Tempo di lettura: 5 minutiIl corretto sviluppo delle ossa è indispensabile, fin dalla nascita, per qualsiasi attività. La SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia) punta i riflettori su alcune patologie che, se non curate nell’infanzia, rischiano di compromettere la salute futura dell’intero scheletro. Dalla scoliosi alla lordosi, dalla lussazione congenita dell’anca al ginocchio valgo fino al piede piatto: sono solo alcune delle condizioni patologiche che richiedono un intervento tempestivo in età infantile. “È fondamentale, per qualsiasi disturbo interessi le ossa e le articolazioni, rivolgersi allo specialista, l’ortopedico – ha commentato il Professor Francesco Falez, Presidente SIOT, Head Department Orthopaedic and Traumatology ASL RM 1 Chief Surgeon Ospedali Santo Spirito in Sassia & San Filippo NeriRoma Italy – SICOT National Delegate & Chairman Knee Arthroplasty Committee Member of the E.B “International Orthopedics Journal, durante un incontro a Milano da titolo “Il futuro delle ossa si costruisce da bambini” – che può curare le alterazioni dell’apparato muscolo-scheletrico causate da traumi o patologie, permettendo di mantenere o recuperare una buona qualità di vita ad ogni età. Fin dai primi passi è possibile incorrere in pericoli comuni che però possono arrecare traumi leggeri o invalidanti. Da non sottovalutare, inoltre, come alcuni di questi disturbi possano essere evitati grazie all’adozione di posture e comportamenti corretti fin dalla primissima infanzia”, come nel caso della cifosi.
Cifosi: tablet, pc e smartphone responsabili in moltissimi casi
Posture scorrette, che possono degenerare con l’età, sono spesso associate all’eccessivo uso di dispositivi tecnologici. L’uso di tablet, pc, smartphone è, ad esempio, responsabile in moltissimi casi della cifosi, condizione che interessa la colonna vertebrale del bambino, maschio o femmina, che non riesce a mantenere la posizione eretta del tronco e delle spalle, sia seduto sia in piedi. È del 700% l’aumento di casi registrati nelle scuole medie inferiori negli ultimi dieci anni. “Una vera e propria ‘bomba sociale’ quella della cifosi – ha commentato Il Professor Carlo Ruosi, Professore di Ortopedia e Traumatologia Università Federico II, Napoli – Responsabile Centro Scoliosi: Azienda Ospedaliera Università Federico II, Napoli – Responsabile C.d.A: Società Italiana Chirurgia Vertebrale e Gruppo Italiano Scoliosi srl – Past President SIGM (Società Italiana Ginnastica Medica e Rieducazione Motoria) -. Il numero eccessivo di ore giornaliere che, fin dai 3- 4 anni, i bambini trascorrono piegati in avanti sui ‘babysitter elettronici’ è causa di questo disturbo troppo spesso sottovalutato. Fondamentale, in questi casi, è una diagnosi precoce. Mentre in fase iniziale è possibile intervenire con rieducazione motoria e ginnastica appropriata, in fase avanzata è necessario far indossare al bambino il busto ortopedico. Nel caso in cui la diagnosi arrivi troppo tardi, poi, si deve ricorrere alla chirurgia.”
Se la ginnastica medica è il rimedio della cifosi diagnosticata in fase iniziale, non si può affermare lo stesso per la scoliosi, patologia causata da una predisposizione genetica caratterizzata da una deformità a ‘S’ della colonna vertebrale che di solito colpisce le bambine tra i 10 e i 14 anni di età. In questo caso, infatti, la SIOT sottolinea come l’unico trattamento appropriato consista nell’applicazione del busto ortopedico.
A dover indossare un tutore sono invece i bambini più piccoli colpiti da una displasia congenita dell’anca, patologia che si sviluppa durante la vita intra-uterina e che porta a un’alterazione progressiva dei rapporti tra la testa del femore e l’acetabolo. Con un’incidenza di 1 su 1000 nati, più frequentemente nel sesso femminile (rapporto 6 a 1) e nel 45% dei casi bilateralmente, la displasia o lussazione dell’anca è una delle patologie dello scheletro più frequenti. Se la diagnosi viene posta precocemente, il trattamento viene eseguito mediante l’utilizzo di un tutore, statico o dinamico, che mantiene le anche flesse (90-100°) ed abdotte (50-60°) e permette di mantenere centrata la testa del femore all’interno dell’acetabolo risolvendo in pochi mesi il quadro di displasia acetabolare e di instabilità articolare.
“Si tratta di un disturbo che va diagnosticato alla nascita mediante l’esame clinico e con un’apposita ecografia da eseguire possibilmente intorno alla sesta settimana di vita e che va trattato immediatamente – ha evidenziato il Professor Pasquale Farsetti, Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Locomotore, Università di Roma Tor Vergata – Direttore UOC Ortopedia, Policlinico di Tor Vergata e Presidente SITOP (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica) -. Se la diagnosi è tardiva occorre ricorrere a trattamenti più invasivi in anestesia generale, fino alla chirurgia. In ogni caso, dopo i 3-5 anni di età il trattamento diviene estremamente complicato per le rigidità articolari che si instaurano. La complicazione più temibile è rappresentata dalla necrosi ischemica della testa del femore che si manifesta con un’incidenza maggiore nei casi più gravi, spesso indipendentemente dal trattamento, e che può condizionare il risultato finale. La persistenza di una displasia in età adulta comporta inevitabilmente una degenerazione artrosica dell’anca che spesso necessità di essere protesizzata”.
Altro disturbo che interessa gli arti inferiori è il ginocchio valgo, molto frequente intorno ai 3 anni di età. Si tratta di una deviazione assiale degli arti inferiori che si manifesta con un aumento dell’angolo femoro-tibiale (fenomeno gambe a X). La causa è da attribuirsi ad uno squilibrio transitorio dell’attività delle cartilagini di accrescimento distale del femore e prossimale della
tibia. Nel 98% dei casi tale condizione si risolve spontaneamente entro i 7-8 anni di età. La diagnosi differenziale deve essere posta con alcune malattie rare quali displasie scheletriche e affezioni endocrine o metaboliche. Rivolgersi ad un ortopedico è, dunque, fondamentale per porre una diagnosi corretta.
E ancora nel bambino può manifestarsi il piede piatto, condizione in cui l’arco longitudinale del piede, valutato sotto carico (in piedi), si presenta più basso della norma o addirittura assente. Generalmente è presente in forma transitoria nei primi anni di vita di numerosi bambini. Pertanto, quando il piede piatto si manifesta durante questo periodo, deve essere considerato fisiologico. Il piede piatto patologico si manifesta dopo i primi 6-7 anni di età, è spesso familiare e può essere associato ad una ipotonia muscolare. È generalmente asintomatico, mentre nei rari casi in cui si manifesta in forma dolorosa è necessario eseguire un trattamento specifico che può essere conservativo mediante l’utilizzo di plantari o chirurgico.
Infine, al contrario di quanto si possa pensare, le ossa dei bambini possono essere bersaglio di patologie con prognosi complessa: i tumori. L’osteosarcoma è il tumore maligno osseo più frequente in età pediatrica e si posiziona all’ottavo posto tra i tumori dell’infanzia per incidenza (2,4%). A seguire il sarcoma di Ewing con un’incidenza pari all’1,4%.
È opportuno però sottolineare come, negli ultimi anni, la prognosi per queste patologie sia migliorata in modo significativo, con una sopravvivenza che è passata dal 15% al 65-70%. Questo grazie ad una maggiore conoscenza scientifica e al netto miglioramento delle tecniche chirurgiche. Basti pensare che fino a trent’anni fa i pazienti con osteosarcoma erano quasi tutti soggetti ad amputazione, con gravi conseguenze sia funzionali sia psicologiche. Oggi, grazie ai moderni trattamenti combinati, assistiamo ad un notevole aumento degli interventi conservativi dell’arto, ma con ampia resezione ossea per la quale vengono utilizzate speciali protesi.
SIOT ha lanciato uno spot per sensibilizzare l’opinione pubblica su una figura spesso sottovalutata, quella dell’ortopedico, l’unico in grado di curare gli organi di sostegno e di movimento. Un video emozionale racconta i pericoli nei quali si può incorrere durante la vita, dai primi passi, all’adolescenza, fino alla maturità e che devono essere affidati alla cura dello specialista delle ossa.
https://drive.google.com/file/d/1zxKUyq82sC2hisNKA0vtG6IYnvDVdeNg/view
Furbetti del cartellino, 62 indagati a Napoli
News PresaSi è concluda con 62 avvisi di conclusione indagini una nuova inchiesta sui “furbetti del cartellino” che ha come sfondo un’ospedale. Stavolta le indagini hanno riguardato il Cardarelli e portano alla luce presunti comportamenti scorretti verificatisi negli scorsi anni, prima che nell’ospedale si procedesse a introdurre il sistema basato sulle impronte digitali. Nelle immagini raccolte dagli investigatori si vedono alcuni dipendenti strisciare il badge anche per i colleghi. Alla fine la procura di Napoli ha notificato 62 avvisi di garanzia nei confronti di altrettanti dipendenti dell’ospedale, che dopo avere timbrato abbandonavano il posto di lavoro. L’indagine della polizia di Napoli (commissariato Arenella) è stata coordinata dal Pm Giancarlo Novelli insieme con il procuratore Giovanni Mellilo. Le ipotesi di reato sono quelle di truffa e la violazione della “legge Brunetta”. I furbetti del cartellino ora rischiano il licenziamento in tronco. Tra i tanti episodi anche quello di un ragazzino tra 12 e i 13 anni che, cappellino in testa, “timbra” il badge per conto della madre la quale, invece di andare a lavorare, quel giorno è rimasta a casa.
DALLA PARTE DELLA LEGALITA’
Il primo commento all’inchiesta arriva dal Commissario Straordinario del Cardarelli Anna Iervolino: «Se ci sono dei comportamenti scorretti è bene che vengano individuati e sanzionati, perché la leggerezza o la mancanza di senso civico di pochi finiscono poi per penalizzare il buon nome e tutta la squadra del Cardarelli, fatta di grandi professionisti e lavoratori instancabili. In questo senso mi sento di ringraziare la magistratura che è sempre, come in questo caso, pronta a raccogliere le segnalazioni che arrivano da questa direzione generale per poi portare luce nelle zone grigie». Si conclude così un percorso di indagini iniziato più di quattro anni fa, sotto la direzione di Ciro Verdoliva (oggi Commissario Straordinario dell’ASL Napoli 1 Centro) e proseguito nel segno di una continuità d’intenti con l’attuale management aziendale. «Il nostro compito come amministratori di questa Azienda – dice Anna Iervolino – è anche quello di vigilare con rigore sul rispetto delle regole e sulla trasparenza di tutto ciò che accade. È quanto ci chiede la nostra coscienza e la nostra professionalità, ed è anche il mandato che con grande forza ci è stato dato dal presidente Vincenzo De Luca».
IMPRONTE DIGITALI
Ed è proprio per dare trasparenza al lavoro dei 3.000 dipendenti del Cardarelli che a partire dal 2017 il management aziendale ha intrapreso il percorso amministrativo e tecnico per il passaggio ai marcatempo con il rilevamento delle impronte digitali. «Una misura – conclude Iervolino – che è stata accolta di buon grado dalla stragrande maggioranza dei nostri dipendenti, proprio perché consente di eliminare qualsiasi ombra di dubbio sul rigoroso rispetto degli orari di lavoro. Distinguendo chi ci mette l’anima da quanti credono di fare i furbetti». L’Azienda ha già provveduto ad avviare i procedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti coinvolti nell’indagine e si costituirà parte civile nel procedimento penale.
IL MINISTRO GRILLO
Dura la reazione del ministro Giulia Grillo, che per questi dipendenti chiede il licenziamento immediato. «Questi signori – dice – non hanno capito che la musica è cambiata. Non solo andremo a scovare ogni episodio del genere, io chiedo per questi farabutti il licenziamento immediato. Nessuna tolleranza coi farabutti del cartellino che prendono in giro lo Stato, rubano lo stipendio e vengono meno ai loro doveri rispetto a chi sta male. Fuori i disonesti dalla sanità».
Ebola in Congo: OMS dichiara emergenza internazionale
News PresaL’Organizzazione Mondiale della Sanità ha appena dichiarato l’epidemia di Ebola in Nord Kivu in Repubblica Democratica del Congo un’emergenza internazionale di salute pubblica con oltre 1.600 morti. In Congo, 750 bambini sono stati colpiti dal virus Ebola (31% dei casi) ed il 40% ha meno di 5 anni. Fino ad oggi quasi 2.500 persone sono state contagiate nel focolaio in corso, di cui 1.665 sono morte.
La dott.ssa Joanne Liu, presidente internazionale di Medici senza Frontiere ha detto: “i segnali sono chiari: le persone continuano a morire nelle comunità, gli operatori sanitari continuano a essere contagiati e la trasmissione del virus continua. L’epidemia non è sotto controllo e abbiamo bisogno di un cambio di marcia: ma questo non dovrebbe riguardare la restrizione agli spostamenti o l’uso della coercizione sulla popolazione colpita. Le comunità e i pazienti devono essere al centro della risposta, devono essere partecipanti attivi. MSF ha sperimentato in prima persona quanto sia difficile rispondere a questa epidemia. Dobbiamo fare un bilancio di ciò che funziona e di ciò che non funziona. In un contesto in cui la ricerca e identificazione dei contatti non è completamente efficace e non tutte le persone colpite vengono raggiunte, è necessario un approccio su larga scala per la prevenzione, questo significa un migliore accesso alla vaccinazione per la popolazione per ridurre la trasmissione.”
Bimba in coma a Londra, tra attesa e speranza
News PresaCi sono storie che ci toccano nel profondo, vite per le quali vorremmo poter fare qualcosa. Destini che vorremmo poter cambiare. Una di queste è quella che arriva da Londra, dal Royal London Hospital, dove una bimba di soli 5 anni è ricoverata in condizioni che i medici ritengono ormai irreparabilmente compromesse dopo la rottura di un aneurisma cerebrale. Per questa bimba i medici hanno chiesto che vengano interrotte le cure, come spesso si dice in questi casi “che venga staccata la spina”, perché ormai la sua situazione è considerata irreversibile.
L’APPELLO
Chi invece non si vuole arrendere ad un destino che appare segnato sono i genitori della piccola, che hanno scritto al direttore generale dell’Ospedale Pediatrico Gaslini, Paolo Petralia, per chiedere quella che in gergo viene definita una “second opinion” e, successivamente, la disponibilità ad accogliere la bimba nell’ospedale genovese. Ed è proprio nella risposta arrivata dall’Italia che si annida la speranza. L’ospedale ha infatti accolto la richiesta di ricovero della piccola: «Siamo pronti – ha detto il governatore Giovanni Toti – ad accogliere all’ospedale Gaslini di Genova la piccola ricoverata in condizioni gravissime presso il Royal London Hospital di Londra».
VALUTAZIONI
Il Gaslini aveva composto un collegio tecnico di specialisti che hanno inviato il 5 luglio un documento ai colleghi di Londra, con i quali successivamente si è anche svolta una videoconferenza collegiale. I documenti evidenziano l’estrema gravità delle condizioni cliniche, in linea con quanto indicato dai medici inglesi e il fatto che in Italia non si opera una sospensione delle cure, se non in caso di “morte cerebrale”, quadro clinico che, secondo gli specialisti del Gaslini, è diverso da quello della piccola. Ora la decisione sul caso spetta ai giudici inglesi, che dovranno decidere se consentire che la bimba venga trasferita nell’ospedale italiano.
IL PRECENDENTE
La storia che arriva dal Regno Unito, anche se profondamente diversa, riporta alla memoria quella di Alex Montresor, bimbo che da Londra alla fine è stato trasferito al Bambino Gesù di Roma per un trapianto di cellule staminali. La storia di Alex, come detto, era profondamente diversa e alla fine si è risolta con un lieto fine. Per lui si è mobilitata la solidarietà di un’intera nazione, tutti pronti a mettersi in fila per cercare un donatore compatibile. Per la piccola che in questo momento è ricoverata nel reparto di terapia intensiva al Royal London Hospital la questione è ben diversa, lo è certamente il quadro clinico e forse per lei servirebbe solo un miracolo. La cosa certa è che ancora una volta centinaia di migliaia di persone stanno pregando che possa accadere qualcosa di inatteso e di meraviglioso.
Lenti a contatto, perché 1 italiano su 3 ha timore di usarle
Stili di vitaPerché molte persone con difetti della vista non riescono a portare le lenti a contatto? Lo ha chiesto Doxa-CooperVision a un campione di oltre 2000 italiani, scoprendo che tra le motivazioni più ricorrenti, oltre al timore legato all’utilizzo (il 30% teme di metterle e toglierle da solo) e la praticità degli occhiali (34%), si nasconde non aver mai considerato l’idea di portare le lenti (32%).
Solo al 20% di chi porta gli occhiali viene suggerito di provare le lenti a contatto, nonostante la ricerca confermi esista una predisposizione al passaggio alle lenti su consiglio di uno specialista per il 36% degli intervistati con occhiali.
“Negli ultimi anni la tendenza si è spostata verso un utilizzo delle lenti giornaliere, ancora più pratiche. Non richiedono manutenzione – spiega Renzo Colombo, Professore di Ottica della Contattologia presso l’Università di Padova – ma piccoli e importanti accorgimenti. È fondamentale offrire assistenza fin dalla prima applicazione, sostenendo una scelta che cambia davvero le abitudini quotidiane, le stesse che c’erano quando non servivano gli occhiali”.
I risultati della ricerca Doxa-CooperVision confermano che chi usa le lenti (circa 1 su 4) lo fa perché vede meglio, per migliorare l’aspetto estetico (40%) o perché ritiene siano più pratiche (49%).
“Mi ritrovo spesso (e volentieri) a dover sfatare molte convinzioni e vecchi pregiudizi, cercando di tranquillizzare quanti sono ancora troppo preoccupati di rischio infezioni, arrossamenti e manutenzione continua. Notevoli anche i progressi in termini di tecnologia, basti pensare alle lenti in silicone idrogel giornaliere e alle evoluzioni degli ultimi 20 anni, con elevata performance e comfort che offrono un’elevata trasmissibilità all’ossigeno attraverso l’intero profilo della lente – continua Colombo – Inoltre, sono anche migliorati gli strumenti utili ad agevolare lavoro dell’ottico: uno studio clinico ha dimostrato quanto l’utilizzo di un’App riesca a ridurre al minimo i tempi di prova e applicazione delle lenti a contatto multifocali, a vantaggio di una maggiore disponibilità e fidelizzazione del cliente”.
Ad esempio l’App – sviluppata da Coopervisione con il nome di OptiExpertTM e disponibile su App Store, Google Play – nasce da una scelta accurata e intuitiva di parametri indispensabili per l’optometrista (es. versione digitale della scala di gradazione Efron, calcolatori multifocali e torici, profili dell’ossigeno, prememorizzazione delle immagini della condizione oculare del paziente, etc.). L’optometrista, oltre alla personale valutazione del paziente, ora ha uno strumento educativo in più, in grado si facilitare e perfezionare la scelta delle lenti, fino addirittura alla raccomandazione del prodotto più idoneo.
Hiv, parte la fase tre del primo vaccino
News PresaSi chiama “Mosaico” ed è un test che potrebbe segnare la storia degli ultimi 30 anni, si tratta infatti della fase tre di sperimentazione di un vaccino capace di prevenire il virus Hiv. Ad annunciare che i test sono ormai in partenza è stato National Institute of Health statunitense, capofila del progetto che recluterà 3.800 persone in Sudamerica, Usa ed Europa (Italia compresa). Il vaccino somministrato con il progetto Mosaico è ideato per indurre una risposta immunitaria contro diversi ceppi allo stesso tempo, e verrà condotto su uomini che hanno rapporti sessuali con uomini e persone transgender tra i 18 e i 60 anni sieronegativi. Per l’Italia parteciperanno l’Ospedale San Raffaele di Milano, l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena e l’Istituto nazionale malattie infettive Spallanzani di Roma. Lo studio mosaico si aggiunge ad un altro, chiamato Imbokodo, in corso in cinque paesi africani.
CONFRONTO INTERNAZIONALE
«Siamo impegnati nello sviluppo di un vaccino per l’Hiv sicuro ed efficace che sia utilizzabile dalla popolazione più vulnerabile al virus – spiega Anthony Fauci, direttore del Niaid -. Garantire che i vaccini sperimentali siano valutati in popolazioni diverse è critico per raggiungere questo obiettivo». I due test, Imbokodo e Mosaico, si aggiungono ad un’altra sperimentazione, chiamata HVTN 702, sempre sponsorizzata dal Nih e in corso in Africa. In questo caso il vaccino testato, sempre preventivo, è una forma modificata dell’unico che finora ha mostrato una protezione, anche se limitata al 32%, che era stato sperimentato nel 2009. Nella “corsa” c’è anche una ricercatrice italiana, Barbara Ensoli dell’Istituto superiore di sanità, il cui vaccino Tat si è dimostrato efficace invece nelle persone che hanno già contratto l’infezione. Nell’ultimo studio pubblicato il Tat è stato capace di ridurre fino al 90% il «serbatoio di virus latente» inattaccabile dalla sola terapia antiretrovirale.
Birra d’estate? Sì, ma con moderazione
News PresaAttenti alle bionde, se si esagera sono pericolose per la salute. A dirlo sono i camici bianchi, ma non si parla di bionde in carne ed ossa, bensì di birra. D’estate, complice il caldo e la voglia di svago, il consumo di birra aumenta considerevolmente, ma in pochi sanno che le bionde possono essere anche molto dannose per la salute. Come sempre, dipende dal consumo. Se si esagera il rischio più concreto è quello di appesantire il fegato e di andare soggetti a disidratazione. A dispetto di ciò che si potrebbe pensare, ammaliati da un gelido boccale di birra, l’assunzione di alcol ha effetti sull’ADH (ormone antidiuretico) e aumenta la quantità di urina prodotta dal corpo. Generalmente la quantità di urina che si espelle dipende dal peso corporeo, e in media una persona che pesa circa 60 chili produce 60 ml di urina all’ora. Tuttavia, assumendo un bicchiere di bionda (ma anche di rossa), la produzione di ADH diminuisce e viene prodotta il doppio dell’urina che comporta una conseguente disidratazione. Bere acqua può aiutare, ma in realtà cambia poco perché il nostro corpo tratterrà solo un terzo dei liquidi assunti.
STEP BY STEP
In un famoso studio pubblicato da alcoholgifts.co.uk ha spiegato come agisce l’alcool dentro di noi e cosa succede dopo il primo sorso. Dopo soli cinque minuti dal primo sorso l’alcool arriva allo stomaco e quindi viene assorbito nel flusso sanguigno. Viaggia attraverso tutto il corpo, arrivando anche a toccare cervello e muscoli. Le lancette corrono e dieci minuti dopo il corpo prova ad espellere l’alcol. Circa quindici minuti dopo il corpo produce l’alcol deidrogenasi, un enzima in grado di convertire l’alcool in alcuni componenti chimici. La trasformazione farà tornare sobrio chi beve a patto che non assuma una quantità eccessiva di alcol in grado di mettere in difficoltà il fegato. Venti minuti dopo si sentono gli effetti dell’alcool, che possono includere sensazioni di euforia o di testa leggera e altri tipi di emozioni. Dopo 45 minuti l livello di alcool nel sangue raggiunge il suo picco massimo. Infine dopo circa un’ora scatta lo stimolo di andare al bagno, l’alcool infatti ha un effetto diuretico. E, come detto, questo può causare disidratazione.
ALZARE IL GOMITO
Senza voler demonizzare una birra, i problemi possono arrivare quando si alza troppo il gomito e lo si fa troppo spesso. L’alcol ha infatti effetti negativi sul sistema nervoso centrale, che ha un ruolo fondamentale nel controllare la maggior parte delle funzioni dell’organismo indispensabili alla vita. I suoi effetti su quest’organo possono variare in base alla dose di alcol che si ingerisce. Le sensazioni che l’alcol produce sul sistema nervoso sono varie e dipendono soprattutto da quanto se ne ingerisce e in quali condizioni lo si fa. Assumere una moderata quantità alcolica, come è in grado di dare una birra, risulta leggermente euforizzante, producendo in chi beve una sensazione di benessere che si traduce in un comportamento più rilassato. Bere molto, al contrario, deprime il sistema nervoso con tutte le conseguenze più note. Insomma, ancora una volta il consiglio è quello di usare sempre la testa.
Vacanze in cammino, preparare lo zaino salvando la schiena
PrevenzioneLe vacanze sono prossime e molti hanno scelto itinerari a piedi. La prima regola per intraprendere un viaggio in cammino è quella di saper organizzare il proprio bagaglio, imparando a distinguere l’essenziale dal superfluo. Per salvare le spalle da inutili fardelli che potrebbero togliere il piacere di una bella esperienza, la Compagnia dei Cammini, associazione di turismo responsabile, prima delle vacanze suggerisce ai camminatori qualche prezioso consiglio su come fare uno zaino in modo intelligente. Dalla scelta nell’acquisto a cosa metterci dentro, fino al bilanciamento del peso: piccoli ma fondamentali dettagli che un buon camminatore non può trascurare nel preparare il proprio bagaglio.
Vacanze in cammino: zaino intelligente in 10 mosse
Occhio alla taglia: Lo zaino è come un vestito, deve essere su misura. Se stiamo scegliendo il nostro nuovo zaino, optiamo per prenderne uno del nostro genere, da uomo o da donna e, secondo la nostra corporatura, la taglia large, medium e small.
Leggerezza: Già nell’acquisto possiamo scegliere uno zaino con uno peso specifico leggero, perché anche per il viaggio più lungo, non dobbiamo portare mai più di 13-14 chilogrammi. Per un cammino di più giorni, senza sacco a pelo, né tenda, anche un 40-45 litri può andar bene. Se, invece, è previsto un cammino con sacco a pelo e tenda, meglio un 55 litri.
Attenti alle spalle: L’imbottitura degli spallacci e della cintura in vita deve essere spessa e il peso sarà suddiviso tra spalle e cintura. Gli spallacci servono soprattutto per tenere lo zaino attaccato alla schiena ed evitare che si muova: ogni movimento inutile dello zaino consuma energia e va quindi evitato. A tale scopo è importante collegare i due spallacci con l’elastico sopra il petto, di cui ormai quasi tutti gli zaini sono dotati. La cintura, invece, deve essere stretta il più possibile, poco sopra le anche.
Risparmiare sul peso: Meglio rischiare che manchi qualcosa, piuttosto che voler prevedere tutti i rischi. Vale quindi la regola dello stretto necessario. Per risparmiare sul peso è necessario portare piccole confezioni di sapone, dentifricio, medicinali indispensabili e lasciare a casa i cosmetici ad eccezione della crema solare. Sull’abbigliamento non portate un cambio al giorno: troverete sempre la possibilità di fare bucato, anche in mezzo alla natura più selvaggia. Un consiglio speciale: come cuscino usate una sacca di cotone riempita con i vostri abiti puliti.
Fare una lista: vi aiuterà a non improvvisare e riempire, compulsivamente, lo zaino. Dopo ogni cammino, verificate quello che avete o non avete usato e aggiornate la lista, che si perfezionerà cammino dopo cammino. Elencate anche quello di cui avete sentito la mancanza e la volta successiva non ve ne dimenticherete.
Quali generi alimentari portare? Il minimo indispensabile per non partire con l’ansia di non avere abbastanza cibo, ma consapevoli che durante il cammino abbiamo bisogno solo del necessario. Durante il viaggio si trovano tante cose da acquistare e la natura è generosa: prevediamo quindi solo un po’ di posto per una piccola riserva di alimenti d’emergenza, leggeri, tipo barrette, qualche snack dolce e salato, ovviamente più sani sono meglio è.
Accessori: macchina fotografica, binocolo, libri di botanica, lente d’ingrandimento, acquerelli, molti di noi hanno delle passioni particolari a cui dedicarsi durante il viaggio. Ognuno deciderà se vale la pena sopportare più peso o meno peso. Ma in uno zaino ben fatto, ci stanno anche gli strumenti per dedicarsi alla nostra passione preferita.
Bilancia il peso: una volta definito cosa portare, bisogna riempire correttamente lo zaino in modo da abbassare il più possibile il baricentro: gli oggetti più pesanti devono stare al centro vicino al corpo, e in basso. Prestate poi attenzione alla simmetria dello zaino, distribuendo il peso in modo equo, evitando di caricare una borraccia con l’acqua in una delle tasche laterali e regolando gli spallacci alla stessa altezza per vedere se tutto è in equilibrio
Pesare il tutto: dotarsi di una bilancia da cucina mentre si fa lo zaino, non è poi così estroso, anzi, il tempo che perdiamo ci verrà ripagato durante il cammino. Salite sulla bilancia pesapersone con lo zaino, poi pesatevi anche senza zaino e fate la differenza: ecco il peso del vostro zaino. Sicuramente è più di quello che pensavate.
Al ritorno: al termine dei primi viaggi a piedi, svuotate lo zaino con cura, dividendo il contenuto in tre gruppi: le cose che avete usato e di cui non avreste potuto fare a meno, che entrano di diritto negli “indispensabili”; le cose che avete usato, ma che avreste anche potuto lasciare a casa, che rimangono nel limbo del dubbio; e le cose che non avete mai usato lungo il cammino, che giacciono ancora pulite e incartate in fondo allo zaino. Queste ultime, la prossima volta lasciatele a casa. Erano superflue.
Apnee notturne, l’80% di chi ne soffre non lo sa
PrevenzioneRussamento, bruschi risvegli con il batticuore, cattivo riposo e spesso problemi respiratori. Sono le apnee notturne, che interessano la morfologia facciale e del cavo orale e dunque non solo il medico, ma anche l’odontoiatra.
Apnee notturne, i numeri
Si tratta di una patologia cronica, ma solo a un paziente su cinque è stata fatta la diagnosi e uno su venticinque (3-4% del totale) accede alle terapie. L’80% di chi soffre di Obstructive Sleep Apnea Syndrome non sa di averla. Chi non si cura, però, non riposa bene e rischia di addormentarsi di giorno o alla guida e di essere un pericolo per sé e per gli altri. Di recente a Montecitorio l’Onorevole Rossana Boldi, odontoiatra, ha presentato una risoluzione che inserisce le apnee notturne nell’elenco delle patologie croniche e nei Livelli essenziali di assistenza, facilitando l’accesso a diagnosi e terapia e ponendo le basi per un approccio clinico uniforme a livello nazionale. Alla conferenza hanno preso parte Beniamino D’Errico, co-artefice dell’incontro e Presidente AIO Valle d’ Aosta, e Luca Levrini, professore associato dell’Università dell’Insubria. Per i medici erano relatori Michele De Benedetto, Società italiana di ORL, nonché Antonio Sanna Dirigente Medico di pneumologia Ospedale San Iacopo di Pistoia.
Osas, una diagnosi difficile
Diagnosticare le Osas è difficile. Si attendono fino a 24 mesi, tempi del tutto inadeguati, per ottenere il monitoraggio cardiaco e respiratorio ridotto o completo e la polisonnografia, esame eseguibile con apparecchio portatile o in laboratori attrezzati: solo una regione, la Puglia, ha recepito l’intesa stato regioni di 3 anni fa sulle apnee notturne. Ottenere la terapia è ancor più difficile: per avere in comodato d’uso gratuito l’apparecchietto Continuous Positive Airway Pressure (CPAP), il paziente deve passare in commissione medico legale Asl e farsi riconoscere l’invalidità civile. Il nostro Paese è l’unico in Europa nel quale vige tale modalità di erogazione. Il fatto di essere nell’elenco delle protesi può inoltre ritardare l’erogazione del CPAP da parte del Servizio sanitario e l’inizio della cura. I pazienti riuniti nell’associazione Aipas hanno chiesto di ridurre l’aliquota IVA dal 22 al 4% sopportata dal Ssn per l’acquisto di questi device e di far inserire nel nomenclatore gli apparecchi odontoiatrici di avanzamento mandibolare previsti nelle linee guida del Ministero della Salute per i dentisti. «L’obiettivo ora si avvicina grazie al fatto che l’odontoiatria italiana, non a caso presente con tre esponenti al tavolo dove è stata presentata la risoluzione, ha maturato una sensibilità con pochi raffronti nel resto d’Europa», commenta Marzia Segù, che ha contribuito a suo tempo alla stesura delle linee guida ministeriali Osas del 2016 sul ruolo dell’Odontoiatra da presidente della Società Italiana di medicina del Sonno in odontoiatria-SIMSO e da segretario culturale AIO. «All’Odontoiatra è affidato il ruolo di intercettare precocemente segni e sintomi e valutare se il paziente può essere trattato con specifici Oral Appliance. Completato l’iter diagnostico di competenza l’odontoiatra può prescrivere un dispositivo da indossare di notte. Deve inoltre saper gestire eventuali esiti di chirurgia maxillo-facciale. E alle spalle deve avere una formazione che gli consenta di riconoscere precocemente la patologia utilizzando questionari specifici (scala Epworth, questionario stop-bang). AIO ha puntato molto sulle linee guida, sulla formazione e sulla parte formativa-informativa», spiega Segù.
Morto in 48 ore per i batteri mangia-carne
News PresaÈ passato da una vita tutto sommato normale alla morte in sole 48 ore, divorato dai batteri mangia-carne causa di un banale tuffo nelle acque sbagliate, nella contea di Okaloosa, in Florida. A denunciare quanto accaduto è stata Cheryl Bennett Wiygul, la figlia, che in un post su Facebook ha scritto: «I batteri mangia-carne suonano come una leggenda metropolitana, ma lasciatevi dire che non lo sono. Hanno ucciso mio padre». La storia raccontata dalla giovane statunitense sta facendo il giro del mondo e ha acceso un faro sui rischi di questi batteri che il 50 per cento degli americani non conosce, e l’altro 50 per cento considera una leggenda.
GIAPPONE E USA
I batteri responsabili di quanto accaduto, chiamati appunto mangia-carne, hanno un nome scientifico che è Vibrio vulnificus. Di solito sono batteri che possono causare epidemie di diarrea e spesso di origine alimentare. Facilmente possono essere ingeriti tramite i frutti di mare non cotti a dovere. Le zone più colpite sono solitamente il Giappone e nelle zone costiere degli USA. I microrganismi danneggiano la mucosa intestinale ma non producono enterotossine né invadono il sangue. È un grosso problema quando, come in questo caso, i batteri infettano una ferita (specialmente se in un soggetto immunodepresso).
FASCITE NECROTIZZANTE
Ad uccidere l’uomo è stata quella che in medicina si definisce fascite necrotizzante, un’infezione molto rara che aggredisce i tessuti al di sotto della pelle e che, se non trattata rapidamente e in modo efficace, può portare a setticemia fino alla morte del paziente. Nella fascite necrotizzante, i batteri attraverso una ferita infettano il tessuto connettivo che permea il corpo umano (fascia). La malattia, di natura batterica, si sviluppa in modo rapido e aggressivo causando vescicole, bolle fino a necrosi dei tessuti sottocutanei, choc settico, morte. Se identificata in tempo può essere trattata con antibiotici e chirurgia, ma molti pazienti perdono comunque gli arti nonostante il trattamento e il 25-30% muoiono. I batteri, anche se chiamati mangia-carne in realtà non si nutrono della carne ma la distruggono e la decompongono attraverso il rilascio di potenti tossine. Purtroppo, nel caso di Dave Bennet (questo il nome dell’uomo) l’infezione è stata letale.
Cifosi, casi aumentati del 700%, complice la tecnologia
News Presa, Stili di vitaIl corretto sviluppo delle ossa è indispensabile, fin dalla nascita, per qualsiasi attività. La SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia) punta i riflettori su alcune patologie che, se non curate nell’infanzia, rischiano di compromettere la salute futura dell’intero scheletro. Dalla scoliosi alla lordosi, dalla lussazione congenita dell’anca al ginocchio valgo fino al piede piatto: sono solo alcune delle condizioni patologiche che richiedono un intervento tempestivo in età infantile. “È fondamentale, per qualsiasi disturbo interessi le ossa e le articolazioni, rivolgersi allo specialista, l’ortopedico – ha commentato il Professor Francesco Falez, Presidente SIOT, Head Department Orthopaedic and Traumatology ASL RM 1 Chief Surgeon Ospedali Santo Spirito in Sassia & San Filippo NeriRoma Italy – SICOT National Delegate & Chairman Knee Arthroplasty Committee Member of the E.B “International Orthopedics Journal, durante un incontro a Milano da titolo “Il futuro delle ossa si costruisce da bambini” – che può curare le alterazioni dell’apparato muscolo-scheletrico causate da traumi o patologie, permettendo di mantenere o recuperare una buona qualità di vita ad ogni età. Fin dai primi passi è possibile incorrere in pericoli comuni che però possono arrecare traumi leggeri o invalidanti. Da non sottovalutare, inoltre, come alcuni di questi disturbi possano essere evitati grazie all’adozione di posture e comportamenti corretti fin dalla primissima infanzia”, come nel caso della cifosi.
Cifosi: tablet, pc e smartphone responsabili in moltissimi casi
Posture scorrette, che possono degenerare con l’età, sono spesso associate all’eccessivo uso di dispositivi tecnologici. L’uso di tablet, pc, smartphone è, ad esempio, responsabile in moltissimi casi della cifosi, condizione che interessa la colonna vertebrale del bambino, maschio o femmina, che non riesce a mantenere la posizione eretta del tronco e delle spalle, sia seduto sia in piedi. È del 700% l’aumento di casi registrati nelle scuole medie inferiori negli ultimi dieci anni. “Una vera e propria ‘bomba sociale’ quella della cifosi – ha commentato Il Professor Carlo Ruosi, Professore di Ortopedia e Traumatologia Università Federico II, Napoli – Responsabile Centro Scoliosi: Azienda Ospedaliera Università Federico II, Napoli – Responsabile C.d.A: Società Italiana Chirurgia Vertebrale e Gruppo Italiano Scoliosi srl – Past President SIGM (Società Italiana Ginnastica Medica e Rieducazione Motoria) -. Il numero eccessivo di ore giornaliere che, fin dai 3- 4 anni, i bambini trascorrono piegati in avanti sui ‘babysitter elettronici’ è causa di questo disturbo troppo spesso sottovalutato. Fondamentale, in questi casi, è una diagnosi precoce. Mentre in fase iniziale è possibile intervenire con rieducazione motoria e ginnastica appropriata, in fase avanzata è necessario far indossare al bambino il busto ortopedico. Nel caso in cui la diagnosi arrivi troppo tardi, poi, si deve ricorrere alla chirurgia.”
Se la ginnastica medica è il rimedio della cifosi diagnosticata in fase iniziale, non si può affermare lo stesso per la scoliosi, patologia causata da una predisposizione genetica caratterizzata da una deformità a ‘S’ della colonna vertebrale che di solito colpisce le bambine tra i 10 e i 14 anni di età. In questo caso, infatti, la SIOT sottolinea come l’unico trattamento appropriato consista nell’applicazione del busto ortopedico.
A dover indossare un tutore sono invece i bambini più piccoli colpiti da una displasia congenita dell’anca, patologia che si sviluppa durante la vita intra-uterina e che porta a un’alterazione progressiva dei rapporti tra la testa del femore e l’acetabolo. Con un’incidenza di 1 su 1000 nati, più frequentemente nel sesso femminile (rapporto 6 a 1) e nel 45% dei casi bilateralmente, la displasia o lussazione dell’anca è una delle patologie dello scheletro più frequenti. Se la diagnosi viene posta precocemente, il trattamento viene eseguito mediante l’utilizzo di un tutore, statico o dinamico, che mantiene le anche flesse (90-100°) ed abdotte (50-60°) e permette di mantenere centrata la testa del femore all’interno dell’acetabolo risolvendo in pochi mesi il quadro di displasia acetabolare e di instabilità articolare.
“Si tratta di un disturbo che va diagnosticato alla nascita mediante l’esame clinico e con un’apposita ecografia da eseguire possibilmente intorno alla sesta settimana di vita e che va trattato immediatamente – ha evidenziato il Professor Pasquale Farsetti, Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Locomotore, Università di Roma Tor Vergata – Direttore UOC Ortopedia, Policlinico di Tor Vergata e Presidente SITOP (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica) -. Se la diagnosi è tardiva occorre ricorrere a trattamenti più invasivi in anestesia generale, fino alla chirurgia. In ogni caso, dopo i 3-5 anni di età il trattamento diviene estremamente complicato per le rigidità articolari che si instaurano. La complicazione più temibile è rappresentata dalla necrosi ischemica della testa del femore che si manifesta con un’incidenza maggiore nei casi più gravi, spesso indipendentemente dal trattamento, e che può condizionare il risultato finale. La persistenza di una displasia in età adulta comporta inevitabilmente una degenerazione artrosica dell’anca che spesso necessità di essere protesizzata”.
Altro disturbo che interessa gli arti inferiori è il ginocchio valgo, molto frequente intorno ai 3 anni di età. Si tratta di una deviazione assiale degli arti inferiori che si manifesta con un aumento dell’angolo femoro-tibiale (fenomeno gambe a X). La causa è da attribuirsi ad uno squilibrio transitorio dell’attività delle cartilagini di accrescimento distale del femore e prossimale della
tibia. Nel 98% dei casi tale condizione si risolve spontaneamente entro i 7-8 anni di età. La diagnosi differenziale deve essere posta con alcune malattie rare quali displasie scheletriche e affezioni endocrine o metaboliche. Rivolgersi ad un ortopedico è, dunque, fondamentale per porre una diagnosi corretta.
E ancora nel bambino può manifestarsi il piede piatto, condizione in cui l’arco longitudinale del piede, valutato sotto carico (in piedi), si presenta più basso della norma o addirittura assente. Generalmente è presente in forma transitoria nei primi anni di vita di numerosi bambini. Pertanto, quando il piede piatto si manifesta durante questo periodo, deve essere considerato fisiologico. Il piede piatto patologico si manifesta dopo i primi 6-7 anni di età, è spesso familiare e può essere associato ad una ipotonia muscolare. È generalmente asintomatico, mentre nei rari casi in cui si manifesta in forma dolorosa è necessario eseguire un trattamento specifico che può essere conservativo mediante l’utilizzo di plantari o chirurgico.
Infine, al contrario di quanto si possa pensare, le ossa dei bambini possono essere bersaglio di patologie con prognosi complessa: i tumori. L’osteosarcoma è il tumore maligno osseo più frequente in età pediatrica e si posiziona all’ottavo posto tra i tumori dell’infanzia per incidenza (2,4%). A seguire il sarcoma di Ewing con un’incidenza pari all’1,4%.
È opportuno però sottolineare come, negli ultimi anni, la prognosi per queste patologie sia migliorata in modo significativo, con una sopravvivenza che è passata dal 15% al 65-70%. Questo grazie ad una maggiore conoscenza scientifica e al netto miglioramento delle tecniche chirurgiche. Basti pensare che fino a trent’anni fa i pazienti con osteosarcoma erano quasi tutti soggetti ad amputazione, con gravi conseguenze sia funzionali sia psicologiche. Oggi, grazie ai moderni trattamenti combinati, assistiamo ad un notevole aumento degli interventi conservativi dell’arto, ma con ampia resezione ossea per la quale vengono utilizzate speciali protesi.
SIOT ha lanciato uno spot per sensibilizzare l’opinione pubblica su una figura spesso sottovalutata, quella dell’ortopedico, l’unico in grado di curare gli organi di sostegno e di movimento. Un video emozionale racconta i pericoli nei quali si può incorrere durante la vita, dai primi passi, all’adolescenza, fino alla maturità e che devono essere affidati alla cura dello specialista delle ossa.
https://drive.google.com/file/d/1zxKUyq82sC2hisNKA0vtG6IYnvDVdeNg/view