativo» in fase avanzata e metastatica. De Laurentiis chiarisce che aggiungere un farmaco immunoterapico alla chemioterapia standard migliora in maniera significativa il tempo di controllo della malattia. In particolare, nel sottogruppo di pazienti con espressione tumorale della molecola PDL-1, per la cui scoperta è stato recentemente attribuito il Premio Nobel per la Medicina, l’Atezolizumab ha prodotto una riduzione del rischio di progressione di malattia del 40%. Nello stesso sottogruppo di pazienti, il trattamento sperimentale ha ridotto del 40% circa anche il rischio di morire per il tumore. Questo risultato, in particolare, appare straordinario, visto che in questo sottotipo tumorale mai si era individuato, in precedenza, un farmaco in grado di influire positivamente sul rischio di morire per il tumore.
Diagnosi precoci grazie alla tomosinetsi
Nella diagnosi delle lesioni alla mammella è sempre più diffuso l’utilizzo della tomosinetsi, apparecchiatura che può individuare tumori di piccolissima entità evitando in molti casi di dover ricorrere alla chemioterapia in fase post operatoria. La diffusione della tomosintesi è oggi la novità più interessante per quel che riguarda la diagnosi precoce di lesioni alla mammella, perché offre il 30% di accuratezza diagnostica in più rispetto alle metodologie tradizionali. «Individuare queste minuscole lesioni – spiega il radiologo Carlo Varelli, presidente di Health in Progress – possiamo indirizzare le pazienti verso il percorso più adeguato, evitando il più delle volte che all’intervento debba seguire anche la chemioterapia». Oggi, grazie alle terapie ormonali a bersaglio molecolare, è possibile garantire su molte lesioni individuate precocemente un’alta percentuale di guarigione. La tomosintesi, così come la mammografia, non è un esame invasivo né doloroso. E’ particolarmente indicato per le giovani donne, che anno un tessuto mammario denso e dunque meno responsivo per le piccole lesioni. La tomosintesi mammaria digitale è una tecnologia avanzata che utilizza più immagini radiografiche per ottenere un risultato tridimensionale del seno e aiuta i radiologi a valutare le regioni di interesse libere da altri tessuti sovrapposti.
Nuovi test
«Grazie a test innovativi – chiarisce Giacomo Cartenì (direttore UOC Oncologia AORN Cardarelli) – oggi c’è la possibilità di definire una sorta di identikit del tumore molto accurata, e dunque di evitare la chemioterapia in quei casi per i quali si può intervenire in altro modo. Il cancro rappresenta la principale causa di morte in tutto il mondo e può potenzialmente svilupparsi in qualsiasi tessuto. Comprendere i meccanismi genetici alla base dello sviluppo tumorale è importante sia per prevedere la progressione tumorale sia per mettere a punto nuovi metodi di diagnosi e trattamento. Sebbene ad oggi siano stati identificati numerosi geni coinvolti nello sviluppo e nella progressione tumorale, la maggior parte dei tumori è eterogeneo dal punto di vista genetico, ossia presenta mutazioni multiple in geni diversi». In particolare, il carcinoma della mammella è una malattia eterogenea e pazienti con tumori apparentemente simili per caratteristiche clinico patologiche possono presentare un decorso clinico diverso. Per definire con maggiore precisione la prognosi e selezionare il miglior trattamento per la singola paziente si stanno studiando profili genici con un numero più limitato di geni ed alcuni di questi test, valutati prevalentemente in studi retrospettivi, sono già in uso in alcuni Paesi. Sono oggi disponibili in commercio vari test di analisi dei profili genici
Influenza: già 373 mila casi, picco atteso per dicembre
News PresaL’influenza, solo nell’ultima settimana, ha colpito 112mila persone, per un totale da inizio stagione di circa 373mila casi. L’attività dei virus influenzali è comunque ancora ai livelli di base e il picco è atteso per dicembre. A segnalarlo è l’ultimo bollettino Influnet dell’Istituto superiore di sanità (Iss). Intanto, nell’ultima settimana, l’incidenza totale è già aumentata, arrivando a 1,86 casi per mille assistiti, rispetto alla settimana precedente, in cui era stata di l,71. Ma si tratta di valori ancora sotto la soglia base di 2,74 casi per mille assistiti. I più colpiti sono stati i bambini piccoli (tra 0 e 4 anni) con 4,32 casi per mille assistiti, mentre i valori sono stati più bassi nelle altre fasce d’età: 1,69 casi tra 5 e 14 anni, 1,96 tra 15 e 64 anni, e 1,15 casi negli over 65enni.
Le regioni
Abruzzo, Piemonte, Umbria, Sicilia e Toscana sono le regioni dove i medici sentinella hanno segnalato più casi. Tuttavia, precisa l’Iss, l’incidenza osservata in alcune regioni dipende molto dal ristretto numero di medici e pediatri che hanno inviato, al momento, i loro dati. La sorveglianza sentinella della sindrome influenzale InfluNet è coordinata dall’Iss con il sostegno del Ministero della Salute. La rete si avvale del contributo dei medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, dei referenti presso le Asl e le Regioni.
Violenza di genere. 49 mila le donne arrivate ai centri
PrevenzioneSono 49.152 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza, da quando sono stati istituiti. Di queste, solo 29.227 hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. L’Italia, però, fa troppo poco per combattere i femminicidi e la violenza di genere. A dirlo sono stati gli esperti di Grovio (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence) ad EstremeConseguenze.it. Oggi, in vista della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, dalle 14, a Roma, partirà da piazza della Repubblica “Non Una di Meno”, la manifestazione ” contro la violenza di genere ”.
I centri contro la violenza di genere: i numeri Istat
L’Istat ha svolto per la prima volta l’indagine sui servizi offerti dai Centri antiviolenza alle donne vittime, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari opportunità (Dpo) presso la Presidenza del Consiglio, le regioni e il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr – Irrps). L’indagine è stata effettuata nei mesi di giugno – luglio 2018 e sono stato intervistati 281 centri antiviolenza rispondenti ai requisiti dell’Intesa del 2014. Tra questi 253 hanno completato il questionario, di cui si rilasciano i primi dati.
Le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza sono 49.152, di queste 29.227 hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. Il numero medio di donne prese in carico dai centri (115,5) è massimo al Nord-est (170,9) e minimo al Sud (47,5). Il 26,9 delle donne è straniera e il 63,7% ha figli, che sono minorenni in più del 70% dei casi.
I centri forniscono in prevalenza servizi di ascolto e accoglienza, supporto legale, orientamento e accompagnamento ad altri servizi, supporto psicologico, aiuto nel percorso di allontanamento dal partner violento, orientamento lavorativo, sostegno all’autonomia. In alcuni casi il servizio è fornito direttamente dal centro, in altri, dal centro in collaborazione con i servizi sul territorio, in altri ancora, il centro assolve la funzione di indirizzamento.
La maggior parte dei centri, l’85,8%, lavora in rete con altri enti della rete territoriale e quasi tutti, il 95,3%, aderiscono al numero verde nazionale 1522 contro la violenza e lo stalking.
La possibilità di contattare il centro antiviolenza da parte delle donne è elevata, il 68,8% ha messo a disposizione una reperibilità H24, il 71,1% ha attivato un servizio di segreteria telefonica negli orari di chiusura e il 24,5% possiede un numero verde dedicato.
Sono circa 4.400 le operatrici che nel 2017 hanno lavorato presso i centri antiviolenza, di queste il 56,1% è stato impegnato esclusivamente in forma volontaria. Le figure professionali che sono maggiormente presenti nei centri, coerentemente con i servizi prestati, sono le avvocate, le psicologhe e le operatrici di accoglienza.
Il 93% dei Centri antiviolenza prevede una formazione obbligatoria per le operatrici che sono impegnate presso il centro. Nell’85% dei casi è il centro stesso che ha organizzato corsi di formazione per il personale.
Azzurri del rugby in visita dai bambini del Gemelli
News PresaA sostenere i beniamini dell’Italrugby domani ci saranno anche alcuni pazienti dell’Oncologia Pediatrica del Gemelli. Accompagnati da medici e operatori sanitari, i bambini assisteranno a bordo campo al match spettacolare della Nazionale Italiana contro la Nuova Zelanda. Ieri pomeriggio, invece, sono stati proprio i giocatori della Nazionale a fare visita ai bambini ricoverati nei reparti di Pediatria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. Gli azzurri del rugby, che sfideranno domani all’Olimpico di Roma gli All Blacks, hanno portato doni e sorrisi ai piccoli degenti e alle loro famiglie, impegnati anch’essi nella loro “partita” per la guarigione.
Gli atleti della nazionale Guglielmo Palazzini e Edoardo Padovani insieme ai dirigenti della Federazione Italiana Rugby hanno fatto ‘irruzione’ tra i reparti per portare un po’ di allegria ai bambini. La visita è stata organizzata in collaborazione con le associazioni di volontariato Coccinelle per l’Oncologia Pediatrica Onlus e L’Albero della Vita, gli azzurri del rugby si sono intrattenuti con i bimbi e ragazzi ricoverati e hanno donato loro il berretto blu a righe nere della Federazione Italiana Rugby, improvvisando qualche lancio di palla ovale con i piccoli pazienti.
Si tratta di un’altra occasione che si inserisce nel progetto di collaborazione tra la Federazione Italiana Rugby e la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS per la gestione di tutte le attività mediche di emergenza sanitaria e di pronto soccorso a favore di pubblico, atleti, loro accompagnatori e del personale in servizio. Anche nel Test Match Italia – Nuova Zelanda di domani un team di medici e operatori sanitari del Gemelli, specializzato nella gestione delle emergenze e urgenze, sarà bordo campo per dare supporto medico.
Si chiude il Simposio FAO su “Agricultural Innovation for Family Farmers”
News PresaSi chiude oggi il Simposio FAO su “Agricultural Innovation for Family Farmers”: la tre giorni romana a cui ha preso parte anche il CREA. “Non si può fare innovazione senza tenere conto che nel mondo, così come in Italia, le aziende agricole familiari rappresentano la stragrande maggioranza del totale – ha detto il presidente CREA Salvatore Parlato – Per questo la ricerca deve impegnarsi a elaborare soluzioni per i grandi problemi dall’agricoltura mondiale, come per esempio il cambiamento climatico, che siano alla loro portata, facili da trasferire e da applicare”.
La partecipazione del CREA si colloca nell’ambito del Memorandum of Understanding, sottoscritto con la FAO dai principali quattro Enti di Ricerca che si occupano di agricoltura ed ambiente in Italia (CREA, CNR, ENEA, ISPRA) al fine di promuovere azioni concrete di cooperazione internazionale sul contrasto della fame e l’azzeramento della povertà, in collaborazione con la Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite. In questo quadro, gli Enti del Memorandum (siglato nel 2015) metteranno a disposizione 10 borse di studio per giovani ricercatori provenienti da Paesi in via di sviluppo, da formare presso le loro strutture di ricerca.
Nella 3 giorni romana, l’esperienza della ricerca CREA a sostegno dell’agricoltura familiare italiana, vero motore delle eccellenze made in Italy, è stata al centro di vari momenti. Sono state illustrate le innovazioni già trasferibili alle realtà produttive (agricoltura digitale, biotecnologie pulite, tecnologie per la trasformazione e conservazione dei prodotti alimentari, riciclo degli elementi nutritivi, processi a basso costo energetico, ecc.). Sono stati offerti prodotti della Dieta Mediterranea, patrimonio dell’UNESCO.
Domani, invece, 50 delegati del Simposio, scelti dalla FAO, parteciperanno a una escursione tecnico-scientifica al polo CREA di Tor Mancina per visitare i Centri di ricerca di Zootecnia e Acquacoltura ed Ingegneria e Trasformazioni Agroalimentari nonché l’azienda agraria. Scopo della visita è anche quello di presentare alle organizzazioni internazionali le potenzialità che il polo tecnologico romano degli Enti di Ricerca ed in modo particolare quello di Tor Mancina può svolgere nel trasferimento dell’innovazione, innescando un percorso virtuoso di collaborazione tra Paesi in via di sviluppo e l’Italia.