Tempo di lettura: 4 minutiIn tutto il mondo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono oltre 340 milioni i bambini e gli adolescenti di 5-19 anni in sovrappeso. Nei paesi dell’Ue, in media, è obeso quasi un bambino su otto tra i 7 e gli 8 anni. Cipro, Italia, Spagna, Grecia e Malta hanno i valori più alti; Danimarca, Norvegia e Irlanda quelli più bassi. A dirlo sono i dati ISTAT che hanno fotografato la condizione e lo stile di vita dei ragazzi in Italia.
Adolescenti italiani in sovrappeso. I dati
In Italia circa 2 milioni 130 mila bambini e adolescenti di 3-17 anni sono in sovrappeso e quasi 2 milioni non praticano sport né attività fisica. Il 74,2% consuma frutta e/o verdura ogni giorno, ma solo il 12,6% arriva a 4 o più porzioni. Nonostante il trend decrescente, ben un quarto dei bambini e degli adolescenti consuma quotidianamente dolci e bevande gassate, il 13,8% snack salati. L’obesità tra bambini e ragazzi è un fenomeno che si rileva non soltanto in Italia e nei Paesi europei, ma anche nel resto del mondo. La condizione di obesità tra i bambini è riconosciuta dalla letteratura come predittiva dell’obesità in età adulta. È infatti stimato che almeno un terzo dei bambini e circa la metà degli adolescenti in sovrappeso rimangano in questa condizione da adulti. Attualmente le condizioni di vita più diffuse tra i ragazzi durante l’età della crescita sono spesso caratterizzate da un ambiente cosiddetto “obesogeno” in cui c’è continua disponibilità di cibi grassi e ricchi di zuccheri e di bevande gassate e/o zuccherate; a questo si associa di frequente un ridotto dispendio energico dovuto a bassi livelli di attività fisica che porta a un pericoloso circolo vizioso.
L’Italia tra i paesi europei con i livelli più alti di obesità tra i 7-8 anni
Nei paesi dell’Ue, in media, è obeso quasi un bambino su otto tra i 7 e gli 8 anni. Cipro (20%), Italia (18%), Spagna (18%), Grecia e Malta (17%) mostrano i valori più elevati; Danimarca (5%), Norvegia (6%) e Irlanda (7%) quelli più bassi. Tra il 2007-2008 e il 2015-2017 il tasso di obesità tra i bambini di 7-8 anni risulta in diminuzione in diversi paesi dell’Ue, in particolare in Portogallo, Slovenia, Grecia e Italia (-4 punti percentuali); tuttavia in Grecia e Italia i livelli rimangono ancora elevati. In Italia è in eccesso di peso un minore su quattro. Nel biennio 2017-2018, In Italia si stimano circa 2 milioni e 130 mila bambini e adolescenti in eccesso di peso, pari al 25,2% della popolazione di 3-17 anni (28,5% nel 2010-2011). Emergono forti differenze di genere con una più ampia diffusione tra i maschi (27,8% contro 22,4%). L’eccesso di peso è più frequente tra i bambini di 3-10 anni, età in cui si raggiunge il 30,4%. Al crescere dell’età, il sovrappeso e l’obesità diminuiscono, fino a toccare il valore minimo tra i ragazzi di 14-17 anni (14,6%).
Eccesso di peso più elevato nel Mezzogiorno
L’eccesso di peso tra i minori aumenta significativamente passando da Nord a Sud (18,8% Nord- ovest, 22,5% Nord-est, 24,2% Centro, 29,9% Isole e 32,7% Sud). Le percentuali sono particolarmente elevate in Campania (35,4%), Calabria (33,8%), Sicilia (32,5%) e Molise (31,8%). Nel tempo l’eccesso di peso diminuisce in quasi tutte le regioni, anche se le graduatorie rimangono sostanzialmente invariate, con le regioni del Mezzogiorno nelle posizioni apicali.
Comportamenti dei genitori influenzano quelli dei figli
I bambini e i ragazzi che vivono in famiglie in cui almeno uno dei genitori è in eccesso di peso tendono a essere anche loro in sovrappeso o obesi. Se entrambi i genitori sono in sovrappeso o obesi anche i figli lo sono nel 37,6% dei casi contro il 18,8% di chi ha entrambi i genitori normopeso.
Analizzando il fenomeno in relazione ad altre informazioni del contesto familiare, si osserva che tendono a essere maggiormente in sovrappeso o obesi i bambini e ragazzi che vivono in famiglie con risorse economiche scarse o insufficienti, ma soprattutto in quelle in cui il livello di istruzione dei genitori è più basso. La quota di bambini in eccesso di peso è infatti pari al 19% tra quanti vivono in famiglie con genitori laureati ma raggiunge il 30,1% se i genitori non sono andati oltre la scuola dell’obbligo.
Quasi 2 milioni di bambini e ragazzi non praticano sport né attività fisica
Nel 2017-2018 sono circa 5 milioni 30 mila i ragazzi di 3-17 anni che praticano nel tempo libero uno o più sport (59,4% della popolazione di riferimento). Il 52,5% lo fa con continuità e il 6,9% saltuariamente.
Il 17,1% dei ragazzi (circa un milione 450 mila), pur non praticando uno sport, svolge un’attività fisica come passeggiare per almeno due km, nuotare, andare in bicicletta o altro.
I bambini e i ragazzi che non praticano alcuno sport o attività fisica nel tempo libero sono, invece, un milione 925 mila, pari al 22,7% della popolazione di 3-17 anni. Tale quota è particolarmente elevata tra i bambini di 3-5 anni (46,1%).
Nel tempo la pratica sportiva ha coinvolto sempre più persone, soprattutto quella di tipo continuativo che è passata dal 47,1% del 2010-2011 al 52,5% del 2017-2018. L’aumento ha interessato in misura più marcata le ragazze, specialmente nella fascia 3-10 anni (+7,7 punti percentuali).
Il gap territoriale Nord-Sud è forte: fatta eccezione per la Sardegna, nella maggior parte delle regioni meridionali e insulari più di un ragazzo su quattro non pratica sport né attività fisica. Viceversa, le percentuali più elevate si rilevano nella Provincia Autonoma di Bolzano (74,5%), in Friuli-Venezia Giulia (73,2%), Valle d’Aosta (72,6%) e Liguria (71,6%).
Anche per la pratica sportiva dei ragazzi le differenze sono marcate sia rispetto al titolo di studio dei genitori che al livello delle risorse economiche della famiglia. Sono soprattutto i ragazzi che vivono in famiglie con status socioculturale più basso a presentare i livelli più elevati di sedentarietà: non pratica sport né attività fisica il 32,1% di quanti vivono in famiglie i cui genitori hanno al massimo la scuola dell’obbligo contro il 12,9% di chi vive in famiglie in cui almeno un genitore è laureato.
Inoltre, esiste una associazione tra l’inattività fisica dei figli e quella dei genitori. Sono soprattutto i giovani i cui genitori dichiarano di non praticare sport né attività fisica ad avere uno stile di vita sedentario: 47,9% se entrambi genitori sono sedentari contro 9,8% se nessuno dei genitori lo è.
Alzheimer: nuovo farmaco approvato in Cina
Ricerca innovazioneÈ stato prodotto da un estratto di alga bruna. Le sue potenzialità derivano dalla capacità di regolare il tipo di colonie di batteri presenti nell’intestino. Si riassume così il nuovo farmaco anti-Alzheimer approvato per la commercializzazione in Cina. Gli esperti però sono attenti a frenare gli entusiasmi, infatti sarebbe prematuro dire che sia il ‘farmaco per l’Alzheimer’ perché i dati sono ancora limitati a pazienti trattati per breve periodo e non è detto che, a lungo termine, il trattamento sia efficace e non abbia effetti collaterali. Intanto nuove strade si aprono sul fronte della genetica con la scoperta di una rara ‘mutazione protettiva’.
Gli studi e i dati sull’Alzheimer
La malattia colpisce circa 48 milioni di persone in tutto il mondo, ma è un numero che aumenta di pari passo con l’invecchiamento della popolazione. Il nuovo farmaco, GV-971, approvato per il mercato cinese dalla National Medical Products Administration è il frutto di 22 anni di ricerca ed è stato approvato sulla base di uno studio clinico di fase 3 condotto su 1.199 persone, della durata di 36 settimane, dal quale è emerso che il farmaco induce “un miglioramento cognitivo solido e coerente” in pazienti con Alzheimer da lieve a moderato. Il team di scienziati è guidato da Geng Meiyu, ricercatrice dello Shanghai Institute of Materia Medica Accademia cinese delle Scienze. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cell Research. Nel frattempo la ricerca procede anche sul fronte della genetica, in particolare con studi di resilienza alla malattia, come riporta un lavoro su Nature Medicine. È stata isolata, infatti, nel Dna di una donna colombiana una mutazione (APOE3ch) in grado di proteggere dall’Alzheimer benché nel suo cervello fosse presente un accumulo di ‘beta-amiloide’: i sintomi della malattia sono comparsi solo tre decenni dopo. Il farmaco permesso in Cina nel frattempo darà la possibilità nei prossimi anni di avere nuovi dati per tracciare altre strade nella ricerca.
Gli schermi cambiano (in peggio) il cervello dei bambini
News PresaBambini e smartphone (tablet), e il timore di tanti genitori che il tempo trascorso davanti agli schermi non faccia bene. Del resto, segno dei tempi che cambiano, oggi è facile vedere i più piccoli fissare un monitor mentre i cucchiaio con la pappa si muove dal piatto alla bocca, e viceversa. Nulla di male, dirà qualcuno, del resto prima era la Tv e ora sono i cellulari. Non è proprio così. Stando ad un recente studio pubblicato su Jama Pediatrics il tempo trascorso davanti agli schermi modifica letteralmente il cervello dei più piccoli. E non in meglio. Come si è fatta quesa scoperta? Con delle risonanze magnetiche al cervello.
CAPACITA’ COGNITIVE
I ricercatori del Cincinnati Children’s Hospital hanno sottoposto 47 bambini e bambine tra 3 e 5 anni ad un test per valutare le capacità cognitive, oltre che a una risonanza magnetica al cervello per stabilire la cosiddetta “integrità della sostanza bianca”, cioè di quella parte che garantisce il corretto passaggio delle informazioni fra le varie zone. Ai genitori invece è stato fatto compilare un questionario sulle ore passate davanti allo schermo e sui contenuti guardati, da cui è scaturito un punteggio. «Alti punteggi nel questionario sono associati significativamente ad un linguaggio meno espressivo, una minore abilità di dare il nome rapidamente agli oggetti e a più basse capacità di scrittura – scrivono gli autori -. All’aumentare del punteggio è risultata associata anche una minore integrità della sostanza bianca, in tratti che coinvolgono le funzioni del linguaggio e dell’alfabetizzazione».
SCREEN FREE
Questo è l’ultimo di una serie di allarmi lanciati dagli esperti sui pericoli dovuti agli schermi, soprattutto sui ragazzi, a cui si è unito ad esempio anche Sean Parker, uno dei fondatori di Facebook. Dallo studio, precisa l’autore principale John Hutton, non emerge un ‘tempo minimo sicuro’. «E’ difficile dire quale siano l’età minima o il tempo più indicato – afferma alla rivista del Mit -. Il mio motto è ‘screen free’ fino ai tre anni, questo almeno fa sì che i bambini arrivino all’asilo con una solida base nel mondo reale».
Biopsia liquida, così si potrà “predire” il tumore
Ricerca innovazioneSe da un prelievo di sangue potessimo avere una diagnosi predittiva, se potessimo scoprire di essere “destinati” ad ammalarci di tumore. Cosa cambierebbe nella nostra possibilità di anticipare la malattia, di aspettarla, per così dire, al varco? Forse un giorno non lontanissimo sarà possibile, intanto fa molto scalpore qualcosa che a questo risultato si avvicina molto: una biopsia liquida (basata quindi proprio su un prelievo di sangue) che serve a predire la prognosi del tumore più aggressivo del cervello, il glioblastoma, e anche a personalizzare le terapie, perché contribuisce a svelare i danni genetici e molecolari alla base della malattia.
IL DNA DEL TUMORE
Lo studio è frutto di un lavoro condotto all’Abramson Cancer Center della University of Pennsylvania, uno studio che si è conquistato con merito uno spazio importante sulla rivista Clinical Cancer Research. La biopsia liquida misura la concentrazione nel sangue di Dna tumorale libero (cioè direttamente circolante nel sangue) ed è proprio grazie a questa speciale biopsia che si può tracciare l’identikit genetico e molecolare del tumore. Questo, ci si potrebbe chiedere, come aiuta a combattere la malattia? Conoscere quali sono i cambiamenti genetici alla base del tumore o anche addirittura individuare aspetti del tumore che potrebbero sfuggire alla classica biopsia invasiva è cruciale perché aiuta a capire quali terapie possono avere effetto, o addirittura porta a terapie personalizzate. «Non si tratta del primo studio di biopsia liquida sul glioblastoma – ha dichiarato la coordinatrice del lavoro Erica Carpenter -. Cionondimeno questo studio è il primo a mostrare che la biopsia liquida basata su un prelievo di sangue potrebbe avere un valore prognostico per questa malattia».
VERSO NUOVE TERAPIE
Il glioblastoma è un tumore molto aggressivo con bassissimo tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi. È anche un tumore molto subdolo perché può insorgere da più di un difetto genetico/molecolare e quindi in genere necessitare di una combinazione di diverse tipologie di trattamento. Il problema è che con la biopsia classica, che peraltro è invasiva e richiede un intervento neurochirurgico, non si riescono mai a scovare tutte le modifiche genetiche e molecolari alla base del tumore. In genere il paziente deve essere sottoposto anche a più di una biopsia per avere un quadro chiaro della malattia, via via che questa progredisce. In questo studio pilota su 42 pazienti gli esperti hanno visto che l’esito del prelievo è predittivo della prognosi del singolo paziente: infatti, le chance di sopravvivenza sono maggiori nei pazienti che presentano meno tracce di Dna libero circolante nel sangue. Inoltre la biopsia liquida individua danni genetici e molecolari alla base della malattia che spesso sfuggono alla biopsia tradizionale. L’uso della biopsia liquida si rivela così sempre più utile a tracciare una vera e propria carta d’identità del tumore, e in questo modo mette i medici in condizione di scegliere terapie mirate. In un futuro ormai prossimo terapie personalizzate consentiranno sempre più di allungare la vita e in molti casi sconfiggere la malattia. In questo senso ogni anno ci sono scoperte nuove e questo deve servire a dare forza e speranza chi ogni giorno combatte la battaglia più dura.
Tumore al seno, ecco i “percorsi di vita”
News Presa, PrevenzioneContro il tumore al seno si è fatto molto, ma c’è ancora tanto da fare se si vuole iniziare a curare la donna e non solo il tumore. Nasce da questa idea il progetto “Percorsi di vita”, messo in piedi dall’associazione Underforty Women Breast Care in collaborazione con La Sapienza di Roma. Il progetto è strutturato in due fasi, una parte scientifica, realizzata grazie alla diffusione di un questionario in anonimato per la raccolta dati che riguardano lo stile di vita delle pazienti dopo la diagnosi di tumore e l’impatto sociale, psicologico, economico e familiare che il cancro determina nella loro vita e in quella dei famigliari. L’altro aspetto del progetto presenta un risvolto pratico immediato, poiché “Percorsi di vita” renderà possibile a costi accessibili, il supporto psicologico di gruppo ed individuale, per le pazienti e i loro famigliari, nonché la possibilità di aderire ad una serie di iniziative, tra le quali: corsi di educazione nutrizionale, recupero immagine corporea (make-up e dermopigmentazione dell’areola), corsi di arte-terapia, danza-terapia, fototerapia, volte a migliorare la loro qualità della vita soprattutto sotto l’aspetto relazionale.
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CICATRICI DELL’ANIMA
Uno dei dati che più colpisce quando si parla di tumore al seno è quello che riguarda la qualità della vita delle pazienti. Se è vero che ormai nella maggior parte dei casi dalla malattia si può guarire, altrettanto vero è che la qualità di vita delle donne colpite è precipitata negli ultimi anni in maniera esponenziale. Questo perché si guarda troppo spesso solo all’aspetto strettamente clinico e chirurgico, senza curarsi delle esigenza “globali” della donna colpita dal tumore. Spesso la malattia, o la chirurgia che consegue, crea delle vere e proprie cicatrici dell’anima. Importante anche saper riconoscere i sintomi di un problema. «Il nostro sistema sanitario a differenza di quello di altri Paesi non si occupa di offrire percorsi che garantiscano una migliore qualità della vita alle pazienti che affrontano la malattia, e invece si tratta di iniziative di cui c’è sempre più bisogno», spiega il chirurgo oncologo Massimiliano D’Aiuto, coordinatore scientifico del progetto.
CAMPANELLI D’ALLARME
In genere le forme iniziali di tumore del seno non provocano dolore. Uno studio effettuato su quasi mille donne con dolore al seno ha dimostrato che solo lo 0,4 per cento di esse aveva una lesione maligna, mentre nel 12,3 per cento erano presenti lesioni benigne (come le cisti) e nel resto dei casi non vi era alcuna lesione. Da cercare, invece, sono gli eventuali noduli palpabili o addirittura visibili, anche se in genere questi sono segni di una forma tumorale già avanzata e non di una forma identificata in fase precoce, quando è più facile da curare. La metà dei casi di tumore del seno si presenta nel quadrante superiore esterno della mammella. Importante segnalare al medico anche alterazioni del capezzolo (in fuori o in dentro), perdite da un capezzolo solo (se la perdita è bilaterale il più delle volte la causa è ormonale), cambiamenti della pelle (aspetto a buccia d’arancia localizzato) o della forma del seno. La maggior parte dei tumori del seno, però, non dà segno di sé e si vede solo con la mammografia (nella donna giovane, tra i 30 e i 45 anni, con l’aiuto anche dell’ecografia).
Istat: in sovrappeso un bambino italiano su 4. Tassi più alti d’Europa
News PresaIn tutto il mondo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono oltre 340 milioni i bambini e gli adolescenti di 5-19 anni in sovrappeso. Nei paesi dell’Ue, in media, è obeso quasi un bambino su otto tra i 7 e gli 8 anni. Cipro, Italia, Spagna, Grecia e Malta hanno i valori più alti; Danimarca, Norvegia e Irlanda quelli più bassi. A dirlo sono i dati ISTAT che hanno fotografato la condizione e lo stile di vita dei ragazzi in Italia.
Adolescenti italiani in sovrappeso. I dati
In Italia circa 2 milioni 130 mila bambini e adolescenti di 3-17 anni sono in sovrappeso e quasi 2 milioni non praticano sport né attività fisica. Il 74,2% consuma frutta e/o verdura ogni giorno, ma solo il 12,6% arriva a 4 o più porzioni. Nonostante il trend decrescente, ben un quarto dei bambini e degli adolescenti consuma quotidianamente dolci e bevande gassate, il 13,8% snack salati. L’obesità tra bambini e ragazzi è un fenomeno che si rileva non soltanto in Italia e nei Paesi europei, ma anche nel resto del mondo. La condizione di obesità tra i bambini è riconosciuta dalla letteratura come predittiva dell’obesità in età adulta. È infatti stimato che almeno un terzo dei bambini e circa la metà degli adolescenti in sovrappeso rimangano in questa condizione da adulti. Attualmente le condizioni di vita più diffuse tra i ragazzi durante l’età della crescita sono spesso caratterizzate da un ambiente cosiddetto “obesogeno” in cui c’è continua disponibilità di cibi grassi e ricchi di zuccheri e di bevande gassate e/o zuccherate; a questo si associa di frequente un ridotto dispendio energico dovuto a bassi livelli di attività fisica che porta a un pericoloso circolo vizioso.
L’Italia tra i paesi europei con i livelli più alti di obesità tra i 7-8 anni
Nei paesi dell’Ue, in media, è obeso quasi un bambino su otto tra i 7 e gli 8 anni. Cipro (20%), Italia (18%), Spagna (18%), Grecia e Malta (17%) mostrano i valori più elevati; Danimarca (5%), Norvegia (6%) e Irlanda (7%) quelli più bassi. Tra il 2007-2008 e il 2015-2017 il tasso di obesità tra i bambini di 7-8 anni risulta in diminuzione in diversi paesi dell’Ue, in particolare in Portogallo, Slovenia, Grecia e Italia (-4 punti percentuali); tuttavia in Grecia e Italia i livelli rimangono ancora elevati. In Italia è in eccesso di peso un minore su quattro. Nel biennio 2017-2018, In Italia si stimano circa 2 milioni e 130 mila bambini e adolescenti in eccesso di peso, pari al 25,2% della popolazione di 3-17 anni (28,5% nel 2010-2011). Emergono forti differenze di genere con una più ampia diffusione tra i maschi (27,8% contro 22,4%). L’eccesso di peso è più frequente tra i bambini di 3-10 anni, età in cui si raggiunge il 30,4%. Al crescere dell’età, il sovrappeso e l’obesità diminuiscono, fino a toccare il valore minimo tra i ragazzi di 14-17 anni (14,6%).
Eccesso di peso più elevato nel Mezzogiorno
L’eccesso di peso tra i minori aumenta significativamente passando da Nord a Sud (18,8% Nord- ovest, 22,5% Nord-est, 24,2% Centro, 29,9% Isole e 32,7% Sud). Le percentuali sono particolarmente elevate in Campania (35,4%), Calabria (33,8%), Sicilia (32,5%) e Molise (31,8%). Nel tempo l’eccesso di peso diminuisce in quasi tutte le regioni, anche se le graduatorie rimangono sostanzialmente invariate, con le regioni del Mezzogiorno nelle posizioni apicali.
Comportamenti dei genitori influenzano quelli dei figli
I bambini e i ragazzi che vivono in famiglie in cui almeno uno dei genitori è in eccesso di peso tendono a essere anche loro in sovrappeso o obesi. Se entrambi i genitori sono in sovrappeso o obesi anche i figli lo sono nel 37,6% dei casi contro il 18,8% di chi ha entrambi i genitori normopeso.
Analizzando il fenomeno in relazione ad altre informazioni del contesto familiare, si osserva che tendono a essere maggiormente in sovrappeso o obesi i bambini e ragazzi che vivono in famiglie con risorse economiche scarse o insufficienti, ma soprattutto in quelle in cui il livello di istruzione dei genitori è più basso. La quota di bambini in eccesso di peso è infatti pari al 19% tra quanti vivono in famiglie con genitori laureati ma raggiunge il 30,1% se i genitori non sono andati oltre la scuola dell’obbligo.
Quasi 2 milioni di bambini e ragazzi non praticano sport né attività fisica
Nel 2017-2018 sono circa 5 milioni 30 mila i ragazzi di 3-17 anni che praticano nel tempo libero uno o più sport (59,4% della popolazione di riferimento). Il 52,5% lo fa con continuità e il 6,9% saltuariamente.
Il 17,1% dei ragazzi (circa un milione 450 mila), pur non praticando uno sport, svolge un’attività fisica come passeggiare per almeno due km, nuotare, andare in bicicletta o altro.
I bambini e i ragazzi che non praticano alcuno sport o attività fisica nel tempo libero sono, invece, un milione 925 mila, pari al 22,7% della popolazione di 3-17 anni. Tale quota è particolarmente elevata tra i bambini di 3-5 anni (46,1%).
Nel tempo la pratica sportiva ha coinvolto sempre più persone, soprattutto quella di tipo continuativo che è passata dal 47,1% del 2010-2011 al 52,5% del 2017-2018. L’aumento ha interessato in misura più marcata le ragazze, specialmente nella fascia 3-10 anni (+7,7 punti percentuali).
Il gap territoriale Nord-Sud è forte: fatta eccezione per la Sardegna, nella maggior parte delle regioni meridionali e insulari più di un ragazzo su quattro non pratica sport né attività fisica. Viceversa, le percentuali più elevate si rilevano nella Provincia Autonoma di Bolzano (74,5%), in Friuli-Venezia Giulia (73,2%), Valle d’Aosta (72,6%) e Liguria (71,6%).
Anche per la pratica sportiva dei ragazzi le differenze sono marcate sia rispetto al titolo di studio dei genitori che al livello delle risorse economiche della famiglia. Sono soprattutto i ragazzi che vivono in famiglie con status socioculturale più basso a presentare i livelli più elevati di sedentarietà: non pratica sport né attività fisica il 32,1% di quanti vivono in famiglie i cui genitori hanno al massimo la scuola dell’obbligo contro il 12,9% di chi vive in famiglie in cui almeno un genitore è laureato.
Inoltre, esiste una associazione tra l’inattività fisica dei figli e quella dei genitori. Sono soprattutto i giovani i cui genitori dichiarano di non praticare sport né attività fisica ad avere uno stile di vita sedentario: 47,9% se entrambi genitori sono sedentari contro 9,8% se nessuno dei genitori lo è.
Paura del buio, ma anche dei piedi. Tutte le fobie degli italiani
PsicologiaDi cosa hanno paura gli italiani? Sembrerà strano, tra le fobie in cima alla classifica c’è la paura del buio, di volare e la paura dei cani. Le malattie, incredibile ma vero, sono solo al quarto posto. Per analizzare il sentimento nazionale non è stato necessario interpellare gli analisti, bensì studiare i dati di Google Trend. Lo ha fatto ”italiani.coop” il centro studi di Coop Italia che ha costruito la classifica delle fobie nazionali, confrontando l’andamento del 2008, 2017 e 2019. E al di là delle curiosità, come ad esempio scoprire che a migliaia hanno paura dei piedi, sono tanti gli spunti di riflessione emersi.
EFFETTO THUNBERG
Tra le paure svelate dalla ricerca ci sono quelle “ancestrali”, ma del resto il timore del buio, se vogliamo dell’ignoto, non è una sorpresa. Tantomeno può sorprendere che in molti abbaino mostrato la paura di volare, anche se a pensarci sono molti di più i morti sulle strade che quelli legati a disastri aerei. Ma che vuoi, non sempre si riesce a razionalizzare. Colpisce, ancor più nella società “pet friendly”, la paura dei cani, che nella top 40 è l’unico animale domestico temuto e oltretutto in crescita. Gli altri sono farfalle, api, serpenti o ragni, cui si affianca nel 2019 la risalita della classifica da parte dei topi, forse in crescita nelle ricerche per lo stato di abbandono di alcune città italiane (rispettivamente 27esimo, 20esimo e nono posto nel 2008, 2017 e 2019). Poi c’è quello che si potrebbe definire l’effetto Thunberg, ovvero il fatto che la continua riproposizione delle donne come leader di movimenti di opinioni (vedi la tuonante e severa Greta Thunberg), capi di organismi internazionali (Christine Lagarde o Ursula Von der Leyen) o anche soggetti prediletti delle cronache più mondane (Meghan Markle duchessa di Sussex) si è tradotta nei trend in un crollo della paura delle donne: dalla posizione 8 nel 2008, alla 17 nel 2019 .
TERRORISMO IN CALO
Altre paure invece sembrano essere il frutto delle cronache più recenti, o della loro assenza, che condizionano molto i termini ricercati. Per esempio, la scomparsa degli attentati terroristici dalle news corrisponde a un calo nelle ricerche di paure come quella del terrorismo, di viaggiare, delle persone e degli spazi aperti. Anche la guerra fa meno paura (da 18esimo a 36esimo in un decennio), forse perché sembrano lontani scenari in cui gli italiani percepiscono di avere dei connazionali impegnati in conflitti come potevano essere Iraq o Afghanistan.
STRANO MA VERO
Nelle ricerche si riflettono anche le percezioni non dichiarate. Crolla e di molto la ricerca della paura di perdere il lavoro (da terzo a 25esimo in una decina di anni è la ricerca che più scende in classifica nel 2019), cresce la paura del cambiamento (dal 23esimo a 18esimo), ma il futuro spaventa di meno gli italiani (dal quinto all’undicesimo). In compenso cresce molto la paura della solitudine, soprattutto nell’ultimo biennio (19esima nel 2017 e ottava nel 2019). Rimangono poi nella top 40 alcune paure atipiche come quella dei bottoni, quella dei clown, quella delle bambole che è in crescita, così come quella dei piedi.
Paperino firma la card per donare gli organi. Cavazzano al Lucca Comics
News PresaSei milioni e mezzo di italiani hanno espresso il loro consenso per donare gli organi. Da ieri, tra loro c’è anche Giorgio Cavazzano, il papà italiano di Paperino, cioè colui che traccia i tratti del personaggio con la sua matita. Il disegnatore, il più celebre degli autori Disney italiani, presente al Lucca comics and games 2019 ha celebrato gli 85 anni del papero più famoso al mondo firmando sul tesserino del donatore. Cavazzano ha inoltre inaugurato “Becoming Human: Be a Hero. Donatori: straordinariamente umani, semplicemente eroi”, la mostra realizzata da Centro nazionale trapianti, Lucca Crea e Ristogest e dedicata alle campagne di comunicazione sociale nazionali e internazionali per la promozione della donazione che hanno come soggetti e testimonial personaggi dei fumetti e supereroi. Il maestro ha poi raccontato di come il tema della donazione sia entrato nella sua vita quando un suo amico ha avuto bisogno di un trapianto di fegato. Per esprimere la volontà a donare gli organi è necessario firmare la “donor card” della campagna nazionale del Ministero della Salute e Cnt. Oltre a Cavazzano, la mostra “Becoming Human: Be a Hero” ha visto il contributo di altri due grandi artisti: Emiliano Santalucia, il toy designer di Hasbro, che ha regalato alla rassegna un’illustrazione originale con al centro Bumblebee, eroe dei Transformers e No Curves, considerato uno dei maggiori esponenti internazionali della tape art, l’arte di disegnare con il nastro adesivo (è sua la copertina dell’ultimo album degli Skunk Anansie). Lo stesso artista dodici anni fa si è sottoposto a un trapianto di rene.
Cardarelli, un PDTA per la cura dei tumori urologici
News PresaTra i tumori più diffusi in Campania ci sono il carcinoma della prostata, del testicolo, del rene e della vescica. Le stime, al ribasso, parlando di circa 6.000 nuovi casi l’anno e più di 15.000 uomini che secondo convivono con queste neoplasie. Sono dati allarmanti quelli emersi in occasione del convegno tenutosi al Cardarelli di Napoli per la certificazione UNI EN ISO 9001:2015 del Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) per il trattamento di questi tumori. Con questo programma di certificazione il Cardarelli di Napoli, riferimento regionale per l’oncologia, l’urologia e il pronto soccorso, si propone sempre più come punto di attrazione per la gestione e il più efficace trattamento del paziente oncologico e, nel caso specifico, del paziente affetto da neoplasie della sfera uro-genitale maschile, che rappresentano patologie molto frequenti tra i giovani e gli over 65.
PRESA IN CARICO
«Un nuovo e importante passo avanti nella ricerca dell’eccellenza – dichiara Giuseppe Longo, Direttore Generale Ospedale Cardarelli di Napoli – Un percorso che il Cardarelli sta affrontando con impegno e decisione sia nell’area dell’emergenza, sia in quella dell’elezione.Il Cardarelli, infatti, si pone come punto di riferimento non solo per i cittadini della Campania, ma anche per quelli che da altre regioni scelgono noi nella consapevolezza di poter trovare grandi professionalità, tecnologie e tecniche all’avanguardia e Pdta certificati. Una realtà che permette alla nostra regione di fare un ulteriore salto in avanti nell’attuale percorso di miglioramento dei livelli assistenziali». Obiettivo del Pdta è assicurare al paziente una presa in carico rapida, efficace ed efficiente, tale da garantirgli un’offerta ampia e innovativa di opportunità diagnostiche, terapeutiche e assistenziali secondo le più recenti Linee guida internazionali.
MULTIDISCIPLINARE
Il lavoro che ha portato alla certificazione del Pdta uro-genitale dell’Ospedale Cardarelli è iniziato molti anni fa nel 2014 con il carcinoma del rene; nel tempo la riorganizzazione dei percorsi si è estesa a tutto il settore delle patologie uro-genitali oncologiche maschili che rappresentano un’area ad alta densità numerica. «Dopo aver realizzato il Pdta nella realtà del Cardarelli – spiega Giacomo Cartenì, già Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica – abbiamo anche iniziato ad accogliere tutti i pazienti oncologici che si presentano al pronto soccorso e così facendo abbiamo anche scoperto che il 52% di questi pazienti è a una prima diagnosi di tumore. L’innovatività sta nel fatto che questi pazienti sono presi in carico e iniziano un percorso ambulatoriale organizzato ad hoc. Grazie a questo nuovo modello offriamo una presa in carico all’interno di un setting assistenziale diverso dal tradizionale ricovero, che passa per l’ambulatorio e il day hospital ma con la sorveglianza di uno specialista oncologo o urologo». Il percorso è imperniato su un team multidisciplinare, che si fa carico del paziente, lo accompagna e rende meno arduo il passaggio da una fase all’altra della malattia. «Sono stati organizzati i GOM, Gruppi Oncologici Multidisciplinari – dice Paolo Fedelini, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Urologia – che comprendono un oncologo, un urologo e un radioterapista oltre all’infermiere case manager che raccoglie le richieste, le organizza e convoca il GOM di volta in volta per discutere i casi singoli. Questo approccio è utile per il paziente che sa di essere gestito e di ricevere una diagnosi e un trattamento che sono la conseguenza di scelte condivise all’interno del team multiprofessionale con uno standard di qualità molto alto».
Vaccini, ecco perché il morbillo può essere un virus killer
Ricerca innovazioneQuando si parla di vaccini l’opinione pubblica si spacca, molti genitori guardano ai vaccini con sospetto, alcuni addirittura sono convinti che facciano male. Basta leggere qualche forum su Facebook per trovare post terrificanti. «Sono bombe per l’organismo di un bambino, mio figlio il morbillo lo deve prendere e poi ci leviamo il pensiero», altri scrivono «Ci siamo fatti tutti le malattie esantematiche, non mi pare che siamo morti. I vaccini servono solo a chi li produce» e così via. Insomma, sui social la tesi del complottiamo e della mano oscura di “Big Farma” va per la maggiore. Fortunatamente la situazione viene controbilanciata dai medici, sempre più spesso calci di usare al meglio gli strumenti social, che dal canto loro cercano di dare buoni consigli. Ora a far molto rumore è una scoperta legata a ben due ricerche scientifiche rispettivamente su Science e Science Immunology. Il succo di questi due studi è che nei bambini il virus del morbillo può produrre un effetto di cancellazione della memoria immunitaria, aprendo la strada a virus molto pericolosi. Già, il virus del morbillo, quello che tanti genitori ritengono poi non tanto pericoloso per i propri figli, può spazzare via fino al 73% degli anticorpi che difendono l’organismo da altre malattie come influenza, herpes e polmoniti.
VIRUS SCAN
Il primo test è stato realizzato dall’Howard Hughes Medical Institute di Boston, assieme all’Harvard Medical School e l’Erasmus University Medical Center di Rotterdam. I ricercatori hanno adoperato il VirScan per verificare il sangue dei bambini e misurare i livelli di anticorpi pronti a combattere virus e batteri. L’esame, fatto prima del morbillo e due mesi dopo l’infezione, ha rivelato che la malattia cancella dall’11% al 73% delle difese anticorpali. Lo stesso test, ripetuto sui macachi prima del morbillo e cinque mesi dopo l’infezione, ha confermato la perdita del 60% degli anticorpi. Conclusioni complementari sono state ottenute dal secondo studio, pubblicato dal britannico Wellcome Sanger Institute con l’Università di Amsterdam. Condotto sempre sullo stesso gruppo di 77 bambini protestanti ortodossi non vaccinati, dimostra che il morbillo causa la perdita di specifiche cellule della memoria immunitaria, lasciando i bambini vulnerabili.
ALLARME CELATO
Come sottolineano gli stessi ricercatori, i risultati dimostrano che “il morbillo è più pericoloso di quanto immaginiamo” e che “il vaccino ha benefici addirittura superiori all’atteso”, dal momento che può proteggere anche da infezioni secondarie alla malattia. Proprio la vaccinazione ha abbattuto dell’80% i casi di morbillo nel mondo tra il 2000 e il 2017 salvando 2,1 milioni di vite, ma a causa delle più recenti campagne no-vax la tendenza si è invertita, tanto che il numero dei casi dal 2018 a oggi è aumentato del 300%. Anche l’Italia sta vivendo questo fenomeno: secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, sono 1.596 i casi di morbillo segnalati dal primo gennaio al 30 settembre 2019, con un decesso per complicanze respiratorie in un adulto di 45 anni non vaccinato e con patologie concomitanti. Valutare l’impatto della vaccinazione è stato l’obiettivo dello studio pubblicato su Science dall’Howard Hughes Medical Institute di Boston con l’Harvard Medical School e l’Erasmus University Medical Center di Rotterdam.
Tumore: 18mln di casi nel mondo. +60% entro il 2040. Fumo primo responsabile
News PresaNel 2018, nel mondo, sono stati diagnosticati oltre 18 milioni di casi di tumore, una cifra destinata ad aumentare di circa il 60% entro il 2040 a causa dell’invecchiamento e dell’aumento della popolazione mondiale. Sono alcuni dei dati pubblicati nella terza edizione del “Cancer Atlas”, frutto della collaborazione tra la American Cancer Society (ACS), l’Unione internazionale per il controllo del cancro (UICC) e l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC). L’Atlante racchiude una panoramica sull’incidenza del cancro nel mondo attraverso grafici, statistiche e mappe sulla distribuzione geografica della malattia e dei fattori di rischio. Alla versione stampata è associato il sito web in cui i dati sono disponibili in formato interattivo. Il tema di questa edizione è infatti “Access create Progress”, l’accesso crea il progresso, slogan che sottolinea l’importanza dell’accessibilità del dato. Inoltre ci sono tre sezioni: fattori di rischio, incidenza e soluzioni.
Il tumore ai polmoni e la lotta al tabagismo
Il tumore ai polmoni è sia quello più diagnosticato, che il responsabile del maggior numero di decessi: nel 2018, nel mondo, sono stati diagnosticati 2,1 milioni di casi e si sono registrati 1,8 milioni di decessi. I Paesi dell’Est Europa sono quelli in cui si registrano i tassi di incidenza più elevati.
Il principale responsabile del tumore al polmone è il consumo di tabacco (due terzi dei casi). Si stima che i fumatori siano 1,3 miliardi, la maggior parte residente nei Paesi a basso reddito o in via di sviluppo.
Nell’indicare le soluzioni praticabili l’Atlante mostra come le politiche fiscali siano un’arma efficace per contrastare il consumo di tabacco. In particolare, l’aumento dei prezzi scoraggia l’acquisto dei prodotti a base di tabacco nelle fasce di popolazione meno abbienti. Ad esempio in Sud Africa il progressivo aumento dei costi al consumo ha portato al calo della prevalenza di fumatori, in misura maggiore nelle fasce più povere della popolazione (erano il 33% nel 1993 e il 20% nel 2003), rispetto alle classi più ricche (da 34% a 29%).
Il contesto europeo e italiano
In Europa, nel 2018, si sono verificati 3,9 milioni di nuovi casi di cancro e 1,9 milioni di decessi. La metà dei casi è rappresentata da quattro tipi di tumore: seno (523 mila nuovi casi, il 13% del totale), colon-retto (500 mila, 13%), prostata (470 mila, 12%) e polmoni (450 mila, 12%). Per quanto riguarda la mortalità, nel 2018 il 20% dei decessi per cancro era dovuto al tumore dei polmoni (388.000 morti), il 13% al colon-retto (242.000 morti) e il 7% al seno (138.000 morti). Per gli uomini si osserva una predominanza di tumori alla prostata nei Paesi occidentali e ai polmoni in quelli orientali, mentre per le donne il cancro al seno rappresenta il principale tumore in tutto il continente. In Italia la casistica rispecchia il quadro europeo: tra le donne il tumore più diffuso è quello al seno (responsabile anche del maggior numero di decessi), mentre tra gli uomini quello alla prostata (il numero più alto di decessi è invece dovuto al tumore del polmone).