Tempo di lettura: 3 minutiLa valvola aortica è una valvola unidirezionale, che permette al sangue ossigenato di passare dal ventricolo sinistro all’aorta. La valvulopatia aortica è definita come la chiusura o l’apertura inappropriata di questa valvola, che ne determina la disfunzione. La stenosi della valvola aortica è una patologia fatale, progressiva e costosa che colpisce circa il 3% della popolazione di età superiore ai 65 anni ed il 5% di coloro che ne hanno più di 75. La stenosi aortica è un processo di ispessimento e irrigidimento dei lembi, che può determinare un restringimento anomalo dell’apertura della valvola e una riduzione della circolazione sanguigna. Di conseguenza, il cuore deve sforzarsi maggiormente per pompare – attraverso la valvola ristretta – una quantità di sangue sufficiente a raggiungere tutte le parti del corpo. Se non trattata, la stenosi aortica può causare scompenso cardiaco, infezioni gravi e morte improvvisa. Dall’insorgenza dei primi sintomi della stenosi aortica, la percentuale di sopravvivenza media è pari al 63% a due anni, e al 20% a 5 anni. Nei casi più gravi, la percentuale scende al 36% a due anni e al 12% a 4 anni. In Europa e Nord America, la stenosi aortica è considerata la lesione valvolare più comune: solo in Europa sono circa 1,2 milioni i soggetti affetti da tale patologia.
Il trattamento principale della stenosi aortica consiste nella sostituzione della valvola malata con una valvola artificiale. Tuttavia, non tutti i pazienti sono idonei a questo trattamento ed alcuni sono considerati ad alto rischio di intervento chirurgico e, dunque, non operabili. L’unica soluzione terapeutica valida per questa tipologia di pazienti è rappresentata dalle tecnologie di sostituzione mini-invasive della valvola aortica, come l’impianto transcatetere (TAVI). La TAVI, progettata per ridurre i rischi e le possibili complicazioni associati ad una tradizionale operazione a cuore aperto, consente una riduzione dei tempi di recupero e delle complicanze post-operatorie. In Europa e Nord America circa 290.000 soggetti inoperabili affetti da stenosi aortica severa potrebbero giovarsi della procedura TAVI. Il numero è in continua crescita e studi in essere stanno valutando l’applicabilità della procedura TAVI anche a pazienti a rischio chirurgico inferiore.
Impianto dei sistemi valvolari tramite TAVI
La TAVI è stata progettata per ridurre i rischi e le complicanze associate alla sostituzione valvolare con intervento chirurgico a cuore aperto. Nel corso della procedura viene introdotta una valvola sostitutiva tramite catetere con intervento a cuore battente e senza necessità di bypass cardiopolmonare. Nella maggior parte dei casi l’impianto avviene attraverso l’arteria femorale mediante piccola incisione a livello dell’inguine; esiste inoltre la possibilità di effettuare l’impianto mediante altri accessi (diretto aortico, trans-apicale). Diversi studi hanno dimostrato i potenziali benefici della procedura TAVI. Ad esempio, è stato dimostrato che i tassi di mortalità per tutte le cause a un anno (misurati secondo analisi Kaplan-Meier) erano pari al 30,7% con TAVI, rispetto al 50,7% delle terapie tradizionali.
Stenosi aortica, il rischio di ictus post TAVI e la protezione cerebrale
La TAVI è una procedura salvavita per tutti quei pazienti ad alto rischio chirurgico affetti da stenosi aortica severa ma, similmente ad altre procedure interventistiche o chirurgiche, presenta rischi trombotici (ictus, infarto miocardico o embolismo sistemico) e di sanguinamento. Il rischio di ictus post procedura TAVI è una complicanza estremamente grave, in quanto associata ad un incremento di mortalità e comorbidità. Il tasso di ictus clinico a 30 giorni post TAVI negli studi osservazionali e negli studi clinici è approssimativamente del 2-5%. Il rischio di ictus è particolarmente elevato nel periodo periprocedurale. La valvola aortica stenotica presenta una grande quota di fattore tissutale e di trombina che contribuiscono all’infiammazione e alla trombogenicità. Inoltre, l’impianto del nuovo dispositivo all’interno della valvola nativa può creare zone di turbolenza che possono determinare la generazione di trombi. Nel caso di valvole di piccole dimensioni questo fenomeno è accentuato dal possibile mismatch -non perfetto abbinamento- tra valvola protesica e nativa.
Le conseguenze di un ictus sono molteplici e dipendono dalla porzione del cervello che viene danneggiata: dopo un ictus il paziente può manifestare problemi di movimento, paralisi degli arti di un lato del corpo, difficoltà di linguaggio o di pensiero. La riabilitazione può fare molto per il recupero funzionale causato da questi deficit, ma hanno un impatto significativo sulla qualità della vita del paziente.
Uno studio italiano stima che il Sistema sanitario italiano sostiene una spesa per paziente con ictus pari a circa 20.000 €/anno a cui aggiungere i costi sociali a carico della famiglia e dalla collettività pari a circa 30.000 €/anno.
I dispositivi per la protezione cerebrale durante la procedura TAVI
Per prevenire l’embolizzazione cerebrale e proteggere il cervello, sono stati sviluppati dispositivi per la protezione cerebrale, fra questi il più innovativo è il sistema a doppio filtro SENTINEL™ di Boston Scientific.
La funzione del dispositivo SENTINEL™ è quella di catturare e rimuovere frammenti di materiale trombotico che possono entrare nel sistema vascolare cerebrale durante le procedure endovascolari quali la procedura TAVI per la sostituzione della valvola aortica. Una volta conclusa la procedura TAVI, i filtri e i frammenti vengono ricatturati all’interno del catetere ed eliminati. Il dispositivo SENTINEL™ ha ricevuto il marchio CE nel 2014 e l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) nel 2017. È il primo, e tuttora l’unico, dispositivo per la protezione embolica legata alla procedura TAVI approvato dall’FDA. Più di 13 mila pazienti nel mondo sono stati “protetti” con il sistema SENTINEL™ ad oggi.
Stimolazione transcranica riduce desiderio di cibo
News PresaSi tratta di una tecnica indolore e non invasiva che già da qualche anno viene usata per la cura di malattie come la depressione maggiore e le dipendenze, ma è stato provato che funziona anche per ridurre il desiderio di cibo nei pazienti obesi. A conferma dell’efficacia della “ stimolazione magnetica transcranica”, per quest’ultimo caso, arriva uno studio pubblicato su Diabetes,Obesity and Metabolism e realizzato da un gruppo di ricerca dell’IRCCS Policlinico San Donato di Milano.
La stimolazione celebrale che riduce l’appetito. Lo studio
Gli studiosi hanno svolto un’indagine con circa 50 adulti, sottoponendoli a 15 sedute di stimolazione tre volte alla settimana per 5 settimane. Nei pazienti trattati è emersa una riduzione dell’indice di massa corporea dell’8,4% e uno stacco di quasi nove chili tra loro e il gruppo di controllo. Un risultato significativo, secondo gli autori, che si è mantenuto nel corso di un anno di follow up. La stimolazione cerebrale, quindi, riesce a ridurre il desiderio di cibo, senza provocare dolore.
Stimolazione magnetica transcranica profonda, cos’è
La stimolazione magnetica transcranica profonda è una procedura non invasiva e indolore che si somministra facendo indossare al paziente un dispositivo simile a un casco dal peso leggero, attraverso cui viene applicata una sollecitazione elettromagnetica su diverse regioni del cervello, corticali e subcorticali. Da tempo viene utilizzata per modulare il sistema dopaminergico in malattie neuropsichiatriche come la depressione maggiore e le dipendenze da nicotina, alcol e cocaina. “La nostra ipotesi – spiega Livio Luzi, responsabile dell’area di Endocrinologia e Malattie Metaboliche del San Donato e ordinario di Endocrinologia all’Università degli Studi di Milano che ha guidato il gruppo di ricerca – era che si potesse usare anche per ridurre il desiderio di cibo, supportando così le terapie comportamentali ‘classiche’ per la perdita di peso, incentrate sull’attività fisica e la dieta” .
L’obesità rappresenta un’emergenza a livello globale. Per gli autori lo studio rappresenta il punto di partenza di un approccio “altamente innovativo, non farmacologico, non invasivo, a basso costo e ripetibile nel tempo per trattare le persone obese”. Non solo, questa tecnica di stimolazione profonda potrebbe essere applicata, in futuro, anche per prevenire lo sviluppo dell’obesità nella fascia di età più a rischio, cioè gli adolescenti.
Alimentazione, un nuovo studio promuove lo “sdijuno”
AlimentazioneAlimentazione e non solo, del resto lo sappiamo tutti: le abitudini dei nostri nonni sono quelle della buona salute. Non è un caso che la Dieta mediterranea sia nata dalle abitudini alimentari dei pescatori di un tempo. E nuova ricerca universitaria ci svela oggi che anche lo “sdijuno”, che sarebbe il pranzo abbondante delle 11 del mattino (tipico della tradizione rurale abruzzese) è uno dei segreti di lunga vita. Per i ricercatori dell’Università di Teramo non ci sono dubbi.
CENTENARI
Analizzando le abitudini, l’ alimentazione e le caratteristiche metaboliche della popolazione abruzzese tra i novanta e i cento anni, hanno concluso che quel pasto anticipato è tra gli ingredienti dell’elisir di lunga vita. In totale sono 150 i Comuni della Regione con un tasso di longevità paragonabile o superiore a quello del Comune sardo di Villagrande (che conta un alto numero di centenari). I Comuni più longevi sono localizzati principalmente nelle aree interne, in quattro aree contigue ai Parchi del Gran Sasso e della Majella e alla Marsica.
RITMI CIRCADIANI
«Lo sdijuno, una tradizione che rimane ancora tra gli anziani, è il primo pasto abbondante della giornata – spiega Mauro Serafini, docente di Alimentazione e nutrizione umana della Facoltà di Bioscienze dell’Università di Teramo -. Seguiva al pasto frugale del tramonto, che si faceva intorno alle 18, e a una colazione minima delle 6. Lo sdijuno delle 11 del mattino garantiva all’organismo un periodo di digiuno di circa 14/16 ore, se non si tiene presente il piccolo pasto all’alba. L’abitudine alimentare abruzzese è perfettamente in linea con le più recenti evidenze scientifiche, che hanno evidenziato l’importanza di concentrare i pasti della giornata, ma soprattutto di limitare l’apporto calorico la sera, quando il metabolismo, seguendo i ritmi circadiani, rallenta. Sulla base di queste premesse, conclude Serafini, lo “sdijuno” abruzzese si propone come modello alimentare peculiare e ante litteram rispetto alle recenti diete del digiuno, in grado di spiegare, insieme a fattori ambientali, nutrizionali e genetici, la longevità abruzzese». Quasi superfluo dire che non il solo pasto delle 11 a migliorare la salute, ma il regime alimentare e le sane abitudini che a questo pasto si legano.
Al caldo le donne rendono di più. Lo studio
Ricerca innovazioneLe temperature iniziano ad alzarsi e con la bella stagione inizia la guerra per regolare il climatizzatore. C’è chi ha freddo e chi ha caldo, chi suda e chi non tollera l’aria condizionata, ma maschi e femmine secondo la scienza reagiscono in modo diverso soprattutto sul lavoro.
Secondo una ricerca, infatti, le donne hanno performance cognitive superiori e sono più produttive quando le temperature crescono. Proprio così, sentire freddo può incidere negativamente sulle prestazioni cognitive, e dunque sulla produttività lavorativa delle donne. Lo studio è stato condotto in Germania: con la temperatura alta le donne hanno un rendimento più elevato; al contrario, col caldo sarebbero gli uomini a perdere qualche colpo. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Plos One. Altre ricerche avevano già dimostrato come le donne generalmente preferiscano un ambiente interno più caldo, anche se finora nessuna indagine aveva studiato il rapporto fra la temperatura e la differenza delle prestazioni cognitive nei due sessi.
Gli uomini preferiscono il freddo al caldo
Il team di ricercatori ha coinvolto gruppi di studenti di circa 24 anni, per un totale di più di 500 partecipanti. I ragazzi sono stati sottoposti a test cognitivi mentre la temperatura dell’aula in cui svolgevano le prove oscillava tra i 16°C e 32°C. Per ogni risposta corretta ciascun partecipante otteneva una piccola ricompensa in denaro. La prova comprendeva quesiti di matematica, domande lessicali e compiti di logica.
Alla fine le studentesse hanno avuto una performance superiore, sia in matematica che nelle domande lessicali, mano a mano che la temperatura aumentava, raggiungendo il massimo intorno ai 32°. Al contrario, gli studenti di sesso maschile hanno mostrato risultati migliori quando la temperatura era più bassa. In generale, il calo dei risultati fra i volontari di sesso maschile non è risultato molto rilevante. In ogni caso, la temperatura non ha alcun impatto sulle capacità logiche, né per le donne né per gli uomini.
In Italia la legge impone che la temperatura del condizionatore in ufficio non debba mai scendere sotto i 24°C. “I datori di lavoro si preoccupano molto per assicurarsi che i loro dipendenti siano comodi e molto produttivi”, ha commentato Tom Chang, docente di finanza e business economics alla University of Southern California, autore del paper insieme a Agne Kajackaite del WZB Berlin Social Science Center. “Questo studio indica che anche solo se ci si interessa al ritorno economico o alle prestazioni dei propri lavoratori, una strada che si potrebbe percorrere è quella di alzare la temperatura in ufficio”.
Miele, “arma” contro il tumore del colon
Ricerca innovazioneEsiste un miele che ha il potere di arrestare la crescita e la diffusione del colon. Incredibile, ma vero. Si tratta di una varietà di miele tipica della aree mediterranee: il miele di corbezzolo. Le sue doti sono state osservate grazie ad uno studio innovativo prodotto dai ricercatori dell’Università politecnica delle Marche, insieme con quelli delle università di Vigo e Granada, hanno visto in laboratorio che le cellule tumorali del colon, quando gli viene aggiunto questo miele, smettono di crescere e diffondersi.
COME AGISCE
Secondo lo studio, pubblicato sul Journal of Functional Foods «il trattamento con questo miele blocca il ciclo delle cellule del cancro regolando alcuni geni, inibisce la migrazione delle cellule, riduce la loro capacità di formare colonie e induce la loro morte programmata», spiega Maurizio Battino, coordinatore della ricerca. L’effetto antitumorale del miele di corbezzolo sul cancro del colon aumenta con la quantità e durata della terapia. «Nessun effetto è stato osservato invece quando il miele viene applicato sulle cellule sane – continua. Tuttavia serviranno nuovi studi, su modelli vivi, per confermare l’effetto chemio preventivo di questo miele. E’ un punto di partenza che ci indica i principali meccanismi molecolari attraverso cui si produce questo effetto, rafforzando l’interesse per lo studio di questo alimento mediterraneo».
PREVENZIONE
Al momento l’arma più efficace per combattere questo tumore è la corretta alimentazione unita alla prevenzione. Se una persona sa di essere a rischio elevato, perché ha avuto parenti con questo tumore in uno o l’altro dei rami familiari, è opportuno che segua una dieta con pochi grassi, poca carne e ricca di fibre, vegetali e frutta al fine di ridurre il rischio di sviluppare dei tumori del colon-retto. La ricerca del sangue occulto nelle feci è in grado di identificare il 25 per cento circa dei cancri del colon-retto e pertanto è raccomandata nell’ambito dello screening per tutti gli individui tra i 50 e i 75 anni di età, con cadenza biennale. In caso di positività dell’esame è indicata la colonscopia, un esame del colon con un apposito tubo flessibile. In caso di familiarità per neoplasia del colon retto la colonscopia è indicata a partire dai 45 anni oppure 10 anni prima dell’età della diagnosi del parente di primo grado. L’esame, se negativo, va ripetuto ogni cinque anni. La ricerca del sangue occulto nelle feci, in questi casi, viene effettuata annualmente. In caso di sindromi genetiche ereditarie bisogna invece seguire protocolli specifici a partire dalla giovane età.
Musicisti cardiologi in concerto per la lotta alla morte cardiaca improvvisa
News PresaSi tratta di un progetto finalizzato a raccogliere i fondi necessari all’acquisto di defibrillatori da destinare a strutture pubbliche e private come scuole, teatri e centri sportivi, per combattere la morte cardiaca improvvisa. Dopo il successo degli anni scorsi, giunge alla quarta edizione l’iniziativa dell’associazione culturale “Tre Cuori per la Musica Onlus”, il concerto benefico annuale tenuto da talentuosi cardiologi musicisti.
Ad esibirsi sulle note di bossa nova, jazz e R&B, domani 25 Maggio 2019 presso il Teatro Ghione, saranno gli Early meets late, la band capitanata dal cardiologo chitarrista Marco Rebecchi (Policlinico Casilino, Roma) e dal chirurgo vascolare e batterista Massimiliano Millarelli (Policlinico Casilino, Roma), con la cantante Alina Mungo, il tastierista Lugi Molinaro, il percussionista Gianfranco Amodio e il bassista Marco Maracci. Per la sezione Nuove Proposte si esibiranno S’back ed Atyf, due artisti emergenti che fonderanno i sound rap al soul e funky, mentre per la sezione Academy, salirà sul palco l’Academy Children Orchestra, formata da piccoli musicisti allievi della scuola romana diretta dalla maestra Yllka Mishto. Questa quarta edizione vedrà anche il sostegno e la partecipazione di artisti che hanno fatto la storia della musica italiana: l’Equipe 84, la Storia e Amedeo Minghi.
L’iniziativa è sostenuta da Insieme per un cuore più sano, Onlus”, “Natale 365, Onlus” e l’INRC (Istituto Nazionale per le Ricerche Cardiovascolari), con il supporto incondizionato di Daiichi Sankyo Italia, a fianco degli organizzatori sin dalla prima edizione
Lo spettacolo “Il cuore della Musica”, presentato da Tonino Bernardelli, si dividerà in due parti di 45 minuti ciascuna, in cui le esibizioni dei musicisti saranno intervallate da momenti di infotainment riguardanti i dettagli del nuovo progetto e i temi cari alle associazioni sostenitrici. A questo “salotto scientifico ed istituzionale” parteciperanno l’Ambasciatrice Jeanne Dambedzet per l’Ambasciata della Repubblica del Congo in Italia, il prof. Leonardo Calò, primario di Cardiologia del Policlinico Casilino di Roma, il prof. Francesco Fedele, ordinario di Cardiologia presso il Policlinico Umberto I di Roma e presidente dell’INRC, il Dottor Stefano De Lillo presidente di AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) e, infine, il dottor Marco Rebecchi presidente dell’Associazione Tre Cuori per la Musica Onlus, che spiega : “Ancora una volta la musica sarà protagonista e veicolo della diffusione di preziose informazioni sulla diagnosi precoce di alcune malattie cardiache e sull’ importanza di un intervento tempestivo in determinate condizioni come l’arresto cardiaco. Da due anni il nostro impegno si concentra sull’ambizioso obiettivo di contribuire a dotare le strutture pubbliche e private di defibrillatori, strumenti fondamentali per combattere la morte cardiaca improvvisa”.
L’iniziativa dei cardiologi musicisti, finalizzata alla cardioprotezione di strutture pubbliche e non, avrà come primo obiettivo della raccolta fondi l’acquisto di due defibrillatori destinati all’ambasciata della Repubblica del Congo In Italia e ad una scuola romana. Durante la serata verrà inoltre consegnato il primo defibrillatore, acquistato con il ricavato di eventi precedenti, al Teatro Ghione, che diventerà finalmente un teatro “cardioprotetto”.
Tumore, individuate le cellule camaleonte
Ricerca innovazioneI ricercatori che le hanno identificate le chiamano “cellule camaleonte” perché sono capaci di camuffarsi, di “cambiare pelle”, così da fuggire dal tumore primario e immettersi nella circolazione sanguigna sino a formare metastasi. Sono le cellule staminali tumorali, le fondamenta su cui crescono i tumori, che si muovono dalla sede principale ad altri organi attraverso il sangue. Il primo studio che le ha isolate nella circolazione sanguigna è stato coordinato dalla biologa Elena Binda, direttrice della Cancer Stem Cells Unit dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e dal direttore scientifico dell’Istituto Angelo Vescovi ed è pubblicato su Ebiomedicine.
RICERCA
I ricercatori del centro pugliese hanno prima isolato le staminali da alcuni tessuti tumorali, le hanno trapiantate nei topi e poi hanno seguito con modelli animali il viaggio di queste cellule a partire da un tumore del colon retto, anche se la teoria è che il meccanismo sia simile anche per altri tipi di cancro. «Noi le chiamiamo cellule camaleonte – spiega Binda – perché sono sempre le stesse che causano il tumore primario ma per circolare nel sangue e uscire ed entrare negli organi devono cambiare pelle. Averle trovate nel sangue – afferma – apre la strada a nuove prospettive di diagnosi prima che si formino le metastasi».
PROSPETTIVE
Riuscire ad individuare queste cellule significa che in futuro sarà possibile mettere a punto un’arma diagnostica capace di trovare le metastasi prima ancora che si formino e probabilmente, in alcuni casi, si riuscirà anche ad evitare che queste si formino. Di solito i tumori metastatici mantengono alcune caratteristiche del tumore primario. Per esempio, una metastasi di tumore del seno localizzata nel polmone è costituita da cellule del tumore mammario e non polmonare. Le metastasi, nella maggior parte dei casi, sono tipiche delle fasi più avanzate della progressione del tumore che inizialmente è localizzato, cioè limitato all’organo dove si è formato, e solo in seguito cresce e colonizza altri distretti dell’organismo. Insomma, una scoperta molto importante, visto che il 90 per cento delle morti per cancro è dovuta alle metastasi.
Staminali, il Cardarelli inaugura un nuovo centro
News PresaIl Cardarelli apre le porte della Terapia Intensiva Ematologica appena ultimata per consentire il trapianto allogenico di cellule staminali, con tecnologie e procedure all’avanguardia. Il reparto del, nato per gemmazione dal reparto diretto dal professor Felicetto Ferrara, è diretto dalla dottoressa Alessandra Picardi e dispone di 11 posti letto divisi in tre stanze doppie e cinque singole (tutte a bassa carica microbica e pressione positiva). «Con il forte impegno della direzione strategica, la collaborazione delle altre divisioni e la spinta digitalizzazione – spiega Picardi – siamo riusciti in breve tempo a sviluppare tutti i necessari percorsi assistenziali, garantendo ai nostri utenti cure sicure e di altissima qualità».
CONTRO LA MIGRAZIONE SANITARIA
«Una nuova eccellenza si aggiunge all’offerta sanitaria del Cardarelli in campo ematologico, che già oggi è riconosciuta e apprezzata dalla comunità scientifica internazionale, per offrire ai pazienti campani – spiega il Commissario Straordinario Anna Iervolino – cure di qualità nella propria regione e cancellare una fetta importante di migrazione sanitaria». Il trapianto allogenico di CSE consiste nella reinfusione di cellule staminali ematopoietiche (CSE) di un donatore (il soggetto sano) in un ricevente (il soggetto malato) che è stato “condizionato” cioè preparato con la somministrazione di chemioterapia o radioterapia ad alta intensità.
Questa procedura è oggi largamente impiegata nel trattamento di molte patologie ematologiche, non solo neoplastiche, e rappresenta una valida opzione terapeutica anche per alcune patologie dismetaboliche congenite e gravi deficit immunitari. «Lavoriamo per fare di quest’Azienda una struttura sempre più votata all’eccellenza – conclude Anna Iervolino. – Resta innegabile, ed è importante che sia così, la capacità del Cardarelli di rispondere alle emergenze più complesse, ma il mio obiettivo è quello di aumentare l’offerta di cure di altissimo livello nel pieno rispetto degli equilibri di bilancio e puntando con forza sull’innovazione. I cittadini devono sapere che possono sempre di più trovare nelle strutture del servizio sanitario della regione Campania le risposte di salute che cercano, con qualità e in sicurezza».
IL FALSO CASO
Intervenuto all’inaugurazone del nuovo reparto che permetterà il trapianto di staminali, Vincenzo De Luca ha messo in luce (con il suo solito piglio) che l’allarme creato attorno alla carenza di lenzuola (dovuto ad uno sciopero della ditta che si occupa del lavanolo) è stato in realtà un falso allarme. «La notizia non erano le lenzuola – ha detto – ma la battaglia della Regione Campania per cacciare dalla sanità la camorra e i delinquenti. L’American Laundry ha una interdittiva antimafia e in caso di interruzione di pubblico servizio, o se qualcuno si permette di fermare le forniture, intervengano carabinieri, polizia e guardia di finanza, perché non siamo ancora nell’Africa subsahariana. La Soresa ha fatto subentrare la seconda classificata della gara con una clausola che prevede che i dipendenti che lavorano negli ospedali siano assunti dalla nuova azienda. Qualcuno pretendeva che la nuova azienda assumesse anche quelli nella struttura centrale dell’American Laundry, i centralinisti e gli amministrativi. Questa non è lotta sindacale ma delinquenza doppia perché si fa sulla pelle dei malati».
Il mondo di Esther, appunti di un viaggio oltre la malattia
News PresaLe arti espressive e creative sono anche una terapia di supporto per i pazienti oncologici, come testimonia la mostra dedicata alla giovane fumettista e illustratrice Esther Cristofori. L’artista è stata a lungo paziente dell’UO di Oncologia Pediatrica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. La mostra è stata inaugurata martedì, presso la Hall del Policlinico Gemelli, e rimarrà esposta fino a sabato 25 maggio.
All’inaugurazione sono intervenuti Antonio Ruggiero, Direttore UO Oncologia Pediatrica Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Antonella Guido, psicologa-psicoterapeuta Servizio Psicologia Ospedaliera – UO Oncologia Pediatrica Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, e il vignettista e illustratore Bruno Cannucciari, conosciuto per avere dato vita, sulle pagine del mensile Lupo Alberto, a Winny, un ragazzo dalla fantasia scatenata, dedicandosi poi prevalentemente alla realizzazione di Lupo Alberto, il personaggio creato da Silver, per il quale scrive e disegna storie e illustra copertine e merchandising d’ogni tipo.
“L’UO di Oncologia Pediatrica – spiega il professor Antonio Ruggiero – sin dalla sua nascita ha considerato le arti espressive, in particolare il disegno spontaneo, una risorsa fondamentale nella relazione di accompagnamento del paziente durante il percorso di cura”. La raccolta cronologica dei disegni nelle varie fasi della malattia, vero e proprio “diario di bordo”, ha rappresentato nel tempo per l’operatore psicologico un prezioso patrimonio di conoscenza e una opportunità relazionale insostituibile. “Le arti espressive – spiega la dottoressa Antonella Guido – possono sostenere il processo di guarigione, aiutando il bambino a trovare un equilibrio e un adattamento dinanzi alla malattia e all’impatto traumatico che ne consegue. La valorizzazione di queste capacità attiva risorse auto-terapeutiche rendendo condivisibili i contenuti emotivi più nascosti”.
L’arte con il suo potenziale creativo permette, dunque, di ridurre i livelli di stress e il disagio a cui il bambino viene sottoposto durante il suo percorso di cura. La mostra dal titolo “Il mondo di Esther, appunti di un viaggio oltre la malattia”, vuole essere la testimonianza, non solo della straordinaria capacità artistica di questa ragazza, ma soprattutto di quanto la determinazione nel coltivarla le abbia consentito di realizzare i suoi sogni al di là dei limiti imposti dalla sua patologia.
Sin dalle prime fasi della malattia i personaggi creati dalla fantasia di Esther su semplici fogli di carta sono diventati via via inseparabili “compagni di viaggio” capaci di scandire momenti di sofferenza o di sollievo, sempre comunque con l’effetto di portare una nota di leggerezza nella monotonia e nelle difficoltà dei lunghi periodi di ricovero in Oncologia Pediatrica.
Negli anni successivi, nonostante l’evolversi sfavorevole della malattia, la sensibilità artistica e la maturità intellettuale di Esther si sono acuite al punto da spingerla a seguire la sua passione, a perseguire i suoi obiettivi. E proprio in quella difficile fase si sono aperte per lei con successo le porte del mondo affascinante del fumetto sancito dall’incontro con Bruno Cannucciari. Questo incontro e quel mondo ha saputo accogliere Esther, comprenderla e valorizzarla, aiutandola a esorcizzare attraverso l’arte una realtà altrimenti insostenibile.
Le opere esposte nella mostra sono solo una piccola parte della ricca produzione di Esther Cristofori ma ci trasmettono immagini di armonia, stile e ironia tali da travalicare, nel tempo, la dimensione stessa della malattia e della sofferenza.
Vescica e donne fumatrici. Lo studio sul rischio tumore
News PresaIl fumo è il fattore di rischio più importante per il tumore della vescica. Una nuova analisi ha per la prima volta misurato la variazione del rischio una volta che si smette di fumare. Se abbandonare le sigarette il prima possibile riduce il rischio di sviluppare un tumore della vescica dopo i 50 anni, per le ex fumatrici il rischio di ammalarsi è comunque più alto rispetto alle donne che non hanno mai fumato. Secondo i dati, nei 10 anni successivi all’ultima sigaretta fumata, il rischio per una donna di sviluppare un tumore della vescica si riduce di circa il 25 per cento. Dopo il rischio continua a diminuire, anche se meno drasticamente. A distanza di 30 anni il rischio di ammalarsi di tumore della vescica rimane comunque più alto per una ex fumatrice che per una donna che non ha mai fumato.
Fumo e rischio di tumore alla vescica. Lo studio
Un gruppo di ricercatori americani e cinesi è giunto a queste conclusioni dopo avere analizzato i dati di oltre 140.000 donne di età compresa tra 50 e 79 anni. Alle partecipanti era stato domandato se avessero mai fumato nel corso della vita e, se sì, quante sigarette al giorno. A chi dichiarava di avere smesso era stato chiesto da quanti anni avessero interrotto. Tutte le partecipanti erano state poi monitorate per 15 anni. Il team di ricercatori ha poi esaminato i casi di tumore della vescica che si sono verificati, per stabilire chi fosse maggiormente a rischio.
Prevenzione del tumore: smettere di fumare il prima possibile
I risultati dell’analisi, pubblicati sulla rivista Cancer Prevention Research, hanno dimostrato come le donne che avevano continuato a fumare avessero un rischio triplo di ammalarsi rispetto alle donne che non avevano mai fumato, mentre nel caso delle ex fumatrici il rischio era doppio, sempre rispetto alle non fumatrici. Per le ex fumatrici il rischio diminuiva del 25 per cento nei primi 10 anni dall’ultima sigaretta, del 35 per cento nei primi 20 anni e del 40 per cento nei primi 30. Il rischio di sviluppare un tumore per chi aveva fumato rimaneva comunque significativo anche a più di 30 anni dall’abbandono del fumo. Il messaggio è che la scelta migliore è non iniziare, ma in termini di prevenzione, i benefici aumentano quanto prima si abbandona questa abitudine.
Stenosi aortica, i dispositivi innovativi che sostituiscono la valvola
Ricerca innovazioneLa valvola aortica è una valvola unidirezionale, che permette al sangue ossigenato di passare dal ventricolo sinistro all’aorta. La valvulopatia aortica è definita come la chiusura o l’apertura inappropriata di questa valvola, che ne determina la disfunzione. La stenosi della valvola aortica è una patologia fatale, progressiva e costosa che colpisce circa il 3% della popolazione di età superiore ai 65 anni ed il 5% di coloro che ne hanno più di 75. La stenosi aortica è un processo di ispessimento e irrigidimento dei lembi, che può determinare un restringimento anomalo dell’apertura della valvola e una riduzione della circolazione sanguigna. Di conseguenza, il cuore deve sforzarsi maggiormente per pompare – attraverso la valvola ristretta – una quantità di sangue sufficiente a raggiungere tutte le parti del corpo. Se non trattata, la stenosi aortica può causare scompenso cardiaco, infezioni gravi e morte improvvisa. Dall’insorgenza dei primi sintomi della stenosi aortica, la percentuale di sopravvivenza media è pari al 63% a due anni, e al 20% a 5 anni. Nei casi più gravi, la percentuale scende al 36% a due anni e al 12% a 4 anni. In Europa e Nord America, la stenosi aortica è considerata la lesione valvolare più comune: solo in Europa sono circa 1,2 milioni i soggetti affetti da tale patologia.
Il trattamento principale della stenosi aortica consiste nella sostituzione della valvola malata con una valvola artificiale. Tuttavia, non tutti i pazienti sono idonei a questo trattamento ed alcuni sono considerati ad alto rischio di intervento chirurgico e, dunque, non operabili. L’unica soluzione terapeutica valida per questa tipologia di pazienti è rappresentata dalle tecnologie di sostituzione mini-invasive della valvola aortica, come l’impianto transcatetere (TAVI). La TAVI, progettata per ridurre i rischi e le possibili complicazioni associati ad una tradizionale operazione a cuore aperto, consente una riduzione dei tempi di recupero e delle complicanze post-operatorie. In Europa e Nord America circa 290.000 soggetti inoperabili affetti da stenosi aortica severa potrebbero giovarsi della procedura TAVI. Il numero è in continua crescita e studi in essere stanno valutando l’applicabilità della procedura TAVI anche a pazienti a rischio chirurgico inferiore.
Impianto dei sistemi valvolari tramite TAVI
La TAVI è stata progettata per ridurre i rischi e le complicanze associate alla sostituzione valvolare con intervento chirurgico a cuore aperto. Nel corso della procedura viene introdotta una valvola sostitutiva tramite catetere con intervento a cuore battente e senza necessità di bypass cardiopolmonare. Nella maggior parte dei casi l’impianto avviene attraverso l’arteria femorale mediante piccola incisione a livello dell’inguine; esiste inoltre la possibilità di effettuare l’impianto mediante altri accessi (diretto aortico, trans-apicale). Diversi studi hanno dimostrato i potenziali benefici della procedura TAVI. Ad esempio, è stato dimostrato che i tassi di mortalità per tutte le cause a un anno (misurati secondo analisi Kaplan-Meier) erano pari al 30,7% con TAVI, rispetto al 50,7% delle terapie tradizionali.
Stenosi aortica, il rischio di ictus post TAVI e la protezione cerebrale
La TAVI è una procedura salvavita per tutti quei pazienti ad alto rischio chirurgico affetti da stenosi aortica severa ma, similmente ad altre procedure interventistiche o chirurgiche, presenta rischi trombotici (ictus, infarto miocardico o embolismo sistemico) e di sanguinamento. Il rischio di ictus post procedura TAVI è una complicanza estremamente grave, in quanto associata ad un incremento di mortalità e comorbidità. Il tasso di ictus clinico a 30 giorni post TAVI negli studi osservazionali e negli studi clinici è approssimativamente del 2-5%. Il rischio di ictus è particolarmente elevato nel periodo periprocedurale. La valvola aortica stenotica presenta una grande quota di fattore tissutale e di trombina che contribuiscono all’infiammazione e alla trombogenicità. Inoltre, l’impianto del nuovo dispositivo all’interno della valvola nativa può creare zone di turbolenza che possono determinare la generazione di trombi. Nel caso di valvole di piccole dimensioni questo fenomeno è accentuato dal possibile mismatch -non perfetto abbinamento- tra valvola protesica e nativa.
Le conseguenze di un ictus sono molteplici e dipendono dalla porzione del cervello che viene danneggiata: dopo un ictus il paziente può manifestare problemi di movimento, paralisi degli arti di un lato del corpo, difficoltà di linguaggio o di pensiero. La riabilitazione può fare molto per il recupero funzionale causato da questi deficit, ma hanno un impatto significativo sulla qualità della vita del paziente.
Uno studio italiano stima che il Sistema sanitario italiano sostiene una spesa per paziente con ictus pari a circa 20.000 €/anno a cui aggiungere i costi sociali a carico della famiglia e dalla collettività pari a circa 30.000 €/anno.
I dispositivi per la protezione cerebrale durante la procedura TAVI
Per prevenire l’embolizzazione cerebrale e proteggere il cervello, sono stati sviluppati dispositivi per la protezione cerebrale, fra questi il più innovativo è il sistema a doppio filtro SENTINEL™ di Boston Scientific.
La funzione del dispositivo SENTINEL™ è quella di catturare e rimuovere frammenti di materiale trombotico che possono entrare nel sistema vascolare cerebrale durante le procedure endovascolari quali la procedura TAVI per la sostituzione della valvola aortica. Una volta conclusa la procedura TAVI, i filtri e i frammenti vengono ricatturati all’interno del catetere ed eliminati. Il dispositivo SENTINEL™ ha ricevuto il marchio CE nel 2014 e l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) nel 2017. È il primo, e tuttora l’unico, dispositivo per la protezione embolica legata alla procedura TAVI approvato dall’FDA. Più di 13 mila pazienti nel mondo sono stati “protetti” con il sistema SENTINEL™ ad oggi.