Tempo di lettura: 2 minutiUno studio ha ricostruito geneticamente la storia evolutiva del frumento per preservarne la biodiversità e migliorarne il futuro. Il CREA è l’unico partner italiano del consorzio internazionale, finanziato dal progetto europeo WHEALBI, che ha parzialmente risequenziato per la prima volta ben 500 linee di frumento, per capire come 10.000 anni di selezione naturale, adattamento all’ambiente e selezione umana hanno portato oggi al cereale più coltivato al mondo, così come lo conosciamo. Lo studio, pubblicato su “Nature Genetics” è firmato da oltre 29 autori di 8 diversi paesi, tra cui, appunto, due ricercatori italiani, Alessandro Tondelli e Luigi Cattivelli, del CREA Genomica e Bioinformatica, che hanno organizzato la caratterizzazione di campo ed analizzato i relativi dati di tutti frumenti utilizzati nel lavoro. Il grano tenero ha un “supergenoma” – responsabile della sua straordinaria capacità di adattamento ambientale – e si è evoluto tramite due eventi di ibridazione naturali. Il primo, circa mezzo milione di anni fa, da cui si sono originati tutti i frumenti duri, è il risultato di un incrocio tra due specie di frumento selvatico: una del genere Aegilops, oggi probabilmente estinta, e il Triticum urartu. Il secondo, risale a circa 10.000 anni fa, e coinvolge un discendente del primo incrocio e un altro frumento selvatico (Aegilops tauschii) ed è proprio allora che ha origine il grano tenero.
Lo studio
I ricercatori hanno sequenziato parzialmente il genoma dei circa 500 frumenti che rappresentano la diversità genetica globale dei frumenti (monococchi, farri, duri, teneri, spelta, moderni, antichi, popolazioni locali, coltivati e selvatici) per capire da quale frumento antico, selvatico, monococco o farro derivano i geni che abbiamo nei frumenti moderni e come sono giunti sino a noi. In generale, viene confermato quanto già noto sulla storia evolutiva dei frumenti, anche se si chiariscono alcuni dettagli sinora molto controversi. E’ emerso che il farro ed il frumento duro sono stati selezionati a partire dai farri selvatici in parallelo ed indipendentemente l’uno dall’altro e non uno successivamente all’altro (il farro coltivato dal farro selvatico e poi il duro a partire dal farro coltivato), come si era sempre creduto. Allo stesso modo, il frumento tenero deriva da un incrocio tra un frumento duro (e non un farro) e A. tauschsii e, solo successivamente, dal frumento tenero si evolve il frumento spelta che, di conseguenza, è il frumento di più recente origine.
Infine, un’analisi accurata dei frumenti teneri moderni suggerisce una suddivisione genetica tra i frumenti dei paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale, un effetto collaterale della guerra fredda, che ha bloccato per decenni lo scambio di germoplasma tra paesi NATO e paesi del patto di Varsavia.
Le ricadute
”Abbiamo individuato i geni che hanno reso e rendono differente una varietà o una popolazione locale di grano tenero dall’altra – spiega Luigi Cattivelli, uno dei due autori italiani della ricerca nonchè direttore del CREA Genomica e Bioinformatica – un risultato importante che ci permette di conoscere a fondo la biodiversità e quindi di preservarla al meglio, fornendoci anche un prezioso patrimonio di informazioni genetiche da utilizzare per migliorare in modo sostenibile una coltura che costituisce l’alimento base per oltre un terzo della popolazione umana mondiale”.
Il lavoro pubblicato in Nature Genetics dal titolo “Tracing the ancestry of modern bread wheats” può essere scaricato al link: https://doi.org/10.1038/s41588-019-0393-z
Infezione ospedaliera contratta da quasi un paziente su 10 in Italia
News PresaIn Italia, quasi un paziente su dieci ha contratto un’ infezione, l’igiene delle mani può ridurre le epidemie negli ambiti sanitari. L’Iss ha sostenuto la campagna “SAVE LIVES: Clean Your Hands” dell’Organizzazione mondiale della Sanità lanciata in occasione della Giornata Internazionale del lavaggio delle mani il 5 maggio.
Le infezioni in numeri
In base ai dati più recenti, emersi da uno studio europeo, l’8% dei pazienti negli ospedali per acuti in Italia ha contratto una infezione correlata all’assistenza (ICA), per un totale stimato di più di mezzo milione di pazienti con infezioni nosocomiali per anno. Le infezioni più frequenti sono quelle respiratorie, seguite dalle batteriemie, le infezioni del tratto urinario, e le infezioni del sito chirurgico. I microrganismi responsabili più comuni sono Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomoas aeruginosa, e Staphylococcus aureus, tutti microrganismi che sono spesso multiresistenti agli antibiotici di prima e seconda linea per il loro trattamento e contro i quali vi sono poche armi efficaci.
Igiene delle mani per prevenire
Le ICA sono un costo elevato sia in termini di morbosità e mortalità per il paziente, sia in termini economici per le organizzazioni sanitarie, perché richiedono degenze più lunghe e cure più costose. Uno studio dell’ECDC ha stimato che le ICA sono responsabili di più morti di quelli causati da tutte le altre malattie infettive sotto sorveglianza europea. Questi dati dimostrano come le ICA rappresentino uno dei problemi principali per la sicurezza del paziente e la necessità di interventi mirati in tutti gli ospedali. È stato stimato che almeno la metà delle ICA possono essere prevenute con procedure adeguate. Alla base della prevenzione e il controllo delle ICA vi sono una corretta igiene delle mani, insieme all’igiene ambientale e al corretto uso degli antibiotici (“stewardship antimicrobica”).
L’igiene delle mani è senz’altro il fattore più importante secondo l’OCSE (Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica) ed è anche il provvedimento a più basso costo e quindi il migliore investimento. Da qui nasce l’iniziativa dell’OMS: una campagna globale di sensibilizzazione del personale sanitario sulla corretta igiene delle mani come mezzo per salvare vite umane.
Barba, ha più germi del pelo del cane. La ricerca
News PresaNella barba di un uomo possano annidarsi più germi e batteri di quelli che si trovano sui peli dei cani. A dirlo è una ricerca della Hirslanden Clinic che ha sede in Svizzera. E non è la prima volta che uno studio fa luce sull’argomento. Tuttavia niente panico, non c’è alcun rischio di contrarre malattie. Il nostro sistema immunitario, infatti, è in grado di resistere agli attacchi batterici. In tutto il nostro corpo, dall’intestino ai capelli, dalle dita dei piedi a quelle delle mani, ci sono enormi colture di batteri. In altre parole sulla nostra pelle vivono milioni di batteri per centimetro quadrato. Per quanto riguarda la barba, già un team di ricercatori americani con base ad Albuquerque, qualche anno fa, aveva dimostrato come la peluria facciale dia ospitalità a una mole di microrganismi da fare invidia alla toilette. Per quanto riguarda, invece, gli ambienti il discorso cambia. Tra gli oggetti dove si annidano più batteri, al primo posto non c’è il sedile del water, come molti potrebbero pensare, ma bensì smartphone e telecomandi. Comunque, per una migliore igiene, gli scienziati suggeriscono agli uomini con la barba di lavarsi con frequenza volto e mani e di evitare di “lisciarsi” con le dita la peluria.
Obesità, i medici di Napoli scendono in campo
News PresaIL VILLAGGIO DELLO SPORT
ALLARME MONDIALE
ELìSIR DI LUNGA VITA
Autismo, ricerche sull’ormone della socialità
Ricerca innovazioneC’è una nuova speranza per le persone colpite da disturbi dello spettro autistico, è l’ormone della socialità. Il nome scientifico di questo ormone è vasopressina e si è scoperto che potrebbe aiutare a risolvere alcuni dei sintomi chiave dell’autismo. Problemi di comunicazione e interazione con gli altri, ad esempio, ma anche i deficit di empatia (cioè la difficoltà a capire gli altri) e i comportamenti ripetitivi.
COMPORTAMENTI SOCIALI
Queste nuove prospettive, che non devono comunque lasciar penare ad un cambiamento miracoloso, sono il frutto di due trial clinici indipendenti, entrambi pubblicati sulla rivista Science Translational Medicine. In entrambi i casi è risultata fondamentale la regolazione della concentrazione della vasopressina (ormone del nel cervello già noto per la sua influenza sui comportamenti sociali nei mammiferi) anche se restano da chiarire i meccanismi precisi del suo funzionamento.
GLI STUDI
Il primo trial, che ha coinvolto 223 maschi adulti con sindrome autistica, è stato condotto col farmaco sperimentale “balovaptan”, che ha come target il recettore della vasopressina. Il secondo trial, su 30 bambini autistici di 6-12 anni, è stato condotto in Usa da Karen Parker della Stanford University con uno spray nasale a base di vasopressina, somministrato in tre diverse dosi per 4 settimane solo a metà del campione mentre gli altri bimbi hanno ricevuto uno spray placebo. Le capacità di interazione e altri aspetti come l’ansia, i comportamenti ripetitivi e le capacità empatiche dei bimbi sono state valutate prima e dopo la terapia e si è visto con dei test ad hoc (usati normalmente dai clinici che si occupano di autismo) un miglioramento oggettivo del quadro clinico dei bambini che hanno assunto vasopressina. Ora si punta a confermare il dato e a valutare la dose migliore di vasopressina per ottenere gli effetti maggiori possibili. Se le terapie dovessero confermare le aspettative allora in prossimo futuro potrebbero diventare vere e proprie armi per migliorare le capacità relazionali di quanti sono affetti da alcune forme di autismo.
Obesità infantile. OMS: prevenzione con l’allattamento al seno
AlimentazioneNonostante gli sforzi dell’OMS, in Europa la percentuale di obesità infantile rimane alta. Cresce tra i bambini che non sono stati allattati al seno (16,8% vs 9,3%). Si osservano picchi di obesità grave soprattutto tra i maschi, che in Italia toccano il 4,3%. Lo scenario è stato fotografato da due studi, presentati nel corso dello European Congress on Obesity, in corso a Glasgow (Regno Unito), effettuati con i dati della Childhood Obesity Surveillance Initiative (COSI) dell’OMS, a cui l’Istituto Superiore di Sanità partecipa con la sorveglianza OKKIO alla SALUTE rappresentando l’Italia. L’indagine COSI per più di 10 anni ha misurato, in oltre 300 mila bambini ogni tre anni, il trend di sovrappeso e obesità tra gli alunni della scuola primaria (6-9 anni).
Obesità infantile: i numeri
Il primo studio ha rilevato tra i 21 paesi partecipanti (637 mila bimbi circa monitorati in tre raccolte dati) la presenza tra l’1% in Svezia e Moldavia e il 5,5% a Malta di bambini con obesità grave, cioè ad alto rischio di complicanze per la salute. La prevalenza di obesità severa, maggiore tra i maschi, varia significativamente da paese a paese e tocca le punte più alte nel Sud Europa. Nel nostro Paese, adottando le classificazioni OMS, la percentuale è pari a 4,3%, con una tendenza alla diminuzione negli anni.
L’allattamento al seno
Il secondo studio mostra che tra i bambini allattati al seno per almeno sei mesi ci sono meno obesi rispetto ai piccoli che sono stati allattati al seno per meno di sei mesi e rispetto a quelli che non lo sono stati affatto. In media il tasso di obesità tra i bimbi non allattati al seno è pari al 16,8%, tra quelli allattati per meno di 6 mesi è del 13,2% e tra coloro che invece hanno preso il latte della mamma più a lungo diminuisce a 9,3%. Il fenomeno è stato osservato in 22 paesi che hanno partecipato alla quarta raccolta dati del COSIsvoltasi tra il 2015 e il 2017 coinvolgendo più di 100 mila bambini.
“L’ obesità infantile rappresenta uno dei principali problemi di sanità pubblica dei nostri tempi – afferma Angela Spinelli, Direttore del Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute (ISS) – Si tratta senza dubbio di un fenomeno multifattoriale, con possibili gravi conseguenze a lungo termine sulla salute e sulla società intera. Come tale va affrontato prima di tutto attraverso la prevenzione, a cominciare dall’allattamento per poi proseguire con programmi e iniziative nei bambini e giovani che aiutino ad effettuare scelte salutari. Ma nel caso di obesità grave bisogna garantire anche i servizi per aiutare questi bambini e le loro famiglie a contrastarla. In Italia negli ultimi anni abbiamo osservato una lieve diminuzione del fenomeno ma è ancora una sfida aperta”.
Sclerosi multipla: scoperti nuovi meccanismi alla base della malattia
Ricerca innovazioneUna scoperta fa luce sui meccanismi alla base della sclerosi multipla. Un’alterazione nell’espressione dell’interferone, ovvero di quel gruppo di proteine che le cellule del sistema immunitario producono in presenza di virus, può essere alla base dello sviluppo di diverse malattie autoimmuni. In uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Autoimmunity, i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in collaborazione con l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e con l’Ospedale Sant’Andrea di Roma, e grazie al sostegno della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM), hanno scoperto nei linfociti B e nei monociti delle persone con sclerosi multipla (SM), alterazioni in diversi geni regolati dall’interferone.
“Studi svolti in precedenza avevano già individuato il ruolo significativo dei linfociti B nei meccanismi patogenetici della malattia – spiega Eliana Marina Coccia dell’ISS, a capo del progetto multicentrico FISM – La nostra indagine si è spinta oltre e ha identificato anomalie nei linfociti B e nei monociti che alterano profondamente i processi in cui sono coinvolti gli interferoni. Questi dati, se da un lato confermano l’importanza del trattamento delle forme recidivanti-remittenti e progressive della SM con anticorpi monoclonali diretti selettivamente contro i linfociti B, dall’altro aprono nuove prospettive verso cui indirizzare futuri sforzi per la messa a punto di terapie innovative centrate su questa popolazione linfocitaria”.
I ricercatori dell’ISS hanno isolato sia i linfociti B che i monociti da campioni di sangue periferico di persone con SM senza trattamenti in corso e da soggetti di controllo appaiati per sesso ed età. Di questi tipi cellulari i ricercatori dell’Ospedale San Raffaele hanno analizzato i profili di espressione genica (trascrittoma) con l’ausilio del database Interferome, che è stato sviluppato dal collaboratore allo studio il Professore Paul Hertzog della Monash University in Australia e che raccoglie in maniera sistematica tutti i geni regolati dagli interferoni descritti nella letteratura scientifica mondiale.
“Questo progetto FISM ha consentito di mettere in luce numerose disregolazioni trascrittomiche nei geni regolati dagli interferoni nelle persone con SM – spiega Cinthia Farina dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – in particolare in questo studio sono state trovate anomalie geniche specifiche per tipi cellulari distinti, indicando così quelle sulle quali indagare in vista della ricerca di nuovi processi patologici e di marcatori di malattia”.
“Inoltre, l’identificazione selettiva nei linfociti B di alterazioni di alcune risposte anti-virali – conclude Martina Severa dell’ISS – rende verosimile l’ipotesi in base a cui il virus di Epstein-barr abbia un forte impatto, negli individui con SM, sul controllo della patologia. Questo virus è molto diffuso (oltre il 90% degli adulti ne risulta infettato, spesso senza alcuna conseguenza), rimane latente proprio nei linfociti B della memoria per tutta la vita, e sembra aumentare il rischio di sviluppare malattie autoimmuni, tra cui la SM, in alcuni soggetti geneticamente predisposti”.
Lo studio è stato possibile grazie un finanziamento di FISM assegnato all’ISS e all’IRCCS Ospedale San Raffaele. Hanno inoltre partecipato allo studio: l’Ospedale Sant’Andrea di Roma, l’Università di Roma La Sapienza; l’IRCCS San Raffaele-Pisana di Roma; la Monash University di Clayton (Australia); l’Istituto Neurologico Mediterraneo (INM) Neuromed, Pozzilli (Isernia).
Grano tenero: per la prima volta uno studio ricostruisce la storia genetica
AlimentazioneUno studio ha ricostruito geneticamente la storia evolutiva del frumento per preservarne la biodiversità e migliorarne il futuro. Il CREA è l’unico partner italiano del consorzio internazionale, finanziato dal progetto europeo WHEALBI, che ha parzialmente risequenziato per la prima volta ben 500 linee di frumento, per capire come 10.000 anni di selezione naturale, adattamento all’ambiente e selezione umana hanno portato oggi al cereale più coltivato al mondo, così come lo conosciamo. Lo studio, pubblicato su “Nature Genetics” è firmato da oltre 29 autori di 8 diversi paesi, tra cui, appunto, due ricercatori italiani, Alessandro Tondelli e Luigi Cattivelli, del CREA Genomica e Bioinformatica, che hanno organizzato la caratterizzazione di campo ed analizzato i relativi dati di tutti frumenti utilizzati nel lavoro. Il grano tenero ha un “supergenoma” – responsabile della sua straordinaria capacità di adattamento ambientale – e si è evoluto tramite due eventi di ibridazione naturali. Il primo, circa mezzo milione di anni fa, da cui si sono originati tutti i frumenti duri, è il risultato di un incrocio tra due specie di frumento selvatico: una del genere Aegilops, oggi probabilmente estinta, e il Triticum urartu. Il secondo, risale a circa 10.000 anni fa, e coinvolge un discendente del primo incrocio e un altro frumento selvatico (Aegilops tauschii) ed è proprio allora che ha origine il grano tenero.
Lo studio
I ricercatori hanno sequenziato parzialmente il genoma dei circa 500 frumenti che rappresentano la diversità genetica globale dei frumenti (monococchi, farri, duri, teneri, spelta, moderni, antichi, popolazioni locali, coltivati e selvatici) per capire da quale frumento antico, selvatico, monococco o farro derivano i geni che abbiamo nei frumenti moderni e come sono giunti sino a noi. In generale, viene confermato quanto già noto sulla storia evolutiva dei frumenti, anche se si chiariscono alcuni dettagli sinora molto controversi. E’ emerso che il farro ed il frumento duro sono stati selezionati a partire dai farri selvatici in parallelo ed indipendentemente l’uno dall’altro e non uno successivamente all’altro (il farro coltivato dal farro selvatico e poi il duro a partire dal farro coltivato), come si era sempre creduto. Allo stesso modo, il frumento tenero deriva da un incrocio tra un frumento duro (e non un farro) e A. tauschsii e, solo successivamente, dal frumento tenero si evolve il frumento spelta che, di conseguenza, è il frumento di più recente origine.
Infine, un’analisi accurata dei frumenti teneri moderni suggerisce una suddivisione genetica tra i frumenti dei paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale, un effetto collaterale della guerra fredda, che ha bloccato per decenni lo scambio di germoplasma tra paesi NATO e paesi del patto di Varsavia.
Le ricadute
”Abbiamo individuato i geni che hanno reso e rendono differente una varietà o una popolazione locale di grano tenero dall’altra – spiega Luigi Cattivelli, uno dei due autori italiani della ricerca nonchè direttore del CREA Genomica e Bioinformatica – un risultato importante che ci permette di conoscere a fondo la biodiversità e quindi di preservarla al meglio, fornendoci anche un prezioso patrimonio di informazioni genetiche da utilizzare per migliorare in modo sostenibile una coltura che costituisce l’alimento base per oltre un terzo della popolazione umana mondiale”.
Il lavoro pubblicato in Nature Genetics dal titolo “Tracing the ancestry of modern bread wheats” può essere scaricato al link: https://doi.org/10.1038/s41588-019-0393-z
Tumore, una scoperta sorprendente dai laboratori italiani
Ricerca innovazioneFar morire di fame i tumori. È su questo che si basa una scoperta tutta italiana che offre grandi speranze per il futuro della lotta al cancro. In sostanza, il meccanismo scoperto dai ricercatori coordinati da Saverio Minucci (direttore del Programma Nuovi Farmaci dell’Istituto Europeo di Oncologia) è letteralmente in grado di far morire di fame il cancro. Non a caso la scoperta è pubblicata sulla rivista Cancer Cell, una delle riviste di settore più prestigiose al mondo.
SPERIMENTAZIONE
Per ora lo studio ha coinvolto solo cavie di laboratorio e cellule umane in vitro, ma ha già offerto risultati entusiasmanti. Dimostra infatti che una dieta ipoglicemica e l’assunzione di metformina (farmaco che generalmente è impiegato per il diabete di tipo 2) possono uccidere le cellule del tumore attraverso un inedito meccanismo molecolare che, se attivato, è appunto in grado di “affamare” le cellule del tumore. La ricerca è sostenuta da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e presto, annuncia Minucci, inizierà la sperimentazione clinica sui pazienti. I ricercatori hanno dunque evidenziato che una dieta che porti a un abbassamento della glicemia, associata alla somministrazione di metformina, innesca una reazione a catena che si rivela mortale per le cellule cancerose.
MANGIARE SANO
Non è certo un segreto che una dieta sana, ricca di cereali integrali e legumi, frutta e verdura, con poca carne rossa e una fortissima riduzione del consumo di bevande zuccherate e carni conservate, protegge dallo sviluppo di tumori. Addirittura sembra che comportamenti alimentari sani possano contrastare efficacemente anche l’insorgenza di recidive. Quindi, al di là dei progressi della medicina, il primo consiglio per cercare di restare in salute è quello di seguire le raccomandazioni del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF) e i consigli del Codice europeo contro il cancro. Attenzione anche ad alimenti apparentemente innocui, ma che possono interferire con alcune specifiche terapie. Il pompelmo e il suo succo, per esempio, possono bloccare l’azione di enzimi importanti per l’assorbimento e il metabolismo di alcuni farmaci e, in questo modo, ridurne l’efficacia. Insomma, in attesa che le promesse della medicina moderna si traducano in nuove terapie, il primo passo per tenersi in salute è quello di avere comportamenti sani.
Smartphone dipendenza, colpa della noia
PsicologiaSiamo dipendenti dagli smartphone, e questa non è proprio una novità. È invece sorprendente il motivo che ci spinge a collegarci in maniera quasi compulsiva ai social e in generale ad usare il telefono alla ricerca di contenuti: la noia. Già, a quanto pare (lo dice un recentissimo studio dell’Università di Washington) quello che facciamo quando smanettiamo con ossesso sul nostro cellulare non è altro che riempire momenti di vuoto. Andiamo con rodine.
LO STUDIO
Secondo i ricercatori dell’Università di Washington «momenti vuoti in attesa di qualcosa e compiti seccanti sono alcuni dei fattori che scatenano l’uso compulsivo dello smartphone». Praticamente lo usiamo per ingannare la noia. Gli studiosi hanno identificato le occasioni che spingono gli utenti dei cellulari a guardarlo più volte, minuto dopo minuto. In generale, gli intervistati che hanno preso parte alla ricerca hanno avuto quattro momenti comuni che hanno fatto scattare l’uso compulsivo: quando si sono trovati davanti a momenti “vuoti” in attesa di qualcuno, prima o durante compiti ripetitivi, in situazioni socialmente imbarazzanti o quando sapevano di dover ricevere un messaggio o una notifica. Momenti comuni alla vita di tutti i giorni. Gli studiosi, però, hanno anche individuato quali sono le occasioni che fanno interrompere l’uso compulsivo del telefono. Per esempio, quando arrivano richieste da parte del mondo reale – come incontrarsi con un amico. O, ancora, quando ci si rende conto che si è stati molto al telefono o vedendo contenuti che già visti. Il team è rimasto sorpreso nel constatare che i fattori scatenanti erano gli stessi in tutti i gruppi di età, sia per i più giovani sia per i meno (hanno partecipato allo studio 39 persone dai 14 ai 64 anni). I risultati di questa ricerca saranno presentati il 7 maggio alla conferenza Acm Chi del 2019 su Human Factors in Computing Systems a Glasgow, in Scozia.
IN COPPIA
Questo studio ci fa capire molto bene il perché di alcune manie da smartphone e, cosa più importante, ci costringe anche ad una riflessione molto personale. Quante volte ci siamo ritrovati assieme al partner, magari a cena, riscoprendoci entrambi concentrati sullo schermo? Cose che siamo portati a credere “succedono solo agli altri”, ma che in realtà ci riguardano più di quanto potremmo pensare. Siamo vittime di un mondo iperconnesso, che alla fine ci scollega dalla realtà. Ci spinge ad essere sempre attivi e ci distrae dalla possibilità di dialogare con l’altro, di stimolare il nostro interesse per l’altro. Ecco perché sarebbe cosa buona cercare di ritagliarci momenti di attenzione al partner, minuti nei quali mettere da parte lo smartphone e stare semplicemente assieme. A fare qualcosa che non siamo più abituati a fare: ascoltare e farci ascoltare dalla persona che amiamo.
Resistenza ai farmaci. Studio Onu: ‘crisi globale’
Ricerca innovazioneLa resistenza ai farmaci, secondo l’Onu, rappresenta una ‘crisi globale’ in continuo peggioramento. A dimostrarlo è uno studio delle Nazioni Unite che ha indagato il fenomeno della resistenza a farmaci di diverso tipo che fino a poco tempo fa erano in grado di controllare una serie di malattie. Secondo il rapporto della commissione di esperti scientifici dell’Onu le procedure mediche, gli interventi chirurgici e le patologie comuni sono diventate a rischio proprio per il ‘livello allarmante’ di resistenza registrato tra medicinali di uso comune. Non si parla solo di antibiotici, ma anche di funghicidi, antivirali, antiparassitari e antimicrobici.
Secondo lo studio, i casi di resistenza portano a livello mondiale 700.000 morti l’anno, di questi 230.000 sono attribuibili a tubercolosi. Il fenomeno – dicono i dati raccolti dal ‘Gruppo di coordinamento sulla resistenza ai farmaci’ delle Agenzie Onu – è stato osservato in Paesi a tutti i livelli di povertà o ricchezza.
Gli esperti hanno chiesto azioni a livello globale che si basino su ‘Una Salute Unica’. In altre parole fanno appello a politiche che riconoscano l’interdipendenza tra la salute umana, animale e dell’ambiente. Se non verrà invertita la rotta, secondo il rapporto entro il 2030 i morti per la mancata risposta farmacologica potrebbero arrivare a 10 milioni.