Tempo di lettura: 4 minutiI dati dicono che un quarto dei pazienti con dolore cronico continua a soffrire perché non riceve cure adeguate. Tuttavia, anche con l’aiuto di nuove tecnologie basate sulla neurostimolazione si potrebbero risolvere la maggioranza dei casi. Se n’è discusso a Milano in occasione del 5° International Theras Day.
Molti italiani che continuano a soffrire di mal di schiena (più della metà con dolore cronico), di cefalea, della nevralgia post-erpetica (fuoco di Sant’Antonio), della nevralgia del trigemino, artrosi, sono rassegnati a pensano che la medicina non possa fare di più. “Tutti cercano di lenire il dolore, ma se questo è cronico, per molti la cosa si fa difficile con il trascorrere del tempo – spiega Giuliano De Carolis, Presidente Federdolore-SICD (Società Italiana dei Clinici del Dolore), Anestesista dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa – Purtroppo il dolore viene sopportato o sottovalutato dal paziente in quasi un terzo dei casi (29%) oppure curato con antidolorifici non specifici (23%). Dopo le prime cure, spesso sufficienti per la fase acuta, 1 paziente su 4 non riesce più a far fronte alla sofferenza perché le cure non sono più efficaci. I tentativi di trovare nuove strade farmacologiche non hanno sempre successo e il paziente stesso, scoraggiato, non crede più a soluzioni possibili. In realtà le soluzioni esistono e risolvono o migliorano la maggioranza dei casi, grazie alle nuove tecnologie che permettono approcci mini-invasivi, duraturi e non farmacologici”
Dunque 1 italiano su 4 soffre di dolore cronico, e di questi il 25% non è adeguatamente trattato. “La nuova frontiera è la neurostimolazione, non ancora così diffusa e praticata in Italia. Parliamo di trattamenti senza l’utilizzo di farmaci, ben consolidati e utilizzati a livello globale da oltre 30 anni, in cui gli impulsi elettrici calmano i nervi e riducono i segnali di dolore al cervello – continua De Carolis – Gli strumenti a disposizione offrono la possibilità di intervenire in modo efficace, rapido e duraturo, a seconda le indicazioni di ogni singolo paziente. Il livello di invasività è decisamente ridotto, basti pensare alla neurostimolazione percutanea (PENS) in grado di alleviare il dolore già dalla prima applicazione nella zona di interesse. Per dolori più complessi è possibile intervenire anche a livello midollare grazie a un intervento chirurgico (SCS, Stimolazione del Midollo Spinale) che permette di impiantare un piccolo dispositivo che rilascia in sicurezza lievi impulsi elettrici ai nervi interrompendo o riducendo la trasmissione dei segnali del dolore al cervello. I trattamenti di nuova generazione oltre a confermare l’evidente livello di efficacia anche nel tempo, ha inciso molto anche sull’invasività dell’intervento che ora viene fatto in anestesia locale con un blando sedativo per la durata di massimo 1 ora. Anche i tempi di reazione sono decisamente migliorati, grazie soprattutto alla mancanza di formicolio (parestesia) che facilita la ripresa delle attività quotidiane (compresa quella di guidare l’auto)” .
Definizione e numeri del dolore cronico
Il dolore cronico benigno è un dolore persistente e debilitante che dura per tre mesi o più, e può avere eziologie molto differenti. Può essere conseguente a un intervento chirurgico o a un infortunio oppure può essere di origine iatrogena come l’emicrania. Il dolore cronico (non causato da tumori) colpisce circa 1,5 miliardi di persone in tutto il mondo e oltre 16 milioni di italiani. Tra le varie eziologie il mal di schiena è tra le prime cause di dolore cronico benigno. Il 51% degli italiani soffre di cefalea acuta, mentre il 14% soffre di emicrania e il 4% di cefalea cronica.
Identikit
Il paziente tipo è una donna tra i 35-50 anni, con mal di testa e dolori diffusi, un reddito familiare medio tra i 20 e i 40 mila euro all’anno, sottoposta a molti fattori di stress e con un’educazione medio-bassa (es. scuola dell’obbligo). La causa generalmente è da individuare nelle artriti o nell’ernia del disco, le sedi più comune rimangono schiena, gambe e testa. Gli esperti identificano, infatti, una relazione inversamente proporzionale tra il grado di istruzione e il grado e la persistenza del dolore. Probabilmente questo dato dipende dall’accesso alle cure. Solo nella metà dei casi si rivolgono a un medico, più spesso a quello di famiglia (57,9%), raramente al terapista del dolore (5,8%). Il 61,7% degli italiani soffre di dolore cronico ma non sa come affrontarlo. Il dolore viene sopportato o sottovalutato dal paziente in quasi un terzo dei casi (29%) oppure curato con antidolorifici non specifici (23%)
Le terapie
La pratica clinica più diffusa per il trattamento del dolore cronico moderato è l’impiego dei farmaci antinfiammatori non steroidei, i Fans. In Italia nel 68% dei casi il dolore viene controllato con uno di questi medicinali (ogni anno si consumano 43 milioni di confezioni di Fans per curare il dolore nel nostro Paese), rispetto a una media europea del 44%, con un costo annuale di trattamento del dolore cronico nel nostro Paese di 4.556 euro per paziente, imputabili alle perdite di produttività (assenze da lavoro) e 1.400 euro come costi diretti a carico del Servizio sanitario nazionale. Esiste un dolore nocicettivo di origine meccanica generalmente causato da danni alle ossa, ai muscoli o in generale ai tessuti e un dolore neuropatico che è causato da una lesione dei nervi. Generalmente queste due tipologie di dolore coesistono nello stesso paziente rendendo quindi necessaria una terapia multifattoriale. È ampio lo spettro di patologie che possono generare il dolore cronico benigno ad esempio: lombalgia, ernia del disco, cefalea, sciatica, nevralgia post-erpetica, cicatrice dolorosa, neuropatia diabetica, nevralgia del trigemino, artrosi, fibromialgia, lombosciatalgie, dolori di origine osteoarticolare.
Demenza: emergenza socio-sanitaria con “enormi implicazioni economiche”
News PresaPiù di un milione di pazienti è affetto da demenza, ma la prevalenza è in progressivo aumento. Sono oltre 3 milioni, invece, le persone coinvolte nell’assistenza ai pazienti e i costi socio sanitari superano i 10 miliardi di euro all’anno.
Cos’è la demenza
Il termine demenza descrive una serie di sintomi cognitivi, comportamentali e psicologici che possono includere perdita di memoria, difficoltà di ragionamento e di comunicazione e cambiamenti della personalità. Anche le normali attività quotidiane diventano difficili, con conseguente perdita di autonomia. In Italia, secondo i dati del Ministero della Salute, i pazienti affetti da demenza sono oltre un milione (di cui circa 600.000 con malattia di Alzheimer) ed in continuo aumento per l’invecchiamento della popolazione. Circa 3 milioni di persone sono coinvolte direttamente o indirettamente nell’assistenza dei pazienti affetti da demenza, i cui costi socio-sanitari sono stimati tra i 10 e 12 miliardi di euro all’anno.
«La demenza rappresenta una rilevante emergenza socio-sanitaria con enormi implicazioni economiche – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e il suo impatto nei prossimi anni sarà condizionato, oltre che dall’invecchiamento della popolazione, anche da un’assistenza ad oggi non ottimale: infatti, se da un lato circa il 50% delle persone affette da demenza non riceve un supporto adeguato dopo la diagnosi, dall’altro 1 paziente su 3 non viene diagnosticato, impedendo alle famiglie ad accedere ai fondi per le disabilità».
Nel nostro Paese esistono numerosi riferimenti normativi e iniziative finalizzate a migliorare l’assistenza dei pazienti con demenza: dal Piano nazionale demenze (PND) al tavolo di monitoraggio della sua implementazione; dall’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità alle “Linee di indirizzo nazionali sui Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) per le demenze” e alle “Linee di indirizzo nazionali sull’uso dei Sistemi informativi per caratterizzare il fenomeno delle demenze”.
«A fronte dei vari documenti di programmazione e organizzazione sanitaria – continua il Presidente – non sono oggi disponibili per i professionisti sanitari, pazienti, familiari e caregiver linee guida nazionali aggiornate, mentre quelle regionali risultano obsolete secondo i criteri definiti dal nuovo Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG). In altri termini, manca una base scientifica condivisa per informare la costruzione dei PDTA a livello regionale e locale». Per questo la Fondazione GIMBE ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate a giugno 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del SNLG.
Le linee guida NICE forniscono raccomandazioni relative a vari aspetti della gestione della demenza: dal coinvolgimento attivo dei pazienti alla valutazione iniziale in ambiti non specialistici e all’invio ai Centri per i Disturbi Cognitivi e Demenze; dal coordinamento dell’assistenza agli interventi sanitari per promuovere le funzioni cognitive, l’indipendenza e il benessere dei pazienti; dalla terapia farmacologica delle demenze da Alzheimer e non-Alzheimer ai farmaci che possono causare un deterioramento cognitivo; dal trattamento dei sintomi non cognitivi (ansia, depressione, disturbi del sonno) alla valutazione e trattamento di altre condizioni croniche (dolore, deficit sensoriali); dal supporto ai caregiver alla pianificazione anticipata dell’assistenza.
«Fondamentale per l’implementazione delle raccomandazioni – puntualizza il Presidente – è l’identificazione di un unico professionista sanitario o sociale responsabile del coordinamento assistenziale dei pazienti affetti da demenza, i cui ruoli e responsabilità sono declinati in maniera molto precisa dalle linee guida».
Ci sono anche le raccomandazioni pratiche su accuratezza diagnostica dei vari test cognitivi, criteri di diagnosi differenziale tra demenza e delirium, interventi cognitivi e di formazione per i caregiver, oltre alla definizione delle priorità rilevanti per la ricerca, al fine di ampliare le conoscenze scientifiche per la gestione di questa condizione.
«In attesa della elaborazione delle linee guida nazionali sulla demenza, già incluse nell’elenco delle priorità da parte del Comitato Strategico del SNLG – conclude Cartabellotta – auspichiamo che la versione italiana di questo autorevole documento del NICE rappresenti una base scientifica di riferimento, sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento di professionisti sanitari e operatori sociali sia per la corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».
Le Linee guida per la diagnosi, la terapia e il supporto dei pazienti affetti da demenza sono disponibili a: www.evidence.it/demenze.
Diabete di tipo 1: due pazienti su tre senza controllo ottimale
Ricerca innovazioneDue pazienti su tre con diabete di tipo 1 non hanno un controllo ottimale e rischiano gravi complicanze. Se ne è parlato oggi a Milano in occasione del 5° Internationlal Theras Day. Oggi è disponibile un “GPS della glicemia”. Gli studi sull’efficacia del CGM (monitoraggio continuo della glicemia), mettono d’accordo gli esperti riuniti a Milano che concordano sulle nuove frontiere per gestire al meglio il diabete. Durante l’incontro è stata presentata la novità del CGM (Dexcom G6) e i risultati di un’indagine IQVIA-Theras sulla qualità di vita. Le misurazioni tradizionali al polpastrello tracciano una cartina stradale, che però non tiene conto del conducente, dell’auto, del traffico, del ghiaccio e di tutte le variabili che possono rallentare il viaggio. E in più, la scomodità e la poca precisione della cartina, spiegano anche perché sono pochi a seguirla e controllarla regolarmente.
“L’uso dell’autocontrollo, inteso come strumento per raggiungere un obiettivo glicemico il più possibile vicino alla normalità – ha detto Antonio Ceriello, Direttore del Dipartimento Ricerca sul Diabete dell’IRCCS Multimedica Milano, Presidente del Gruppo di studio “Diabetes and Cardiovascular Deseases” dell’EASD – consente di ridurre il rischio di complicanze nel diabete di tipo 1. E’ stato calcolato che sono circa 20mila le punture al dito alle quali un diabetico si sottopone in 10 anni. E questo numero non è sovrapponibile e replicabile per tutti i pazienti, perché solo 1 su 3 si monitora costantemente per decidere quando e se intervenire con la terapia corretta”.
Durante il 5° International Theras Day (in corso a Milano dal 30 al 31 gennaio), i massimi esperti internazionali del diabete hanno discusso di soluzioni tecnologicamente avanzate.
“L’introduzione del monitoraggio continuo della glicemia ha segnato una svolta nella gestione del paziente con numerosi vantaggi dimostrati a livello scientifico. Molte delle informazioni contenute nel CGM – ha continuato Ceriello – evidenziano importanti fattori di variabilità legati al tempo e alla frequenza delle ipoglicemie indispensabili per un corretto controllo. A questo potrei aggiungere un’altra evidenza che conferma un’importante riduzione della emoglobina glicatata (1%) e dell’ipoglicemia notturna (88%). L’ultimo nato tra i CGM è un dispositivo in grado di offrire un livello tale di sicurezza e precisione capace di conquistare pazienti e caregiver, di tutte le età a partire dai 2 anni.
Va considerato anche il puntuale livello di predittività dello stesso, che contribuisce a rassicurare il paziente incidendo notevolmente sul benessere generale e sulla migliore qualità di vita. L’andamento dinamico e continuo della misurazione offre ogni giorno quasi 300 aggiornamenti costanti e automatici che il paziente può leggere in diretta, ogni 5 minuti e che forniscono indicazioni utili per prevenire ipo e iperglicemie. La svolta epocale – conclude Ceriello – è dettata proprio dalla quantità di valori a disposizione in ogni momento del giorno e della notte. Il paziente non dovrà più “limitarsi” a verificare le 5 misurazioni giornaliere fatte con la puntura del polpastrello, seguite magari da altrettante per intraprendere azioni terapeutiche correttive. L’autocalibrazione è stata perfezionata proprio per “restare sempre on-line con la propria glicemia”, garantendo la massima affidabilità e sicurezza, confermata anche dalla piena e unica approvazione dell’FDA per tale utilizzo. Spiego sempre ai miei pazienti che la gestione del diabete rappresenta un grande impegno senza soste, un viaggio quotidiano pieno di imprevisti da affrontare e che coinvolge spesso tutta la famiglia. E per agevolarne la guida, la tecnologia ha saputo rispondere in modo preciso con un CGM altamente tecnologico”
Il nome del 1° “GPS della glicemia” è Dexcom G6, distribuito da Theras Group, ora disponibile in Italia. Si tratta di una vera e propria guida intelligente e automatica nel mondo della glicemia che consente di collegarsi direttamente al satellite e ricalcolare la rotta (autocalibrazione automatica che evita le 2 punture capillari al giorno), con livelli di sicurezza ed efficacia scientificamente confermati, facile e intuitivo (sistema di applicazione automatico), discreto (dimensioni ridotte), segnala i pericoli in anticipo (avviso di ipoglicemia con un allarme 20 minuti prima, in tempo utile per intervenire), lunga durata (da sostituire dopo 10 giorni, senza ricalibrazioni perché automatico)
Un livello di qualità molto alta sommata anche ai livelli di compliance dei pazienti indagata in una ricerca IQVIA-Theras che ha confermato i molteplici aspetti positivi che hanno migliorato la percezione di benessere e qualità di vita dei pazienti, con importanti effetti psicologici positivi. “Dichiarano di stare meglio perché l’affidabilità delle misurazioni viene tradotta in un benessere fisico, sanno esattamente se e quando intervenire, il livello di autonomia e stima è decisamente aumentato – ha spiegato Isabella Cecchini, Head of Primary Market Research IQVIA – Apprezzato soprattutto dai giovani è l’innovatività e la tecnologia dei sistemi: la percezione di utilizzare gli strumenti più avanzati e innovativi, la “miglior terapia possibile per il diabete”, ma anche strumenti che favoriscono il sentirsi “normali” e tecnologici, e aprono alla socializzazione, a condividere con gli altri la propria malattia.
In sintesi, l’esperienza dei pazienti e dei loro caregiver ha messo in luce non solo l’effetto positivo dei nuovi device sulla gestione della malattia, ma anche e soprattutto il grande impatto che gli strumenti hanno avuto sulla qualità della vita.
Una pelle intelligente per ritrovare il tatto
Ricerca innovazioneSulla carta dovrebbe essere una sorta di pelle artificiale intelligente, capace di trasmettere al cervello indicazioni di calore, tatto e altre “sensazioni” che possano simulare la pelle vera. La promessa che questo “strumento” ipertecnologico sarà realtà suona come un sogno per le persone che sono state vittima di incendio e che ora possono sperare che un nuovo tipo di sensore studiato per mettere a punto in laboratorio una pelle hi-tech possa restituire loro parte di ciò che hanno perso.
Mimesi
A lavoro su questo progetto ci sono i ricercatori dell’Università del Connecticut, intenti a creare un sensore “intelligente”, capace di rilevare pressione, temperatura e vibrazioni. La capacità della nostra pelle di percepire pressione, calore, freddo e vibrazioni è un meccanismo di allarme fondamentale, spesso dato per scontato. Ma le vittime di ustioni, i pazienti con arti protesici o che hanno perso la sensibilità dell’epidermide non possono contarci, e spesso si feriscono involontariamente. I chimici Islam Mosa e James Rusling, insieme all’ingegnere dell’Università di Toronto Abdelsalam Ahmed, hanno voluto creare un sensore in grado di imitare le proprietà sensoriali della pelle. «Sarebbe molto bello se avesse le capacità della pelle umana, ad esempio, quella di rilevare campi magnetici, onde sonore», ha detto Mosa.
Come funziona
Mosa e i suoi colleghi hanno creato il sensore con un tubo di silicone avvolto in un filo di rame e riempito con un fluido speciale fatto di minuscole particelle di ossido di ferro lunghe appena un miliardesimo di metro, chiamate nanoparticelle. Le nanoparticelle si sfregano all’interno del tubo di silicone e creano una corrente elettrica. Il filo di rame che circonda il tubo di silicone preleva la corrente come segnale. Quando questo tubo viene urtato da qualcosa che sta subendo una pressione, le nanoparticelle si muovono e il segnale elettrico cambia. I ricercatori sperano che il sensore possa restituire sensibilità alle vittime di ustioni. Il team deve ancora testare il sensore rispetto a caldo e freddo, e il prossimo passo sarà quello di ‘appiattirlo’ in modo che sia più simile alla pelle.
Dolore cronico: oltre 4 milioni di italiani non ricevono cure adeguate
Ricerca innovazioneI dati dicono che un quarto dei pazienti con dolore cronico continua a soffrire perché non riceve cure adeguate. Tuttavia, anche con l’aiuto di nuove tecnologie basate sulla neurostimolazione si potrebbero risolvere la maggioranza dei casi. Se n’è discusso a Milano in occasione del 5° International Theras Day.
Molti italiani che continuano a soffrire di mal di schiena (più della metà con dolore cronico), di cefalea, della nevralgia post-erpetica (fuoco di Sant’Antonio), della nevralgia del trigemino, artrosi, sono rassegnati a pensano che la medicina non possa fare di più. “Tutti cercano di lenire il dolore, ma se questo è cronico, per molti la cosa si fa difficile con il trascorrere del tempo – spiega Giuliano De Carolis, Presidente Federdolore-SICD (Società Italiana dei Clinici del Dolore), Anestesista dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa – Purtroppo il dolore viene sopportato o sottovalutato dal paziente in quasi un terzo dei casi (29%) oppure curato con antidolorifici non specifici (23%). Dopo le prime cure, spesso sufficienti per la fase acuta, 1 paziente su 4 non riesce più a far fronte alla sofferenza perché le cure non sono più efficaci. I tentativi di trovare nuove strade farmacologiche non hanno sempre successo e il paziente stesso, scoraggiato, non crede più a soluzioni possibili. In realtà le soluzioni esistono e risolvono o migliorano la maggioranza dei casi, grazie alle nuove tecnologie che permettono approcci mini-invasivi, duraturi e non farmacologici”
Dunque 1 italiano su 4 soffre di dolore cronico, e di questi il 25% non è adeguatamente trattato. “La nuova frontiera è la neurostimolazione, non ancora così diffusa e praticata in Italia. Parliamo di trattamenti senza l’utilizzo di farmaci, ben consolidati e utilizzati a livello globale da oltre 30 anni, in cui gli impulsi elettrici calmano i nervi e riducono i segnali di dolore al cervello – continua De Carolis – Gli strumenti a disposizione offrono la possibilità di intervenire in modo efficace, rapido e duraturo, a seconda le indicazioni di ogni singolo paziente. Il livello di invasività è decisamente ridotto, basti pensare alla neurostimolazione percutanea (PENS) in grado di alleviare il dolore già dalla prima applicazione nella zona di interesse. Per dolori più complessi è possibile intervenire anche a livello midollare grazie a un intervento chirurgico (SCS, Stimolazione del Midollo Spinale) che permette di impiantare un piccolo dispositivo che rilascia in sicurezza lievi impulsi elettrici ai nervi interrompendo o riducendo la trasmissione dei segnali del dolore al cervello. I trattamenti di nuova generazione oltre a confermare l’evidente livello di efficacia anche nel tempo, ha inciso molto anche sull’invasività dell’intervento che ora viene fatto in anestesia locale con un blando sedativo per la durata di massimo 1 ora. Anche i tempi di reazione sono decisamente migliorati, grazie soprattutto alla mancanza di formicolio (parestesia) che facilita la ripresa delle attività quotidiane (compresa quella di guidare l’auto)” .
Definizione e numeri del dolore cronico
Il dolore cronico benigno è un dolore persistente e debilitante che dura per tre mesi o più, e può avere eziologie molto differenti. Può essere conseguente a un intervento chirurgico o a un infortunio oppure può essere di origine iatrogena come l’emicrania. Il dolore cronico (non causato da tumori) colpisce circa 1,5 miliardi di persone in tutto il mondo e oltre 16 milioni di italiani. Tra le varie eziologie il mal di schiena è tra le prime cause di dolore cronico benigno. Il 51% degli italiani soffre di cefalea acuta, mentre il 14% soffre di emicrania e il 4% di cefalea cronica.
Identikit
Il paziente tipo è una donna tra i 35-50 anni, con mal di testa e dolori diffusi, un reddito familiare medio tra i 20 e i 40 mila euro all’anno, sottoposta a molti fattori di stress e con un’educazione medio-bassa (es. scuola dell’obbligo). La causa generalmente è da individuare nelle artriti o nell’ernia del disco, le sedi più comune rimangono schiena, gambe e testa. Gli esperti identificano, infatti, una relazione inversamente proporzionale tra il grado di istruzione e il grado e la persistenza del dolore. Probabilmente questo dato dipende dall’accesso alle cure. Solo nella metà dei casi si rivolgono a un medico, più spesso a quello di famiglia (57,9%), raramente al terapista del dolore (5,8%). Il 61,7% degli italiani soffre di dolore cronico ma non sa come affrontarlo. Il dolore viene sopportato o sottovalutato dal paziente in quasi un terzo dei casi (29%) oppure curato con antidolorifici non specifici (23%)
Le terapie
La pratica clinica più diffusa per il trattamento del dolore cronico moderato è l’impiego dei farmaci antinfiammatori non steroidei, i Fans. In Italia nel 68% dei casi il dolore viene controllato con uno di questi medicinali (ogni anno si consumano 43 milioni di confezioni di Fans per curare il dolore nel nostro Paese), rispetto a una media europea del 44%, con un costo annuale di trattamento del dolore cronico nel nostro Paese di 4.556 euro per paziente, imputabili alle perdite di produttività (assenze da lavoro) e 1.400 euro come costi diretti a carico del Servizio sanitario nazionale. Esiste un dolore nocicettivo di origine meccanica generalmente causato da danni alle ossa, ai muscoli o in generale ai tessuti e un dolore neuropatico che è causato da una lesione dei nervi. Generalmente queste due tipologie di dolore coesistono nello stesso paziente rendendo quindi necessaria una terapia multifattoriale. È ampio lo spettro di patologie che possono generare il dolore cronico benigno ad esempio: lombalgia, ernia del disco, cefalea, sciatica, nevralgia post-erpetica, cicatrice dolorosa, neuropatia diabetica, nevralgia del trigemino, artrosi, fibromialgia, lombosciatalgie, dolori di origine osteoarticolare.
Un cuscino che cancella i rumori di chi russa
Ricerca innovazioneUn cuscino intelligente, che promette di diventare anche il miglior amico delle signore. La ragione? Riesce a cancellare il rumore legato alla roncopatia. Già, sembra incredibile, eppure è proprio così: le notti insonni accanto al partner che russa potrebbero essere in futuro solo un brutto ricordo. L’idea di creare un cuscino intelligente che cancella il rumore e che utilizza l’intelligenza artificiale per modellarsi sul cambio nel modo di russare durante la notte è venuta ad alcuni ricercatori della Northern Illinois University, e presto potrebbe trasformarsi in uno dei più interessanti brevetti degli ultimi decenni.
Come funziona
Il cuscino per il momento solo un prototipo, ma è ben descritto sulla rivista IEEE/CAA Journal of Automatica Sinica. I ricercatori non sono i primi a provare a utilizzare la tecnologia di cancellazione del rumore, ma sistemi precedenti l’hanno montata all’interno di testate del letto e coperte. Il nuovo dispositivo è integrato invece direttamente nel cuscino e il sistema di cancellazione del rumore funziona rilevando i suoni e producendo onde sonore di uguale ampiezza per bloccarli. Un microfono “di riferimento” raccoglie i suoni del russamento, mentre due microfoni “di errore” captano i rumori ambientali. Quindi, un filtro adattivo crea un segnale anti-rumore appropriato, che viene poi riprodotto attraverso due altoparlanti nel cuscino di chi lo utilizza. Il modo di russare può cambiare durante la notte, così i ricercatori hanno applicato anche un “algoritmo adattivo”.
Risultati eccellenti
La ricercatrice Lichuan Liu evidenzia sul blog di ingegneria biomedica di IEEE Spectrum che “la zona di quiete è centrata, lontano dalle orecchie del partner”. Negli esperimenti, quando un manichino sensibile al rumore in un letto è stato esposto a registrazioni di russamenti, il sistema ha ottenuto riduzioni del rumore di 31 e 30 decibel rispettivamente nell’orecchio destro e sinistro, mentre il posizionamento sulla testata ha consentito solo riduzioni di rumore di 22 e 21 decibel. Questo si è tradotto in una riduzione di quasi due volte del russare percepito. Livelli di rumore intorno ai 35 decibel sono sufficienti a disturbare la qualità del sonno e facilmente superati da un moderato russamento, nell’intervallo da 50 a 60 decibel. Il record di una nonna inglese è 111.6 decibel.
Dormire poco fa assumere più calorie e russare di più
Stili di vitaStanchezza e sonno insufficiente aumentano le probabilità di assumere pasti poco sani e grassi. E alla lunga anche di ingrassare. A dirlo è la scienza, tra cui una ricerca eseguita sul riposo, dal New York Obesity Nutrition Research Center.
Cosa succede?
Gli studi hanno calcolato che le persone che dormono poco tendono ad assumere circa 300 calorie in più e il loro metabolismo, la formazione delle cellule e la digestione sono più lente. In questo meccanismo giocano un ruolo fondamentale gli ormoni.
Il movimento
Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Sleep Medicine, fare esercizio regolarmente aiuta a dormire meglio. Una corsa, una camminata veloce o una sessione di yoga aiutano a regolarizzare il ritmo del sonno. Tuttavia, ogni cambiamento ha bisogno di una fase di adattamento: se fino ad oggi non si è mai praticato sport, gli esperti spiegano che serviranno almeno 4 mesi prima che il corpo si abitui a una nuova routine e il sonno migliori.
Il sistema nervoso e i muscoli
Un allenamento intenso, però, va terminato almeno due ore prima di andare a dormire. L’esercizio fisico, infatti, stimola il sistema nervoso, rallentando il rilassamento. Tuttavia, sono due aspetti che si legano, infatti dormire meglio fa aumentare le prestazioni fisiche. Anche lo studio su alcuni studenti condotto dalla Stanford University lo conferma: gli studenti che dormivano di più (10 ore) ottenevano migliori performance rispetto agli altri. Durante il sonno, i muscoli hanno la possibilità di crescere e il recupero è essenziale al fine di ottimizzare i risultati. Sotto sforzo il corpo rilascia testosterone, senza il quale i muscoli non potrebbero ricostruirsi e rinforzarsi. Per questo più a lungo si dorme, più i muscoli hanno tempo per recuperare e crescere.
Muoversi aiuta a non russare
Sotto stress, il corpo rilascia l’ormone cortisolo, che interferisce con il riposo. Il giorno dopo quindi non solo si avrà sonno, ma anche fame a causa della mancanza dell’ormone che toglie l’appetito, la leptina. Come in un circolo vizioso, sarà molto più facile assumere calorie in eccesso. Il peso e il riposo sono strettamente connessi e se si dorme male i grassi delle cellule si accumulano nel collo causando un respiro pesante e rumoroso. Secondo gli esperti, alcune regole aiutano a regolarizzare il sonno, tra cui: abbassare le luci in casa dopo per creare rilassamento, fare una cena leggera, muoversi durante la giornata ed eliminare le luci blu, come quelle emesse dal computer. Se proprio non si può fare a meno del PC, ci sono programmi specifici in grado di rendere la luce dello schermo più calda. Altrimenti, meglio un bel libro.
Cardito, lavorare in prevenzione per evitare drammi simili
PsicologiaLe ultime sconvolgenti vicende di cronaca, che hanno coinvolto i due fratellini di Cardito (Napoli) uno dei quali è stato barbaramente ucciso, ci spingono, prima come essere umani, poi come operatori dedicati alla cura della salute e del benessere psicologico, a riflettere e prendere atto delle enormi fragilità e sofferenza che si celano e instaurano nel segreto dei legami familiari. Il silenzio, il nascondimento, e l’invisibilità sono le condizioni che caratterizzano e sostengono i circuiti di violenza intrafamiliare, come anche di ogni altra forma di sofferenza psichica.
I volti della violenza
La violenza assume molti volti: da quelli mascherati dai rigidi stili educativi, a sottili svalutazioni, a manifesti rimproveri. Fino ad esplosioni incontrollate che esitano in atti indicibili, che ci obbligano ad aprire gli occhi e a vedere ciò che la mente preferirebbe evitare di pensare o immaginare. La violenza è trasversale alle generazioni, alle culture e alle classi sociali, ma prevede un unico denominatore: l’affermazione del proprio potere e l’annientamento del valore dell’altro a vantaggio della conferme del proprio sé. La violenza perpetrata ai danni dell’infanzia mina il valore e il futuro dell’intera specie umana.
Funzione e disfunzione
La famiglia di Cardito, composta da una giovane coppia con figli acquisiti da una precedente unione della mamma e uno della coppia, si trova ad affrontare il delicato e complesso compito di ricomporre storie personali e familiari precedenti. È impegnata a riscrivere una nuova storia cercando una sintesi tra un passato fatto di memorie e stili affettivi ed educativi precedentemente regolamentati e un presente che richiede una nuova regolamentazione e orientamento dove il legame coniugale e genitoriale è basato esclusivamente sull’affettività e non su aspetti biologico o legali.
Rosaria Ponticiello
Negoziare gli spazi affettivi e le regole che governano le relazioni è un’operazione molto complessa che si intreccia con la propria storia familiare, le proprie credenze e i propri valori, la propria maturità affettiva, la solidità e la continuità del proprio senso di sé. Progettare una famiglia significa rispondere al bisogno di creare appartenenza, sicurezza e protezione e allo stesso tempo sviluppo ed evoluzione, ciò è possibile solo nell’idea che l’amore sia condivisibile, perché se il denominatore comune della violenza nelle famiglie disfunzionali è la sottrazione e l’accentramento dell’attenzione a favore del singolo, nelle famiglie funzionali il denominatore comune è la moltiplicazione degli affetti nella condivisione della cura. Così può accadere che in relazioni di coppia dove le personalità fragili spesso associate a storie di deprivazione affettiva e maltrattamento, colludano con aspetti sofferenti del sé e che se non elaborati portano spesso alla reiterazione di modelli di funzionamento a loro volta deprivanti e violenti.
Sofferenza
Viviamo in un Paese che ha ratificato il 27 maggio del 1991 con l legge 176 la Convenzione ONU sui Diritti internazionali del bambino che all’articolo 6 recita: “il bambino ha diritto alla vita”. Garantire il diritto alla vita significa garantire la possibilità di crescere in un contesto accudente e protettivo, la famiglia è il luogo d’elezione per garantire tale diritto attraverso i legami di attaccamento che determinano protezione e sicurezza, ma quando questa è in difficoltà o versa in gravi sofferenze, la comunità tutta dovrebbe farsi garante assumendo la responsabilità di rilevare, segnalare situazioni di sofferenza dei bambini e individuare alternative, disporre misure protettive per i minori e di cura e presa in carico degli adulti. Non bisogna sottovalutare i segnali di sofferenza psicologica, spesso erroneamente si crede che il malessere psichico sia trascurabile e transitorio. E soprattutto lavorare in prevenzione, il modo migliore per combattere la violenza è prevenirla. Bisogna lavorare per la consapevolezza e l’assunzione di uno stile di vita affettivo libero e responsabile.
di Rosaria Ponticiello
Psicologa e psicoterapeuta – Socio ordinario SIPPR
La magrezza dipende dai geni. Non è solo questione di dieta
Ricerca innovazioneCi sono persone che mangiano tanto senza ingrassare. Altre, invece, mettono su peso alla minima esagerazione. Ma da cosa dipende? Secondo un nuovo studio la spiegazione è racchiusa per molta parte nei geni. La ricerca è stata condotta dall’Università di Cambridge e pubblicata su Plos Genetics. Per arrivare a questa conclusione gli studiosi hanno confrontato il Dna di circa 14.000 persone: 1.662 parte dello studio Stilts (Study into lean and thin subjects) sulle persone magre, altre 1.985 gravemente obese e ulteriori 10.433 come gruppo di controllo di peso normale. In pratica, le persone magre hanno meno varianti genetiche in grado di aumentare le probabilità di essere sovrappeso. Sono state, inoltre, identificate anche nuove regioni genetiche coinvolte nell’obesità grave e alcune coinvolte nella magrezza sana.
“Questa ricerca mostra per la prima volta che le persone sane e magre sono generalmente così perché hanno un carico inferiore di geni che aumentano le probabilità di sovrappeso e non perché siano moralmente superiori – afferma Sadaf Farooqi, autrice principale dello studio – è facile affrettarsi a giudicare le persone per il peso, ma la scienza dimostra che le cose sono più complesse: abbiamo molto meno controllo sul peso di quanto potremmo speranzosamente pensare”. Tre persone su quattro (74%) tra le magre avevano una storia familiare di magrezza sana e il team ha trovato alcuni cambiamenti genetici significativamente più comuni in loro. “Sappiamo già che si può essere magri per motivi diversi – conclude Farooqi – alcuni non sono interessati al cibo, mentre altri possono mangiare quello che vogliono, ma non ingrassare. Se riusciamo a trovare i geni che impediscono di ingrassare, potremmo essere in grado di indirizzarli per trovare nuove strategie.
La danza oltre ogni limite
News PresaGiovani, belle e… con le ruote. Sono le piccole “Rollettes”, il gruppo di ballerine in sedia a rotelle, nate in sordina a Monterey in California qualche anno fa, oggi sempre più famose. A dimostrazione, qualora ne servisse ancora una, che la disabilità si può superare. Il gruppo, infatti, si espande e ispira giovani americane e americani (e non solo) a non lasciarsi fermare da una invalidità, anche grave, come la paralisi alle gambe. Il gruppo sta lavorando per introdurre programmi di danza anche per bambini e ragazzini maschi paraplegici.
Le origini
Prendendo il loro nome dalle “Rockettes”, le “Rollettes” vengono alla luce per ispirazione e tenacia di Chelsie Hill: una ragazza trovatasi improvvisamente in sedia a rotelle negli anni della scuola per un banale incidente di macchina. Determinata a non abbandonare il suo sogno di diventare una ballerina, Chelsie, uscita dall’ospedale ha presto raggruppato un piccolo team di giovani paraplegiche. Insieme hanno iniziato a saltare, danzare, scorrere sul pavimento e ondeggiare a ritmo di musica. Nelle loro sedie a rotelle.
Il successo
Dal 2017, la compagnia delle Rollettes – poco meno di una decina di danzatrici professionista in sedia, cosi si definiscono loro stesse – sono cresciute con il trasferimento a Los Angeles. Ora le Rollettes tengono anche un campo estivo , ossia corsi intensivi di danza in sedia a rotelle. «Voglio che la prossima generazione di bambini nati con paralisi o che la acquisiscono si sentano capaci di danzare», dice Chelsie. Ultimamente la compagnia di ballerine in sedia a rotelle sta ricevendo sempre più richieste anche da mamme di maschietti paraplegici.
Napoli, intervento record alla Federico II
News PresaE’ un intervento straordinario quello realizzato con successo alla Federico II di Napoli per salvare la vita ad una paziente di 27 anni in gravidanza, affetta da un angioma gigante al fegato. La donna, alla 17esima settimana di gravidanza, aveva scoperto di avere un grosso angioma al fegato (addirittura 20 centimetri), così i medici partenopei hanno preparato ed eseguito l’intervento da record. L’operazione è stata eseguita presso il DAI di Gastroenterologia, Endocrinologia e Chirurgia Endoscopica del Policlinico Federico II, diretto dal professor Giovanni Domenico De Palma. Impossibile differirlo per l’elevato rischio di rottura del tumore, con conseguente sanguinamento, che avrebbe messo a rischio la vita della donna e quella del suo bambino.
La tecnica
L’intervento è stato eseguito, per via completamente laparoscopica, dall’equipe chirurgica coordinata dal professor Roberto Troisi, ordinario di Chirurgia generale dell’Università Federico II di Napoli. L’equipe anestesiologica, coordinata dal dottor Giuseppe De Simone, della UOC di Anestesia e Rianimazione dell’AOU Federico II, diretta dal professor Giuseppe Servillo, si è avvalsa del supporto dei ginecologi dell’Azienda per monitorare lo stato del feto durante tutto l’intervento, durato circa tre ore. La paziente, e la bimba che porta in grembo, sono state dimesse dall’ospedale 4 giorni dopo l’intervento chirurgico, entrambe sono in ottime condizioni.
Una grande emozione
Si tratta di uno dei pochissimi casi al mondo di resezione epatica condotto in gravidanza, per via laparoscopica. Grande emozione e soddisfazione per tutto il personale coinvolto nel complesso e delicatissimo intervento ed in particolare per l’equipe operatoria del professor Troisi, uno dei massimi esperti mondiali di chirurgia del fegato, del pancreas e dei trapianti epatici, da pochi mesi rientrato in Italia, dopo aver diretto, in Belgio, per molti anni, uno dei più avanzati e prestigiosi centri di Chirurgia epatica in Europa. La giovane donna potrà ora completare in tutta serenità la sua gravidanza,