Tempo di lettura: 2 minutiOgni anno, nell’Unione europea, si stima che circa 3,2 milioni di pazienti si ammalino per infezioni contratte durante la permanenza in ospedale. Di questi, circa 37 mila muoiono a causa delle conseguenze. I dati europei provengono dal rapporto “Economic evaluations of interventions to prevent healthcare-associated infections – literature review”. Il lavaggio corretto delle mani è il primo passo per prevenire le infezioni e i fenomeni di resistenza agli antibiotici.
Le zone a rischio epidemie nel mondo
L’igiene delle mani potrebbe salvare 1 milione di bambini ogni anno nei paesi in via di sviluppo, ma nel mondo ancora 1 persona su 3 non ha accesso a servizi igienico- sanitari.
Oggi ancora 1,6 milioni di persone muoiono per malattie, dovute all’uso di acqua sporca, mentre 1 persona su 3 non ha accesso a servizi-igienico sanitari ed è quindi esposta al rischio di malattie come il colera, il tifo o la dissenteria. Un gesto semplice come la pulizia delle mani, nei soli paesi in via di sviluppo, potrebbe prevenire ogni anno la morte di 1 milione di bambini (sotto i 5 anni) sui 4 milioni che perdono la vita a causa di malattie diarroiche e polmonite.
In occasione della Giornata mondiale per l’igiene delle mani, Oxfam ha lanciato una campagna di informazione sulle più gravi emergenze del momento. La diffusione di epidemie rischia di decimare intere generazioni in alcune parti del mondo.
Colera, epatite, tifo, dissenteria, scabbia, Lehismaniosi. Sono solo alcune delle malattie a cui ad oggi è esposta la popolazione siriana dentro e fuori il paese. Un’emergenza dove secondo l’Organizzazione Mondiale della sanità è ad altissimo il rischio di diffusione di epidemie. La causa principale è nella mancanza di accesso ad acqua pulita e servici igienici di cui sono vittime oltre 7,6 milioni di persone solo in Siria. 1 famiglia su 3 è costretta a rifornirsi di acqua sporca per i propri bisogni quotidiani da pozzi di fortuna o da autotrasportatori privati, perché decine di migliaia di abitazioni non sono più collegate alla rete idrica. Oxfam, sta intervenendo per riparare le infrastrutture idriche nelle aree più colpite come Aleppo e per formare migliaia di ragazzi sulle norme igieniche corrette da seguire per evitare infezioni: in 50 scuole nelle aree più povere vicino a Damasco, solo nelle ultime settimane ha spiegato a circa 30 mila bambini esattamente qual è il modo giusto per lavarsi le mani e salvarsi la vita.
Lo Yemen, invece, è stato colpito nell’ultimo anno dalla più grave epidemia di colera degli ultimi decenni, con più di 1 milione di casi sospetti e oltre 2 mila vittime. Dopo tre anni di guerra, in questo momento oltre 16 milioni di persone su 29 devono sopravvivere con acqua sporca e non hanno accesso ai servizi sanitari di base.
Fuggire dalla guerra, in paesi tra i più poveri al mondo significa ritrovarsi in campi profughi sovraffollati di paesi altrettanto poveri, dove facilmente si contraggono malattie mortali per via dell’acqua e delle mani sporche. A questo rischio sono esposti ogni giorno oltre 420 mila profughi che hanno trovato scampo dalla guerra civile in Sud Sudan verso l’Etiopia. Per il 90% sono donne e bambini senza più nulla. Per prevenire tifo e dissenteria Oxfam ha disseminato nei campi decine di kit lava-mani. Un gioco da ragazzi che salva la vita.
Con dieta più sana aumenta spreco alimentare. Lo studio Usa
News PresaOgni giorno un americano butta via 422 grammi di cibo. Soltanto per coltivare ciò che finisce nella spazzatura vengono utilizzati oltre 12 milioni di ettari di terreni agricoli, pari al 7% di quelli coltivati annualmente negli Usa. Inoltre vengono consumati migliaia di miliardi di litri d’acqua. Per non parlare dei pesticidi: arrivano a più di 350 milioni di chili all’anno e un miliardo di chili di fertilizzanti. Il cibo che finisce nella spazzatura, perché deteriorato o scaduto è costituito per la maggior parte da frutta e verdura (39%), seguite dai prodotti lattiero caseari (17%), dalla carne (14%) e dai cereali (12%). Tra gli alimenti con meno probabilità di finire in pattumiera ci sono le patatine, l’olio, i dolci e le bevande analcoliche. I dati sullo spreco alimentare arrivano da uno studio condotto da ricercatori del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti e delle Università del Vermont e del New Hampshire, pubblicato dalla rivista PLOS ONE.
Gli studiosi americani hanno analizzato la relazione tra spreco alimentare, qualità della dieta e sostenibilità ambientale. I numeri dello studio dicono che con il migliorare della qualità della dieta alimentare delle persone aumenta anche la quantità di cibo sprecato, dato che una dieta più sana è legata a un maggior consumo di frutta e verdura, (gli alimenti principali che finiscono nella spazzatura). A ciò si aggiungerebbero maggiori quantità di acqua di irrigazione e di pesticidi sprecati, ma meno utilizzo inutile di terreni coltivati, infatti frutta e verdura ne richiedono una quantità inferiore. Secondo gli autori, i risultati dello studio fanno emergere che, per incentivare la sostenibilità ambientale, andrebbero aumentati gli sforzi simultanei, migliorando la qualità della dieta e riducendo lo spreco alimentare. Il primo passo è aumentare la consapevolezza dei consumatori su come conservare la frutta e la verdura.
Malnutrizione clinica, più frequente di quanto si pensi
AlimentazioneSi guarda alla malnutrizione come ad un problema esclusivamente legato ai paesi in via di sviluppo, ma la malnutrizione è un problema anche occidentale. Più spesso di quanto si possa credere riguarda infatti alcune categorie di pazienti che, proprio a causa della malattia (o delle terapie) non riescono più a nutrirsi correttamente. Non a caso la mancata applicazione di interventi di nutrizione in pazienti critici, anziani, ospedalizzati o fragili dovrebbe essere considerata una cattiva pratica clinica.
Interventi ad hoc
Maurizio Muscaritoli, presidente della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo evidenzia come «nonostante numerosi studi epidemiologici dimostrino che la malnutrizione è un elemento presente in maniera trasversale, gli interventi per colmare le carenze nutritive di peso e di massa muscolare sono ancora ampiamente neglette. E’ arrivato il momento di considerare la malnutrizione una vera e propria malattia da trattare con terapie nutrizionali personalizzate».
Interferenze
Che malattia e terapie oncologiche interferiscano sull’appetito è dimostrato dalla incapacità di alimentarsi normalmente. È il nutrizionista clinico lo specialista di riferimento a cui rivolgersi per definire regimi alimentari che possano colmare il gap calorico e proteico anche attraverso l’utilizzo di supplementi orali, alimenti a fini medici speciali che possono sopperire in tutto o in parte ai fabbisogni del singolo paziente. Il recupero o il mantenimento del peso corporeo hanno conseguenze dirette sulla risposta alle terapie e sulla stessa sopravvivenza. L’indebolimento fisico, generale e delle difese immunitarie, aumenta la frequenza dei ricoveri e peggiora la prognosi con un aumento della mortalità. Il 20% dei pazienti oncologici infatti non supera la malattia proprio a causa delle gravi conseguenze della malnutrizione.
I dati italiani
In Italia si stima che almeno il 15% dei pazienti cronici e oncologici sia a rischio di malnutrizione. PreMiO, acronimo di Prevalence of Malnutrition in Oncology, è lo studio italiano pubblicato sulla prestigiosa rivista Oncotarget 1che ha mostrato in maniera incontrovertibile che malnutrizione, anoressia, perdita di appetito e di peso sono comuni nei pazienti con cancro sin dalle prime fasi di malattia, circa mezzo milione di persone. L’alta prevalenza della malnutrizione e le sue conseguenze negative non sono adeguatamente prese in considerazione nella maggior parte delle unità di oncologia, in Italia come nel resto del mondo. Eppure studi condotti in diversi Paesi come Germania, Francia, Spagna e Brasile hanno riportato percentuali di malnutrizione variabili tra il 25% e il 70% e in oncologia essa è più frequente rispetto a tutte le altre patologie. Il cammino da fare dunque è ancora lungo.
Exergame, se i videogiochi aiutano la salute
Ricerca innovazioneCriticati e messi al bando dai genitori, i videogame potrebbero essere molto utili nella lotta alle malattie della memoria, Alzheimer in primis. Uno studio, pubblicato su Frontiers in Aging Neuroscience, rivista leader nel settore, mette in luce i risultati ottenuti con quelli che si possono definire degli «exergame», videogiochi da esercizio. Questi exergame sono infatti quei videogiochi che portano all’esercizio fisico e sono di grande aiuto con le persone (soprattutto anziani) che vivono un deterioramento cognitivo. Sono proprio questo pazienti ad aver mostrato miglioramenti significativi negli esercizi mentali e di memoria dopo allenamenti regolari con questi videogame «fit». Ecco perché gli autori della ricerca dicono questi risultati potrebbero incoraggiare i medici a prescrivere gli exergame per rallentare o contrastare il deterioramento cognitivo legato al passare degli anni.
Nuove armi
Cay Anderson-Hanley, associata di psicologia dell’Union College (Usa) e prima autrice dello studio, definisce i dati emersi «incoraggianti» e spiega che questi videogiochi «sono un’arma in più nell’arsenale di rimedi per combattere questa malattia crudele». Precedenti studi condotti dalla stessa autrice avevano mostrato che gli anziani che si allenano con videogame interattivi sperimentano benefici, dal punto di vista mentale, maggiori rispetto ai coetanei che si limitano all’allenamento fisico tradizionale. Per l’ultimo lavoro il team ha esaminato un gruppo di oltre 100 anziani con diagnosi o a rischio di lieve deterioramento cognitivo (età media 78 anni). Nel corso di 6 mesi, 14 hanno continuato ad allenarsi regolarmente con gli exergame.
Realtà virtuale
Un primo gruppo di 7 persone ha pedalato in un paesaggio di realtà virtuale varie volte a settimana, mentre il secondo gruppo di anziani ha avuto a che fare con un esercizio più impegnativo per la mente: pedalare mentre in un videogame davano la caccia ai draghi, raccogliendo monete preziose. Il tutto in sella a biciclette speciali, realizzate appositamente. I risultati sono stati confrontati con quelli di 8 anziani che si sono limitati a giocare a videogame classici (senza pedali) e ad altri senior che invece hanno fatto solo attività fisica tradizionale, su una bike e senza videogioco annesso. Alla fine del trial randomizzato gli anziani dei primi due gruppi – quelli che avevano pedalato nello scenario virtuale e quelli che erano andati a caccia di draghi – hanno sperimentato miglioramenti significativi nelle funzioni esecutive.
Multi tasking
Questa capacità permette, ad esmepio, di cucinare con due padelle sul fuoco contemporaneamente. E di non dimenticare che si sta facendo bollire l’acqua mentre si ha qualcosa in forno. I benefici nei due gruppi sono stati registrati a livello di memoria verbale e funzione fisica, cosa che suggerisce l’utilità per gli anziani di inserire gli exergame nel proprio regime di esercizio quotidiano. Certo, sono necessarie ulteriori ricerche su un campione più ampio per confermare questi risultati. Ma il lavoro, finanziato da un grant del National Institute on Aging, è giudicato molto promettente dagli autori. Tanto che il team sta lavorando a un sistema per consentire agli anziani di allenarsi direttamente a casa, scaricando un videogame sull’iPad da usare su una classica bike da salotto.
Integratori proteici, mai assumerli tra un pasto e l’altro
AlimentazioneGli integratori di proteine, oggi molto in voga, possono aiutarci a tenere sotto controllo il peso. Ma se assunti tra un pasto e l’altro hanno l’effetto contrario. A dirlo sono i ricercatori della Purdue University, che hanno condotto uno studio ad hoc volto a comprendere anche le modalità migliori di assunzione. Secondo questo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nutrition Reviews, quanti cercano di gestire il proprio peso con l’esercizio fisico e i preparati proteici dovrebbero consumare questi ultimi durante un pasto e non come se fossero uno spuntino spezza-fame.
L’errore
L’analisi ha rilevato che il consumo di integratori proteici durante i pasti ha aiutato a mantenere il peso corporeo, diminuendo la massa grassa. Al contrario, il consumo di integratori proteici tra un pasto e l’altro ha favorito l’aumento di peso. Secondo i ricercatori è proprio la tempistica a fare la differenza, perché una persona può tendere a regolare le calorie del pranzo o di qualsiasi altro pasto proprio per includere quelle dell’integratore proteico. «Una tale compensazione dietetica è probabilmente mancante quando gli integratori proteici vengono consumati come snack. Se l’obiettivo è quello di gestire il peso, l’assunzione fuori pasto di integratori proteici potrebbe essere meno efficace, invece le persone che stanno cercando di aumentare di peso potrebbero prendere in considerazione il consumo di integratori proteici tra i pasti», spiega Wayne Campbell, docente di scienze naturali della Purdue University e tra gli autori dello studio.
Sport
Va anche sottolineato che non si dovrebbero assumere integratori proteici se non per ragioni ben precise, ad esempio per un consumo eccessivo legato all’attività sportiva. Gli integratori, come dice la parola stessa, servono infatti ad “integrare” sostanze che sono carenti o che si perdono durante uno sforzo prolungato. Nel controllo del peso, lo sport è un elemento imprescindibile, e non dovrebbe mai mancare. Inoltre, un recente studio ha dimostrato che tenersi in forma aiuta a stimolare la produzione di cellule che migliorano la salute del cervello. In definitiva, sport e alimentazione sana son il vero elisir di lunga vita.
Contrordine: digiuno intermittente fa crescere la pancetta
AlimentazioneLa dieta del digiuno intermittente, di moda nell’ultimo periodo, danneggia il metabolismo e aumenta la produzione di insulina. È quanto emerge da uno studio presentato a Barcellona, durante il congresso annuale della Società Europea di Endocrinologia. Questo tipo di dieta fast fa perdere peso, ma tende a far accumulare il grasso sulla ‘pancetta’ e soprattutto aumenta il rischio di diabete di tipo 2
In che consiste?
Si alternano giorni in cui si limita drasticamente l’apporto calorico (a un quarto della dose giornaliera o meno) a giorni di “via libera”, in cui si può mangiare tutto ciò che si desidera. Gli studi, però suggeriscono che questo tipo di regime alimentare aumenti lo stress ossidativo e la produzione di radicali liberi, accelerando il processo di invecchiamento e danneggiamento del DNA.
Lo studio presentato
I ricercatori dell’Università di San Paolo in Brasile, guidati da Ana Cláudia Munhoz Bonassa, hanno studiato per tre mesi dei roditori adulti sani, misurando i livelli dell’insulina, il loro peso corporeo e i radicali liberi. Alla fine del periodo messo sotto esame, i ratti avevano perso peso, come previsto, ma la distribuzione del loro grasso corporeo è cambiata in modo imprevisto: il tessuto adiposo addominale è aumentato e, come noto, questo è legato a un aumentato rischio di diabete di tipo 2. In poche parole, il digiuno intermittente avrebbe provocato un aumento dei radicali liberi, indici di stress ossidativo, un danno delle cellule beta del pancreas che producono insulina, un aumento del grasso viscerale e un aumento dell’insulino-resistenza. Tutte queste alterazioni metaboliche hanno aumentato l’incidenza di diabete negli animali sottoposti all’esperimento. Gli esperti, quindi, concordano nel dire che diete troppo drastiche che mettono sotto eccessivo stress l’organismo non sono adatte per perdere peso in modo sicuro e duraturo.
Cibo da fast food ritarda la gravidanza. Lo studio
Ricerca innovazioneLe donne che mangiano troppo cibo da fast food e poca frutta fanno più fatica a concepire. L’ennesimo studio fa emergere il rapporto tra dieta e salute riproduttiva della donna, questa volta pubblicato su Human Reproduction.
Un’alimentazione a base di hamburger, pollo fritto, patatine fritte ma anche pizza e poca frutta è correlata a un rischio di infertilità maggiore rispetto alla media. Lo dimostrano i risultati dello studio condotto su circa 6 mila donne. Chi mangia troppo fast food o mangia troppo poca frutta ha meno possibilità di rimanere incinta entro un anno.
La ricerca, condotta in Australia, Nuova Zelanda e Gran Bretagna, ha raccolto informazioni sulle abitudini dietetiche di 5.598 donne, reclutate nello studio multicentrico Screening for Pregnancy Endpoints (SCOPE) dal 2004 al 2011 e che non avevano ancora avuto figli.
I ricercatori australiani hanno scoperto che nelle donne che dichiaravano i più bassi consumi di frutta il rischio di infertilità saliva dall’8 al 12%, mentre quelle che dichiaravano di mangiare fast food 4 o più volte a settimana, il rischio saliva al 16%.
La maggior parte delle donne non avevano una storia di infertilità e nella ricerca sono stati presi in considerazione anche altri fattori, come l’elevato indice di massa corporea, l’età e lo stile di vita (tra cui l’abitudine al fumo o il consumo di alcol), che incidono sulla salute riproduttiva. In conclusione la dieta risultava comunque avere un impatto sul tasso di infertilità.
“Questi risultati – commenta la professoressa Claire Roberts, Lloyd Cox Professorial Research Fellow presso l’Università di Adelaide (Australia) – dimostrano che consumare una dieta sana che comprenda la frutta ed evitare invece di mangiare fast food migliora la fertilità e riduce l’attesa del concepimento”.
Mobili nuovi? Possono nuocere alla salute. Come diminuire inquinamento indoor
PrevenzioneFumo di sigaretta, detersivi, disinfettanti, incensi, vernici o anche i mobili nuovi: sono solo alcune delle fonti di inquinamento dell’aria presenti in casa rischiose per la salute. Di recente l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) ha portato avanti una campagna d’informazione proprio per aiutare a rendere migliore l’aria delle case degli italiani. L’inquinamento, infatti, non è solo quello fuori dalle mura domestiche, come le emissioni di auto, caldaie e camini. Anche nei luoghi chiusi l’aria può essere nociva (il cosiddetto inquinamento ‘indoor‘). Il primo consiglio e il più scontato, elaborato dal Gruppo di Studio Nazionale sull’Inquinamento Indoor dell’Iss, è di non fumare dentro casa. Il secondo è quello di arieggiare spesso gli ambienti, soprattutto quando si cucina, si utilizzano detersivi, dopo la verniciatura di una stanza e in caso si abbiano animali domestici, ma anche in presenza di nuovi mobili da arredo, perché potrebbero rilasciare inquinanti chimici per lungo tempo. Nocivo è l’uso di insetticidi, da utilizzare con attenzione anche i prodotti da bricolage come colle, solventi e sigillanti. Nello scegliere le vernici con cui tinteggiare meglio preferire quelle a basse emissioni, come riportato su etichetta. I filtri dei condizionatori vanno puliti con cadenza, per limitare anche il rischio di allergie. I vestiti ritirati dalla lavanderia prima di riporli nell’armadio hanno bisogno di prendere un po’ d’aria, perché il lavaggio a secco prevede l’uso di solventi. Tende e tappezzerie vanno lavate con regolarità. Infine sono da evitare temperatura e umidità troppo elevate perché favoriscono la formazione di muffe e acari.
Troppi prodotti di pulizia, detergenti e detersivi, incensi e candele profumate possono essere la prima fonte di inquinamento. Il pulito, spiegano gli esperti, non ha odore. Meglio usare aceto e bicarbonato come facevano i nostri nonni.
Lavarsi le mani salva la vita. 37mila morti all’anno per infezioni ospedaliere in Ue
PrevenzioneOgni anno, nell’Unione europea, si stima che circa 3,2 milioni di pazienti si ammalino per infezioni contratte durante la permanenza in ospedale. Di questi, circa 37 mila muoiono a causa delle conseguenze. I dati europei provengono dal rapporto “Economic evaluations of interventions to prevent healthcare-associated infections – literature review”. Il lavaggio corretto delle mani è il primo passo per prevenire le infezioni e i fenomeni di resistenza agli antibiotici.
Le zone a rischio epidemie nel mondo
L’igiene delle mani potrebbe salvare 1 milione di bambini ogni anno nei paesi in via di sviluppo, ma nel mondo ancora 1 persona su 3 non ha accesso a servizi igienico- sanitari.
Oggi ancora 1,6 milioni di persone muoiono per malattie, dovute all’uso di acqua sporca, mentre 1 persona su 3 non ha accesso a servizi-igienico sanitari ed è quindi esposta al rischio di malattie come il colera, il tifo o la dissenteria. Un gesto semplice come la pulizia delle mani, nei soli paesi in via di sviluppo, potrebbe prevenire ogni anno la morte di 1 milione di bambini (sotto i 5 anni) sui 4 milioni che perdono la vita a causa di malattie diarroiche e polmonite.
In occasione della Giornata mondiale per l’igiene delle mani, Oxfam ha lanciato una campagna di informazione sulle più gravi emergenze del momento. La diffusione di epidemie rischia di decimare intere generazioni in alcune parti del mondo.
Colera, epatite, tifo, dissenteria, scabbia, Lehismaniosi. Sono solo alcune delle malattie a cui ad oggi è esposta la popolazione siriana dentro e fuori il paese. Un’emergenza dove secondo l’Organizzazione Mondiale della sanità è ad altissimo il rischio di diffusione di epidemie. La causa principale è nella mancanza di accesso ad acqua pulita e servici igienici di cui sono vittime oltre 7,6 milioni di persone solo in Siria. 1 famiglia su 3 è costretta a rifornirsi di acqua sporca per i propri bisogni quotidiani da pozzi di fortuna o da autotrasportatori privati, perché decine di migliaia di abitazioni non sono più collegate alla rete idrica. Oxfam, sta intervenendo per riparare le infrastrutture idriche nelle aree più colpite come Aleppo e per formare migliaia di ragazzi sulle norme igieniche corrette da seguire per evitare infezioni: in 50 scuole nelle aree più povere vicino a Damasco, solo nelle ultime settimane ha spiegato a circa 30 mila bambini esattamente qual è il modo giusto per lavarsi le mani e salvarsi la vita.
Lo Yemen, invece, è stato colpito nell’ultimo anno dalla più grave epidemia di colera degli ultimi decenni, con più di 1 milione di casi sospetti e oltre 2 mila vittime. Dopo tre anni di guerra, in questo momento oltre 16 milioni di persone su 29 devono sopravvivere con acqua sporca e non hanno accesso ai servizi sanitari di base.
Fuggire dalla guerra, in paesi tra i più poveri al mondo significa ritrovarsi in campi profughi sovraffollati di paesi altrettanto poveri, dove facilmente si contraggono malattie mortali per via dell’acqua e delle mani sporche. A questo rischio sono esposti ogni giorno oltre 420 mila profughi che hanno trovato scampo dalla guerra civile in Sud Sudan verso l’Etiopia. Per il 90% sono donne e bambini senza più nulla. Per prevenire tifo e dissenteria Oxfam ha disseminato nei campi decine di kit lava-mani. Un gioco da ragazzi che salva la vita.
Disturbi alimentari e adolescenza: i segnali più comuni da riconoscere
PrevenzioneIn Italia sono circa 3 milioni le persone affette da un disturbo alimentare (anoressia, bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata). L’età di insorgenza dei disturbi si sta abbassando; anche bambini di 10-11 anni possono soffrire di anoressia; non mancano però insorgenze in età adulta, soprattutto nel caso del disturbo da alimentazione incontrollata. Secondo le stime ufficiali, il 95,9% delle persone colpite dai disturbi alimentari sono donne. L’incidenza dell’anoressia nervosa è di almeno 8 nuovi casi per 100mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi. Per quanto riguarda la bulimia ogni anno si registrano 12 nuovi casi per 100mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini. Ma come si riconosce un disturbo nella sfera alimentare? Maura Manca, psicoterapeuta e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, spiega i segnali più comuni a cui devono stare attenti i genitori:
1. Angoscioso senso di non essere belli e di non essere approvati dagli altri
2. Non vedersi mai in linea, non raggiungere mai la forma “perfetta”
3. Vedersi più grossi rispetto a quello che si è realmente (dispercezione)
4. Preoccupazione per il cibo e per le calorie che porta ad un controllo delle etichette e della qualità del cibo
5. Paura di ingrassare che porta a non riuscire a mangiare in tranquillità senza sensi di colpa
6. Autostima e umore legati alla forma fisica. Quando si è più vicini alla forma desiderata ci si sente più forti e sicuri
7. Sensi di colpa dopo aver mangiato
8. Eccessivo esercizio fisico
9. Bere quantità eccessive di acqua e bibite diuretiche, magari accompagnate da tisane e pastiglie.
“I genitori – scrive Maura Manca – devono stare attenti anche al fatto se il figlio va sempre in bagno tendenzialmente subito dopo mangiato, perché c’è il rischio che vada a vomitare. Bisogna fare maggiore attenzione all’odore, al colorito della pelle perché quando si vomita diventa un più bianco e alla presenza degli occhi rossi. Tra i vari segnali ci sono anche i cambiamenti della condotta alimentare come per esempio il rallentare il tempo di assunzione di cibo, ci si mette molto più tempo rispetto a prima, tagliare il cibo in tanti piccoli pezzi e masticarlo lentamente, ricorrere solo a cibi biologici e salutari. Spesso i ragazzi si coprono di più, soprattutto in casa, perché non vogliono far vedere ai genitori il drastico dimagrimento e i loro discorsi sono frequentemente incentrati sul cibo e sul peso, con richieste multiple di conferme su un avvenuto dimagrimento o sullo stato della loro linea. È importante imparare a riconoscere i segnali fin dalla prima infanzia per effettuare una valida prevenzione affinché i problemi non diventino disturbi”.
Alcol: superare 5-6 bicchieri a settimana aumenta rischio morte. Limiti inferiori a quelli raccomandati
AlimentazioneSuperare la dose di 5-6 bicchieri di vino a settimana accorcia la vita. La quantità corrisponde a più di 5 pinte di birra o 5 bicchieri di vino da 175 millilitri l’uno, pari a 100 grammi di alcol o 12,5 unità alcoliche. I limiti raccomandati ad oggi in vari paesi, tra cui il nostro, sono molto superiori (Italia, Spagna e Portogallo hanno dei limiti raccomandati quasi del 50% più elevati).
Ad mettere in luce i rischi di una dose eccessiva di alcol è un recente studio pubblicato sulla rivista Lancet. La ricerca supporta l’idea che sia necessario abbassare i limiti di consumo di alcol in molti paesi del mondo, come afferma uno degli autori Edoardo Casiglia, dell’Università di Padova. In Italia le linee guida sul consumo di alcol raccomandano consumi inferiori agli 84 grammi settimanali per le donne e a 168 grammi per i maschi adulti. In Usa ad esempio si raccomanda di non superare 196 g/settimana di alcol pari a 11 bicchieri per i maschi; 98 g/settimana per le donne.
Lo studio ha coinvolto – in 19 paesi ricchi – un totale di 599.912 individui non astemi. Circa il 50% del campione ha riferito di consumare più di 100 g/settimana di alcol, l’8,4% del campione addirittura 350 g/settimana.
Rispetto a chi ha un consumo settimanale inferiore a 100 grammi, per coloro che consumano 100-200 g/settimana, 200-350 g/settimana, o più di 350 g/settimana si stima una aspettativa di vita a 40 anni più bassa (circa 6 mesi, 1-2 anni, o 4-5 anni, in meno rispettivamente). In sostanza, riducendo il consumo di alcol abituale, diminuisce il rischio di molte malattie cardiovascolari.