Tempo di lettura: 4 minutiNon sono tempi facili per chi indossa un camice. Lo ha ribadito anche Francesco Rocco Pugliese, presidente della Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) ascoltato in Commissione Sanità del Senato:«Gli operatori sanitari sono 16 volte più a rischio di violenza degli altri lavoratori», e in particolare «gli operatori dei Dipartimenti di Emergenza, e prevalentemente gli infermieri, rischiano di subire comportamenti violenti».
Assuefatti alla violenza
Purtroppo, ha precisato Pugliese, «il fenomeno è assolutamente sottodimensionato, poiché normalmente vengono denunciate solo le aggressioni in cui sono riportate lesioni gravi», e questo è dovuto probabilmente al fatto che gli operatori sono ormai assuefatti alle aggressioni, soprattutto verbali, che considerano facenti parte del loro lavoro. In loro prevale, ha aggiunto Pugliese, «il senso di rassegnazione e frustrazione». La gestione del fenomeno, per la Simeu, deve avvenire attraverso interventi sul contesto, sugli operatori, sui media e legislativi. Il ddl 867 “Disposizioni in materia di Sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie”, in discussione al Senato, è “indispensabile” ma è necessario anche «risolvere il problema del sovraffollamento del pronto soccorso, che determina allungamento dei tempi di attesa, scarsa possibilità di comunicazione e ridotti tempi di assistenza». Così come è necessario, ha concluso Pugliese, «formare gli operatori a tecniche di comunicazione per la gestione dei pazienti difficili».
Picchiate me
Uno che non si è mai tirato indietro nella difesa dei camici bianchi, e che tra i primi ha compreso la gravità del fenomeno, è il segretario generale Fimmg Silvestro Scotti. Nell’aprile del 2018, un momento particolarmente caldo dal punto di vista delle aggressioni, scrisse una lettera aperta che colpì molto l’opinione pubblica.
A tutti quelli che pensano che sia giusto picchiare un medico che cerca di fare il proprio dovere nei limiti di un’organizzazione che non dipende da lui, di una logistica che non dipende lui, di una condizione di malattia la cui evoluzione – nonostante il suo impegno – non potrà cambiare voglio dare un’occasione: picchiate me!!
A tutti quelli che rivolgendosi in una sede di continuità assistenziale (ex guardia medica), e trovando una donna, pensano per questo di essere “i più forti” e la aggrediscono dico: picchiate me!!
A tutti quelli che in un pronto soccorso, senza considerare il diritto di assistenza di tutti, penseranno di farsi giustizia da soli senza una prova, senza una possibile difesa, senza una condanna, ma solo certi delle proprie ragioni figlie solo d’ignoranza e asocialità dico: picchiate me!!
A tutti quelli che solo perché un’autoambulanza, a loro avviso e nella tensione di un’emergenza, appare arrivare in ritardo o non si reca nell’ospedale che loro credono più adatto. A quanti aggrediscono medici ed equipaggio e poi sono gli stessi che se sono nel traffico non danno spazio ai mezzi di emergenza o vanno in ospedale per le ragioni più inappropriate – determinando loro stessi le ragioni dell’attesa in pronto soccorso dico: picchiate me!!
A tutti quelli che considerano che un medico debba essere aggredito perché magari ha assistito al meglio il paziente che ha di fronte (sulla base di regole che impongono di dedicare immediate attenzioni ai casi più gravi per poi passare a tutti gli altri), ma piuttosto credono che debba dedicarsi prima di tutto a loro, perché sono arrivati prima o perché hanno deciso che sono loro i più gravi, dico: picchiate me!!
Picchiate me! Perché così in un atto solo avrete simbolicamente fatto “ingiustizia” verso tutti i medici della provincia di Napoli, ma anche verso tutti i medici di famiglia, di continuità assistenziale (ex guardia medica) e di emergenza sanitaria territoriale (medici del 118) da me rappresentati a livello nazionale e sono tanti!!
Picchiate me! Poiché come tutti i medici aggrediti, non riconosciuti in un ruolo di pubblico ufficiale, non rischierete nulla. Perché come medico, qualunque cosa mi facciate sceglierò sempre di non essere contro di voi con una denuncia. Così, fintanto che sarà necessaria una querela di parte, in assenza dell’attivazione immediata di un procedimento d’ufficio, nessuno vi imputerà di nulla.
Picchiate me! Così nessuno dei nostri figli penserà domani alla professione del padre o della madre come una professione degna di un riconoscimento sociale, ma piuttosto penserà che sia una professione indegna, da correggere addirittura con la violenza e con pene corporali. E tutto questo in uno Stato che non difende chi difendendo il diritto alla salute si prende cura di del senso stesso dello Stato, come il dovere civile di essere sempre al fianco dei più fragili, gli ammalati.
Picchiate me! Così in un atto solo potete dare un messaggio forte a tutti quelli che domani penseranno di affrontare un percorso di studi tra i più lunghi e i più complessi, armati solo dall’idea di poter fare la professione più bella del mondo, per poi scoprire che questa cosa la pensano solo loro e non la società civile per cui si adoperano.
Picchiate me! Se pensate che se qualcuno ha picchiato un medico ha fatto bene, anche se semplicemente non lo dite ma lo manifestate con il silenzio verso un atto che sa solo di vigliaccheria e che per quanto non lo comprendiate sta levando un diritto anche a voi.
Picchiate me! Anche se forse non sarò l’ultimo, mentre mi starete picchiando, pensate che nel prossimo futuro ce ne saranno sempre di meno a farsi picchiare. Fino al punto di non trovarne nessuno. Allora si che avrete fatto giustizia, ma di un’unica cosa, del vostro diritto di essere assistiti e curati. E in fondo solo allora capirete che se Picchiate me, picchiate voi stessi.
Calano aborti (IVG) in Italia, grazie anche alla pillola del giorno dopo
News PresaDiminuiscono le interruzioni volontarie di gravidanza (ivg) in Italia. In totale nel 2017 sono state 80.733, confermando il continuo andamento in diminuzione, maggiore rispetto a quello osservato nel 2016 (-4.9% rispetto al dato del 2016 e -65.6% rispetto al 1982, anno in cui si è osservato il più alto numero di IVG in Italia pari a 234.801 casi). Lo rileva la ‘Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della Legge 194/78 per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza – 2017′, trasmessa oggi al Parlamento. Le diminuzioni percentuali più elevate si osservano in Liguria, Umbria, Abruzzo e PA di Bolzano, mentre la PA di Trento è l’unica con un lieve aumento di interventi.
Tutti gli indicatori confermano il trend in diminuzione: il tasso di abortività (N. IVG rispetto a 1000 donne di 15-49 anni residenti in Italia), che rappresenta l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza del ricorso all’IVG, è risultato pari a 6.2 per 1000 nel 2017, con un decremento del 3.3% rispetto al 2016 e con una riduzione del 63.6% rispetto al 1982. Il dato italiano rimane tra i valori più bassi a livello internazionale.
Il rapporto di abortività (N. IVG rispetto a 1000 nati vivi) nel 2017 è risultato pari a 177.1 per 1000 nati vivi (o 17.7 per 100 nati vivi), con una riduzione del 2.9% rispetto al 2016 e del 53.4% rispetto al 1982. È da considerare che in questi ultimi anni anche i nati della popolazione presente sul territorio nazionale sono diminuiti di 9643 unità.
Offerta del servizio e obiezione di coscienza
Nel 2017, si rilevano valori più elevati di obiezione di coscienza tra i ginecologi (68.4%) rispetto agli anestesisti (45.6%). Ancora inferiore è la proporzione di personale non medico che ha presentato obiezione (38.9%). Tuttavia, per capire quale impatto tali percentuali abbiano sulla disponibilità del servizio e sul carico di lavoro degli operatori non obiettori, si è ritenuto opportuno continuare a stimare i tre parametri individuati in occasione dei monitoraggi effettuati negli anni precedenti, a partire dal 2013; in particolare il terzo parametro, relativo al carico di lavoro medio settimanale per ginecologo non obiettore, è stato rilevato a livello di singola struttura di ricovero, al fine di individuare eventuali criticità che potrebbero non emergere da un quadro aggregato a livello regionale o sub-regionale.
Secondo la relazione del Ministero, sulla riduzione delle IVG molto probabilmente ha inciso anche l’aumento dell’uso della contraccezione d’emergenza, Levonorgestrel (Norlevo) – pillola del giorno dopo e Ulipistral acetato (ellaOne) – pillola dei 5 giorni dopo, che non hanno più l’obbligo di prescrizione medica per le maggiorenni, e quindi richiedono una maggiore informazione alle donne per evitarne un uso inappropriato.
In generale sono in diminuzione i tempi di attesa, pur persistendo una non trascurabile variabilità fra le regioni, e si registra un aumento delle interruzioni nelle prime 8 settimane di gestazione, probabilmente almeno in parte dovuto all’aumento dell’utilizzo della tecnica farmacologica (Mifepristone+prostaglandine), che viene usata in epoca gestazionale precoce.
La bellezza secondo le star
News PresaLa morte ti fa bella era l’ironico titolo di un film dei primi Anni 90, una pellicola molto fantasiosa su ciò che le donne sono pronte a fare pur di fermare il tempo. Oggi i Vip e le star di Hollywood sembra stiano ripercorrendo il copione del film, con qualche esotica variante. E’ il caso di Victoria Beckham che, tramite il proprio profilo Instagram, ha lanciato un messaggio ammiccante ad un preparato alquanto discusso: una crema ottenuta utilizzando fra gli ingredienti anche qualche goccia di sangue. Questa è l’ultima stranezza in fatto di prodotti di bellezza che sta prendendo piede sui social. A quanto pare ogni flacone di questa “micracolosa” crema costa la bellezza di 1.360 euro. Spesi bene, secondo la ex Spice, visto che «Dopo averla tenuta per tutta la notte – scrive Beckham – la mia pelle sta benissimo, super idratata e pulita». La crema contiene il sangue fatto passare attraverso alcune perline di metallo per simulare gli eventi biochimici legati alla coagulazione e produrre così due proteine, Il-1 e Tgf-beta, attive contro l’infiammazione.
Come vampiri
Ovviamente nessuno studio scientifico ha mai valutato l’efficacia di questo trattamento, così come degli altri a base di sangue che periodicamente sono pubblicizzati dai vip. Qualche mese fa è salita alla ribalta delle cronache ad esempio la «vampire facial», la pratica di fare maschere facciali con il sangue promossa da diverse star come Kim Kardashian o Bar Rafaeli. A magnificare le terapie estetiche vampiresche non poteva mancare Gwyneth Paltrow, che sul proprio sito suggerisce di farsi iniezioni periodiche del proprio sangue per ottenere una serie di vantaggi anche per il sistema immunitario.
Piccoli consigli
Senza avere la pretesa di scoprire nulla di nuovo, proviamo a darvi qualche consiglio per una pelle più luminosa e tonica. In primo luogo bere acqua calda e limone ogni giorno aiuta a eliminare tossine dal corpo. Eliminare lo zucchero e l’alcool per qualche giorno (almeno cinque) per dare tuo corpo e alla pelle una pausa. Aumenta l’assunzione di frutta e verdura fresca per aumentare la quantità di sostanze nutritive utili alla pelle. Niente spuntini salati, che possono causare gonfiore e ritenzione idrica e soprattutto niente fumo. La sigaretta è infatti una delle peggiori nemiche della pelle sana.
La donna che non sente più la voce degli uomini
News PresaSta facendo letteralmente impazzire il web la notizia che arriva dalla Cina di una donna (della quale si conosce solo il cognome: Chen) che da qualche giorno non riesce più a sentire al voce degli uomini. Stando a quanto riportato da agenzie di stampa, la giovane donna (soli 24 anni) era andata a letto la sera prima con nausea e dei fastidiosi ronzii nelle orecchie. Il mattino dopo si è svegliata scoprendo che non riusciva a sentire il suo fidanzato.
La corsa in ospedale
Sembra la trama di un film, invece è realmente accaduto a Xiamen (città della Cina nella provincia del Fujian). Immediata la corsa al Qianpu Hospital, dove i medici hanno tentato di capire quei sintomi bizzarri, visto che riusciva invece a sentire le voci femminili. Infine la diagnosi della dottoressa Lin Xiaoqing, che si è occupata del caso: perdita di udito a bassa frequenza, o perdita dell’udito con pendenza inversa, un disturbo per cui poteva solo sentire le alte frequenze.
Una condizione rara
Si ritiene che la condizione, rara, colpisca solo uno su 13.000 pazienti con problemi di udito, secondo le statistiche. La storia della donna che non sente più al voce degli uomini è stata raccontata dal quotidiano britannico Daily Mail, che cita notizie locali. Questa condizione è normalmente difficile da diagnosticare perché sia medici sia pazienti potrebbero non essere a conoscenza della sua esistenza. Può essere causata dalla genetica, il che significa che le persone possono non essere mai state in grado di sentire suoni bassi, come il ronzio di un frigorifero. Secondo gli specialisti che hanno in cura la donna è possibile che lo stress abbia contribuito allo sviluppo della condizione. La paziente che non sente più al voce degli uomini ha infatti rivelato di aver lavorato di recente fino a tardi e non dormendo abbastanza. La specialista otorinolaringoiatra ha rivelato che è importante trattare rapidamente questi sintomi e ha detto di aspettarsi che la signora Chen si riprenda completamente.
Come in un film
Il caso ricorda molto la trama del fortunato film “What Women Want”. Nella pellicola Nick Marshall (Mel Gibson) è pubblicitario in una nota agenzia di Chicago. Sin dall’infanzia ha una smodata passione per le donne ed è un incallito seduttore, anche di colleghe. Divorziato, ha anche una figlia, Alex, ormai adolescente. Un giorno nella ditta entra, come nuovo direttore creativo (ruolo a cui Nick ambisce da sempre), l’affascinante e spregiudicata Darcy McGuire (Helen Hunt), che subito affida a tutti i suoi “inferiori” un nuovo slogan per una campagna pubblicitaria, avente per motivo “potere alle donne”. Nick, accettando a stento l’invito di calarsi nella psicologia femminile, arriva addirittura a depilarsi e a vestire calze di nylon; scivolando però su dei sali da bagno sparsi sul pavimento, cade nella vasca colma d’acqua assieme all’asciugacapelli e prende la scossa, svenendo. Quando si risveglia, scopre di aver assunto un potere “paranormale”: riesce infatti a sentire ciò che tutte le donne pensano. Per la giovane donna cinese è l’inverso, non sente più la voce degli uomini. Qualcuno ha ironizzato che, forse, è proprio questo “ciò che le vogliono le donne”.
Malattie croniche, sempre più i bambini colpiti
BambiniSono sempre più i bambini colpiti da malattie croniche. Uno dei problemi più rilevanti nella loro gestione è il passaggio dalle cure del pediatra a quelle del medico dell’adulto. Si tratta di un momento delicato per le famiglie e per il paziente, ma anche per il medico che guida questo processo. Infatti, se nelle cure pediatriche sono molto coinvolte le famiglie, per l’adulto la responsabilità diventa individuale ed è necessario quindi superare la completa delega alla famiglia e i genitori devono fare un passo indietro per accordare crescente indipendenza all’adolescente.
Esperti a confronto
Le modalità, i tempi, le figure coinvolte in questo processo, le peculiarità di alcune situazioni cliniche saranno i temi al centro dell’evento “La transizione dal pediatra al medico dell’adulto nell’adolescente con malattia cronica” in programma venerdì 18 gennaio 2019, dalle ore 9.00 alle 13.30, presso l’Aula Magna di Biotecnologie dell’Università Federico II di Napoli (via T. De Amicis, 95). Il convegno, i cui responsabili scientifici sono Pietro Strisciuglio, direttore dell’UOC di Pediatria Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, e Riccardo Troncone, direttore dell’UOC di Pediatria Specialistica, sarà aperto dai saluti istituzionali del Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia Luigi Califano e del Direttore generale dell’AOU Federico II Vincenzo Viggiani. Tra gli argomenti che saranno affrontati, la transizione del paziente complesso, il ruolo dello psicologo nel passaggio dalla cure pediatriche al medico dell’adulto, le indicazioni delle società scientifiche rispetto alla transizione e le criticità e le possibili soluzioni nei casi in cui non esiste un equivalente specialista dell’adulto. Saranno messi a confronto i diversi punti di vista dei protagonisti del percorso di transizione: quello dei genitori, del pediatra e del medico di famiglia, della Direzione Sanitaria e della Regione. Numerosi i professionisti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II che interverranno per portare il loro contributo al dibattito.
Cosa sono
Proprio perché sono sempre più i casi, di malattie croniche si sente parlare sempre più spesso. Ma altrettanto di frequente non si conosce bene il “nemico”. Una definizione molto completa è quella offerta dal portale dell’epidemiologia per la sanità Epicentro . «Le malattie croniche costituiscono la principale causa di morte quasi in tutto il mondo. Si tratta di un ampio gruppo di malattie, che comprende le cardiopatie, l’ictus, il cancro, il diabete e le malattie respiratorie croniche. Ci sono poi anche le malattie mentali, i disturbi muscolo-scheletrici e dell’apparato gastrointestinale, i difetti della vista e dell’udito, le malattie genetiche. In generale, sono malattie che hanno origine in età giovanile, ma che richiedono anche decenni prima di manifestarsi clinicamente. Dato il lungo decorso, richiedono un’assistenza a lungo termine, ma al contempo presentano diverse opportunità di prevenzione. Alla base delle principali malattie croniche ci sono fattori di rischio comuni e modificabili, come alimentazione poco sana, consumo di tabacco, abuso di alcol, mancanza di attività fisica. Queste cause possono generare quelli che vengono definiti fattori di rischio intermedi, ovvero l’ipertensione, la glicemia elevata, l’eccesso di colesterolo e l’obesità. Ci sono poi fattori di rischio che non si possono modificare, come l’età o la predisposizione genetica. Nel loro insieme questi fattori di rischio sono responsabili della maggior parte dei decessi per malattie croniche in tutto il mondo e in entrambi i sessi».
Malattie croniche, sempre più i bambini colpiti
BambiniSono sempre più i bambini colpiti da malattie croniche. Uno dei problemi più rilevanti nella loro gestione è il passaggio dalle cure del pediatra a quelle del medico dell’adulto. Si tratta di un momento delicato per le famiglie e per il paziente, ma anche per il medico che guida questo processo. Infatti, se nelle cure pediatriche sono molto coinvolte le famiglie, per l’adulto la responsabilità diventa individuale ed è necessario quindi superare la completa delega alla famiglia e i genitori devono fare un passo indietro per accordare crescente indipendenza all’adolescente.
Esperti a confronto
Le modalità, i tempi, le figure coinvolte in questo processo, le peculiarità di alcune situazioni cliniche saranno i temi al centro dell’evento “La transizione dal pediatra al medico dell’adulto nell’adolescente con malattia cronica” in programma venerdì 18 gennaio 2019, dalle ore 9.00 alle 13.30, presso l’Aula Magna di Biotecnologie dell’Università Federico II di Napoli (via T. De Amicis, 95). Il convegno, i cui responsabili scientifici sono Pietro Strisciuglio, direttore dell’UOC di Pediatria Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, e Riccardo Troncone, direttore dell’UOC di Pediatria Specialistica, sarà aperto dai saluti istituzionali del Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia Luigi Califano e del Direttore generale dell’AOU Federico II Vincenzo Viggiani. Tra gli argomenti che saranno affrontati, la transizione del paziente complesso, il ruolo dello psicologo nel passaggio dalla cure pediatriche al medico dell’adulto, le indicazioni delle società scientifiche rispetto alla transizione e le criticità e le possibili soluzioni nei casi in cui non esiste un equivalente specialista dell’adulto. Saranno messi a confronto i diversi punti di vista dei protagonisti del percorso di transizione: quello dei genitori, del pediatra e del medico di famiglia, della Direzione Sanitaria e della Regione. Numerosi i professionisti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II che interverranno per portare il loro contributo al dibattito.
Cosa sono
Proprio perché sono sempre più i casi, di malattie croniche si sente parlare sempre più spesso. Ma altrettanto di frequente non si conosce bene il “nemico”. Una definizione molto completa è quella offerta dal portale dell’epidemiologia per la sanità Epicentro . «Le malattie croniche costituiscono la principale causa di morte quasi in tutto il mondo. Si tratta di un ampio gruppo di malattie, che comprende le cardiopatie, l’ictus, il cancro, il diabete e le malattie respiratorie croniche. Ci sono poi anche le malattie mentali, i disturbi muscolo-scheletrici e dell’apparato gastrointestinale, i difetti della vista e dell’udito, le malattie genetiche. In generale, sono malattie che hanno origine in età giovanile, ma che richiedono anche decenni prima di manifestarsi clinicamente. Dato il lungo decorso, richiedono un’assistenza a lungo termine, ma al contempo presentano diverse opportunità di prevenzione. Alla base delle principali malattie croniche ci sono fattori di rischio comuni e modificabili, come alimentazione poco sana, consumo di tabacco, abuso di alcol, mancanza di attività fisica. Queste cause possono generare quelli che vengono definiti fattori di rischio intermedi, ovvero l’ipertensione, la glicemia elevata, l’eccesso di colesterolo e l’obesità. Ci sono poi fattori di rischio che non si possono modificare, come l’età o la predisposizione genetica. Nel loro insieme questi fattori di rischio sono responsabili della maggior parte dei decessi per malattie croniche in tutto il mondo e in entrambi i sessi».
Scoperta firma molecolare che predice il tumore del polmone
Ricerca innovazioneUna speciale firma molecolare sembra in grado di predire il futuro sviluppo di un tumore del polmone in persone ad alto rischio. A questo proposito lavora costantemente il gruppo di Gabriella Sozzi, direttrice della Struttura complessa di genomica tumorale all’Istituto nazionale tumori di Milano.
La firma è composta da 24 piccole molecole di RNA (microrna) che funzionano come interruttori in grado di attivare o inattivare gruppi di geni. Sono molecole importantissime nel dialogo che il tumore fin dall’inizio avvia con il microambiente che lo circonda, piegandolo a proprio vantaggio. Dopo aver individuato la firma, aver scoperto che è visibile nel sangue di persone a rischio (per esempio forti fumatori) fino a due anni prima della comparsa di noduli polmonari rilevabili con la TAC, e aver avviato uno studio clinico per valutarne l’efficacia come strumento di diagnosi precoce, il gruppo coordinato da Sozzi ha cercato di scoprire qualcosa in più sull’origine delle molecole che compongono la firma.
I risultati degli ultimi esperimenti sono stati pubblicati sull’International Journal of Cancer. “Lavorando sia su linee cellulari sia sul plasma di pazienti con tumore del polmone o di persone ad alto rischio di svilupparlo abbiamo scoperto che queste 24 molecole derivano principalmente da cellule del sistema immunitario e sono indice di un microambiente polmonare alterato, pronto a favorire la crescita di un tumore”. Parola di Orazio Fortunato, collaboratore di Sozzi e primo autore di questo studio. Ma i microrna della firma non sono solo spettatori passivi di un ambiente che cambia a favore del tumore: almeno uno, il mir320, ha anche un ruolo attivo in questo senso, inibendo le cellule del sistema immunitario che potrebbero ostacolare la crescita di quelle tumorali.
“Conoscere sempre più in dettaglio i meccanismi di rilascio di queste molecole e la loro funzione nell’insorgenza di un tumore potrebbe permettere, in futuro, lo sviluppo di nuove terapie dirette proprio contro queste molecole attive” auspica Fortunato. La ricerca è stata possibile grazie al sostegno di AIRC e ai fondi destinati con il 5 per mille.
Mieloma multiplo e linfoma mantellare: trovati nuovi bersagli terapeutici
Ricerca innovazioneIl proteasoma è una struttura della cellula che provvede alla degradazione e al rinnovo delle proteine. I suoi inibitori sono farmaci utilizzati nella terapia di alcuni tumori del sangue, come il mieloma multiplo e il linfoma mantellare. Non tutti i pazienti rispondono però a questi farmaci, alcuni fin dall’inizio, altri sviluppando nel tempo una resistenza.
I risultati di uno studio coordinato da Roberto Piva dell’Università di Torino suggeriscono una possibile strategia per migliorare la risposta dei pazienti, basata sulla combinazione di inibitori del proteasoma e inibitori di molecole che compongono una via biochimica fondamentale per i processi energetici della cellula. I risultati dello studio sostenuto da AIRC sono pubblicati sulla rivista Blood.
“Siamo partiti dall’analisi di linee cellulari tumorali resistenti agli inibitori del proteasoma, nelle quali abbiamo inattivato uno alla volta una serie di geni implicati nella genesi e nello sviluppo tumorale” spiega Piva. “Abbiamo scoperto che quando viene inattivato il gene IDH2, codificante per un enzima attivo nei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, le cellule recuperano la sensibilità ai farmaci”. Successivamente i ricercatori hanno verificato che si ottiene lo stesso effetto sinergico inattivando IDH2 non con un approccio genetico ma con un farmaco: “Lo abbiamo riscontrato in linee cellulari sia di mieloma multiplo, sia di linfoma mantellare e linfoma di Burkitt”. Non solo: l’effetto sinergico è stato osservato anche inattivando altre molecole che fanno parte della stessa via biochimica alla quale appartiene IDH2. Questo effetto è stato confermato anche in cellule tumorali direttamente prelevate da pazienti con mieloma multiplo.” Questo studio dimostra che IDH2, e gli enzimi che portano alla sua attivazione, possono essere ottimi bersagli terapeutici per strategie mirate ad aumentare l’efficacia degli inibitori del proteasoma. In futuro questo approccio potrebbe rivelarsi utile non solo per superare la mancata risposta e la resistenza nei tumori del sangue, ma anche per ampliare l’utilizzo clinico di questi farmaci in tumori solidi come il carcinoma polmonare non a piccole cellule o il cancro della prostata, dove sembravano promettenti ma si sono rivelati tossici.“L’effetto sinergico permetterebbe di aumentare l’efficacia pur riducendo i dosaggi degli inibitori di proteasoma a livelli non pericolosi” conclude Elisa Bergaggio, coautrice della ricerca.
Sguardo al futuro distingue i top manager: non rimandano mai
Stili di vitaProcrastinare è una tendenza che non accomuna i grandi manager. Lo diceva già il proverbio: “non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi”. In pratica, una ricerca ha dimostrato che un utilizzo più efficace del tempo e un piede già nel futuro è ciò che distingue i top manager da un manager qualunque. Lo studio è stato pubblicato su ‘The Psychology, Journal of the Higher School of Economics‘.
Lo studio
Sono stati coinvolti 120 dirigenti, sia uomini che donne, di diverse posizioni. È stato chiesto loro di valutare quanto fossero d’accordo con 56 affermazioni basate sul loro rapporto con il tempo passato, presente e futuro. Tra le frasi c’era per esempio: “sono felice di pensare al mio passato”, “se qualcosa è destinato ad accadere, non dipende dalle mie azioni”, “credo che ogni mattina una persona debba pianificare la propria giornata”. I risultati hanno mostrato che i top manager si concentrano molto sulle prospettive temporali future e sul passato positivo, mentre i gruppi di middle manager sul presente edonista e si sentivano più spesso affidati al loro destino. Anche la tendenza a rimandare riguardava meno top manager (53) rispetto al gruppo dei quadri intermedi (57). Gli psicologi della Higher School of Economics ipotizzano una correlazione tra questi due aspetti. La tendenza a rimandare riscontrata nei quadri intermedi può dipendere dalla loro propensione ad accumulare ricordi, non prestando sufficiente attenzione al futuro. La tendenza a non rimandare dei top manager riflette, invece, la loro capacità di autoregolarsi, fissare sempre nuovi obiettivi e avere maggiore controllo.
Medici, una categoria ad alto rischio violenza
News PresaNon sono tempi facili per chi indossa un camice. Lo ha ribadito anche Francesco Rocco Pugliese, presidente della Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) ascoltato in Commissione Sanità del Senato:«Gli operatori sanitari sono 16 volte più a rischio di violenza degli altri lavoratori», e in particolare «gli operatori dei Dipartimenti di Emergenza, e prevalentemente gli infermieri, rischiano di subire comportamenti violenti».
Assuefatti alla violenza
Purtroppo, ha precisato Pugliese, «il fenomeno è assolutamente sottodimensionato, poiché normalmente vengono denunciate solo le aggressioni in cui sono riportate lesioni gravi», e questo è dovuto probabilmente al fatto che gli operatori sono ormai assuefatti alle aggressioni, soprattutto verbali, che considerano facenti parte del loro lavoro. In loro prevale, ha aggiunto Pugliese, «il senso di rassegnazione e frustrazione». La gestione del fenomeno, per la Simeu, deve avvenire attraverso interventi sul contesto, sugli operatori, sui media e legislativi. Il ddl 867 “Disposizioni in materia di Sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie”, in discussione al Senato, è “indispensabile” ma è necessario anche «risolvere il problema del sovraffollamento del pronto soccorso, che determina allungamento dei tempi di attesa, scarsa possibilità di comunicazione e ridotti tempi di assistenza». Così come è necessario, ha concluso Pugliese, «formare gli operatori a tecniche di comunicazione per la gestione dei pazienti difficili».
Picchiate me
Uno che non si è mai tirato indietro nella difesa dei camici bianchi, e che tra i primi ha compreso la gravità del fenomeno, è il segretario generale Fimmg Silvestro Scotti. Nell’aprile del 2018, un momento particolarmente caldo dal punto di vista delle aggressioni, scrisse una lettera aperta che colpì molto l’opinione pubblica.
A tutti quelli che pensano che sia giusto picchiare un medico che cerca di fare il proprio dovere nei limiti di un’organizzazione che non dipende da lui, di una logistica che non dipende lui, di una condizione di malattia la cui evoluzione – nonostante il suo impegno – non potrà cambiare voglio dare un’occasione: picchiate me!!
A tutti quelli che rivolgendosi in una sede di continuità assistenziale (ex guardia medica), e trovando una donna, pensano per questo di essere “i più forti” e la aggrediscono dico: picchiate me!!
A tutti quelli che in un pronto soccorso, senza considerare il diritto di assistenza di tutti, penseranno di farsi giustizia da soli senza una prova, senza una possibile difesa, senza una condanna, ma solo certi delle proprie ragioni figlie solo d’ignoranza e asocialità dico: picchiate me!!
A tutti quelli che solo perché un’autoambulanza, a loro avviso e nella tensione di un’emergenza, appare arrivare in ritardo o non si reca nell’ospedale che loro credono più adatto. A quanti aggrediscono medici ed equipaggio e poi sono gli stessi che se sono nel traffico non danno spazio ai mezzi di emergenza o vanno in ospedale per le ragioni più inappropriate – determinando loro stessi le ragioni dell’attesa in pronto soccorso dico: picchiate me!!
A tutti quelli che considerano che un medico debba essere aggredito perché magari ha assistito al meglio il paziente che ha di fronte (sulla base di regole che impongono di dedicare immediate attenzioni ai casi più gravi per poi passare a tutti gli altri), ma piuttosto credono che debba dedicarsi prima di tutto a loro, perché sono arrivati prima o perché hanno deciso che sono loro i più gravi, dico: picchiate me!!
Picchiate me! Perché così in un atto solo avrete simbolicamente fatto “ingiustizia” verso tutti i medici della provincia di Napoli, ma anche verso tutti i medici di famiglia, di continuità assistenziale (ex guardia medica) e di emergenza sanitaria territoriale (medici del 118) da me rappresentati a livello nazionale e sono tanti!!
Picchiate me! Poiché come tutti i medici aggrediti, non riconosciuti in un ruolo di pubblico ufficiale, non rischierete nulla. Perché come medico, qualunque cosa mi facciate sceglierò sempre di non essere contro di voi con una denuncia. Così, fintanto che sarà necessaria una querela di parte, in assenza dell’attivazione immediata di un procedimento d’ufficio, nessuno vi imputerà di nulla.
Picchiate me! Così nessuno dei nostri figli penserà domani alla professione del padre o della madre come una professione degna di un riconoscimento sociale, ma piuttosto penserà che sia una professione indegna, da correggere addirittura con la violenza e con pene corporali. E tutto questo in uno Stato che non difende chi difendendo il diritto alla salute si prende cura di del senso stesso dello Stato, come il dovere civile di essere sempre al fianco dei più fragili, gli ammalati.
Picchiate me! Così in un atto solo potete dare un messaggio forte a tutti quelli che domani penseranno di affrontare un percorso di studi tra i più lunghi e i più complessi, armati solo dall’idea di poter fare la professione più bella del mondo, per poi scoprire che questa cosa la pensano solo loro e non la società civile per cui si adoperano.
Picchiate me! Se pensate che se qualcuno ha picchiato un medico ha fatto bene, anche se semplicemente non lo dite ma lo manifestate con il silenzio verso un atto che sa solo di vigliaccheria e che per quanto non lo comprendiate sta levando un diritto anche a voi.
Picchiate me! Anche se forse non sarò l’ultimo, mentre mi starete picchiando, pensate che nel prossimo futuro ce ne saranno sempre di meno a farsi picchiare. Fino al punto di non trovarne nessuno. Allora si che avrete fatto giustizia, ma di un’unica cosa, del vostro diritto di essere assistiti e curati. E in fondo solo allora capirete che se Picchiate me, picchiate voi stessi.
Rischio clinico, il Cardarelli punta sulla formazione
PrevenzioneL’ospedale Cardarelli di Napoli ha inaugurato una scuola che si occuperà di formare i professionisti della sanità nella gestione dei rischi clinici, la sede partenopea della “School of clinical risk management”. La gestione del rischio clinico in sanità è un’esigenza imprescindibile, un punto sul quale la Giunta Regionale ha voluto accelerare in maniera decisa. A marzo del 2017 la Regione Campania ha istituito per decreto il Gruppo analisi eventi sentinella e monitoraggio dei piani di miglioramento, che coordina e raccoglie i dati delle singole Aziende dotate anch’esse della funzione di gestione del rischio clinico e di un referente. Creando di fatto una rete regionale.
Un pool di esperti
La scuola nata al Cardarelli è sostenuta sotto il profilo scientifico e didattico da “Hospital & Clinical Risk Managers”, associazione che racchiude medici chirurghi specialisti, liberi professionisti, ricercatori, dottorandi, ingegneri, avvocati, assistenti in formazione specialistica e molte altre figure professionali che caratterizzano l’ambito sanitario. L’associazione, riconosciuta a livello internazionale, si prefigge esclusivamente scopi scientifici e culturali, per supportare, implementare e coordinare l’azione degli operatori sanitari impegnati, per ruolo o funzione aziendale, nella realizzazione di politiche di qualità e sicurezza delle cure e delle strutture in cui le cure sono erogate. L’obiettivo è dunque quello di fare la propria parte nella ricerca di una sanità che sia sempre più d’eccellenza, grazie ad iniziative che valorizzando la gestione del rischio in sanità possano migliorare l’offerta di salute. Gli ambiti di azione sono i più vari: si va dalla didattica e l’accreditamento formativo alla pubblicazione degli atti di incontri scientifici, pubblicazione di articoli su riviste nazionali e internazionali e l’edizione di giornali e riviste tecniche e scientifiche di settore.
Il campo d’azione
Ma cosa si intende per clinical risk management? Semplificando: è la scienza che in maniera “proattiva” previene e riduce il rischio clinico. Essere proattivi significa lavorare con il supporto di metodologie e strumenti utili a percepire in anticipo i problemi e i cambiamenti, così da pianificare efficacemente le azioni da mettere in campo. E’ proprio in tal senso, dal marzo 2017 la Regione Campania ha istituito per decreto il “Gruppo analisi eventi sentinella e monitoraggio dei piani di miglioramento”, che coordina e raccoglie tutti i dati delle singole Aziende dotate anch’esse – ognuna – della funzione di gestione del rischio clinico e di un referente. Creando, di fatto, una rete regionale.
Abbattere i rischi
«Fin dall’insediamento della direzione strategica abbiamo introdotto, in linea con gli indirizzi del governo regionale, tanti protocolli e tante iniziative – spiega il direttore generale Ciro Verdoliva – perché è fondamentale riconoscere i primi sintomi di malfunzionamento in ogni processo assistenziale, soprattutto in un’Azienda che ha il compito di “garantire salute”, facendo in modo che eventuali campanelli d’allarme siano affrontati prontamente, prima che si produca un danno al paziente. Anzi, la conoscenza e l’attuazione di protocolli e procedure correlate al rischio clinico consente anche di preservare gli operatori sanitari e l’Azienda stessa da possibili rischi di contenzioso. Inoltre, l’interfaccia tra le Aziende ed il Governo regionale rende più semplice la realizzazione dell’intento principale del Legislatore, finalizzato a garantire non solo il “diritto alla salute”, ma la qualità delle prestazioni sanitarie nel complesso sistema che ne è alla base». Sulla stessa linea il professor Alberto Firenze, Presidente di HCRM (Hospital & Clinical Risk Managers). «Gli errori – dice – fanno parte della natura dell’uomo e da questo punto di vista sono da ritenersi inevitabili. Questo però non può consentire di adagiarsi perché è evidente che gli errori sono spesso favoriti da “fattori contribuenti” di tipo organizzativo, sui quali si può e si deve lavorare. Bisogna rimuovere questi fattori, diminuendo la probabilità che un errore si verifichi. La società scientifica HCRM è un luogo di pensiero comune e di interscambio culturale che amplifica il pensiero della prevenzione degli errori grazie allo scambio di esperienze, idee, iniziative che hanno un minimo comune denominatore: la sicurezza delle cure. L’altro versante è quello di creare e fortificare una vera e propria cultura della prevenzione degli errori, che cominci anche a fare presa nelle nuove generazioni di medici che giungano pronte al letto del malato, a sviluppare una cultura della sicurezza oltre che della salute perché non c’è l’una senza l’altra. Ecco perché il nome della società racchiude in se il concetto del dove, “l’hospital”; del cosa, “il clinical” e del come, “il management”»