Tempo di lettura: 5 minutiNon si sentono in buona salute 3 italiani su 10: una quota che sale al 43% fra le persone con molte difficoltà economiche e scende al 23% fra chi non le ha. È questa la fotografia scattata dalla Sorveglianza PASSI (Progressi per le Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) nel quadriennio 2015-2018, coordinata dall’ISS per le Regioni. Nella salute percepita, nel benessere psicologico e nella qualità di vita, come pure nell’accesso alla prevenzione per la diagnosi precoce dei tumori e nell’adesione a misure di sicurezza per la prevenzione degli incidenti stradali, a fare la differenza sono quasi sempre le disuguaglianze sociali. C’è un chiaro gradiente a sfavore delle persone socialmente più vulnerabili per difficoltà economiche o per bassa istruzione (senza titolo di studio o al più con licenza elementare). A ciò si aggiungono le differenze territoriali e il gap Nord-Sud è sempre significativo a sfavore del Sud, dove è più alta la prevalenza di fumatori, sedentari, obesi, diabetici, ipertesi e persone che, in generale, non adottano stili di vita salutari.
“I dati della Sorveglianza PASSI aggiornati al 2018 – afferma Maria Masocco, responsabile presso l’ISS del coordinamento nazionale PASSI – confermano e mettono ancora una volta in evidenza significative differenze sociali nella salute e nell’accesso alla prevenzione che si aggiungono alle differenze geografiche a svantaggio delle regioni del Sud e delle Isole, dove povertà e carenza nell’offerta di programmi di prevenzione e di servizi cura si concentrano. È dunque necessario continuare a porre l’attenzione su questi aspetti, con una lettura trasversale dei dati proprio in questa ottica, per programmare e ri-orientare adeguatamente le politiche di contrasto alle disuguaglianze in salute, verso azioni di sistema orientate all’equità, che rappresenta uno dei principi cardini del Piano Nazionale della Prevenzione”.
Stili di vita
Il 30% degli italiani riferisce di non godere di buona salute ma, se si esamina il campione delle persone con difficoltà economiche, la percentuale sale al 43% e scende al 23% fra i più abbienti. Inoltre, il 6% soffre di sintomi depressivi, quota che sale al 14% fra le persone con maggiori difficoltà economiche e scende al 4% fra chi non ne ha. Anche la qualità di vita risulta compromessa e se gli intervistati riferiscono mediamente di essere stati male per problemi di salute fisica o psicologica mediamente 4,4 giorni nel mese precedente l’intervista, il numero medio di giorni in cattiva salute sale a 7 fra le persone con difficoltà economiche (vs 3,6 giorni fra chi non ha difficoltà economiche). Differenze analoghe si osservano per livello di istruzione: fra le persone con un basso livello di istruzione il 55% riferisce cattive condizioni di salute (vs 20% dei laureati), il 12% sintomi depressivi (vs 4%) e il numero medio di giorni vissuti in cattiva salute per motivi fisici o psicologici è 7.1 in un mese (vs 3.8 riferiti da laureati). Fra le persone socialmente vulnerabili per difficoltà economiche o bassa istruzione è anche maggiore la frequenza di stili di vita non salutari, come l’abitudine al tabagismo, la sedentarietà, lo scarso consumo di frutta e verdura, l’obesità o condizioni di rischio cardiovascolare come il diabete o l’ipertensione. Fra le persone con molte difficoltà economiche il 34% fuma (vs 22% di chi non ha difficoltà economiche), il 46% è sedentario (vs 28%), il 9% consuma almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno (five a day), come raccomandato per una corretta e sana alimentazione (vs 11%); l’8% riferisce una diagnosi di diabete (vs il 3%), il 25% una diagnosi di ipertensione (vs il 18%). Analoghe sono le differenze per istruzione: fuma il 24% delle persone con bassa istruzione (vs 19% dei laureati), il 50% è sedentario (vs 26%), il 25% obeso (vs 6%); il 9% aderisce al five a day (vs 12%), il 16% riferisce una diagnosi di diabete (vs 2%) e il 43% una diagnosi di ipertensione (vs 13%). Fra i comportamenti non salutari, unica eccezione è quella del consumo alcolico a rischio per la salute, per quantità e modalità di assunzione, che resta prerogativa delle classi sociali più abbienti, senza difficoltà economiche e alto livello di istruzione, residenti nel Nord e in particolare nel Nord-Est del Paese.
Disuguaglianze sociali e prevenzione dei tumori
I dati PASSI mostrano che le persone con istruzione più bassa, con maggiori difficoltà economiche e i cittadini stranieri si sottopongono meno frequentemente di altri ai test di diagnosi precoce dei tumori della mammella, del collo dell’utero e dell’intestino, che sono quelli per i quali il SSN offre programmi organizzati di screening a target specifici di popolazione. Nel quadriennio 2015-2018, il 74% delle donne residenti in Italia di 50-69 anni si è sottoposto a mammografia preventiva, ma questa quota scende al 60% fra le donne con molte difficoltà economiche (vs l’81% fra donne senza difficoltà economiche); al 64% tra le donne con bassa istruzione (vs il 81% fra le laureate); al 70% fra le donne di cittadinanza straniera (vs il 74% fra le cittadine italiane). Analogamente accade per lo screening cervicale: l’80% delle donne di 24-64enni si sottopone a screening cervicale (Pap-test o HPV test) per la diagnosi precoce del tumore della cervice uterina; ma questa quota scende al 69% fra le donne con molte difficoltà economiche (vs 85% fra le donne che non hanno difficoltà economiche) al 62% fra le donne meno istruite (vs 84% fra le laureate); al 75% fra le donne di cittadinanza straniera (vs 80% delle cittadine italiane). Anche lo screening colorettale per la diagnosi precoce del tumore dell’intestino, molto meno diffuso degli altri due screening, presenta differenze sociali significative, in particolare per condizioni economiche: solo il 40% della popolazione target (uomini e donne di 50-69enni) ha eseguito la ricerca del sangue occulto nelle feci (test di screening colorettale maggiormente diffuso) ma questa quota scende al 26% fra le persone con molte difficoltà economiche (vs il 49% fra le persone senza difficoltà economiche); al 33% fra le persone meno istruite (vs 41% fra le laureate). I dati PASSI mostrano chiaramente che le differenze per istruzione, condizioni economiche e cittadinanza nella partecipazione ai test di screening si riducono significativamente nell’ambito dei programmi organizzati offerti dalle Aziende Sanitarie Locali che rappresentano spesso l’unica opportunità di accesso alla diagnosi precoce dei tumori per le persone socialmente più svantaggiate. Resta significativo il gradiente geografico Nord-Sud a sfavore delle Regioni meridionali determinato prevalentemente dalla minore offerta di programmi di screening organizzati in queste Regioni. Nelle Regioni in cui l’offerta di programmi organizzati è ampia (Nord e Centro Italia) è maggiore la quota di persone che fa prevenzione nell’ambito dei programmi organizzati, rispetto alla quota di persone che lo fa per iniziativa spontanea; di contro, nelle Regioni in cui l’offerta di programmi organizzati non è ancora sufficiente e non raggiunge la totalità della popolazione target (come nel Sud Italia), la quota dello screening spontaneo è rilevante e talvolta maggiore, senza però riuscire a compensare la mancanza di offerta dei programmi organizzati, per cui il numero totale di persone che fa prevenzione (dentro o fuori i programmi organizzati) resta comunque più basso che nel resto del Paese.
Le disuguaglianze sociali nella prevenzione degli incidenti stradali
Anche l’uso dei dispositivi di sicurezza alla guida (il casco in moto o le cinture anteriori e posteriori in auto) risponde a differenze socio-culturali e le persone con difficoltà economiche o bassa istruzione ne fanno un uso meno frequente. L’uso del casco in moto, sebbene consolidato, riferito come abitudine costante dal 96% degli intervistati che viaggiano in moto, è meno frequente fra le persone con molte difficoltà economiche (93%) e fra le persone con bassa istruzione (89%). Anche per l’uso delle cinture anteriori in auto, riferito dall’85% come abitudine costante e che scende al 76% fra le persone con difficoltà economiche e al 78% fra i meno istruiti; le cinture posteriori, malgrado la normativa, restano ancora poco utilizzate e solo il 21% riferisce che le usa sempre quando viaggia in auto come passeggero, quota che scende al 16% fra le persone con difficoltà economiche e al 19% fra le persone con bassa istruzione.
Un team di psicoterapeuti per Noemi e la sua famiglia
PsicologiaUn’equipe di esperti psicoterapeuti gratuitamente al servizio della piccola Noemi e della sua famiglia. Il gesto arriva dalla Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale (SIPPR) per voce della presidentessa Rossella Aurilio. «Questa bimba e la sua famiglia – ha detto Aurilio alla stampa – meritano di tornare ad una vita normale, per questo siamo pronti a mettere a disposizione, in maniera assolutamente gratuita, la nostra esperienza e tutto il nostro supporto. Perché le cicatrici più dure a guarire sono quella dell’anima».
ELABORARE IL DRAMMA
Ormai fuori pericolo, la piccola Noemi dovrà affrontare il ricordo di quanto vissuto, e con lei anche i familiari che hanno condiviso con lei l’incubo. «I vissuti e le conseguenze del trauma – spiega Aurilio – non sono mai solo del singolo individuo, ma coinvolgono l’intera famiglia».
Rossella Aurilio
Ed è proprio da uno spunto della presidentessa Aurilio che è maturata la disponibilità della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale. «In un’intervista della nonna della piccola ho percepito tutta la sofferenza per quanto accaduto, la difficoltà ad elaborare un vissuto così traumatico, e questo sarà vero soprattutto per Noemi che potrà presentare difficoltà psicologiche non solo nell’immediato, ma anche in un prossimo futuro. Essere al loro fianco è soprattutto un dovere, una risposta da parte di un’intera categoria che vuole lanciare un segnale forte».
LA SIPPR
La Società Italia di Psicologia e Psicoterapia Relazionale è nata nel 1984 con lo scopo di promuovere ricerca, intervento e formazione nella prospettiva sistemico-relazionale. La società è espressione del movimento sistemico-relazionale italiano, fondata dai più importanti esponenti di centri e istituti impegnati nella formazione di psicoterapeuti sistemico-relazionali. Sono soci fondatori: Luigi Cancrini e Marisa Malagoli Togliatti del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale; Maurizio Andolfi e Carmine Saccu dell’Istituto di Terapia Familiare; Gaspare Vella e Camillo Loriedo del Centro Studi e Ricerca per la Psicoterapia della Coppia e della Famiglia; Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin del Centro Milanese di Terapia della Famiglia; Piero De Giacomo e Gianpaolo Pierri del Centro Interdisciplinare e di Ricerca di Interventi sui Sistemi Umani.
Bevande molto calde provocano il cancro? Risponde Airc
PrevenzioneGli italiani amano bere al mattino il caffè, magari al pomeriggio una cioccolata calda e prima di dormire una tisana. In Francia bevono il calvados, in Inghilterra il tè e in Giappone il sakè: in tutto il mondo sono tante le bevande consumate fumanti, soprattutto nei mesi freddi. L’alta temperatura scioglie gli aromi, aumentandone il profumo e il senso di gratificazione. Inoltre inattiva i microrganismi patogeni e le tossine: non è un caso se il consumo di tè è molto diffuso in Paesi dove far bollire l’acqua prima di utilizzarla è un requisito igienico fondamentale. Le bevande calde sono di solito servite a una temperatura di 71-85°C e consumate quando la temperatura scende a 50-70°C. Tuttavia alcuni studi hanno dimostrato che consumarle regolarmente a una temperatura superiore a 60-65°C aumenta il rischio di sviluppare un tumore all’esofago. Infatti, gli studi scientifici dimostrano che chi consuma più volte al giorno bevande molto calde, a una temperatura superiore a 60-65°C, ha una probabilità più alta di sviluppare il tumore dell’esofago. La relazione tra consumo di bevande molto calde e tumore dello stomaco o delle vie aeree e digestive superiori non è invece provata. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha inserito le bevande calde tra le sostanze probabilmente cancerogene (gruppo 2A). Invece, caffè e mate (una bevanda tipica dell’America Latina), quando non sono consumati bollenti, rientrano nel gruppo 3, quello delle sostanze non classificabili come cancerogene per l’uomo, a riprova del fatto che è il calore a renderle potenzialmente pericolose. Secondo gli esperti, quindi, è consigliabile lasciare raffreddare le bevande a una temperatura inferiore a 60°C prima di sorseggiare.
Il tumore all’esofago
L’esofago è il tratto del canale alimentare che va dalla faringe allo stomaco. Il tumore dell’esofago non è molto comune: si stima che nel 2018 siano stati diagnosticati circa 2.000 nuovi casi in tutta Italia, con un’incidenza assai più alta al Nord rispetto al Centro-Sud. Gli uomini ne sono colpiti in misura maggiore delle donne; questo dato non sorprende poiché alcol e fumo, abitudini prevalentemente maschili, sono noti fattori di rischio per l’insorgenza di tumori all’esofago. Diversi studi hanno messo in luce che il rischio di sviluppare questo tipo di tumore è influenzato dalle abitudini alimentari, in particolare dall’abitudine di bere bevande molto calde.
Bevande calde, a quale temperatura diventano pericolose?
Nel 2016 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (International Agency for Cancer Research, IARC) ha pubblicato un volume in cui sono state raccolte tutte le informazioni disponibili sul legame tra consumo di bevande calde e cancro. Una commissione di esperti ha analizzato numerosi studi scientifici che si sono occupati dell’argomento e ha individuato una relazione tra consumo di bevande calde e incidenza del tumore dell’esofago. I dati che riguardavano invece lo stomaco o le vie aeree e digestive superiori erano discordanti, rendendo impossibile trarre conclusioni riguardo all’effetto delle bevande calde sullo sviluppo di tumori che colpiscono queste parti del corpo. La IARC ha concluso che il consumo regolare di bevande molto calde (a una temperatura superiore a 65°C) è “probabilmente cancerogeno” per gli esseri umani. La maggior parte degli studi analizzati era stata condotta in Asia e riguardava il consumo di tè caldo. Altri studi riguardavano il consumo di mate, una bevanda calda molto diffusa in Sud America, mentre solo due studi hanno valutato la relazione tra la temperatura del caffè e i tumori.
Musica: medicina non solo dell’anima
News PresaLa voce e le parole di Andrea Bocelli per il ciclo di eventi #Nonsolomedicina. È un vero e proprio evento quello che si terrà domani (giovedì 23 maggio) a partire dalle 9.30 e sino alle 11.00 nell’Aula Magna “Gaetano Salvatore” della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II. Andrea Bocelli, reduce dal grande successo ottenuto con i due concerti al Teatro San Carlo, incontrerà studenti, professori e professionisti della salute della Scuola di Medicina e Chirurgia e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II dando vita ad un momento che in molti ricorderanno.
ESEMPIO DI VITA
Ma cosa potrà trasmettere l’artista ai giovani medici in erba? Il tenore, celebre per una carriera che ha saputo coniugare successi classici e sonorità pop, racconterà il suo percorso artistico e il suo impegno per il sociale che si realizza grazie all’operato dell’ “Andrea Bocelli Foundation”. «È davvero un onore per la nostra Scuola di Medicina avere ospite il Maestro Bocelli», dice Luigi Califano, Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia. «Per i nostri studenti questa è un’occasione importantissima per conoscere la vita, l’esperienza umana e professionale di un uomo che ha saputo coniugare il suo indiscusso valore artistico con l’ impegno etico ed umanitario nel mondo, trasformando la sua arte, attraverso la Fondazione che porta il suo nome, in uno strumento per aiutare i più deboli e gli emarginati, offrendo loro un’opportunità di salvezza».
LA MUSICA
Musica: medicina non solo dell’anima sarà il titolo dell’incontro che sarà aperto dai saluti di benvenuto del Magnifico Rettore dell’Università Federico II, prof. Gaetano Manfredi, del Direttore Generale dell’Azienda Policlinico, dott. Vincenzo Viggiani e del prof. Marco Bizzarini, ordinario di Musicologia e Storia della Musica della Federico II. A moderare l’evento sarà la giornalista RAI Maria Concetta Mattei. Interverranno: Laura Biancalani, direttrice della “Andrea Bocelli Foundation”; Enrica Amaturo, Ordinario di Sociologia Generale; Vittorio Amato, Ordinario di Geografia Economico- Politica e Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche; Fabrizio Lomonaco, Ordinario di Storia della Filosofia.
#NONOSOLOMEDICINA
Quello della Federco II è un ciclo di eventi che ha l’obiettivo di aggregare e far riflettere, per offrire a professionisti della salute, studenti e docenti l’occasione di ritrovarsi e condividere dei momenti di confronto. Partecipare ad un percorso di cura richiede la capacità di coniugare “saper fare” e “saper essere”. La Federico II si impegna ormai da tempo nell’ambito delle medical humanities e cerca di garantire, l’opportunità a tutte le professionalità coinvolte nel processo cura di poter prendere parte attiva a progettualità trasversali e di ampio respiro che avvicinino al mondo dell’arte e della cultura. L’incontro con il tenore Andrea Bocelli, orgoglio italiano noto in tutto il mondo, si colloca esattamente in questa direzione. Il ciclo di eventi #Nonsolomedicina, prevede appuntamenti periodici con personaggi del mondo dell’arte, della cultura, dello sport e dello spettacolo, invitati a portare la loro esperienza nelle aule universitarie con l’obiettivo di favorire l’integrazione dei saperi. Dopo gli incontri con il giornalista Franco Di Mare, gli scrittori Maurizio De Giovanni ed Erri De Luca, il musicista Edoardo Bennato, gli attori Vincenzo Salemme, Alessandro Siani e Maurizio Casagrande ed i medici Gino Strada, Gennaro Rispoli e Pietro Bartolo, il ciclo di eventi si arricchisce quindi con un nuovo importante contributo, quello di Andrea Bocelli, che tra i banchi universitari è già atteso come l’evento dell’anno.
Watchman, il dispositivo per ridurre rischio ictus ha ricevuto il marchio CE
News PresaMassachusetts – Boston Scientific Corporation (NYSE: BSX) ha annunciato di aver ricevuto la certificazione CE per il nuovo dispositivo di chiusura dell’appendice atriale sinistra (Left Atrial Appendage Closure, LAAC) WATCHMAN FLX™ e di aver avviato l’introduzione nel mercato europeo. In Italia sono già stati effettuati i primi interventi. I pazienti con fibrillazione atriale (FA) hanno una probabilità cinque volte maggiore di subire un ictus rispetto ai soggetti con un ritmo cardiaco normale. Nelle persone con fibrillazione atriale non valvolare, i dati indicano che più del 90% dei coaguli di sangue provenienti dal cuore e che possono provocare un ictus si formano nell’appendice atriale sinistra. Il dispositivo di occlusione dell’appendice atriale sinistra WATCHMAN ha lo scopo di ridurre il rischio di ictus nei pazienti con FA non valvolare.
“Il dispositivo Watchman è stato impiantato in oltre 75.000 pazienti in tutto il mondo ed è per noi un’ottima notizia che questa tecnologia di nuova generazione abbia ottenuto la certificazione europea; in questo modo possiamo proporla ai pazienti e medici di tutta Europa”, ha dichiarato Kevin Ballinger, Presidente della Divisione Cardiologia interventistica di Boston Scientific. “I dati clinici di cui disponiamo sono molto solidi e i riscontri positivi registrati fino ad oggi dal dispositivo Watchman confermano il valore di questa procedura per tutti i pazienti selezionati”.
Il nuovo dispositivo WATCHMAN FLX è stato semplificato rispetto alla versione precedente, per renderlo adatto a una più vasta gamma di pazienti, da quelli con anatomie semplici a quelli che presentano anatomie più complesse. Il dispositivo consente ampia flessibilità d’impianto e una “personalizzazione” di posizionamento grazie a una struttura arrotondata e completamente chiusa, progettata per migliorare ulteriormente la tenuta all’interno dell’auricola sinistra. Infine, tale soluzione offre ai medici la possibilità di recuperare e riposizionare il dispositivo durante la procedura.
Boston Scientific ha cominciato l’introduzione graduale di WATCHMAN FLX nel mercato europeo e prevede di estenderne la commercializzazione ad altri Paesi nella seconda metà del 2019. E’ inoltre previsto nei prossimi mesi l’arruolamento di pazienti in un registro europeo post-approvazione. Negli Stati Uniti, il dispositivo WATCHMAN FLX è in fase sperimentale e non ancora disponibile.
Il potere terapeutico della musica
Ricerca innovazioneLa musica può aiutare la salute? Diversi anni fa, correva l’anno 2001, fece molto scalpore la notizia di una ragazzina uscita dal coma grazie ad una canzone di Eminem. Al di là dei gusti musicali, il caso (avvenuto nel Regno Unito) aveva riacceso la discussione sulla capacità che ha la musica – o più semplicemente uno stimolo sonoro – di riattivare determinate aree del cervello e anche di creare reazioni inattese. Ora, a quanto pare, si va oltre. Per gli appassionati del tema è molto interessante un’intervista rilasciata all’Ansa dalla professoressa Alice Mado Proverbio (Università di Milano-Bicocca e autrice del libro “Neuroscienze cognitive della musica. Il cervello musicale tra arte e scienza” – Zanichelli). Secondo la professoressa, la musica ha infatti un enorme potere terapeutico che spazia tra le malattie più disparate: aiuta contro i disturbi dell’umore, il disagio psichico, la depressione e una svariata quantità di sindromi cliniche come i deficit di lettura e di apprendimento, l’autismo, la demenza, le malattie neurodegenerative.
AIUTA IL CERVELLO
«La musica – dice Proverbio – conforta il paziente, ne migliora l’umore e stimola la memoria autobiografica, facendo riaffiorare ricordi personali e rafforzandone l’identità», con effetti positivi sulla demenza. E non è tutto, osserva l’esperta, la pratica musicale come hobby o sotto forma di musicoterapia costituiscono un importante metodo per rinforzare la cosiddetta “riserva cognitiva”, ovvero quel bagaglio di funzione cerebrale che in età anziana fa da contrasto allo sviluppo della demenza. Sono ormai innumerevoli gli studi che attestano il potere terapeutico delle note In un lavoro condotto su 435 coppie di gemelli, ad esempio, si è visto che suonare uno strumento musicale difende dalla demenza. «I risultati dell’indagine hanno dimostrato che, a prescindere dal sesso, dalla salute o dalla forma fisica degli individui, il fatto di suonare uno strumento musicale comporta una riduzione della probabilità di sviluppare una demenza senile».
NUTRIRE IL CERVELLO
L’efficacia riabilitativa della musica sarebbe in ultima analisi legata a meccanismi cerebrali compensatori messi in atto dalle note. Inoltre, l’esercizio muscolare legato all’uso di uno strumento costituisce un’ottima e al tempo stesso piacevole terapia riabilitativa anche in pazienti che hanno subito lesioni motorie. Ad esempio, racconta l’esperta, in uno studio clinico si è visto che pazienti incoraggiati a suonare su un pianoforte melodie con mano o braccio “paretici”, riacquistarono più rapidamente le loro abilità motorie fini, migliorandole in termini di precisione e scorrevolezza, rispetto alla terapia riabilitativa tradizionale.
Open d’Italia disabili: a Sala Baganza vince Tommaso Perrino
News PresaÈ Tommaso Perrino il vincitore della 19esima edizione dell’Open d’Italia Disabili – Sanofi Genzyme, il torneo internazionale per golfisti paralimpici. Giocare a golf per mandare in buca gli ostacoli della vita: è questo lo spirito del torneo disputato quest’anno al Golf del Ducato di Sala Baganza (PR). Un evento all’insegna dell’inclusione e dal grande impatto sociale, che per il secondo anno consecutivo ha il supporto come Title Sponsor di Sanofi Genzyme, divisione specialty care dell’azienda farmaceutica Sanofi, specializzata in malattie rare, sclerosi multipla, oncologia e immunologia. Nell’ambito del Progetto Ryder Cup 2022, la Federazione Italiana Golf conferma così la propria vicinanza nei confronti del mondo paralimpico e rafforza il messaggio di uno sport per tutti.
I risultati
Tommaso Perrino, 35 anni, professionista, con disabilità per aver perso un arto inferiore in un incidente stradale, cugino dell’altro pro livornese Andrea Perrino, ha preso subito il comando nel primo giro e ha concluso nella categoria medal scratch con 148 (72 76) colpi precedendo la svedese Lia Rasmus e Pierfederico Rocchetti. Nella categoria pareggiata ha prevalso Riccardo Bianciardi (141) davanti a Vittorio Cascino e a Roberto Molina. Nella seconda categoria, dove si è giocato con formula stableford, grande rimonta di Edoardo Biagi (21 punti), Coordinatore del Settore Attività Paralimpica della FIG, che in un acceso finale ha avuto ragione di Jacopo Luce e di Antonio Mandich. Premi speciali di categoria a Mirko Ghiggeri (Sensory), al portoghese José Pedro Sotomayor (Wheelchair) e a Luisa Ceola (Prima Lady)
Cerimonia di premiazione
La premiazione del torneo si è svolta alla presenza di Franco Chimenti, Presidente della Federazione Italiana Golf e Vicepresidente vicario del Coni; Gian Paolo Montali, Direttore Generale del Progetto Ryder Cup 2022; Stefano Frigeri, Presidente del Comitato Regionale FIG Emilia Romagna; Marcello Cattani, Direttore della Divisione Oncologia di Sanofi Genzyme; Raimondo Meli Lupi di Soragna, Presidente del Golf del Ducato; Aldo Spina, Sindaco di Sala Baganza.
Le dichiarazioni
Gian Paolo Montali: “L’Open d’Italia Disabili è una competizione all’insegna dell’aggregazione e dell’inclusione. Mi complimento con i giocatori in gara, esempio di forza di volontà e tenacia e ringrazio Sanofi Genzyme per il supporto e tutti i partner al nostro fianco. La FIG sostiene l’attività dei golfisti disabili con uno staff dedicato, a testimonianza della grande rilevanza dal punto di vista sociale che riveste il mondo paralimpico nel Progetto Ryder Cup 2022. Il nostro cammino verso la sfida Europa-USA prosegue in sintonia con il Board della Ryder Cup Europe e questa settimana fa tappa a Parma, capitale italiana della cultura nel 2020. Il golf è da sempre custode del patrimonio culturale e naturalistico della nostra nazione e l’avvicinamento alla Ryder Cup ha fra i suoi obiettivi prioritari la valorizzazione del territorio in chiave turistica. In quest’ottica, sabato mattina il trofeo ufficiale della Ryder Cup sarà protagonista di un tour nei luoghi storici della città con il patrocinio del Comune, mentre l’evento “Golf in Piazza”, previsto per domenica 19 maggio, in accordo con il Comune che ringrazio per la disponibilità, è stato posticipato a domenica 26 maggio a causa del maltempo”.
Marcello Cattani: “Sono orgoglioso che Sanofi Genzyme abbia scelto di sostenere anche quest’anno l’Open d’Italia Disabili. Riteniamo che lo sport sia di fondamentale importanza per vivere in salute. E poter sostenere una manifestazione che lo ha reso accessibile a tutti, anche a chi convive con una disabilità, è per noi motivo di orgoglio. Questo supporto fa parte di un impegno che portiamo avanti da diversi anni e che mira a offrire alle persone affette da patologie croniche, complesse o invalidanti, la partecipazione a iniziative dedicate al loro benessere psico-fisico, al tempo libero, all’espressione artistica oppure finalizzate alla costruzione di network con innovatori per progettare insieme soluzioni che aiutino la loro quotidianità, a favore di una migliore qualità di vita”.
Gli sponsor
La 19esima edizione dell’Open d’Italia Disabili ospitata dal Golf del Ducato di Sala Baganza ha il supporto di Sanofi Genzyme (title sponsor), PreSa (major sponsor), Capital Strategy (official sponsor); con la collaborazione dei Partner Istituzionali: EDGA (European Disabled Golf Association), CIP (Comitato Italiano Paralimpico), INAIL Superabile, AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla).
Cancro, la sfortuna non c’entra
Ricerca innovazioneMaledetta sfortuna! Oppure no? Se in passato molti studi avevano certificato “la mano della sorte” nell’insorgenza di alcune patologie tumorali, oggi la scienza pare aver cambiato idea. La sfortuna non c’entra nulla, «Non ci si ammala di cancro per caso o per sfortuna». È questa la conclusione alla quale sono giunti alcuni scienziati dello IEO (l’Istituto Europeo di Oncologia). Il gruppo di ricerca è quello guidato da Piergiuseppe Pelicci, Direttore della Ricerca IEO e Professore di Patologia Generale all’Università di Milano, e Gaetano Ivan Dellino, ricercatore IEO e di Patologia Generale dell’Università di Milano, in collaborazione con il gruppo diretto da Mario Nicodemi, professore all’Università di Napoli Federico II. Un risultato che sta facendo molto parlare, e discutere. Pubblicato sulla rivista Nature Genetics, lo studio ha rivelato che una delle alterazioni geniche più frequenti e importanti per lo sviluppo del cancro, le “traslocazioni cromosomiche”, non avvengono casualmente nel genoma. Sarebbero invece prevedibili e sono provocate dall’ambiente esterno alla cellula.
PARTITA A DADI
«Nel corso della vita, un uomo su 2 e una donna su 3 si ammalano di cancro – spiega Pelicci – Perché? Un tumore si sviluppa quando una singola cellula accumula 6 o 7 alterazioni del Dna a carico di particolari geni: i geni del cancro. La domanda diventa quindi cosa causa quelle alterazioni. La ricerca di una risposta ha creato due scuole di pensiero: una che identifica la causa principale nell’ambiente in cui viviamo e nel nostro stile di vita, e l’altra che ne attribuisce l’origine alla casualità e dunque, in ultima analisi, alla sfortuna». In uno studio altrettanto autorevole, pubblicato sulla rivista Science, Bert Vogelstein ha dimostrano in maniera inequivocabile che due terzi delle mutazioni trovate nei tumori si forma durante la normale vita dei nostri tessuti, quando le cellule duplicano il proprio DNA per moltiplicarsi. Visto che queste mutazioni sono considerate inevitabili, perché dovute a errori casuali, Vogelstein ha dovuto concludere che le stesse avverrebbero in ogni caso, anche se il nostro fosse un pianeta perfetto, e i nostri stili di vita irreprensibili. Insomma, il risultato di una partita a dadi con la sorte.
NUOVA TESI
«Nel numero di oggi della rivista scientifica Nature Genetics – dice Gaetano Ivan Dellino – pubblichiamo un lavoro che mette in discussione la casualità delle traslocazioni cromosomiche, uno dei due tipi di alterazioni geniche trovate nei tumori. Le traslocazioni sono la conseguenza di un particolare tipo di danno a carico del Dna, ossia la rottura della doppia elica. Come per le mutazioni, pensavamo che questo tipo di danno avvenisse casualmente nel genoma, ad esempio durante la divisione cellulare, come ipotizzato da Vogelstein. Al contrario, studiando le cellule normali e tumorali del seno, abbiamo scoperto che né il danno al DNA né le traslocazioni avvengono casualmente nel genoma. Il danno avviene all’interno di geni con particolari caratteristiche ed in momenti precisi della loro attività. Si tratta di geni più lunghi della media e che, pur essendo spenti (non stanno cioè producendo le molecole che trasferiscono la loro informazione: l’Rna), sono perfettamente attrezzati per accendersi (hanno cioè tutte le molecole necessarie, ma sono in pausa). La rottura del Dna avviene nel momento in cui arriva un segnale che li fa accendere, ed è indispensabile perché possano “srotolarsi” e produrre l’RNA. Studiando queste caratteristiche, possiamo prevedere quali geni si romperanno e quali no, con una precisione superiore all’85%. Tuttavia, non tutti i geni che normalmente si rompono daranno poi origine a traslocazioni (cioè alla fusione di due geni rotti), ma solo una piccola parte di essi, cioè quelli che sono più frequentemente a stretto contatto tra loro per coordinare la loro attività di accensione o spegnimento, all’interno di strutture particolarmente “appiccicose” del genoma (i cosiddetti Domini di Associazione Topologica). La questione centrale, che cambia la prospettiva della casualità del cancro, è che l’attività di quei geni è controllata da segnali specifici che provengono dall’ambiente nel quale si trovano le nostre cellule, e che a sua volta è influenzato dall’ambiente in cui viviamo e dai nostri comportamenti (per esempio dall’apporto di energia, dal tipo di microbi con cui conviviamo, dalle sostanze che ingeriamo, ecc.), non certo dalla sfortuna».
Napoli, un flash mob per disarmare la camorra
News PresaUn flash mob per disarmare la camorra. A lanciare l’iniziativa è stato il commissario straordinario dell’Asl Napoli 1 Ciro Verdoliva, che ha accolto le richieste provenienti dai sindacati della dirigenza medica e di comparto programmando lil flash mob per lunedì 27 alle 12. Una risposta forte dell’Asl, ma anche la volontà di medici, infermieri, guardie giurate e cittadini di non abbassare la testa difronte alla spavalderia del malaffare. Anche se l’episodio ha scosso non poco la città e quanti lavorano nell’ospedale dei Pellegrini (quartiere Montesanto) la voglia di riscatto è tanta. «La nostra – ha detto all’indomani della sparatoria Verdoliva – è una battaglia di civiltà, ma non è una battaglia solo di Napoli o dei Napoletani, è una battaglia che riguarda tutti e ora è io momento di dare tutto insieme una risposta forte». Al flash mob sono stati invitati anche i rappresentanti dei medici, che certamente non faranno mancare la loro presenza.
I MEDICI
Intanto, domenica, i medici della Campania hanno incontrato la ministra Giulia Grillo. «Abbiamo affrontato in maniera serena e proficua il tema della sicurezza di quanti lavorano per garantire assistenza ai cittadini – ha detto il presidente partenopeo Silvestro Scotti – un incontro scevro da qualsiasi demagogia grazie al quale l’intera classe medica ha sentito la presenza dello stato dopo i fatti accaduti all’ospedale Pellegrini». È stata proprio la ministra Grillo ad attivarsi affinché all’incontro fosse presente il sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia. «Un segnale importante, perché quello che sta accadendo a Napoli è un problema di sicurezza», sottolineano i presidenti Giovanni D’Angelo (medici di Salerno) e coordinatore della Federazione degli Ordini dei Medici Campani, Maria Erminia Bottiglieri (medici di Caserta), Francesco Sellitto (medici di Avellino), Giovanni Pietro Ianniello (medici di Benevento) e Silvestro Scotti (medici di Napoli).
LE PROPOSTE
Tre, in modo particolare, sono state le richieste poste all’attenzione del ministro Grillo. In primo luogo, cominciare a considerare l’ideazione di leggi ad hoc mirate alla protezione del territorio e di “obiettivi sensibili” come i presidi ospedalieri. Numero due, accelerare sul provvedimento che determini l’aggravante di pena e la procedibilità di ufficio in ordine ad aggressioni nei confronti dei medici e di tutti gli operatori impegnati nel prestare assistenza. Infine, maggiore presenza, e maggiore visibilità, delle forze dell’ordine nelle aree che accolgono presidi ospedalieri o sanitari a rischio. Il presidente dell’Ordine dei Medici di Salerno ha anche messo in luce l’esigenza di rafforzare le dotazioni organiche dei pronto soccorso, visto che la carenza di personale è spesso ragione di attese che generano tensioni, aumentando la possibilità che si verifichino attivi di violenza.
MAXI QUESTURA
I punti espressi dai medici hanno trovato il favore del Ministro Grillo che ha coinvolto nella responsabilità di risposta ai medici il sottosegretario agli Interni, che ha annunciato la creazione a Napoli di una maxi questura e di una direttiva che attivi un aumento della presenza e dei controlli delle forze dell’ordine rispetto ai presidi sanitari ospedalieri e territoriali; forte il sostegno da parte del ministro Giulia Grillo, al ruolo degli Ordini Campani, suggerendo la possibilità che siano proprio gli Ordini dei Medici (quali organi sussidiari dello Stato) a segnalare ai Ministeri su quali presidi e luoghi di assistenza occorrerà concentrare l’attenzione in fatto di sicurezza. «In questo senso – dice Silvestro Scotti – gli ordini saranno le sentinelle sul territorio, capaci di coordinarsi con chi ha il compito di garantire la sicurezza pubblica. Continuerò a sostenere che chi attacca un ospedale dovrebbe essere considerato un terrorista e come tale dovrebbe essere trattato». Sarà proprio il presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli a confrontarsi con il ministero della Salute in una serie di appuntamenti programmati all’indomani delle ormai prossime elezioni europee, per portare a soluzione gli impegni presi tra le parti.
Salute e disuguaglianze: sfavorito chi meno abbiente, poco istruito e chi vive al Sud
News PresaNon si sentono in buona salute 3 italiani su 10: una quota che sale al 43% fra le persone con molte difficoltà economiche e scende al 23% fra chi non le ha. È questa la fotografia scattata dalla Sorveglianza PASSI (Progressi per le Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) nel quadriennio 2015-2018, coordinata dall’ISS per le Regioni. Nella salute percepita, nel benessere psicologico e nella qualità di vita, come pure nell’accesso alla prevenzione per la diagnosi precoce dei tumori e nell’adesione a misure di sicurezza per la prevenzione degli incidenti stradali, a fare la differenza sono quasi sempre le disuguaglianze sociali. C’è un chiaro gradiente a sfavore delle persone socialmente più vulnerabili per difficoltà economiche o per bassa istruzione (senza titolo di studio o al più con licenza elementare). A ciò si aggiungono le differenze territoriali e il gap Nord-Sud è sempre significativo a sfavore del Sud, dove è più alta la prevalenza di fumatori, sedentari, obesi, diabetici, ipertesi e persone che, in generale, non adottano stili di vita salutari.
“I dati della Sorveglianza PASSI aggiornati al 2018 – afferma Maria Masocco, responsabile presso l’ISS del coordinamento nazionale PASSI – confermano e mettono ancora una volta in evidenza significative differenze sociali nella salute e nell’accesso alla prevenzione che si aggiungono alle differenze geografiche a svantaggio delle regioni del Sud e delle Isole, dove povertà e carenza nell’offerta di programmi di prevenzione e di servizi cura si concentrano. È dunque necessario continuare a porre l’attenzione su questi aspetti, con una lettura trasversale dei dati proprio in questa ottica, per programmare e ri-orientare adeguatamente le politiche di contrasto alle disuguaglianze in salute, verso azioni di sistema orientate all’equità, che rappresenta uno dei principi cardini del Piano Nazionale della Prevenzione”.
Stili di vita
Il 30% degli italiani riferisce di non godere di buona salute ma, se si esamina il campione delle persone con difficoltà economiche, la percentuale sale al 43% e scende al 23% fra i più abbienti. Inoltre, il 6% soffre di sintomi depressivi, quota che sale al 14% fra le persone con maggiori difficoltà economiche e scende al 4% fra chi non ne ha. Anche la qualità di vita risulta compromessa e se gli intervistati riferiscono mediamente di essere stati male per problemi di salute fisica o psicologica mediamente 4,4 giorni nel mese precedente l’intervista, il numero medio di giorni in cattiva salute sale a 7 fra le persone con difficoltà economiche (vs 3,6 giorni fra chi non ha difficoltà economiche). Differenze analoghe si osservano per livello di istruzione: fra le persone con un basso livello di istruzione il 55% riferisce cattive condizioni di salute (vs 20% dei laureati), il 12% sintomi depressivi (vs 4%) e il numero medio di giorni vissuti in cattiva salute per motivi fisici o psicologici è 7.1 in un mese (vs 3.8 riferiti da laureati). Fra le persone socialmente vulnerabili per difficoltà economiche o bassa istruzione è anche maggiore la frequenza di stili di vita non salutari, come l’abitudine al tabagismo, la sedentarietà, lo scarso consumo di frutta e verdura, l’obesità o condizioni di rischio cardiovascolare come il diabete o l’ipertensione. Fra le persone con molte difficoltà economiche il 34% fuma (vs 22% di chi non ha difficoltà economiche), il 46% è sedentario (vs 28%), il 9% consuma almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno (five a day), come raccomandato per una corretta e sana alimentazione (vs 11%); l’8% riferisce una diagnosi di diabete (vs il 3%), il 25% una diagnosi di ipertensione (vs il 18%). Analoghe sono le differenze per istruzione: fuma il 24% delle persone con bassa istruzione (vs 19% dei laureati), il 50% è sedentario (vs 26%), il 25% obeso (vs 6%); il 9% aderisce al five a day (vs 12%), il 16% riferisce una diagnosi di diabete (vs 2%) e il 43% una diagnosi di ipertensione (vs 13%). Fra i comportamenti non salutari, unica eccezione è quella del consumo alcolico a rischio per la salute, per quantità e modalità di assunzione, che resta prerogativa delle classi sociali più abbienti, senza difficoltà economiche e alto livello di istruzione, residenti nel Nord e in particolare nel Nord-Est del Paese.
Disuguaglianze sociali e prevenzione dei tumori
I dati PASSI mostrano che le persone con istruzione più bassa, con maggiori difficoltà economiche e i cittadini stranieri si sottopongono meno frequentemente di altri ai test di diagnosi precoce dei tumori della mammella, del collo dell’utero e dell’intestino, che sono quelli per i quali il SSN offre programmi organizzati di screening a target specifici di popolazione. Nel quadriennio 2015-2018, il 74% delle donne residenti in Italia di 50-69 anni si è sottoposto a mammografia preventiva, ma questa quota scende al 60% fra le donne con molte difficoltà economiche (vs l’81% fra donne senza difficoltà economiche); al 64% tra le donne con bassa istruzione (vs il 81% fra le laureate); al 70% fra le donne di cittadinanza straniera (vs il 74% fra le cittadine italiane). Analogamente accade per lo screening cervicale: l’80% delle donne di 24-64enni si sottopone a screening cervicale (Pap-test o HPV test) per la diagnosi precoce del tumore della cervice uterina; ma questa quota scende al 69% fra le donne con molte difficoltà economiche (vs 85% fra le donne che non hanno difficoltà economiche) al 62% fra le donne meno istruite (vs 84% fra le laureate); al 75% fra le donne di cittadinanza straniera (vs 80% delle cittadine italiane). Anche lo screening colorettale per la diagnosi precoce del tumore dell’intestino, molto meno diffuso degli altri due screening, presenta differenze sociali significative, in particolare per condizioni economiche: solo il 40% della popolazione target (uomini e donne di 50-69enni) ha eseguito la ricerca del sangue occulto nelle feci (test di screening colorettale maggiormente diffuso) ma questa quota scende al 26% fra le persone con molte difficoltà economiche (vs il 49% fra le persone senza difficoltà economiche); al 33% fra le persone meno istruite (vs 41% fra le laureate). I dati PASSI mostrano chiaramente che le differenze per istruzione, condizioni economiche e cittadinanza nella partecipazione ai test di screening si riducono significativamente nell’ambito dei programmi organizzati offerti dalle Aziende Sanitarie Locali che rappresentano spesso l’unica opportunità di accesso alla diagnosi precoce dei tumori per le persone socialmente più svantaggiate. Resta significativo il gradiente geografico Nord-Sud a sfavore delle Regioni meridionali determinato prevalentemente dalla minore offerta di programmi di screening organizzati in queste Regioni. Nelle Regioni in cui l’offerta di programmi organizzati è ampia (Nord e Centro Italia) è maggiore la quota di persone che fa prevenzione nell’ambito dei programmi organizzati, rispetto alla quota di persone che lo fa per iniziativa spontanea; di contro, nelle Regioni in cui l’offerta di programmi organizzati non è ancora sufficiente e non raggiunge la totalità della popolazione target (come nel Sud Italia), la quota dello screening spontaneo è rilevante e talvolta maggiore, senza però riuscire a compensare la mancanza di offerta dei programmi organizzati, per cui il numero totale di persone che fa prevenzione (dentro o fuori i programmi organizzati) resta comunque più basso che nel resto del Paese.
Le disuguaglianze sociali nella prevenzione degli incidenti stradali
Anche l’uso dei dispositivi di sicurezza alla guida (il casco in moto o le cinture anteriori e posteriori in auto) risponde a differenze socio-culturali e le persone con difficoltà economiche o bassa istruzione ne fanno un uso meno frequente. L’uso del casco in moto, sebbene consolidato, riferito come abitudine costante dal 96% degli intervistati che viaggiano in moto, è meno frequente fra le persone con molte difficoltà economiche (93%) e fra le persone con bassa istruzione (89%). Anche per l’uso delle cinture anteriori in auto, riferito dall’85% come abitudine costante e che scende al 76% fra le persone con difficoltà economiche e al 78% fra i meno istruiti; le cinture posteriori, malgrado la normativa, restano ancora poco utilizzate e solo il 21% riferisce che le usa sempre quando viaggia in auto come passeggero, quota che scende al 16% fra le persone con difficoltà economiche e al 19% fra le persone con bassa istruzione.
Tac con radiazioni dimezzate, ecco come
Ricerca innovazioneFare una Tac e assorbire la metà delle radiazioni. Qualcosa a cui un paziente solitamente non pensa, ma che può fare la differenza. Ecco perché il progetto messo a punto da due giovani ingegneri clinici, due brillanti ragazze di Napoli, sta riscuotendo un successo enorme. Le due ingegnere in questione sono Michela D’Antò, (della Fondazione Pascale) e Federica Caracò (dell’Università degli studi Federico II).
IL PROGETTO
Il lavoro sviluppato permetterà il collaudo di macchine di varie aziende e in diversi modelli in modo da poter effettuare le Tac a dosi ridotte. Le due giovani ingegnere campane hanno vinto così il Primo premio assoluto dell’Health technology challenge (Htc). Il premio è stato consegnato durante il XIX Congresso dell’Associazione nazionale degli ingegneri clinici (AIIC) che si è svolto a Catanzaro. Le ragazze hanno ottenuto il massimo punteggio della giuria tecnica e popolare con il progetto “Valutazione di un protocollo per la verifica delle funzionalità di un sistema di riduzione della dose installato su tomografi assiali computerizzati”.
CONTROLLI
Si stima che in Italia su oltre 40 milioni di esami radiologici effettuati ogni anno, circa il 44% sia prescritto in modo inappropriato e non sia strettamente necessario. I malati oncologici sono i più esposti a queste radiazioni durante la fase della diagnosi e nei continui controlli successivi, nel corso delle cure e dopo. Nel loro progetto hanno verificato l’efficacia di un protocollo per poter garantire una buona qualità di immagini da una Tac, con maggior sicurezza e minor invasività per i pazienti, riducendo del 40-60% la dose di radiazioni. «Questi risultati – hanno detto le vincitrici dimostrano l’importanza dell’aggiornamento delle tecnologie esistenti per migliorare le prestazioni degli strumenti radiologici nell’ottica di assicurare al paziente prestazioni più accurate e minimizzando i rischi possibili derivanti dall’esposizione a radiazioni ionizzanti».