Tempo di lettura: 3 minutiUna strage in piena regola, 242 morti e 14.770 feriti in un solo anno (fonte Istat per il 2017). La Campania, Napoli in testa, è tra le regioni con più vittime per incidenti stradali. Molto si è fatto in questi anni, ma molto c’è ancora da fare. I dati Istat non lasciano adito a dubbi e prosegue il grande lavoro del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (tramite la Direzione generale territoriale del Sud) verso una mobilità più consapevole e sicura. Ieri al Complesso Monumentale di Santa Maria la Nova di Napoli è stata presentata l’iniziativa «Anzia… Moci in Sicurezza», parte del più ampio progetto «Una nuova Cultura della sicurezza stradale in Campania», che guarda in modo particolare gli automobilisti over 65. Saranno gli esperti di sicurezza stradale del Ministero, affiancati dai medici specialisti delle Asl campane, a realizzare nei prossimi mesi seminari sulla sicurezza stradale proprio in quei comuni campani dove si registra il maggior numero di incidenti. Queste “lezioni”, chiaramente destinate agli over 65, interesseranno circa 15 Comuni maggiormente a rischio (per il numero di incidenti registrati), Comuni nei quali il tasso di rischio è tale da richiedere l’avvio di tutte le misure previste nello speciale piano d’azione per la sicurezza stradale definito di concerto tra i soggetti che partecipano al tavolo tecnico interistituzionale per la sicurezza stradale in Campania. L’obiettivo è chiaramente quello di intervenire su più fronti, così da avere una ricaduta forte sul territorio e riuscire a migliorare la consapevolezza degli automobilisti. «Un progetto al quale teniamo molto, perché può aiutarci a cambiare in meglio le cose, spiega Pasquale D’Anzi Direttore Generale della DGT del Sud – Mit. «Ci rivolgiamo in particolare agli over 65, con l’obiettivo di informare gli utenti della strada (sia che si tratti di pedoni, sia che si tratti di automobilisti) sui cambiamenti intervenuti negli anni, ma anche sui limiti fisici che inevitabilmente aumentano con l’avanzare dell’età. Fare informazione significa offrire maggiore consapevolezza, dunque anche ridurre la possibilità che si verifichi un incidente e, ove capitasse, ridurre i danni che si possono produrre».
I dati
Nel 2017 in Campania sono stati registrati poco più di 9.900 incidenti stradali, che hanno causato la morte di 242 persone e il ferimento di altre 14.770. Rispetto al 2016 sono aumentati sia gli incidenti (+1,5%) che il numero di vittime della strada (+11%). E in questo senso la Campania ha fatto registrare variazioni percentuali superiori a quelle dell’intero Paese, dove invece si registra un calo degli incidenti (-0,5%). «Guardando agli over 65 – chiarisce Antonella Bianchino, Direttore dell’Ufficio territoriale Istat per Campania e Basilicata – in Campania si sono verificati 1.245 incidenti, sono morte 74 persone e ferite 1.245. Gli incidenti in questa fascia d’età rappresentano il 13% del totale. Il numero dei decessi è invece pari al 30% del numero complessivo. Ciò che si nota è che rispetto all’anno precedente c’è stato un aumento sia delle persone decedute, sia di quelle ferite».
Le misure
L’Italia ha messo in campo diverse iniziative legate ai programmi d’azione europei per la sicurezza stradale, per i decenni 2001-2010 e 2011-2020, impegnano i Paesi membri a dimezzare i morti per incidente stradale con una particolare attenzione agli utenti “vulnerabili”. Obiettivo sul quale, in Campania, c’è ancora molto da fare. Stando ai dati Istat, in regione – tra il 2001 e il 2010 – le vittime della strada si sono ridotte del 28,9%, meno della media nazionale (-42,0%). E tra il 2010 e 2017 le variazioni sono, rispettivamente di -4,7% e -17,9%. Sempre fra 2010 e 2017 l’indice di mortalità sul territorio regionale è aumentato leggermente da 2,3 a 2,4 deceduti ogni 100 incidenti. In Campania, nel 2017, l’incidenza degli utenti vulnerabili per età (bambini, giovani e anziani), deceduti in incidente stradale, è inferiore alla media nazionale (43,8% contro 45,2%) con la differenza più ampia fatta registrare dagli ultra sessantaquattrenni (Campania 30,6%, Italia 32,8%). Guardando invece agli utenti vulnerabili secondo il ruolo che essi hanno avuto nell’incidente (conducenti/passeggeri di veicoli a due ruote e pedoni) il loro peso relativo (sul totale dei deceduti) misurato nella regione è superiore nel 2017 a quello nazionale (56,2% contro 49,8%). Tuttavia, negli ultimi otto anni (2010-2017) l’incidenza di pedoni deceduti è cresciuta molto di più in Campania (da 12,2% a 21,9%) che nel resto del Paese (da 15,1% a 17,8%). Tutto questo ha costi sociali molto alti, calcolati per la Campania (nel 2017) 1,1 miliardi di euro (188 euro pro capite). Questo significa che da sola, la Campania, incide del 6,3% sul totale nazionale stimato in oltre 17 miliardi di euro.
Donne più forti nel dolore rispetto agli uomini. La ricerca
PsicologiaLe donne si dimostrano più forti nel dolore. A dirlo è uno studio canadese della McGill University e dell’Università di Toronto che è stato pubblicato su Current Biology. Secondo i ricercatori le donne ricordano meno gli episodi dolorosi della vita e, davanti al loro ripetersi, sono meno soggette allo stress.
Lo studio
L’analisi ha sottolineato la differenza tra uomini e donne, mostrando come i maschi ricordano più chiaramente le loro precedenti esperienze dolorose. Lo studio mostra che risultavano più stressati e sensibili quando, ritornavano nel luogo in cui avevano vissuto lo stesso precedente momento negativo. Questo però non è emerso tra le donne. Secondo i ricercatori, questa scoperta potrebbe aiutare a scoprire nuovi trattamenti contro le forme croniche di dolore. “Abbiamo deciso di fare un esperimento sull’ipersensibilità al dolore nei topi e abbiamo trovato queste sorprendenti differenze nei livelli di stress tra topi maschi e femmine – spiega Jeffrey Mogil, uno dei ricercatori dello studio. “Così abbiamo deciso di estendere l’esperimento agli umani per vedere se i risultati fossero simili. Siamo rimasti sconvolti quando abbiamo visto che sembravano esserci le stesse differenze”.
L’esperimento
Gli esseri umani sono stati fatti entrare in una stanza dove sono stati sperimentati bassi livelli di dolore (attraverso il calore a un avambraccio). Dopo aver valutato il livello del dolore su una scala di 100 punti (per i topi è stato valutato il dolore per la velocità con cui si sono allontanati dalla fonte), è stata fatta aumentare l’intensità del dolore (e quindi del calore sull’avambraccio). Quando sono stati portati nella stessa stanza del test precedente, gli uomini hanno valutato il dolore da calore più alto di quello che avevano avuto il giorno prima, e più alto di quello delle donne che, invece, risultavano più forti nella resistenza.
Ministero: cibi e bevande irregolari nell’1% dei casi controllati
AlimentazioneCirca l’1% di cibi e bevande controllati sono irregolari. Così come risulta con qualche anomalia uno stabilimento su cinque tra quelli visitati. Sono i risultati dei controlli degli alimenti e delle bevande per il 2017 pubblicati sul sito del ministero della Salute.
I numeri
Nel corso del 2017 sono stati prelevati 47.804 campioni ufficiali di alimenti, bevande e materiali a contatto con alimenti. Su ciascun campione sono state effettuate in media 2,48 determinazioni analitiche per un totale complessivo di 118.550 analisi: sono risultate irregolari circa lo 0,88%. Le non conformità si concentrano prevalentemente nelle “carni e prodotti a base di carne” e nei “prodotti lattiero caseari” e sono principalmente di tipo microbiologico. Sul totale delle irregolarità microbiologiche la percentuale più alta si è registrata per il genere Escherichia coli (51,40%), incluso il gruppo degli Escherichia coli STEC, seguito dal genere Salmonella (38,2%) e da Listeria monocytogenes (20,41%). I Servizi Igiene degli Alimenti e Nutrizione e i Servizi Veterinari dei Dipartimenti di Prevenzione delle A.S.L hanno complessivamente controllato 176.217 stabilimenti, dei quali 39.598 (pari al 22,59%) hanno mostrato infrazioni durante le ispezioni; complessivamente sono state effettuate 490.904 ispezioni.
La relazione Vigilanza e controllo degli alimenti e delle bevande in Italia – anno 2017 è stata trasmessa al Parlamento il 21 dicembre 2018. Il controllo riguarda sia i prodotti alimentari, indipendentemente dall’origine e provenienza, destinati ad essere commercializzati sul territorio nazionale, che quelli destinati ad essere spediti in un altro Stato dell’Unione europea oppure esportati in uno Stato terzo.
Guida sicura, un progetto per gli over 65
PrevenzioneI dati
Nel 2017 in Campania sono stati registrati poco più di 9.900 incidenti stradali, che hanno causato la morte di 242 persone e il ferimento di altre 14.770. Rispetto al 2016 sono aumentati sia gli incidenti (+1,5%) che il numero di vittime della strada (+11%). E in questo senso la Campania ha fatto registrare variazioni percentuali superiori a quelle dell’intero Paese, dove invece si registra un calo degli incidenti (-0,5%). «Guardando agli over 65 – chiarisce Antonella Bianchino, Direttore dell’Ufficio territoriale Istat per Campania e Basilicata – in Campania si sono verificati 1.245 incidenti, sono morte 74 persone e ferite 1.245. Gli incidenti in questa fascia d’età rappresentano il 13% del totale. Il numero dei decessi è invece pari al 30% del numero complessivo. Ciò che si nota è che rispetto all’anno precedente c’è stato un aumento sia delle persone decedute, sia di quelle ferite».
Le misure
L’Italia ha messo in campo diverse iniziative legate ai programmi d’azione europei per la sicurezza stradale, per i decenni 2001-2010 e 2011-2020, impegnano i Paesi membri a dimezzare i morti per incidente stradale con una particolare attenzione agli utenti “vulnerabili”. Obiettivo sul quale, in Campania, c’è ancora molto da fare. Stando ai dati Istat, in regione – tra il 2001 e il 2010 – le vittime della strada si sono ridotte del 28,9%, meno della media nazionale (-42,0%). E tra il 2010 e 2017 le variazioni sono, rispettivamente di -4,7% e -17,9%. Sempre fra 2010 e 2017 l’indice di mortalità sul territorio regionale è aumentato leggermente da 2,3 a 2,4 deceduti ogni 100 incidenti. In Campania, nel 2017, l’incidenza degli utenti vulnerabili per età (bambini, giovani e anziani), deceduti in incidente stradale, è inferiore alla media nazionale (43,8% contro 45,2%) con la differenza più ampia fatta registrare dagli ultra sessantaquattrenni (Campania 30,6%, Italia 32,8%). Guardando invece agli utenti vulnerabili secondo il ruolo che essi hanno avuto nell’incidente (conducenti/passeggeri di veicoli a due ruote e pedoni) il loro peso relativo (sul totale dei deceduti) misurato nella regione è superiore nel 2017 a quello nazionale (56,2% contro 49,8%). Tuttavia, negli ultimi otto anni (2010-2017) l’incidenza di pedoni deceduti è cresciuta molto di più in Campania (da 12,2% a 21,9%) che nel resto del Paese (da 15,1% a 17,8%). Tutto questo ha costi sociali molto alti, calcolati per la Campania (nel 2017) 1,1 miliardi di euro (188 euro pro capite). Questo significa che da sola, la Campania, incide del 6,3% sul totale nazionale stimato in oltre 17 miliardi di euro.
Zii e zie possono rivelare quanto vivremo a lungo
News PresaPer avere un’idea di quanto sarà lunga la propria vita, bisogna guardare non solo ai propri genitori, ma anche a zie e zii. In pratica, le probabilità di ereditare geni legati alla longevità saranno più alte se si proviene da una famiglia con molti membri longevi.
A spiegarlo è una ricerca guidata dal Leiden University Medical Center, in Olanda, e dall’Università dello Utah, pubblicata su Nature Communications.
Utilizzando i database americani e della provincia olandese di Zeeland, gli studiosi hanno analizzato le genealogie di circa 315.000 persone di oltre 20.000 famiglie risalenti al 1740. “Abbiamo osservato – ha detto l’autore principale dello studio, Niels van den Berg – che più parenti longevi si hanno, inferiore è il rischio di morire prima”. Paragonati a persone della loro stessa età, i figli di genitori che sono entrambi ‘top survivor’ (cioè nella fascia più alta del 10% in termini di età di un gruppo di persone nate entro un determinato periodo di tempo) hanno un rischio inferiore del 31%. Ma tale rischio risulta ridotto anche se i genitori stessi non sono in questa categoria ma lo sono zii e zie.
“Nelle famiglie longeve, i genitori possono quindi trasmettere i geni della longevità ai loro figli, anche se fattori esterni impediscono loro di raggiungere un’età davvero elevata”, sottolinea van den Berg. I risultati rafforzano l’idea che ci siano davvero geni di longevità da scoprire e la scienza li sta cercando già da tempo.
Malattia di Pompe, un caso urgente da chiarire
News PresaSi chiama malattia di Pompe (o anche Glicogenosi di tipo 2) ed una di quelle malattie che vengono definite “rare”. Patologie che spesso al dolore fisico aggiungono il dolore sociale di essere “soli”, di non riuscire sin dagli esordi ad avere una diagnosi. Il solo modo per combattere la malattia di Pompe è l’infusione quindicinale di un farmaco che si chiama Myozyme, capace di arginare i danni ai muscoli che altrimenti perdono tono, pregiudicando la capacità di movimento.
Il caso
In questi giorni la stampa si è occupata del caso di Filippo Maria Pirisi, ex assessore del Comune di Cagliari che ha lottato contro la malattia di Pompe. Come riporta La Nuova Sardegna «Il farmaco gli venne tolto nel novembre 2017, appena prima che il settantaduenne ex esponente del partito Liberale venisse avviato alla dimissione dall’ospedale Marino, dov’era ricoverato da tre anni. Pirisi si oppose alla decisione con un ricorso urgente al tribunale civile elaborato dall’avvocato Davide Bonifacio, ma quando vinse la causa perché il farmaco gli venisse restituito le sue condizioni erano rivolte al peggio: la morte avvenne tre mesi dopo lo stop alle infusioni e due settimane dopo la ripresa della terapia, il 16 febbraio 2018». Un decesso che ora è al centro di un procedimento penale nato dall’esposto della famiglia. Ed è sempre La Nuova Sardegna a sottolineare che «ieri il gip Massimo Poddighe ha chiuso l’incidente probatorio condotto alla presenza del pm Nicoletta Mari decidendo che sarà la pediatra Daniela Concolino, dell’Università di Catanzaro, a stabilire con una perizia basata su cartelle cliniche e documentazione medica se sussista il nesso di causalità tra la sospensione della terapia farmacologica e la morte di Pirisi, in altre parole se sia stata la decisione di togliergli il farmaco – assunta su parere della dirigente medica del centro regionale e cura della sclerosi multipla Maria Antonietta Maioli e della ricercatrice universitaria Rachele Piras – a provocare o ad accelerare la sua fine. Le due professioniste sono iscritte al registro degli indagati con l’ipotesi di omicidio colposo e sono difese dall’avvocato Giammario Sechi: respingono con forza ogni accusa. La Concolino lavorerà insieme ai consulenti nominati dalla difesa Rita Celli e Claudia Semplicini, mentre la parte civile patrocinata dall’avvocata Rita Dedola ha nominato Guglielmo Benvenuti e Bruno Bembi».
Le ragioni da chiarire
Per riuscire a comprendere le ragioni che hanno portato alla somministrazione del farmaco sarà importante analizzare documenti e cartelle cliniche. Il quotidiano sardo chiarisce che è «escluso che a influire sulla scelta sia stata la necessità da parte dell’Ats di risparmiare il costo altissimo del Myozyme, migliaia di euro, la Procura vuole capire come sia maturato il parere delle due professioniste», e spiega che «stando alle carte del procedimento civile la ragione sarebbe questa: la scheda-prodotto del Myozyme prevede che il farmaco possa essere somministrato soltanto in ambiente ospedaliero, quindi perché Pirisi potesse proseguire la degenza a casa era indispensabile fermare la terapia per poi verificarne gli effetti. In realtà però il paziente non venne dimesso, ma trasferito a un altro reparto». Sono tanti insomma i punti interrogativi ai quali sarà bene dare una risposta.
Tosse psicogena o somatica, da cosa si riconosce
News PresaLa tosse somatica è la seconda causa di tosse cronica nei bambini. Normalmente il sintomo dura pochi giorni, quando invece persiste per più di 8 settimane, allora viene definita cronica. Le cause possono essere di vario tipo, una molto frequente è l’asma bronchiale non riconosciuta (e quindi non curata) oppure curata male (ad esempio se non è stata seguita con attenzione la prescrizione del medico o la cura è stata interrotta prima del tempo). La seconda causa più frequente di tosse cronica è quella che in passato veniva chiamata “tosse psicogena” e che oggi viene definita somatica o nervosa. Questo disturbo è stato riconosciuto da numerosi studi accreditati che ne hanno dimostrato da tempo l’insorgenza nei bambini con più di 6 anni.
Come riconoscerla
Si parla di tosse somatica quando, a seguito di visite e accertamenti di laboratorio, vengono escluse malattie dell’organismo come la polmonite, l’asma o la fibrosi cistica. Gli esperti del Bambino Gesù spiegano quali sono le caratteristiche che mettono in sospetto il pediatra:
Una volta diagnosticata la tosse somatica, nella maggior parte dei casi il sintomo diminuisce e scompare da solo, rassicurando il bambino (o il ragazzo) e la famiglia. Solo raramente persiste e può rendersi necessario il ricorso allo psicologo o allo psichiatra infantile.
Sauna: allena il cuore come l’esercizio fisico
PrevenzioneLa sauna allena il cuore come l’esercizio fisico. Con 4 volte alla settimana per circa 30 minuti, riesce a diminuire, in entrambi i sessi, il rischio di eventi e mortalità cardiovascolari. A rivelarlo è uno studio dell’Università della Finlandia pubblicato sulla rivista Biomed Central. Lo studio è durato 15 anni ed è stato condotto su quasi 1.700 persone con età media di 63 anni. Maggiore è la frequenza delle saune, minore è il rischio di mortalità cardiovascolare.
Lo studio
La sauna produce un allargamento dei vasi sanguigni e fa diminuire la pressione arteriosa, sottoponendo il cuore a un esercizio che lo allena e lo rafforza. In altre parole, è come un allenamento di ‘cardio-fitness’ senza sforzo. Per avere gli effetti di prevenzione cardiovascolare, però, gli esperti spiegano che a fare la differenza è il numero di saune settimanali. Almeno 4 saune a settimana sono molto più efficaci rispetto a una o due. Lo studio mostra che chi ha effettuato saune costantemente durante 15 anni ha sviluppato solo 181 eventi cardiovascolari, risultati poi fatali, corrispondenti a circa 2,7 decessi per 1000 individui contro i 10,1 decessi tra coloro che non la facevano o la facevano in modo saltuario. I risultati, quindi, attestano la forte diminuzione del rischio di mortalità. Inoltre, la durata ideale è di almeno 30 minuti.
La sauna
Gli effetti della sauna hanno un impatto positivo sulla funzione circolatoria, grazie al calore che agisce sulle cellule dell’endotelio che rivestono le arterie, riducendone la rigidità, stimolando nella fase acuta il sistema simpatico, infine abbassando la pressione arteriosa. Inoltre, la sauna determina un aumento della frequenza cardiaca fino a 120-150 battiti al minuto, paragonabile a quello ottenuto con un esercizio fisico di intensità bassa o moderata.
Anche per la sauna, però, ci sono controindicazioni: è sconsigliata, infatti, nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare (con scompenso cardiaco, ipertensione, ipotensione, infezioni acute, epilessia, miocarditi o pericarditi). Perciò, meglio sottoporsi prima a un controllo medico.
Denti e gengive, il fumo è un nemico insidioso
PrevenzioneFumare aumenta il rischio di sviluppare un tumore del polmone, questo lo sanno tutti. Ciò che non tutti sanno, e che si dice meno, è che il fumo è un grande nemico anche di denti e gengive. Basti pensare che il fumo fa impennare i costi per le cure dentistiche per la malattia gengivale (parodontite) fino quasi a raddoppiarli, non solo perché aggrava la malattia e rende le cure meno efficaci aumentando il numero di sedute dentistiche necessarie, ma anche perché aumenta il rischio di complicanze. In particolare aumenta la perdita di denti e le difficoltà a mantenere in salute gli impianti utilizzati per la loro sostituzione.
Paradontite
Lo rivela il follow up di uno studio iniziato nel 2014 su un gruppo di pazienti norvegesi coordinato da Ystein Fardal insieme con Gerard Linden della School of Medicine Dentistry and Biomedical Science presso la Queen’s University di Belfast in collaborazione con colleghi inglesi, norvegesi e statunitensi. Lo studio mette in relazione il costo del trattamento della parodontite con i costi complessivi legati al fumo di sigaretta, evidenziando che se si smettesse di fumare la sola spesa risparmiata per l’acquisto delle sigarette, nel tempo, coprirebbe i costi necessari per le cure parodontali. Inizialmente, lo studio ha mostrato che mantenere i propri denti curando la parodontite prima che sia troppo tardi è più conveniente rispetto al sottoporsi a cure in fase avanzata di malattia quando è ormai necessario sottoporsi ad impianti sostitutivi dei propri denti. Nella fase di follow up gli autori hanno voluto stimare i costi del fumo sulla cura della parodontite. È emerso che non solo c’è un aumento dei costi fumo-correlati perché le sigarette aggravano la malattia e aumentano le complicanze, ma anche che i costi delle cure potrebbero essere ampiamente coperti dai costi dei pacchetti di sigarette. Gli esperti hanno stimato che per un forte fumatore che accende dalle 20 alle 40 “bionde” al dì, anche un paziente che va regolarmente dal dentista per controllare la parodontite ha un incremento dei costi legato al fumo pari all’8,8% del costo complessivo da sostenere per la terapia parodontale. Il costo sale del 40,1% in pazienti fumatori che necessitano di una visita extra l’anno per il mantenimento delle cure, fino a un +71.4% (costo quasi raddoppiato) in pazienti fumatori che necessitano di due visite di mantenimento extra l’anno più un nuovo trattamento completo della parodontite. I ricercatori hanno inoltre stimato che il costo del fumo di per sé eccede il costo dei trattamenti parodontali; per pazienti che fumano dalle 10 alle 40 sigarette al giorno – con un costo di 5,25-8,76 euro a pacchetto – il prezzo da pagare per il vizio eccede di quasi 18 volte quello complessivo del trattamento parodontale. In particolare, fumare 40 sigarette al giorno solo per 3,4 anni corrisponde a una spesa pari a quella delle cure dentistiche per la parodontite vita natural durante.
Spese raddoppiate
Non solo il fumatore spende tanti soldi per le sigarette ma ha bisogno di interventi ulteriori dal dentista proprio correlati ai danni del fumo. Infatti, a livello del cavo orale il fumo accelera la progressione della parodontite con aumento di perdita dell’osso intorno ai denti e incrementando il rischio della loro estrazione. Il problema è in primis che il fumo crea vasocostrizione e quindi riduzione del flusso sanguigno gengivale, aggravando la malattia. Inoltre le sostanze tossiche rilasciate fumando riducono l’efficacia delle difese immunitarie della bocca e il fumo favorisce la sopravvivenza dei batteri patogeni nel cavo orale a scapito dei batteri buoni. Spesso si evita di sottoporsi a cure dentistiche per motivi economici, i fumatori sono proprio i pazienti con più necessità di cure e di impianti e sono anche più a rischio di complicanze perimplantari. Diventa un circolo vizioso, la parodontite di un fumatore è più grave, si hanno risultati inferiori dalle cure, si ha una maggiore perdita denti e più complicanze per gli impianti sostitutivi.
Sistema immunitario, dipende tutto dai genitori
Benessere, One health, Ricerca innovazioneSe ci ammaliamo di continuo o se, al contrario, non temiamo raffreddori e influenza la colpa (o il merito) è di mamma e papà. Sono proprio i genitori a trasmetterci la capacità di difenderci dai virus, e anche la “qualità” delle nostre armi di difesa dipende da loro. Secondo un nuovo studio, infatti, la genetica può svolgere un ruolo più importante di quanto gli scienziati pensassero in precedenza nella capacità di contrastare le malattie. La ricerca, guidata dall’Università del Queensland e pubblicata sul Journal of Allergy and Clinical Immunology, punta sugli anticorpi, “dispiegati” quando il nostro organismo è esposto a virus diversi e altri agenti patogeni.
Lo studio
Esistono secondo gli studiosi prove evidenti del fatto che i fattori genetici giochino un ruolo chiave nel modo efficace ed efficiente con cui l’organismo costruisce e distribuisce queste molecole che combattono le malattie e che costituiscono il nostro sistema immunitario. I ricercatori dell’Istituto australiano di salute e medicina tropicale della James Cook University e dell’Istituto Diamantina dell’Università del Queensland hanno analizzato campioni di sangue da 1835 gemelli e migliaia di loro fratelli. I partecipanti sono stati reclutati come parte del Brisbane Adolescent Twin Sample, uno studio sui gemelli. Il principale autore, il professor John Miles, ha affermato che il team ha esaminato la risposta immunitaria a sei virus umani comuni, tra cui il virus dell’herpes, il parvovirus, il virus Epstein Barr o Human herpesvirus 4 e il virus Coxsackie.
Future terapie
«Siamo stati sorpresi nel vedere che la “potenza” del sistema immunitario è prevalentemente controllata dai geni trasmessi dalla mamma o dal papà – ha spiegato Miles – questi geni determinano se si instaura una risposta immunitaria intensa o debole quando ci si confronta con un’infezione virale». «Dimostrare che la risposta anticorpale è ereditabile – spiega il professor David Evans, altro autore dello studio – è il primo passo nell’eventuale identificazione di singoli geni che influenzano la risposta anticorpale». Il prossimo passo è identificare i geni esatti coinvolti, per eventualmente correggerli in caso di una risposta immunitaria debole o imitarli in caso di una risposta intensa per i vaccini.
Bronchiolite, quasi 300 accessi al Bambino Gesù. I consigli
BambiniLa bronchiolite è un’infezione delle vie respiratorie che colpisce i bambini e torna a presentarsi puntuale nella stagione fredda. In un solo mese – dallo scorso dicembre ai primi del nuovo anno – sono stati già quasi 300 gli accessi all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù con una diagnosi di bronchiolite. Ma prima di ricorrere alle cure del pronto soccorso – spiegano gli specialisti – è necessario farsi consigliare dal proprio pediatra. Inoltre, ci sono semplici regole per ridurre i rischi da contagio: evitare il contatto con adulti o fratellini più grandi raffreddati, lavarsi le mani ogni volta che si prende in braccio un neonato o un lattante, non fumare in casa. Il fumo passivo è uno dei fattori che aggrava di più la malattia.
“La bronchiolite – spiega il dott. Renato Cutrera, responsabile di Broncopneumologia al Bambino Gesù – è una patologia virale che colpisce i bambini sotto i due anni. Sono molti i virus coinvolti, ma il principale si chiama virus respiratorio sinciziale. E’ un virus particolarmente attivo nell’emisfero nord – quindi anche in Italia – nel periodo invernale, con un picco che può variare tra dicembre e febbraio. L’infezione colpisce la maggior parte dei bambini e diventa, quindi, endemica. A tre anni tutti i bambini o quasi tutti sono già positivi agli anticorpi contro questo virus”.
Come suggerisce il nome, il virus provoca un’ostruzione dei bronchi più piccoli dovuta al catarro e va diagnosticato dal pediatra. Gli esperti consigliano il più possibile l’allattamento al seno dei bambini perché il latte materno contiene fattori protettivi per questa patologia.
In casi particolari il pediatra può disporre l’invio in ospedale. In bambini molto piccoli o che già presentano patologie di base come cardiopatie congenite, sindromi genetiche, prematurità, c’è infatti il rischio di gravi difficoltà respiratorie che richiedano il ricovero. La bronchiolite, soprattutto da virus respiratorio sinciziale, è la prima causa di ospedalizzazione del bambino sotto l’anno di vita.
Il pronto soccorso è invece opportuno nel caso in cui il bambino presenti una difficoltà respiratoria molto grave o addirittura abbia assunto un colorito cianotico delle dita delle mani o intorno alle labbra.
Gli accessi
Nel periodo tra il 1° dicembre 2018 e il 3 gennaio del nuovo anno, il Bambino Gesù ha registrato 279 accessi per bronchioliti, circa il 40% del numero di accessi registrato complessivamente nella passata stagione (tra il 1°dicembre 2017 e il 31 marzo 2018) ma non si è ancora raggiunto il picco. Il numero di accessi a dicembre 2017 era stato di 252, il numero più alto della stagione, sceso poi a 241 a gennaio 2018 e dimezzatosi a febbraio e marzo (rispettivamente 127 e 108 accessi).
Il dott. Antonino Reale, responsabile di Pediatria dell’emergenza del Bambino Gesù, segnala che al 67,7% dei casi di dicembre 2018 è stato assegnato il codice giallo e all’1% il codice rosso. Nel dicembre 2017 la percentuale di codici gialli era stata di 77,8% sul totale degli accessi.
Nel dicembre appena trascorso sono stati ricoverati il 51% dei bambini (1 su 2) e tra questi 20 bambini in Sub Intensiva neonatale e Terapia Intensiva neonatale e 11 nelle Terapie Intensive. La percentuale dei ricoveri era stata più alta nella scorsa stagione: 56,7% a dicembre 2017; 59,3% a gennaio e marzo 2018 e addirittura 60,6% a febbraio.
Anche quest’anno, nella maggior parte dei casi vi è stata coinfezione (VRS, adenovirus, bocavirus…) mentre il virus influenzale è stato ancora poco riscontrato.