Tempo di lettura: 3 minuti«La Sclerosi multipla (Sm) è una delle prime cause di disabilità nel giovane adulto. L’esordio avviene per lo più tra i 20 e i 40 anni e colpisce più le donne. In Italia si stimano oltre 100mila casi, 9mila solo in Campania». Lo spiega Gioacchino Tedeschi, neo presidente eletto della Società italiana di Neurologia.
Professore, quali sono le cause?
«E’ una malattia infiammatoria cronica del sistema nervoso centrale, le cui cause non sono ancora ben definite. E’ noto, però, che nella genesi della Sm intervengono fattori ambientali, tra cui agenti infettivi, abitudine al fumo, carenza di vitamina D, e fattori genetici».
Provoca danni al sistema nervoso centrale?
«Determina il danneggiamento della cosiddetta sostanza bianca cerebrale e midollare, una struttura fondamentale per la conduzione dei segnali nervosi che partono o arrivano al cervello».
Sintomi ed evoluzione della malattia?
«Deficit della vista, dell’equilibrio, della forza, della sensibilità. I sintomi dipendono da quali aree della sostanza bianca vengono danneggiate. Nella maggior parte dei casi, la malattia si presenta nella forma “recidivante-remittente”, caratterizzata dalla comparsa improvvisa e ripetuta di sintomi neurologici – le cosiddette recidive o ricadute – che tendono a regredire spontaneamente dopo alcune settimane. In una piccola percentuale di casi, invece, la malattia evolve in maniera lenta e progressiva sin dall’inizio, forma “primariamente progressiva”, in assenza di fasi acute. L’evoluzione è molto variabile da soggetto a soggetto, potendo condurre ad una disabilità permanente nell’arco di pochi anni così come, in casi più favorevoli, dopo diverse decine di anni».
Come si giunge alla diagnosi e cosa fare dopo la diagnosi?
«In presenza di sintomi suggestivi è fondamentale che il paziente si rivolga ad un centro specializzato nello studio della malattia dove verranno eseguiti gli esami diagnostici strumentali, in particolare la Rm e la puntura lombare che permettono nella maggior parte dei casi di giungere rapidamente alla diagnosi. Una volta che questa viene accertata, è fondamentale che i pazienti seguano le indicazioni date dal Centro dedicato alla Sm».
Quando iniziare la terapia?
«Immediatamente dopo la diagnosi. E’ stato infatti dimostrato che l’inizio precoce del trattamento rallenta l’evoluzione della malattia».
Quali terapie disponibili?
«Anche se ad oggi non esiste una cura risolutiva, molte sono le opzioni terapeutiche che possono modificare favorevolmente il decorso della malattia, riducendo il rischio di ricadute e di disabilità permanente. I farmaci oggi disponibili si pongono, in particolare, due obiettivi. I cortisonici: migliorare il recupero funzionale dopo le ricadute, gli immunoterapici e immunosoppressori: prevenire le ricadute e ritardare la progressione della malattia. La molteplicità dei trattamenti disponibili, permette di personalizzare la terapia, adattandola al livello di attività della malattia. In base alla risposta terapeutica, alla comparsa di eventuali effetti collaterali e alla aderenza alla terapia, questa può essere monitorata per ottenere il miglior risultato possibile».
Come monitorare la terapia?
«Una volta iniziata la terapia, i pazienti vengono sottoposti ad una serie di esami clinici e strumentali periodici per valutare la risposta e la sicurezza del trattamento».
Cosa altro consiglia per incidere favorevolmente sul decorso della malattia?
«Negli ultimi anni si sono resi disponibili nuovi farmaci, che permettono una terapia sempre più specifica in base al caso e alle caratteristiche di attività della malattia. Il fumo, l’eccesso ponderale, una dieta ricca di calorie e grassi animali, una vita sedentaria e il deficit di vitamina D, influiscono negativamente sull’evoluzione della malattia. E’ dunque fondamentale che i pazienti seguano regole di vita sane e corrette, con una dieta equilibrata e una costante attività fisica».
Quale l’impatto della Sm sulla gravidanza e sui progetti di famiglia?
«Non deve scoraggiare i progetti di famiglia e una adeguata pianificazione della gravidanza. La gravidanza non influenza negativamente il decorso della malattia, anzi generalmente la frequenza delle ricadute durante la gravidanza tende a ridursi. Infine, la Sm non complica la gravidanza e i figli di un genitore malato hanno una bassissima probabilità di sviluppare la malattia. In ogni caso rimane fondamentale che la paziente sia adeguatamente seguita e sostenuta dalla decisione del concepimento al successivo periodo di post partum».
Nuovo modello cellulare per studiare la SIOD, una sindrome genetica rara
Ricerca innovazioneSi tratta di un nuovo modello cellulare in grado di studiare i meccanismi patogenetici della displasia immuno-ossea di Schimke (SIOD) ed è stato creato nei laboratori dell’ISS. La malattia rara colpisce circa un neonato ogni uno-tre milioni. La ricerca, realizzata anche grazie ai finanziamenti di Telethon e della Fondazione Terzo-Pilastro Internazionale, è stata pubblicata sulla rivista Disease Models and Mechanisms.
“Sappiamo che la SIOD è dovuta alla mutazione del gene SMARCAL1 che codifica per la proteina SMARCAL1 – afferma Pietro Pichierri, coordinatore del gruppo di studio, affiancato da un altro gruppo di ricerca in ISS guidato dalla dott.ssa Annapaola Franchitto e dai colleghi dell’Università di Roma Sapienza – tuttavia, il meccanismo per mezzo del quale le mutazioni SMARCAL1 causano la SIOD è completamente sconosciuto. La correlazione tra mutazioni SMARCAL1, stress di replicazione, formazione di danno al DNA, difetti di proliferazione e sviluppo alterato nella patogenesi SIOD è ancora inesplorata, in gran parte a causa dell’incapacità di SMARCAL1 di indurre tutti i fenotipi nei modelli esistenti della malattia”.
“Nel nostro lavoro – prosegue il ricercatore – abbiamo utilizzato cellule staminali pluripotenti per simulare i primissimi eventi associati alla fisiopatologia della malattia e collegabili con la perdita di espressione di SMARCAL1. Con questo modello abbiamo potuto evidenziare come l’assenza della proteina, che corrisponde alla situazione presente nelle forme più severe della SIOD, determini un accumulo di danno al DNA e un’attivazione della risposta al danno al DNA, che si cronicizzano nelle cellule. Abbiamo visto che questi eventi dipendono dall’interferenza tra i processi di trascrizione e replicazione del DNA e che sono presenti in cellule che proliferano. Tuttavia, sorprendentemente, l’elevata attivazione della risposta al danno al DNA permane anche quando le cellule sono indotte a differenziarsi, e quindi cessano di proliferare”.
Anzi, nelle cellule in differenziamento, l’assenza di SMARCAL1 e la “memoria” del danno generato durante la proliferazione interferiscono con l’espressione di alcuni geni chiave nel differenziamento cellulare. “Quest’ultima evidenza – conclude Pichierri – rappresenta il primo collegamento tra difetti di SMARCAL1, stress replicativo e difetti del differenziamento. Ora, con il nostro modello speriamo di andare più a fondo nei meccanismi patogenetici per capire come la malattia insorga e se sono possibili interventi farmacologici per mitigare l’accumulo di stress replicativo”.
La SIOD
Si tratta di un’osteocondrodisplasia genetica caratterizzata da dismorfismi, displasia spondiloepifisaria (bassa statura, tronco e braccia corti, prominenza del torace), sindrome nefrosica progressiva che porta all’insufficienza renale grave e spesso ad un difetto dell’immunità cellulare che rende i pazienti suscettibili alle infezioni. La mortalità è molto alta e, a seconda della gravità della malattia, può insorgere nell’infanzia o nell’adolescenza precoce.
Fake news e salute, attenti all’effetto ripetizione
News Presa«A causa del surriscaldamento globale e del conseguente scioglimento dei ghiacci, un virus rimasto per milioni di anni congelato in Antartide sta mietendo vittime su vittime e presto minaccerà anche l’Europa». Notizia vera? Assolutamente no, si tratta solo di una fake news, ma che importa. Notizie assurde in ambito di salute popolano il web e spopolano sui social, creando danni enormi e non sempre riparabili. In rete oggi si trova di tutto e la disinformazione in ambito salute creata ad arte sui social network da società specializzate nella costruzione di notizie false per scopi a dir poco opachi ha costi altissimi. Il CEIS-EEHTA (Economic Evaluation and HTA)della Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata, in collaborazione con la Kingston University di Londra, ha dato vita al progetto di ricerca “Impatto delle Fake News in ambito sanitario”, e i risultati sono drammatici.
FUORI CONTROLLO
I dati raccolti dicono qualcosa di terribile, spiega Francesco Saverio Mennini, direttore EEHTA del CEIS, Facoltà di Economia dell’Università di Roma di Tor Vergata e Kingston University di Londra, confermano che una fake news appena viene diffusa sta già sta producendo i suoi effetti negativi. Da quel momento è libera di diffondersi a macchia d’olio. Diventa virale, nel senso più letterario del termine, e i cittadini perdono la capacità di comprendere se è vera o falsa. Anche le persone avvertite che si trattava di fake news, vedendole riproposte iniziavano a ritenerle meritevoli di condivisione.Il progetto ha consentito di indagare gli effetti sociali ed economici delle bufale in sanità con particolare riferimento alla prevenzione. Dai nostri test ultimati nel settembre 2019, le fake news sulle vaccinazioni sembrerebbero essere quelle con maggior rischio di condivisione e percezione di veridicità». Ed eccoli i dati: l’indagine ha coinvolto oltre 1.600 partecipanti, poi divisi in due gruppi. Uno in cui erano dichiarate le fake news con dei flag specifici e uno in cui le notizie false non erano indicate. In entrambi i gruppi, le fake news sono state condivise, i risultati non hanno mostrato alcuna differenza. Mediamente il 60% dei soggetti intervistati, nella realtà condividerebbe la fake news proposta anche se solo poco più della metà la ritiene veritiera. Dallo studio emerge che iI 92,4% delle notizie false rilevate appartiene all’ambito dei vaccini, il 3,3% allo screening alla prostata, il 2,2% allo screening al colon-retto ed il 2,1% allo screening al seno. L’aumento vertiginoso delle fake news negli ultimi anni ha generato incertezza e preoccupazione nelle famiglie contribuendo alla riduzione dell’efficacia delle strategie preventive attuate dal Ministero della Salute. Questi effetti, non incrementano solo i rischi di diagnosi ritardata di patologie ad alta letalità (screening), ma generano anche un maggior numero di patologie croniche e acute con un aumento vertiginoso dei costi.
EFFETTO RIPETIZIONE
Uno degli effetti notati dai ricercatori lo potremmo definire “effetto ripetizione”, nel senso che si è notata una tendenza più elevata di condivisione della fake news se questa è stata già letta da qualche parte. Chi ha già letto la fake news da qualche parte, poi ha un rischio di percepirla vera molto più alto rispetto al gruppo che non ha mai sentito la notizia. Un grosso problema nella gestione delle notizie on line è la mancanza di un controllo delle fonti. Molti cittadini danno credito a qualunque cosa leggano, senza preoccuparsi di verificare da dove provengano le notizie e se siano reali o meno. Così facendo nascono le fake news, notizie false, sì, ma che producono danni molto reali.
Cocaina, la battaglia si sposta sulla genetica
News Presa, Ricerca innovazioneDa qualunque lato si combatta la battaglia della droga, sia che si scelga di stare da lato dei “cattivi”, sia che si combatta con i buoni, le nuova frontiera di questa lotta sembra ormai essere quella della scienza. In modo particolare la chimica e, perché no, la genetica. I tempi di Pablo Escobar, tanto per evocare una figura iconica del narcotraffico, sembrano ormai lontani. La sfida oggi, compici le smart drugs e il deep web, si combatte nei laboratori e in rete. Da Napoli, più precisamente da uno dei laboratori del CEINGE-Biotecnologie avanzate, arriva oggi una notizia che potrebbe cambiare il corso naturale di questa battaglia e il nostro modo di pensare alle sostanze psicoattive.
PROVETTE E COCAINA
La cocaina è un potente psicostimolante, una droga che in Italia (e nel resto del mondo) vede un consumo smodato, anche tra i ragazzini. È una droga devastante, che produce danni alla salute (in senso fisico) ma anche alla salute mentale. E la cosa che molti non sanno, soprattutto i consumatori più giovani, è che i danni sono spesso irreversibili. Infatti, oltre alla tossicodipendenza, questo stupefacente può causare gravi problemi psichiatrici quali ansia, depressione e psicosi. Gli effetti psicotropi della cocaina sono strettamente legati alla sua capacità farmacologica di modificare nel cervello la cosiddetta “trasmissione dopaminergica” nel cervello, in modo particolare in un circuito nervoso che gli addetti ai lavori definiscono “mesocorticolimbico”. Nonostante l’abuso diffuso di questa droga nella società contemporanea, ancora oggi è largamente incerta la conoscenza delle cause genetiche che ne influenzano l’assunzione e l’entità degli effetti psicotropi su base individuale. Quello che i ricercatori del CEINGE-Biotecnologie avanzate di Napoli hanno fatto è stato evidenziare che il gene Rhes (denominato anche RASD2) esercita un ruolo centrale nella modulazione delle risposte comportamentali e molecolari indotte da cocaina. Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista Scientific Report (Nature Publishing Groups)
IL FRENO MOLECOLARE
I ricercatori sono quelli dl Laboratorio di Neuroscienze del Comportamento, Alessandro Usiello (Principal Investigator CEINGE, professore ordinario di Biochimica clinica dell’Università della Campania L. Vanvitelli – DISTABIF) e il suo team di studiosi, composto tra gli altri da Francesco Napolitano, ricercatore dell’Università di Napoli Federico II. Grazie alla stretta collaborazione scientifica con Nicola Mercuri (professore ordinario di Neurologia dell’Università di Roma Tor Vergata, Massimo Pasqualetti, professore ordinario di Biologia dell’Università di Pisa), Angela Chambery (professore associato di Biochimica dell’Università della Campania L. Vanvitelli) e Tommaso Mazza (direttore dell’Unità di Biologia Computazionale presso l’Ospedale di Casa Sollievo della Sofferenza), i ricercatori del CEINGE hanno identificato da un punto di vista neurobiologico la proprietà di Rhes di esercitare un fisiologico “freno molecolare” capace di contrapporsi agli aumenti “tumultuosi” della trasmissione dopaminergica associati alla somministrazione della cocaina. E qui si entra un po’ nel tecnico, perciò proviamo a semplificare. Gli esperimenti fatti nel laboratorio di Alessandro Usiello hanno dimostrato che la rimozione del gene Rhes dal DNA su alcune cavie causa profonde alterazioni nel comportamento ma anche a livello molecolare in relazione al trattamento con la cocaina. Infatti, la cocaina nei topi mutanti (Rhes KO) induce un incremento sensazionale degli effetti psicoattivi fin da concentrazioni bassissime e a dosaggi di gran lunga inferiori a quelli biologicamente attivi nel gruppo di animali controllo. Questa ricerca ha molte implicazioni e possibilità di sviluppo, sia nel modo in cui in futuro si potrà affrontare il problema legato a questa droga (ma anche al altre), sia nello sviluppo di nuove ricerche che possano portare ad altre importanti scoperte.
ISS: sotto stress le cellule maschili si suicidano, quelle delle donne resistono
News PresaUn nuovo studio conferma che essere uomini o donne condiziona l’insorgenza e il decorso delle malattie, come pure la risposta alle cure. Un gruppo di ricercatori del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’ISS, in uno studio pubblicato sulla rivista internazionale Cell Death and Disease, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Bologna e del CNR di Roma, è riuscito ad identificare alcuni componenti molecolari alla base della diversa risposta delle cellule maschili (XY) e femminili (XX) agli stress, capaci di attivare i processi di morte cellulare (apoptosi) o di indurre meccanismi protettivi (autofagia).
“In generale – spiega Paola Matarrese dell’ISS, coautrice della ricerca – le cellule maschili (XY) rispondono allo stress andando incontro a morte programmata (apoptosi), una forma di suicidio cellulare regolato; mentre le cellule femminili (XX), in risposta allo stesso stress, attivano meccanismi di sopravvivenza (autofagia) e resistono alla morte cellulare”.
“Alla base di queste differenze – sostiene Anna Ruggieri del Centro ISS per la salute genere specifica – potrebbe essere coinvolto un microRNA (miR548am-5p) che, proprio per questo, è stato oggetto del nostro studio”. I microRNA sono corte sequenze di materiale genetico che regolano l’espressione dei geni, e sono in grado di cambiare il destino delle cellule, modificandone le funzioni, la specializzazione e la capacità proliferativa. I microRNA hanno un ruolo in molte malattie, dai tumori alle malattie infettive e autoimmuni, nelle quali si sono osservate alterazioni dei loro livelli di espressione. Inoltre, ogni microRNA è in grado di regolare numerosi geni, generando un effetto a cascata di grandi proporzioni.
I microRNA sono presenti anche sui cromosomi sessuali e in particolare sul cromosoma X. Le cellule delle donne hanno due cromosomi X, mentre le cellule degli uomini hanno un solo cromosoma X e un cromosoma Y. Per mantenere un equilibrio nel numero di geni e di proteine, nelle cellule femminili uno dei due cromosomi X rimane inespresso, viene cioè inattivato. Alcune porzioni del cromosoma X sfuggono però all’inattivazione. Questo significa che, le donne, rispetto agli uomini, hanno un numero doppio di quei geni che si trovano proprio nelle zone del cromosoma X sfuggite all’inattivazione. Partendo da un’analisi bioinformatica, il gruppo di ricercatori ha selezionato alcuni microRNA localizzati proprio in quelle regioni del cromosoma X che sfuggono all’inattivazione, identificandone alcuni che sono quindi espressi maggiormente nelle cellule femminili. I ricercatori hanno così verificato sperimentalmente che il miR548am-5p era presente in cellule femminili umane (fibroblasti di cute) a livelli cinque volte maggiori rispetto alle stesse cellule maschili ed era direttamente coinvolto nella regolazione del destino cellulare (apoptosi o sopravvivenza). “In particolare, l’alto livello del miR548am-5p nelle cellule femminili sarebbe responsabile – continua Ruggieri – della maggiore resistenza a diversi tipi di stress, attraverso la regolazione di alcuni geni, come Bax e Bcl2, coinvolti nei meccanismi di morte mediata dai mitocondri”.
“La scoperta che non solo geni, ma anche elementi regolatori della loro espressione siano presenti in quantità diverse tra uomo e donna – conclude Matarrese– dimostra ancora una volta come la biologia dei due sessi sia fondamentalmente diversa e come tale vada affrontata. Una delle importanti ricadute di questa scoperta è dunque il potenziale utilizzo di questi microRNA come biomarcatori di quelle malattie che colpiscono i due sessi in maniera diversa, oltre che come nuovi bersagli terapeutici sesso-specifici”.
A ciascuno la sua salute
L’80% dei pazienti con malattie autoimmuni (per esempio, lupus, artrite reumatoide, tiroidite di Hashimoto) sono donne. Alcune malattie neurologiche, come il Parkinson e l’Alzheimer, mostrano significative differenze di incidenza nei due sessi: il Parkinson colpisce più gli uomini e l’Alzheimer maggiormente le donne. Le donne hanno una maggiore incidenza di fratture di femore e sono a maggior rischio di depressione. Gli uomini, invece, hanno un rischio maggiore di mortalità per cancro e di essere colpiti da malattie cardiovascolari in più giovane età. Il genere influenza anche la sintomatologia di molte patologie. Per esempio, nel caso dell’infarto del miocardio, i sintomi possono essere diversi nei due sessi determinando talvolta un ritardo nella diagnosi, soprattutto nelle donne. Allo stesso modo, il cancro del colon nella donna si localizza più frequentemente nel colon ascendente, ha meno sintomi all’esordio e si manifesta successivamente con caratteri di urgenza. A fronte di tante differenze le donne sono spesso penalizzate nelle cure, poiché i trial clinici sono effettuati quasi esclusivamente negli uomini e le conoscenze sulla diversa risposta alle terapie nei due sessi spesso non sono applicate nella pratica clinica. Ne consegue una minore appropriatezza delle cure nel sesso femminile, almeno per alcune malattie, rispetto a quello maschile.
Infertilità, una chance in più con il “social freezing”
News PresaL’ infertilità è la malattia più spaventosa del nuovo millennio, lo è perché riguarda sia gli uomini che le donne ed è in costante aumento. I dati, emersi nel corso del Congresso Nazionale di Ginecologia e Ostetricia in corso a Napoli, ci dicono che il 25% della popolazione sceglie di posticipare la decisione di avere figli, trascurando la riduzione dell’età ovarica correlata all’aumento dell’età biologica. Le donne in cerca di una gravidanza, in particolar modo dopo i 35 anni, dovrebbero sempre sottoporsi al cosiddetto pap-test riproduttivo, che poi altro non è se non un semplice esame diagnostico che misura il valore dell’ormone antimulleriano, consentendo di accertare il numero di follicoli, e quindi di effettuare una stima dell’età ovarica, vale a dire del potenziale riproduttivo, così da poter intervenire con una strategia appropriata.
SOCIAL FREEZING
Un’opportunità concreta per gli ‘aspiranti genitori’, non solo in presenza di patologie oncologiche, è rappresentata da quello che viene chiamato social freezing, che consente di congelare il materiale biologico – gameti e tessuto ovarico – per poterlo utilizzare in un secondo momento. Nei centri di sterilità la crioconservazione viene effettuata nelle donne con infertilità che si sottopongono a PMA, per aumentare le chance di una gravidanza in caso di fallimento del primo ciclo di stimolazione, e nelle pazienti oncologiche che devono sottoporsi a chemioterapia. È il caso, ad esempio, delle donne affette da tumore al seno, la neoplasia oncologica femminile più diffusa – il 30% di tutti i tumori – che insorge già tra i 20 e i 44 anni. Solo presso il Centro di Sterilità dell’Università “Federico II”, centro di riferimento per tutto il Sud Italia, negli ultimi due anni abbiamo effettuato un counseling dedicato ad oltre 2mila pazienti oncologici. Stanno inoltre aumentando le richieste di social freezing anche da parte di donne ‘sane’ che, in attesa di realizzarsi nella vita di coppia e nel lavoro, decidono di congelare gli ovociti per non rinunciare al desiderio di diventare madri”.
STILI DI VITA
Le ultime frontiere della Medicina della Riproduzione consentono di crioconservare anche parti di ovaio in adolescenti e giovani donne affette da neoplasie del sangue, per un successivo reimpianto nella sfera genitale della paziente. Si tratta di una tecnica in grado di restituire alla donna la piena capacità riproduttiva. Tenere sotto controllo l’età ovarica non basta a preservare la fertilità. Secondo gli esperti, un errato stile di vita rappresenta un fattore di rischio importante al pari dell’età. Ad esempio, le infezioni contratte attraverso rapporti sessuali occasionali possono comportare conseguenze negative a lungo termine sulla fertilità. Anche il fumo, l’obesità e l’esposizione a inquinanti ambientali sono fattori in grado di influenzare la salute sessuale e riproduttiva di un individuo, intervenendo negativamente sula qualità degli ovociti e degli spermatozoi. La prevenzione dell’ infertilità è diventata una tematica di estrema rilevanza sociale. Per questo motivo, la consulenza clinica da parte del ginecologo deve essere supportata dall’impegno delle Istituzioni, in primis della scuola, verso azioni concrete per promuovere una maggiore consapevolezza da parte dei giovani, fin dall’adolescenza, dell’impatto di scorretti stili di vita sulla salute riproduttiva.
Halloween affascina i bambini, lo psicologo spiega perché
News PresaHalloween è alle porte: una festa che abbiamo ereditato così bene al punto da dimenticare quel ponte “dei morti” che dava un po’ di respiro dopo la pausa estiva. Tutti i bambini aspettano con entusiasmo di vedere scheletri, mostri e finto sangue. Lo psicologo e psicoterapeuta Adriano Formoso che da sempre si occupa anche delle dinamiche infantili spiega gli effetti di questa festa sulla mente dei bambini.
D. Come può la paura avere un’accezione così positiva?
Formoso: Halloween celebra i morti e tutti i travestimenti che in questa tradizione hanno a che fare con la morte mitologica ma anche satanica. I nostri bambini adorano questa festa che diventa anche icona della vacanza e non vedono l’ora di mascherarsi come streghe, vampiri, mostri, zombi e altre creature soprannaturali assetate di sangue
Ciò che attira è l’ignoto e la paura verso quello che non si conosce, anche se dobbiamo distinguere la “paura primaria” dalla “paura gioiosa” legata a questa festa. I bambini temono la paura (primaria, appunto) e a loro non piace avere paura nella vita reale di tutti i giorni, dimostrato al timore esteso del buio e dell’ignoto.
Questo sentimento di paura (gioiosa) diventa un sentimento di paura controllata, che ci consente di avere un ascendente rispetto al sentimento di cui abbiamo paura e che di solito non vogliamo avere. Così la vera paura è annullata e tutta l’energia convertita il gioia e divertimento.
Se ai bambini piace avere paura, spaventare e spaventare gli altri in una data specifica, è proprio perché questa vacanza è determinata nel tempo, è come incubo che si crea e che, per questo motivo, non è mai pericoloso perché lo si evita. E’ gratificante per il bambino: quando si ha paura è come se si diventasse più forti. Ciò che rassicura il bambino è la giocosità, il piacere del travestimento, l’idea che siamo un altro e che non c’è confusione tra l’immaginario e la realtà
D. C’è una correlazione che spiega la scelta di alcune maschere piuttosto di altre (zombie, mostro insaguinato, mostro, zucca…)?
Formoso: È un modo lecito per infrangere regole, ruoli e convenzioni senza sentirsi in colpa o fuori luogo, nascondere anche alcuni aspetti psicologici di sè stessi.
Dall’osservazione dei numerosi bimbi che seguo presso il mio Centro di Neuropsicofonia di Milano, sono numerosi i maschi che amano di più travestimenti che riconducono a sangue ed efferatezza. Le femmine sono a volte più cervellotiche: se sono delle vampire sono vampire romantiche e se nel caso delle streghe, sono belle e seduttive.
Campagna vaccinale, a Napoli il testimonial è Casillo
Prevenzione«Voi dovete metterci solo il braccio». Lo dice con una magistrale interpretazione Benedetto Casillo, testimonial quest’anno della campagna vaccinale lanciata dall’ASL Napoli 1 Centro in vista dell’influenza di stagione. Lo spot, girato sul lungomare di Napoli, è frutto anche della collaborazione tra la ASL e l’Ordine dei Medici di Napoli. Una sorta di “alleanza per la salute” che l’Istituzione sanitaria h siglato con i camici bianchi partenopei e che porterà l’invito a vaccinarsi sui monitor di tutte le metropolitane e le funicolari di Napoli. «Solo facendo squadra con chi sul territorio è a contatto con i cittadini – dice il direttore generale ASL Ciro Verdoliva – possiamo far comprendere l’importanza di un gesto semplice ma indispensabile». Parole accolte con favore dal presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli Silvestro Scotti: «Una battaglia alla quale tutti i medici tengono molto per la quale, non a caso, l’Ordine si spende da anni. Oggi giorno non è sufficiente garantire l’offerta vaccinale, è fondamentale porre rimedio ai danni creati dalle fake news. Noi siamo in campo anche per questo».
IL VIRUS
Ma perché è importante partire sin da subito con il piede giusto? Sono le temperature più basse a le continue escursioni termiche a favorire la circolazione degli agenti che causano problemi alla salute. Tra questi, i virus influenzali, in grado di provocare casi severi (soprattutto nelle persone più fragili). L’influenza si manifesta come un’infezione respiratoria acuta (con malessere generale, febbre anche oltre i 38 gradi, mal di gola, tosse) ed è particolarmente pericolosa nelle cosiddette “categorie a rischio”, come gli anziani o i pazienti affetti da malattie croniche debilitanti e i malati cronici. Molto importante, inoltre, per le donne in gravidanza, che non dovrebbero mai rincarare a vaccinarsi contro l’influenza. Tra i danni collaterali, al momento del picco epidemico, l’affollamento dei servizi sanitari, tra visite mediche, accessi al pronto soccorso e ricoveri in ospedale. Il modo migliore di fare prevenzione è vaccinarsi.
CHI RISCHIA MAGGIORMENTE
E’ bene ricordare che la vaccinazione contro l’influenza è gratuita per le persone con 65 anni di età (soggetti di età pari o superiore a 65 anni – chi ha compiuto o compirà 65 anni entro dicembre 2019, nati quindi nel 1954) e per coloro che soffrono di malattie croniche ad alto rischio di complicazioni, ad esempio malattie croniche dell’apparato cardio-circolatorio, respiratorio, renale. Ma anche malattie metaboliche (diabetici, persone affette da malattie renali e di tipo immunologico ecc) o malattie congenite o acquisite che comportino carente produzione di anticorpi, immunosoppressione indotta da farmaci (pazienti oncologici) o da HIV. E ancora, malattie infiammatorie croniche e malassorbimenti a livello intestinale, malattie per le quali sono programmati importanti interventi chirurgici, malattie neuromuscolari a rischio di aspirazione delle secrezioni respiratorie.
FINO A DICEMBRE
La campagna di vaccinazione antinfluenzale andrà oltre la fine di dicembre garantendo, soprattutto attraverso l’impegno dei Medici di Medicina Generale (medici curanti) e dei Pediatri di Libera Scelta, la somministrazione gratuita del vaccino ai soggetti a rischio. Restano poi dei consigli di buon senso che possono essere molto utili a limitare la circolazione del virus, ma che in nessun caso sostituiscono la vaccinazione. Per combattere l’influenza e le più comuni sindromi da raffreddamento è importante:
Premio ai tre scienziati: rivoluzionata la cura del tumore al seno
News PresaIl premio Lasker-DeBakey per la ricerca clinica 2019 è stato assegnato ai tre scienziati che più hanno contribuito a identificare e portare in clinica il trastuzumab, oggi alla base del trattamento del tumore mammario. “HER2 e tumore mammario – una fenomenale storia di successo.” recita il titolo dell’articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine, che racconta la storia della scoperta che ha portato tre scienziati fino al premio Lasker-DeBakey 2019. I vincitori del riconoscimento sono gli statunitensi Michael Shepard e Dennis Slamon e il tedesco Axel Ullrich, premiati, come si legge sul sito della Albert and Mary Lasker Foundation, “per aver creato Herceptin (nome commerciale della molecola trastuzumab), il primo anticorpo monoclonale che blocca una proteina capace di causare il cancro, e per averlo trasformato in una terapia salvavita per donne con tumore al seno”.
Cura del tumore mammario. I numeri
Più di due milioni di donne nel mondo sono state trattate con trastuzumab e molte hanno tratto beneficio da questa terapia, che è oggi il trattamento standard per le pazienti con tumore del seno positivo per HER2. Il farmaco è efficace anche nelle donne con una malattia metastatica che, grazie al trattamento, riescono a raggiungere una migliore qualità di vita e a vivere più a lungo. Nel corso degli anni la famiglia di farmaci diretti contro l’azione di HER2 si è ampliata per includere molecole come l’anticorpo monoclonale pertuzumab, i cosiddetti inibitori tirosin chinasici di HER2 (lapatinib, neratinib e pazopanib) e trastuzumab emtansine, una combinazione tra anticorpo e farmaco tossico per la cellula.
L’arrivo, negli ultimi anni, dell’immunoterapia apre la strada a possibili combinazioni con farmaci anti-HER2. Infine, ma non certo meno importante, trastuzumab sembra avere un effetto anche in altri tumori positivi per HER2 come per esempio quello dello stomaco.
“Le lezioni più importanti che possiamo imparare dalla storia dello sviluppo di trastuzumab sono l’enorme valore di un gruppo di ricercatori visionari, dedicati al progetto e convinti di poter fare la differenza, e il valore delle collaborazioni tra scienziati e tra istituzioni pubbliche e private” afferma Shepard in un suo articolo pubblicato su Cell.
Cuore, italiani poco attenti alle malattie cardiovascolari. L’indagine
PrevenzioneSono la prima causa di morte, eppure le malattie cardiovascolari sono sottovalutate, anche nella popolazione ad alto rischio cardiovascolare. A dirlo sono i numeri poco incoraggianti di un’indagine sugli italiani ad alto rischio cardiovascolare che conferma come 3 su 10 non assumono i farmaci prescritti, la metà li assume in modo saltuario e più della metà non ha cambiato stile di vita. Questi e altri risultati sono stati commentati da esperti nel corso dell’incontro svoltosi a Roma c/o la Sala Stampa della Camera dei Deputati per approfondire i meccanismi che portano all’informazione e alla consapevolezza dei pazienti.
Una realtà, quella italiana, che si inserisce in un contesto europeo che ha voluto lanciare una call to action attraverso una lettera aperta al neo-nominato Commissario Europeo per la salute Stella Kyriakides, firmata congiuntamente dallo European Heart Network (EHN) e dalla European Society of Cardiology (ESC). La richiesta è quella di sviluppare con urgenza un piano d’azione dedicato per combattere la principale causa di morte in Europa, poiché ancora oggi le malattie cardiovascolari non ricevono la stessa attenzione che l’EU riserva ad altre patologie, né fondi adeguati per la ricerca. La preoccupazione è che questa mancanza di attenzione sia dovuta ad una errata percezione dell’impatto che le malattie cardio-cerebrovascolari hanno in termini umani, economici e sociali.
“In Europa si contano ben 49 milioni di persone che vivono con una patologia cardio-cerebro-vascolare, e più di 1,8 milioni di persone muoiono ogni anno per queste malattie. In Italia inoltre i dati ISTAT ci dicono che, già sopra i 45 anni, le malattie del sistema cardiovascolare sono la prima causa di ospedalizzazione.Tutto questo oltre al valore umano ha anche un notevole costo per il sistema salute con una stima di 210 miliardi di € a livello europeo – spiega Emanuela Folco, Presidente FIPC – La Fondazione Italiana per il Cuore, in questo contesto, si conferma allineata con la proposta europea nello sviluppare iniziative che aiutino ad aumentare il livello di consapevolezza sul rischio delle malattie cardiovascolari”. Interventi precisi in termini di prevenzione, possono mettere al riparo da eventi cardiovascolari che hanno dimostrato avere ripercussioni anche sulla qualità di vita. “Ben il 70% di chi ha avuto un evento dichiara che questo ha influito in modo significativo sulla sua qualità di vita e sul benessere psicologico. E questo è un effetto che perdura nel tempo. Dopo 7 anni infatti ancora 1 paziente su 2 ne dichiara il pesante impatto.– spiega Giuseppe Ciancamerla, Presidente di Conacuore – Le ripercussioni sulla qualità della vita dei pazienti hanno risvolti importanti sotto diversi punti di vista, basti pensare che un quarto2 di chi ha avuto un evento cardiovascolare ha dovuto ridurre o abbandonare il lavoro”.
Sono 5 miliardi i costi indiretti tra cui la perdita di produzione ai quali si aggiungono 15,7 miliardi all’anno di costi sanitari. “Oltre a questi costi diretti e indiretti vanno anche considerati quelli sostenuti dal sistema previdenziale per le malattie cardiovascolari – commenta Francesco Saverio Mennini, Direttore Centro per la Valutazione Economica a HTA – che ammontano oggi circa a 800 milioni di euro con un trend in aumento. Questi dati ci fanno comprendere quanto sia importante e urgente prevedere degli interventi sia di natura preventiva che di presa in carico precoce dei pazienti così da ridurre oltre all’impatto clinico anche quello economico e finanziario”
“Il web sta ricoprendo un ruolo crescente come fonte delle informazioni sulla salute per la popolazione italiana. Nel 70% 4dei casi rappresenta infatti il primo canale di accesso alle informazioni ma è anche luogo di approfondimento e di condivisione sulle esperienze di malattia e di cura – spiega Isabella Cecchini, Direttrice Primary Market Research, IQVIA Italia – Il medico si conferma l’interlocutore privilegiato per la cura e per la prevenzione, infatti 8 italiani su 10 si aspettano dal medico di medicina generale informazioni sui rischi cardiovascolari, le strategie di prevenzione, i farmaci. E’ proprio sulla base di questi presupposti che abbiamo accettato con entusiasmo di sviluppare uno studio ad hoc sulle “conversazioni” nella rete, raccogliendo e analizzando informazioni e bisogni relativi alla malattia cardiovascolare”
Dunque il web rappresenta, insieme al medico, il principale canale attraverso cui raccogliere e veicolare informazioni sulla malattia cardiovascolare, modelli di comportamento e campagne di prevenzione. “L’aiuto che la nuova indagine sul mondo social e web ci fornirà, servirà a tarare al meglio le nuove campagne con l’obiettivo di aumentare il livello di consapevolezza della popolazione generale sulle malattie cardiovascolari – conclude Emanuela Folco – Questa indagine, fortemente voluta dalla Fondazione Italiana per il Cuore, si chiamerà “Il cuore batte nel web” e ci prepariamo a presentarla a marzo dell’anno prossimo.”
Sclerosi multipla, tra speranze e nuove prospettive
News Presa«La Sclerosi multipla (Sm) è una delle prime cause di disabilità nel giovane adulto. L’esordio avviene per lo più tra i 20 e i 40 anni e colpisce più le donne. In Italia si stimano oltre 100mila casi, 9mila solo in Campania». Lo spiega Gioacchino Tedeschi, neo presidente eletto della Società italiana di Neurologia.
Professore, quali sono le cause?
«E’ una malattia infiammatoria cronica del sistema nervoso centrale, le cui cause non sono ancora ben definite. E’ noto, però, che nella genesi della Sm intervengono fattori ambientali, tra cui agenti infettivi, abitudine al fumo, carenza di vitamina D, e fattori genetici».
Provoca danni al sistema nervoso centrale?
«Determina il danneggiamento della cosiddetta sostanza bianca cerebrale e midollare, una struttura fondamentale per la conduzione dei segnali nervosi che partono o arrivano al cervello».
Sintomi ed evoluzione della malattia?
«Deficit della vista, dell’equilibrio, della forza, della sensibilità. I sintomi dipendono da quali aree della sostanza bianca vengono danneggiate. Nella maggior parte dei casi, la malattia si presenta nella forma “recidivante-remittente”, caratterizzata dalla comparsa improvvisa e ripetuta di sintomi neurologici – le cosiddette recidive o ricadute – che tendono a regredire spontaneamente dopo alcune settimane. In una piccola percentuale di casi, invece, la malattia evolve in maniera lenta e progressiva sin dall’inizio, forma “primariamente progressiva”, in assenza di fasi acute. L’evoluzione è molto variabile da soggetto a soggetto, potendo condurre ad una disabilità permanente nell’arco di pochi anni così come, in casi più favorevoli, dopo diverse decine di anni».
Come si giunge alla diagnosi e cosa fare dopo la diagnosi?
«In presenza di sintomi suggestivi è fondamentale che il paziente si rivolga ad un centro specializzato nello studio della malattia dove verranno eseguiti gli esami diagnostici strumentali, in particolare la Rm e la puntura lombare che permettono nella maggior parte dei casi di giungere rapidamente alla diagnosi. Una volta che questa viene accertata, è fondamentale che i pazienti seguano le indicazioni date dal Centro dedicato alla Sm».
Quando iniziare la terapia?
«Immediatamente dopo la diagnosi. E’ stato infatti dimostrato che l’inizio precoce del trattamento rallenta l’evoluzione della malattia».
Quali terapie disponibili?
«Anche se ad oggi non esiste una cura risolutiva, molte sono le opzioni terapeutiche che possono modificare favorevolmente il decorso della malattia, riducendo il rischio di ricadute e di disabilità permanente. I farmaci oggi disponibili si pongono, in particolare, due obiettivi. I cortisonici: migliorare il recupero funzionale dopo le ricadute, gli immunoterapici e immunosoppressori: prevenire le ricadute e ritardare la progressione della malattia. La molteplicità dei trattamenti disponibili, permette di personalizzare la terapia, adattandola al livello di attività della malattia. In base alla risposta terapeutica, alla comparsa di eventuali effetti collaterali e alla aderenza alla terapia, questa può essere monitorata per ottenere il miglior risultato possibile».
Come monitorare la terapia?
«Una volta iniziata la terapia, i pazienti vengono sottoposti ad una serie di esami clinici e strumentali periodici per valutare la risposta e la sicurezza del trattamento».
Cosa altro consiglia per incidere favorevolmente sul decorso della malattia?
«Negli ultimi anni si sono resi disponibili nuovi farmaci, che permettono una terapia sempre più specifica in base al caso e alle caratteristiche di attività della malattia. Il fumo, l’eccesso ponderale, una dieta ricca di calorie e grassi animali, una vita sedentaria e il deficit di vitamina D, influiscono negativamente sull’evoluzione della malattia. E’ dunque fondamentale che i pazienti seguano regole di vita sane e corrette, con una dieta equilibrata e una costante attività fisica».
Quale l’impatto della Sm sulla gravidanza e sui progetti di famiglia?
«Non deve scoraggiare i progetti di famiglia e una adeguata pianificazione della gravidanza. La gravidanza non influenza negativamente il decorso della malattia, anzi generalmente la frequenza delle ricadute durante la gravidanza tende a ridursi. Infine, la Sm non complica la gravidanza e i figli di un genitore malato hanno una bassissima probabilità di sviluppare la malattia. In ogni caso rimane fondamentale che la paziente sia adeguatamente seguita e sostenuta dalla decisione del concepimento al successivo periodo di post partum».