Tempo di lettura: 6 minutiNel 2017 non ha avuto accesso alle cure oltre un cittadino su tre (37,3%, il 6% in più rispetto all’anno precedente) fra quelli che si sono rivolti a Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. Le liste di attesa, soprattutto per esami diagnostici come mammografie, risonanze e tac, e i costi a carico dei cittadini, in modo particolare per ticket, farmaci e prestazioni in intramoenia, restano gli scogli più grandi da superare per avere accesso alla sanità, come emerge dal Rapporto Pit.
Il Rapporto PIT Salute
Si attendono in media 15 mesi per una cataratta, 13 mesi per una mammografia, 12 mesi per una risonanza magnetica, 10 per una Tac e per una protesi d’anca, 9 mesi per un ecodoppler e 7 per una protesi al ginocchio. E se i costi dei ticket per esami diagnostici e visite restano la prima voce di spesa segnalata dai cittadini, crescono anche quelli per i farmaci e per le prestazioni in intramoenia. Non solo. Aumentano anche le problematiche relative all’assistenza territoriale, in particolare per quella di base erogata da medici di famiglia e pediatri. Diminuiscono invece le segnalazioni di presunti errori medici e i disagi legati al riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap. A fare il quadro della sanità italiana vista dai cittadini è il XXI Rapporto PIT Salute, dal titolo “Tra attese e costi, il futuro della salute in gioco”, presentato oggi da Cittadinanzattiva – Tribunale per i diritti del malato, con il sostegno non condizionante di FNOPI, FNOMCeO e FOFI. Il report si basa sull’analisi di 20.163 contatti gestiti, fra gennaio e dicembre 2017, dal PiT Salute della sede nazionale, dalle sedi del Tribunale per i diritti del malato presenti sul territorio nazionale e dai servizi PiT Salute locali.
“Chiediamo che Governo e Parlamento approvino con questa Legge di Bilancio l’abrogazione del Superticket, un balzello che ostacola l’accesso alle cure e che incide negativamente sui redditi delle famiglie e sulle casse del SSN. Contemporaneamente chiediamo l’immediata approvazione del nuovo Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa 2018-2020 trasmesso dal Ministero della Salute alla Conferenza delle Regioni. Inoltre è prioritario dare finalmente risposte alle fragilità attuando in tutte le Regioni il Piano Nazionale della Cronicità approvato ormai due anni fa ma recepito solo da sette Regioni. Le disuguaglianze che attraversano il SSN devono essere contrastate. Invece, purtroppo, le proposte di autonomia differenziata avanzate da alcune Regioni, e che ora si trovano sul tavolo del Governo, vanno nella direzione esattamente opposta e rischiano, a quarant’anni dall’Istituzione del SSN, di mandare in soffitta i suoi principi fondanti come quelli della solidarietà e dell’equità”, dichiara Tonino Aceti Coordinatore Nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva.
PIT: costi in aumento per farmaci e prestazioni in intramoenia
Il peso economico dei ticket resta la prima voce in questo ambito. Crescono quelle relative al costo dei farmaci e delle prestazioni in intramoenia (rispettivamente del +4,4% e del +1,6%). L’accesso alle visite e agli esami e il costo dei farmaci restano dunque per molti cittadini ancora un problema di natura economica, soprattutto per chi non ha facilitazioni quali esenzioni per reddito (come nel caso degli inoccupati) o per patologia (perché non riconosciuta formalmente o durante il percorso di accertamento della diagnosi).
Crescono le liste di attesa
Aumentano le segnalazioni di tempi di attesa lunghi, denunciate da oltre la metà dei cittadini (56% nel 2017, era il 54% nel 2016). Si attende soprattutto per le visite specialistiche (39%) e per gli interventi di chirurgia (30%); seguono le liste di attesa per gli esami diagnostici (20,8%) e infine anche per la chemio e radioterapia che arrivano al 10% e fanno registrare un aumento del 100% rispetto all’anno precedente.
Assistenza territoriale
Circa il 15% dei cittadini segnala carenze nell’assistenza territoriale, in particolare incontrano difficoltà nell’assistenza primaria di base, ossia quella erogata da medici di famiglia, pediatri e guardie mediche. Tra le segnalazioni: il rifiuto delle prescrizioni (30,6%), l’inadeguatezza degli orari (20,7%), la sottostima del problema segnalato dal paziente (15,6%). La seconda voce è quella dell’assistenza residenziale, per la quale i cittadini lamentano i costi eccessivi (35%), la scarsa assistenza medico-infermieristica (28,9%), le lunghe liste di attesa (24,6%). Scarsa qualità del servizio, carenza di strutture e di posti letto sono invece i problemi indicati dal Pit come prioritari per la riabilitazione in ricovero (50,3%), domiciliare (26,9%) e ambulatoriale (23,7%). In particolare, per i servizi di riabilitazione a domicilio, le persone lamentano disagi nella erogazione del servizio (58,7%) e ore insufficienti (41,3%). In tema di assistenza domiciliare, un terzo circa dei cittadini segnala problemi di informazione e di eccessiva burocrazia, mentre circa il 14% lamenta l’inesistenza del servizio sul proprio territorio. Chi ne risente di più sono adulti con gravi disabilità (47.3%), anziani appena operati o dimessi (27,7%), malati cronici (18%) e bambini con disabilità (7%).
Invalidità ed handicap
Se pur in calo rispetto allo scorso anno, le segnalazioni inerenti l’invalidità civile (12,2%) mostrano come sempre la lentezza dell’iter burocratico (50,5%), a seguire l’esito negativo degli accertamenti (26,7%) e i lunghi tempi per l’erogazione dei benefici e delle agevolazioni (16,6%). Per la convocazione a prima visita si può attendere fino a 7 mesi e mezzo, per la ricezione del verbale fino a 9 mesi e mezzo e per la erogazione dei benefici economici anche 12 mesi. In media per tutto l’iter il cittadino attende 12 mesi.
Presunta malpractice e sicurezza delle cure
Come già emerso negli anni precedenti, diminuiscono ancora le segnalazioni di presunti errori nella pratica medica ed assistenziale: nel 2017 si arriva al 9,8% rispetto al 13,3% del 2016. Per circa il 46% si tratta di presunti errori di diagnosi e terapie. Per la diagnosi le prime tre aree segnalate sono quelle dell’oncologia (20,5%), dell’ortopedia (15,8%) e della ginecologia ed ostetricia (11,7%). Per gli errori terapeutici invece le prime tre aree sono: ortopedia (21%), chirurgia generale (13,5%), ginecologia ed ostetricia (11,5%). Preoccupa, invece, l’incremento di segnalazioni sulle cattive condizioni delle strutture che salgono dal 30,4% al 33,4%. In particolare, i cittadini denunciano macchinari obsoleti o rotti, ambienti fatiscenti, scarsa igiene nei bagni o negli spazi comuni. Un trend in aumento negli anni è quello relativo alle infezioni contratte in ambiente sanitario (4,9%).
Assistenza ospedaliera e mobilità
Le segnalazioni su assistenza ospedaliera e mobilità sanitaria rappresentano il 9% del totale. In particolare, in tema di assistenza ospedaliera che raccoglie l’86% delle lamentale, i cittadini denunciano le carenze della rete di emergenza-urgenza, per le lunghe attese al Pronto soccorso (44,4%), la scarsa trasparenza nell’assegnazione del triage (36,2%), e la richiesta di ticket (9,1%). La seconda voce è quella della mobilità sanitaria (14%), per la quale le persone incontrano problemi relativi ai rimborsi spesa per le cure fuori regione o in altri paesi europei o anche la mancata autorizzazione da parte della ASL.
Farmaci
Si attestano al 3,4% i contatti relativi a problemi nell’accesso ai farmaci. In testa, evidenzia il Pit, le difficoltà nell’accesso ai farmaci innovativi per l’epatite C(30,4% ma in netto calo rispetto al 44,4% del 2016); seguono, in aumento, le segnalazioni per i farmaci non disponibili (28,2%) e quelle riguardanti la spesa privata per i farmaci (20,4%), compresi quelli per i quali l’accesso è regolato da nota limitativa (6,4%). Aumentano le difficoltà anche per i farmaci con piano terapeutico (5,4%) e off label (4,6%). Le aree cliniche più interessate dai problemi di accesso ai farmaci sono l’epatologia (28,2%), l’oncologia (10,7%), l’oculistica (10,6%) e la neurologia (9,8%).
“I dati presentati oggi al PIT Salute impongono a tutti gli attori del sistema salute il compito di trovare soluzioni per garantire ai cittadini il rispetto dei loro diritti, incluso l’accesso alle cure più appropriate su tutto il territorio nazionale. Per vincere le sfide di oggi e di domani è necessario un impegno sinergico.” – ha affermato nel corso della presentazione Silvia De Dominicis, Presidente e Amministratore Delegato di Johnson & Johnson Medical (che ha sostenuto il progetto).
Tra le iniziative promosse da Johnson & Johnson Medical Italia c’è la COLON Mis Accademy, iniziativa di formazione unica in Italia realizzata con l’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani per diffondere presso i clinici le migliori pratiche di trattamento mini – invasivo per il tumore al colon retto, la seconda forma di cancro più comune in Italia facendo sì che i pazienti accedano allo standard di cura migliore ed in linea con l’evidenza clinica più recente, con relativi importanti benefici sulla loro qualità della vita; lo sviluppo di piattaforme tecnologiche “end-to-end” che supportano la gestione del percorso del paziente prima, durante e dopo l’intervento chirurgico con riduzione dei tempi dell’intervento chirurgico e della degenza, anche da 9 a 6 giorni; soluzioni digitali e consulenziali per aumentare l’efficienza nell’utilizzo della sala operatoria con l’obiettivo anche di aumentare il numero di interventi e conseguentemente ridurre le liste d’attesa; Sistemi per la gestione dei flussi di approvvigionamento ed utilizzo dei dispositivi medici;Sistemi per la gestione dell’inventario che utilizzano la tecnologia della RFID (identificazione a radiofrequenza) per controllare e tracciare tutti i dispositivi medici utilizzati nel corso di un intervento chirurgico, con una possibile riduzione del 73%*del tempo che lo staff operatorio deve dedicare alle pratiche amministrative in modo che medici ed infermieri possano dedicare maggior tempo a prendersi cura dei pazienti ed ottimizzare i tempi di gestione delle sale operatorie. Infine vi è anche l’impegno nella creazione di un ecosistema digitale che – grazie a sale operatorie virtuali, app di simulazione chirurgica 3D, sensori e analisi dei dati in tempo reale – trasformi la chirurgia per rispondere in modo più puntuale ai bisogni di salute dei pazienti.
*(Fonte: Dato di implementazione del Fatebenefratelli)
Tumore prima causa di invalidità sul lavoro. I numeri dal convegno PreSa
News PresaIn Italia, tra il 2009 e il 2015, sono stati spesi circa 9,3 miliardi di euro in prestazioni previdenziali a favore di soggetti affetti da un tumore. Ogni anno circa 142.000 lavoratori percepiscono un assegno a causa di una diagnosi di tumore. Quest’ultima, è la prima causa sia di invalidità sia di inabilità per i lavoratori. I numeri sono stati rivelati in occasione del convegno sulla giornata di sensibilizzazione nazionale sul lavoro salute e disabilità, organizzata dal network PreSa – Prevenzione e Salute. Su circa 460 mila beneficiari totali di prestazioni previdenziali, per tutti i tipi di patologie, il 31% ha una diagnosi di tumore. Lo studio è stato coordinato dal professor Francesco Saverio Mennini dell’Università Tor Vergata. L’evento annuale di PreSa è stato la conclusione di un’iniziativa di sensibilizzazione partita dalle piazze italiane nei giorni scorsi. In molte città è stata distribuita la “spilla della salute sul lavoro” e un vademecum sui consigli per una corretta prevenzione. “Sul tema della salute sui luoghi di lavoro c’è necessità di più informazione” ha ribadito il direttore scientifico di PreSa, Marco Trabucco Aurilio.
Prevenire per ridurre anche la spesa
Per quanto riguarda l’assegno di invalidità, ha spiegato il prof. Mennini, viene erogato dall’Inps solo se il grado di invalidità è tra il 67% e il 99%, mentre la pensione è soltanto per i lavoratori inabili al 100%. Quindi, la prevenzione sul lavoro è una strada fondamentale da percorrere, anche per ridurre i costi. Claudio Durigon, sottosegretario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, intervenuto alla tavola rotonda, ha detto: “il Governo, a fine novembre, ha approvato tre disegni di legge di ratifica di convenzioni internazionali riguardanti la prevenzione degli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e sta dando un forte segnale di attenzione verso questi argomenti che sono di estrema importanza per l’economia del Paese.
I premi
Anche quest’anno, PreSa ha conferito dei riconoscimenti a personalità che si sono distinte nei propri ambiti a favore del superamento delle disabilità. Sono stati premiati:
Influenza: iniziata la fase epidemica. Picco per Natale
News PresaNatale è alle porte e quest’anno porta in dono il picco influenzale. Aumentano, infatti, i casi di influenza stagionale, dando inizio alla fase epidemica già preannunciata negli scorsi mesi dall’Osservatorio Influnet dell’Iss.
Già oltre 800mila gli italiani a letto, ma i più colpiti sono i bambini. L’incidenza in Italia è pari a 2,78 casi per ogni mille assistiti (che supera, quindi, il valore di 2,74 casi per mille assistiti che è il valore minimo indicato per l’inizio ‘ufficiale’ dell’epidemia). A rivelare i dati è l’ultimo bollettino Influnet dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Secondo il bollettino, che si riferisce al periodo fino al 9 dicembre, la fascia di età maggiormente colpita è quella dei bimbi al di sotto dei cinque anni, in cui si osserva un’incidenza pari a 6,88 casi per mille assistiti. “Il numero di casi stimati in questa settimana è pari a circa 168mila – scrivono gli esperti dell’Iss – per un totale, dall’inizio della sorveglianza, di circa 814mila casi. Lombardia, P.A. di Trento, Abruzzo e Molise sono le Regioni con la più alta incidenza”.
Ad oggi, segnala il rapporto, l’andamento della curva epidemica è paragonabile a quello della scorsa stagione influenzale, il cui picco si registrò nelle prime settimane di gennaio. Infatti, nonostante il dato riscontrato dell’incidenza sia di 2,78 casi ogni mille assistiti e, quindi, la soglia sia in teoria già superata, trattandosi di una differenza molto piccola, spiegano gli esperti, c’è ancora un margine di incertezza. Dal prossimo bollettino si potrà parlare, con sicurezza, di soglia superata.
Il laser che brucia il tumore della prostata
News PresaSi chiama chirurgia focale e riguarda il tumore alla prostata. È una tecnica mini-invasiva che grazie ad un laser non termico e a bassa potenza riesce a trattare in maniera efficace (almeno in parte) i tumori della prostata allo stadio iniziale. «La chirurgia focale – spiega Vincenzo Mirone, professore ordinario di Urologia presso l’Università degli studi Federico II di Napoli – impiega un laser non termico a bassa potenza che uccide le cellule tumorali, preservando il tessuto sano circostante, tramite un processo di foto-attivazione. Le fibre laser vengono introdotte nella prostata attraverso la regione perineale e sotto la guida di un sofisticato sistema ecografico. Si utilizza, quindi, un farmaco denominato padeliporfina, capace di attivarsi solo nella parte della prostata illuminata dal Laser, preservando la funzionalità urinaria e sessuale. Tuttavia le indicazioni al trattamento sono molto precise, nel senso che non tutti i pazienti possono essere sottoposti a terapia focale: il tumore deve essere di bassa aggressività e deve essere localizzato esclusivamente in un solo lobo della prostata».
Bruciare il tumore
L’efficacia del trattamento “Tookad” è quattro volte superiore a tutte le altre metodiche di chirurgia focale. Questo nuovo trattamento brucia fino a necrotizzare le cellule tumorali, senza danni per i tessuti sani circostanti, ed è in grado di ridurre in modo significativo il successivo sviluppo di tumori di grado superiore, permettendo a molti pazienti di poter passare a un trattamento radicale (terapia chirurgica o radioterapia) in percentuali nettamente inferiori alla sorveglianza attiva: a 2 anni con probabilità del 7% vs 32% della sorveglianza attiva, a 3 anni del 15% vs 44 e a 4 anni del 24% vs 53%. Molti sono i vantaggi per i pazienti in termini di mantenimento della qualità di vita, anche in soggetti a rischio di progressione: dalla riduzione della durata dell’intervento (solo 1 ora e mezza), ai minimi tempi di recupero (entro 24 ore il paziente torna a casa), all’abbattimento degli effetti collaterali con quasi totale assenza di dolore post operatorio, minimi effetti sulla funzione urinaria e elevata possibilità di preservare sia l’eiaculazione che la potenza sessuale.
Solo a pagamento
L’uso del laser fotodinamico è stato approvato in oltre 31 paesi dell’Unione Europea (UE), oltre che in Israele. Tra i Paesi UE c’è anche l’Italia, dove l’innovativa chirurgia è in fase di partenza in diverse strutture private. Il farmaco non rientra nell’elenco delle procedure riconosciute e rimborsate dal Sistema Sanitario Nazionale, motivo per cui il trattamento, a oggi, può essere effettuato esclusivamente in regime privato. «A pochi giorni dal centenario della Clinica Ruesch (anno di fondazione 1919 ndr.), siamo assolutamente entusiasti di confermare, anche attraverso quest’occasione, l’attenzione verso le procedure medico-chirurgiche innovative ad alto contenuto tecnologico a salvaguardia del paziente che per tradizione contraddistingue il nostro modus operandi. – commenta Francesco Merlino, direttore generale Clinica Ruesch – Con questo spirito accogliamo le migliori professionalità mediche e le tecnologie di massima avanguardia al fine di offrire percorsi di prevenzione e cura sempre aggiornati, evoluti e sicuri, contribuendo a migliorare la qualità di vita. Siamo quindi onorati di collaborare con l’equipe coordinata da Vincenzo Mirone, che con questa giornata darà ufficialmente inizio in Clinica Ruesch all’applicazione dell’innovativa metodica mini-invasiva “Tookad” per sostenere la lotta contro il cancro alla prostata che oggi affligge una vasta porzione della popolazione maschile adulta compromettendo la qualità e lo stile di vita delle persone. Questa iniziativa si affianca a quelle già in corso tra le quali citiamo i programmi di prevenzione profilati per sesso, età e fattori di rischio, in linea con un approccio di medicina personalizzata, predittiva e di precisione che rappresentano il futuro – ma già anche il presente – della cultura medica più avanzata, in un’ottica che pone il paziente con le sue caratteristiche individuali al centro della nostra attività di diagnosi e cura. Per la Clinica Ruesch la salute delle persone è un bene prezioso e lo dimostriamo prendendocene cura oramai da cento anni».
Sanità pubblica, 40 anni di assistenza
News PresaQuarant’anni fa nasceva la sanità pubblica, oggi ricevere assistenza nelle strutture pubbliche sembra scontato e spesso ci si lamenta per ciò che non va. Per certi versi la Sanità pubblica è sotto attacco, e il rischio più concreto è che l’Italia possa sbandare verso il sistema utilizzato in altri paesi, dove la salute dei cittadini è in mano alle assicurazioni. Ieri, in occasione delle celebrazioni per i 40anni, la ministra Giulia Grillo ha posto un argine a questo timore: «Vi posso assicurare – ha detto – che non cederemo alla privatizzazione dei diritti fondamentali dei cittadini: universalismo, gratuità ed equità continueranno ad essere la base del nostro sistema di cure».
I giovani
La ministra ha anche chiarito che senza giovani la sanità pubblica non ha futuro. Poi ha parlato di disparità. «Dobbiamo lavorare insieme per sanare le intollerabili disparità tra diverse aree del Paese nell’accesso a trattamenti fondamentali. Il divario di accesso, soprattutto tra Regioni ma anche all’interno di ogni singola Regione ci costringe a riconoscere come rimangano aree interne, e cittadini che vi abitano, ancora non equamente tutelati. E questo non è tollerabile». Tutto ciò si è tradotto, ha avvertito, “non soltanto in una emigrazione sanitaria che in certi territori ha assunto caratteri allarmanti, ma nel rischio di una disgregazione del Sistema”. Oggi, ha quindi argomentato il ministro, “da parte di alcuni territori arriva la richiesta di maggiore autonomia, ma queste istanze devono tener conto dell’aspetto costituzionale i cui capisaldi sono rappresentati proprio dalla necessità di una tutela uniforme del diritto alla salute»
Gli sprechi
Uno dei temi che maggiormente infiammano gli animi dei cittadini è quello dello spreco di risorse. La salute, ha detto la ministra, «è la prima impresa del Paese con oltre 2 milioni di persone che ogni giorno vi lavorano: il successo o l’insuccesso del Sistema sanitario nazionale sarà determinato esclusivamente dalla capacità di individuare un nuovo modello e rimediare alle storture oggi presenti. Eliminare le dispersioni di denaro pubblico soppesando attentamente quale sia la migliore qualità delle prestazioni per ogni livello di spesa. Oggi non possiamo permetterci sbagli né alcune debolezze del passato». Il problema, ha detto Grillo, «non è spendere meno ma spendere meglio: mi piacerebbe che affrontassimo il tema della salute dei cittadini come se parlassimo di investimento per il futuro».
Sindrome di Brugada. Cosa provoca le aritmie fatali
PrevenzioneNel 75% dei casi di sindrome di Brugada (malattia rara che colpisce il cuore), alla base delle aritmie c’è un’anomalia del muscolo cardiaco e uno stato infiammatorio anomalo. Grazie a questa recente scoperta, da oggi è possibile predire quali dei pazienti con la sindrome sono a rischio di aritmie e di morte cardiaca improvvisa, soprattutto quando si tratta di soggetti giovani che sono considerati sani.
La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista Journal of the American College of Cardiology, è stata coordinata dal professor Antonio Oliva, dell’Istituto di Sanità Pubblica dell’Università Cattolica, UOC Medicina Legale, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS. Lo studio è stato supportato da un finanziamento della Fondazione Telethon assegnato a Maurizio Pieroni del Dipartimento Cardiovascolare e Neurologico dell’Ospedale San Donato di Arezzo e al professor Oliva in collaborazione con Ramon Brugada dell’Università di Girona in Spagna, che ha scoperto la sindrome. “Con questo studio – spiega il professor Oliva – si è fatta luce sui meccanismi biologici che determinano il rischio di aritmie fatali nei pazienti affetti da sindrome di Brugada”.
La malattia: numeri e fattori di rischio
La sindrome di Brugada è una rara patologia del cuore su base genetica, ad ereditarietà autosomica dominante, legata ad una disfunzione di un gene SCN5A, localizzato sul cromosoma 3, il quale regola il funzionamento dei canali ionici che sono proteine con funzione di “porte” situate sulla superficie cellulare, attraverso cui gli ioni (sodio, potassio, magnesio e calcio) escono ed entrano dalla cellula. Si stima che nel mondo ci siano cinque casi di sindrome di Brugada ogni diecimila individui. Viene diagnosticata soprattutto in età adulta, a volte durante l’adolescenza mentre in età infantile può spiegare alcuni casi di sindrome della morte in culla. Sono gli uomini i più colpiti, con un’incidenza da otto a dieci volte maggiore di quella del sesso femminile. I decessi si verificano fra i 30 e i 40 anni. Oltre al sesso, anche la familiarità è uno dei fattori di rischio maggiori.
Tuttavia, tra tutti i soggetti con sindrome di Brugada, fortunatamente solo la minoranza va incontro ad aritmie fatali. La grande sfida per i cardiologi è proprio quella di individuare, tra i soggetti asintomatici ma con un elettrocardiogramma diagnostico, quelli maggiormente a rischio di aritmie gravi. Sin dalle prime descrizioni agli inizi degli anni ’90 la sindrome di Brugada, è stata considerata un disturbo esclusivamente dell’“impianto elettrico del cuore”. “Con questo lavoro abbiamo ulteriormente dimostrato che importanti alterazioni del muscolo cardiaco sono presenti nella maggior parte dei pazienti che sono alla base delle alterazioni elettriche e delle aritmie fatali”, spiega il professor Antonio Oliva.
Lo studio
Lo studio si è basato sul prelievo di campioni di muscolo cardiaco e sulla mappatura elettrica del cuore di pazienti che sono stati prima sottoposti ad un esame elettrocardiografico diagnostico per Sindrome di Brugada, mostrando delle aree con anomalie sul fronte del funzionamento elettrico. È stato poi eseguito lo screening genetico dei pazienti. In particolare l’esame al microscopio dei campioni biologici prelevati ha evidenziato che in oltre il 75% dei casi è presente un’infiammazione del muscolo cardiaco e che tale infiammazione è maggiormente presente tanto più sono estese le aree cardiache anomale. In altre parole, la propensione ad avere aritmie gravi potrebbe aumentare con l’aumentare dell’estensione dell’area anomala ed in presenza di infiammazione del muscolo cardiaco.
“Questa scoperta, oltre ad importanti significati prognostici, avrà probabilmente importanti ripercussioni anche terapeutiche” – conclude il professor Oliva. “Negli Stati Uniti è stata già sperimentata l’efficacia della terapia anti-infiammatoria con cortisonici in aggiunta alle terapie convenzionali, nel debellare aritmie gravi in casi di soggetti affetti dalla sindrome”.
“La sindrome di Brugada – commenta il professor Filippo Crea, direttore del Dipartimento di Scienze cardiovascolari e toraciche del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – Università Cattolica – è caratterizzata da un’alterazione dell’elettrocardiogramma che porta il paziente all’attenzione del cardiologo. È stata considerata finora una malattia genetica che provocando un’alterazione funzionale delle cellule cardiache, aumenta il rischio di morte improvvisa. Questo studio mette la sindrome di Brugada in una luce completamente nuova, dimostrando che non solo alterazioni genetiche ma anche un’infiammazione del cuore può causare la sindrome di Brugada. Apre pertanto nuove strade per l’identificazione dei pazienti con sindrome di Brugada ad alto rischio di morte improvvisa che necessitano dell’impianto di un defibrillatore”.
Lavoro in salute? La parola agli esperti
News PresaLavoro, salute e disabilità. Sono questi i temi dei quali si discuterà oggi (mercoledì 12 dicembre) a Palazzo Doria Pamphilj di Roma, in occasione del convegno annuale di PreSa – Prevenzione Salute. L’evento di quest’anno mira ad analizzare il contesto sanitario ed economico in cui operano i lavoratori affetti da patologie ad alto impatto invalidante. Durante l’incontro sarà reso noto uno studio condotto dalla facoltà di Economia dell’Università Tor Vergata, volto ad analizzare la relazione tra patologie oncologiche e lavoratori. «PreSa vuole contribuire a diffondere le best practice sulla prevenzione -spiega il direttore scientifico Marco Trabucco Aurilio – affinché si realizzi pienamente il diritto alla salute inteso come benessere psicofisico completo dell’individuo e della collettività. Analizzare il tema della disabilità legata al mondo del lavoro, significa, anche, sensibilizzare l’opinione pubblica e gli operatori del settore agli sforzi messi in campo dalla ricerca». E proprio in questi giorni in moltissime piazze d’Italia sono state distribuite le spille della “salute sul lavoro”, ideate da PreSa per sensibilizzare i cittadini sul tema della salute e sicurezza dei lavoratori.
Parterre d’eccezione
All’evento prenderanno parte, tra gli altri, Claudio Durigon (Sottosegretario di Stato del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) Laura Castelli (Sottosegretario di Stato del Ministero dell’Economia), Luigi Francesco De Leverano (Sottocapo di Stato Maggiore della Difesa), Davide Faraone (Componente Commissione Igiene e Sanità al Senato), Giusy Versace (Componente Commissione Affari Sociali alla Camera), Maria Bianca Farina (Presidente ANIA e Poste Italiane, Massimo Inguscio (Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche ), Giuseppe Lucibello (Direttore Generale INAIL), Andrea Magrini (Direttore Sanitario Policlinico Tor Vergata e Ordinario di medicina del lavoro), Francesco Saverio Mennini (Research Director EEHTA del CEIS Facoltà di Economia, Università di Roma Tor Vergata e Kingston University, Londra), Giovanni Paura (Direttore Centrale Comunicazione e Pianificazione – INAIL) Manlio Del Giudice (Professore di Economia Università degli Studi Link Campus), Enrico Piccinini (General Manager Sanofi Genzyme Italia e Malta), Pietro Scurti (Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale), Paolo Bandiera (Direttore Affari Generali Associazione Italiana Sclerosi Multipla AISM).
Rapporto PIT Salute: costi e attese bloccano accesso alle cure
Economia sanitariaNel 2017 non ha avuto accesso alle cure oltre un cittadino su tre (37,3%, il 6% in più rispetto all’anno precedente) fra quelli che si sono rivolti a Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. Le liste di attesa, soprattutto per esami diagnostici come mammografie, risonanze e tac, e i costi a carico dei cittadini, in modo particolare per ticket, farmaci e prestazioni in intramoenia, restano gli scogli più grandi da superare per avere accesso alla sanità, come emerge dal Rapporto Pit.
Il Rapporto PIT Salute
Si attendono in media 15 mesi per una cataratta, 13 mesi per una mammografia, 12 mesi per una risonanza magnetica, 10 per una Tac e per una protesi d’anca, 9 mesi per un ecodoppler e 7 per una protesi al ginocchio. E se i costi dei ticket per esami diagnostici e visite restano la prima voce di spesa segnalata dai cittadini, crescono anche quelli per i farmaci e per le prestazioni in intramoenia. Non solo. Aumentano anche le problematiche relative all’assistenza territoriale, in particolare per quella di base erogata da medici di famiglia e pediatri. Diminuiscono invece le segnalazioni di presunti errori medici e i disagi legati al riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap. A fare il quadro della sanità italiana vista dai cittadini è il XXI Rapporto PIT Salute, dal titolo “Tra attese e costi, il futuro della salute in gioco”, presentato oggi da Cittadinanzattiva – Tribunale per i diritti del malato, con il sostegno non condizionante di FNOPI, FNOMCeO e FOFI. Il report si basa sull’analisi di 20.163 contatti gestiti, fra gennaio e dicembre 2017, dal PiT Salute della sede nazionale, dalle sedi del Tribunale per i diritti del malato presenti sul territorio nazionale e dai servizi PiT Salute locali.
“Chiediamo che Governo e Parlamento approvino con questa Legge di Bilancio l’abrogazione del Superticket, un balzello che ostacola l’accesso alle cure e che incide negativamente sui redditi delle famiglie e sulle casse del SSN. Contemporaneamente chiediamo l’immediata approvazione del nuovo Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa 2018-2020 trasmesso dal Ministero della Salute alla Conferenza delle Regioni. Inoltre è prioritario dare finalmente risposte alle fragilità attuando in tutte le Regioni il Piano Nazionale della Cronicità approvato ormai due anni fa ma recepito solo da sette Regioni. Le disuguaglianze che attraversano il SSN devono essere contrastate. Invece, purtroppo, le proposte di autonomia differenziata avanzate da alcune Regioni, e che ora si trovano sul tavolo del Governo, vanno nella direzione esattamente opposta e rischiano, a quarant’anni dall’Istituzione del SSN, di mandare in soffitta i suoi principi fondanti come quelli della solidarietà e dell’equità”, dichiara Tonino Aceti Coordinatore Nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva.
PIT: costi in aumento per farmaci e prestazioni in intramoenia
Il peso economico dei ticket resta la prima voce in questo ambito. Crescono quelle relative al costo dei farmaci e delle prestazioni in intramoenia (rispettivamente del +4,4% e del +1,6%). L’accesso alle visite e agli esami e il costo dei farmaci restano dunque per molti cittadini ancora un problema di natura economica, soprattutto per chi non ha facilitazioni quali esenzioni per reddito (come nel caso degli inoccupati) o per patologia (perché non riconosciuta formalmente o durante il percorso di accertamento della diagnosi).
Crescono le liste di attesa
Aumentano le segnalazioni di tempi di attesa lunghi, denunciate da oltre la metà dei cittadini (56% nel 2017, era il 54% nel 2016). Si attende soprattutto per le visite specialistiche (39%) e per gli interventi di chirurgia (30%); seguono le liste di attesa per gli esami diagnostici (20,8%) e infine anche per la chemio e radioterapia che arrivano al 10% e fanno registrare un aumento del 100% rispetto all’anno precedente.
Assistenza territoriale
Circa il 15% dei cittadini segnala carenze nell’assistenza territoriale, in particolare incontrano difficoltà nell’assistenza primaria di base, ossia quella erogata da medici di famiglia, pediatri e guardie mediche. Tra le segnalazioni: il rifiuto delle prescrizioni (30,6%), l’inadeguatezza degli orari (20,7%), la sottostima del problema segnalato dal paziente (15,6%). La seconda voce è quella dell’assistenza residenziale, per la quale i cittadini lamentano i costi eccessivi (35%), la scarsa assistenza medico-infermieristica (28,9%), le lunghe liste di attesa (24,6%). Scarsa qualità del servizio, carenza di strutture e di posti letto sono invece i problemi indicati dal Pit come prioritari per la riabilitazione in ricovero (50,3%), domiciliare (26,9%) e ambulatoriale (23,7%). In particolare, per i servizi di riabilitazione a domicilio, le persone lamentano disagi nella erogazione del servizio (58,7%) e ore insufficienti (41,3%). In tema di assistenza domiciliare, un terzo circa dei cittadini segnala problemi di informazione e di eccessiva burocrazia, mentre circa il 14% lamenta l’inesistenza del servizio sul proprio territorio. Chi ne risente di più sono adulti con gravi disabilità (47.3%), anziani appena operati o dimessi (27,7%), malati cronici (18%) e bambini con disabilità (7%).
Invalidità ed handicap
Se pur in calo rispetto allo scorso anno, le segnalazioni inerenti l’invalidità civile (12,2%) mostrano come sempre la lentezza dell’iter burocratico (50,5%), a seguire l’esito negativo degli accertamenti (26,7%) e i lunghi tempi per l’erogazione dei benefici e delle agevolazioni (16,6%). Per la convocazione a prima visita si può attendere fino a 7 mesi e mezzo, per la ricezione del verbale fino a 9 mesi e mezzo e per la erogazione dei benefici economici anche 12 mesi. In media per tutto l’iter il cittadino attende 12 mesi.
Presunta malpractice e sicurezza delle cure
Come già emerso negli anni precedenti, diminuiscono ancora le segnalazioni di presunti errori nella pratica medica ed assistenziale: nel 2017 si arriva al 9,8% rispetto al 13,3% del 2016. Per circa il 46% si tratta di presunti errori di diagnosi e terapie. Per la diagnosi le prime tre aree segnalate sono quelle dell’oncologia (20,5%), dell’ortopedia (15,8%) e della ginecologia ed ostetricia (11,7%). Per gli errori terapeutici invece le prime tre aree sono: ortopedia (21%), chirurgia generale (13,5%), ginecologia ed ostetricia (11,5%). Preoccupa, invece, l’incremento di segnalazioni sulle cattive condizioni delle strutture che salgono dal 30,4% al 33,4%. In particolare, i cittadini denunciano macchinari obsoleti o rotti, ambienti fatiscenti, scarsa igiene nei bagni o negli spazi comuni. Un trend in aumento negli anni è quello relativo alle infezioni contratte in ambiente sanitario (4,9%).
Assistenza ospedaliera e mobilità
Le segnalazioni su assistenza ospedaliera e mobilità sanitaria rappresentano il 9% del totale. In particolare, in tema di assistenza ospedaliera che raccoglie l’86% delle lamentale, i cittadini denunciano le carenze della rete di emergenza-urgenza, per le lunghe attese al Pronto soccorso (44,4%), la scarsa trasparenza nell’assegnazione del triage (36,2%), e la richiesta di ticket (9,1%). La seconda voce è quella della mobilità sanitaria (14%), per la quale le persone incontrano problemi relativi ai rimborsi spesa per le cure fuori regione o in altri paesi europei o anche la mancata autorizzazione da parte della ASL.
Farmaci
Si attestano al 3,4% i contatti relativi a problemi nell’accesso ai farmaci. In testa, evidenzia il Pit, le difficoltà nell’accesso ai farmaci innovativi per l’epatite C(30,4% ma in netto calo rispetto al 44,4% del 2016); seguono, in aumento, le segnalazioni per i farmaci non disponibili (28,2%) e quelle riguardanti la spesa privata per i farmaci (20,4%), compresi quelli per i quali l’accesso è regolato da nota limitativa (6,4%). Aumentano le difficoltà anche per i farmaci con piano terapeutico (5,4%) e off label (4,6%). Le aree cliniche più interessate dai problemi di accesso ai farmaci sono l’epatologia (28,2%), l’oncologia (10,7%), l’oculistica (10,6%) e la neurologia (9,8%).
“I dati presentati oggi al PIT Salute impongono a tutti gli attori del sistema salute il compito di trovare soluzioni per garantire ai cittadini il rispetto dei loro diritti, incluso l’accesso alle cure più appropriate su tutto il territorio nazionale. Per vincere le sfide di oggi e di domani è necessario un impegno sinergico.” – ha affermato nel corso della presentazione Silvia De Dominicis, Presidente e Amministratore Delegato di Johnson & Johnson Medical (che ha sostenuto il progetto).
Tra le iniziative promosse da Johnson & Johnson Medical Italia c’è la COLON Mis Accademy, iniziativa di formazione unica in Italia realizzata con l’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani per diffondere presso i clinici le migliori pratiche di trattamento mini – invasivo per il tumore al colon retto, la seconda forma di cancro più comune in Italia facendo sì che i pazienti accedano allo standard di cura migliore ed in linea con l’evidenza clinica più recente, con relativi importanti benefici sulla loro qualità della vita; lo sviluppo di piattaforme tecnologiche “end-to-end” che supportano la gestione del percorso del paziente prima, durante e dopo l’intervento chirurgico con riduzione dei tempi dell’intervento chirurgico e della degenza, anche da 9 a 6 giorni; soluzioni digitali e consulenziali per aumentare l’efficienza nell’utilizzo della sala operatoria con l’obiettivo anche di aumentare il numero di interventi e conseguentemente ridurre le liste d’attesa; Sistemi per la gestione dei flussi di approvvigionamento ed utilizzo dei dispositivi medici;Sistemi per la gestione dell’inventario che utilizzano la tecnologia della RFID (identificazione a radiofrequenza) per controllare e tracciare tutti i dispositivi medici utilizzati nel corso di un intervento chirurgico, con una possibile riduzione del 73%*del tempo che lo staff operatorio deve dedicare alle pratiche amministrative in modo che medici ed infermieri possano dedicare maggior tempo a prendersi cura dei pazienti ed ottimizzare i tempi di gestione delle sale operatorie. Infine vi è anche l’impegno nella creazione di un ecosistema digitale che – grazie a sale operatorie virtuali, app di simulazione chirurgica 3D, sensori e analisi dei dati in tempo reale – trasformi la chirurgia per rispondere in modo più puntuale ai bisogni di salute dei pazienti.
*(Fonte: Dato di implementazione del Fatebenefratelli)
Napoli, due incubatrici nuove per il Monaldi
BambiniUn grande gesto di solidarietà per bimbi veramente piccoli. L’unità operativa complessa di Cardiologia pediatrica dell’azienda ospedaliera dei Colli (Ospedale Monaldi), diretta dalla professoressa Maria Giovanna Russo, ha infatti salutato la visita dell’arcivescovo di Napoli, il Cardinale Crescenzio Sepe, che ha consegnato due nuove incubatrici di ultima generazione. Le apparecchiature sono state donate all’ospedale grazie all’asta di beneficenza organizzata lo scorso anno dalla Curia partenopea. «La donazione è una promessa mantenuta» ha detto il Cardinale Sepe. «È stata possibile – ha spiegato – grazie alla generosità dei napoletani che hanno partecipato all’asta dello scorso anno. Anche quest’anno ripeteremo la vendita di beneficenza, il prossimo 18 dicembre, e metteremo all’asta doni preziosi che arrivano anche dal Presidente della Repubblica e da Papa Francesco. Contiamo quindi sulla sensibilità dei napoletani per aiutarci a donare, Natale è questo».
Per i piccoli
Ovviamente il gesto di Sepe è stato molto apprezzato dai vertici dell’azienda che hanno voluto ringraziare il cardinale per la generosità. L’Unità di cardiologia pediatrica del Monaldi è una struttura di eccellenza che assiste bambini provenienti da tutto il Meridione e, grazie a questa donazione, potrà fornire una assistenza sempre più qualificata ai tanti piccoli pazienti che hanno bisogno di aiuto. Le incubatrici sono infatti fondamentali per i neonati che nascono con malformazioni cardiache. Quelle donate dal cardinale di Napoli sono dotate di un monitor collegato con la medicheria e questo aiuterà moltissimo il personale, soprattutto per il monitoraggio della termoregolazione e dei parametri dei neonati.
Alta specializzazione
Nascere prematuri non necessariamente significa portarne i segni nel corso della vita, ma tutto si gioca nei primissimi giorni e ruota attorno all’organizzazione e all’alta specializzazione dei reparti di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale. Gli ultimi dati disponibili ci dicono che a nascere prima del termine (prima cioè delle 37 settimane) è oggi un bambino su 10. Spesso questi bimbi alla nascita non raggiungono neanche il chilo di peso e sono così piccoli da stare nel palmo di una mano, la loro possibilità di recupero e di condurre una vita normale è spesso nelle mani dei medici che li assisteranno ed è sempre legata a doppio filo all’organizzazione e all’efficienza della struttura sanitaria che li accoglie. Ecco perché le tecnologie e le professionalità fanno la differenza, esattamente quanto la fanno la capacità di lavorare, anzi di collaborare, in team.
Odi le feste di Natale? C’è una spiegazione scientifica
PsicologiaAnche lo spirito natalizio è finito sotto la lente d’ingrandimento della ricerca scientifica. Il British Medical Journal è riuscito a spiegare i motivi per cui molte persone odiano il Natale e tutte le festività annesse. Secondo lo studio, colpevole sarebbe una sede del cervello dove risiede, appunto, lo spirito natalizio e l’esperienze pregresse. Insomma, non è il caso di sentirsi in colpa se si sta già pensando a come declinare gli inviti, prima ancora che inizi il “girone” delle feste. E non è neanche la prima ricerca che indaga sull’esistenza di persone che odiano il Natale.
I ricercatori in scienze neurologiche dell’università di Copenaghen hanno provato che nel cervello c’è una zona in cui è relegato il piacere e che l’atmosfera tipica delle feste lo attivi proprio nel periodo natalizio. Ma questo non succede per tutti. “Molte tra queste persone – spiega Adriano Formoso, psicologo e psicoterapeuta –hanno un’evidente inibizione nel provare piacere anche solo pensando all’arrivo del Natale. Quel famoso sistema “mesocorticolimbico” deputato alla sensazione di piacere non riesce a superare l’angoscia e gli effetti neurofisiologici che hanno causato alcuni traumi subiti”.
In altre parole, esistono dei meccanismi cognitivi-cerebrali specifici che fanno odiare il Natale. “Si è scoperto – continua Formoso – che i circuiti cerebrali attivati dall’odio hanno parecchio in comune con quelli dell’amore. Se per amore si fanno a volte “follie” con gesti estremi in nome dell’amore, nello stesso modo l’odio può indurre a comportamenti estremi accanendoci contro quello che odiamo. Alcune persone subiscono passivamente l’angoscia del periodo natalizio mostrando il loro stato depressivo, altri arrivano persino ad affermare “odio il Natale!”. Quest’ultima è una forma reattiva caratterizzata da un sentimento di odio che contribuisce allo sviluppo di un forte senso di negatività nella persona attivando a livello cerebrale e cognitivo stati di nervosismo, di malessere e d’irritabilità”.
Consigli dell’esperto
Per sopravvivere alle situazioni stressanti è necessario, secondo l’esperto, sviluppare una grande attitudine alla tolleranza. Questa condizione è spesso fraintesa con il sopportare, ma il vero spirito della tolleranza è accettare le differenze.
“I vari “Grinch” – spiega l’esperto – a cui spesso ci si riferisce, hanno una grande opportunità di crescita personale e di brindare alla loro capacità di sopravvivenza. Chi tollera comprende l’unicità di ogni persona, tra pregi e difetti, forze e debolezze. Questa visione flessibile aumenta la nostra resistenza nell’affrontare il periodo angosciante delle festività e con esso le persone che incontriamo (anche se non le vorremmo proprio vedere, soprattutto a Natale)”.
Agli “haters” del Natale, lo psicologo consiglia, prima di tutto, di tentare di capire i motivi per cui il Natale crea irritazione, successivamente quello di valutare il proprio livello di tolleranza con l’intento di rafforzarlo. Tuttavia, se proprio non se ne è capaci, se ci si sente costretti a vivere il Natale come qualcosa di angosciante, che riporta a un ricordo amaro, a una atmosfera troppo tesa, il consiglio è di non stare troppo nella propria casa. Meglio organizzare un viaggio oppure cercare di passare la serata con gli amici o in un’associazione di volontariato.
Come riconoscere un “Grinch” (che odiano le feste di Natale)
Chi odia il Natale spesso tende a pensare che sia un complotto commerciale per far spendere dei soldi. Esistono poi “Grinch da depressione”, spiega lo psicologo, ovvero quelle persone che soffrono di questa terribile malattia che dilaga a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale. Queste persone non vorrebbero del tutto esprimere la loro passività al clima natalizio, specialmente se hanno figli. Infatti si sentono responsabili della crescita dei loro bambini e pertanto esprimono flebili segnali di partecipazione collettiva, con risultati non sempre felicissimi (per esempio con addobbi e decorazioni tristi e forzate).
Celiachia: tutta colpa del grano moderno? Lo studio
AlimentazioneL’aumento dei casi di celiachia ha diffuso l’ipotesi che i grani moderni siano più tossici di quelli antichi. Che abbiano cioè livelli più alti di carboidrati potenzialmente prebiotici (amido resistente e fibre). Per trovare una prova scientificamente valida a quest’ipotesi, un team di ricercatori del CREA Cerealicoltura e Colture industriali (sede di Foggia), delle Università di Modena e Reggio Emilia e di Parma, all’interno del progetto “Antiche varietà di frumento duro e salute: valorizzazione della filiera pastaria, claim salutistici ed etichettatura nella cornice normativa interna e sovranazionale”, finanziato dal Fondo di Ateneo dell’Università di Modena e Reggio Emilia per la Ricerca 2015, ha confrontato 9 grani antichi, diffusi maggiormente nel Sud Italia e nelle Isole dagli inizi del 1900 fino al 1960 (e considerati ormai obsoleti), con 3 grani moderni, sia per quanto riguarda la celiachia sia per il contenuto di amido resistente. Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista Food Research International.
Lo studio
I campioni paragonati sono stati coltivati e raccolti presso il CREA nelle stesse condizioni sperimentali di campo, per poi essere macinati. Lo sfarinato integrale così ottenuto è stato sottoposto a digestione in vitro dall’Università di Modena e Reggio Emilia. I peptidi (ossia i frammenti di proteine) che ne sono derivati – in particolare quelli responsabili della risposta immunitaria che caratterizza la celiachia – sono stati analizzati, dall’Università di Parma, mediante cromatografia accoppiata alla massa (UPLC/ESI-MS), una tecnica che permette, appunto, di separare, identificare e quantificare i peptidi. Per quanto riguarda le componenti prebiotiche, in particolare per l’amido resistente, sulla base di uno screening iniziale effettuato su ciascun campione macinato, il CREA ha selezionato un grano antico ed uno moderno, caratterizzati da valori contrastanti per quantità di fibra e/o amido resistente, ed è stata prodotta la pasta da ciascuno di essi, a diverse condizioni di essiccamento. Su ogni tipologia di pasta così ottenuta è stato valutato dal gruppo dell’università di Reggio Emilia l’amido resistente, prima e dopo la cottura.
I risultati
Partendo dal presupposto che nessun celiaco possa assumere prodotti derivanti da grano, segale, farro, orzo e avena, dallo studio è emerso che i grani antichi sono caratterizzati da una maggiore componente proteica e rilasciano una maggiore quantità di peptidi scatenanti la celiachia rispetto ai moderni. Per cui, devono essere esclusi dalla dieta dei celiaci. Inoltre, nessuna differenza sostanziale è stata riscontrata per quanto riguarda il contenuto di amido resistente dopo la cottura della pasta, quindi non sembra esserci un potenziale prebiotico in più nei grani antichi. “Sebbene l’indagine sia stata condotta su un numero limitato di genotipi – afferma Donatella Ficco coordinatore del team CREA – rappresenta un importante contributo di conoscenza su un argomento molto dibattuto, su cui il consumatore fa fatica a distinguere la moda dalla scienza e in cui spesso, purtroppo, la disinformazione regna sovrana, a danno del portafoglio e della salute”.