Tempo di lettura: 3 minutiL’emergenza pandemica da COVID-19 ha attraversato la quotidianità del nostro Paese, trasformandola in tempi ristretti, costringendo ad una modifica radicale delle abitudini e delle possibilità con cui ognuno di noi è solito pensare alla propria vita. Nella necessità di una reazione comunitaria per la sopravvivenza, la dimensione diretta del nostro spazio sociale si è contratta, accorciando le distanze dei nuclei familiari (riportati in una prossimità a cui forse non erano più abituati) e allo stesso tempo tagliando fuori quella catena di eventi, incontri e relazioni che costituiscono il più fluido tessuto interpersonale di ciascun individuo. Dalle finestre, aperte nel tentativo di mantenere un passaggio con il mondo, si guarda ad una minaccia che per molti “forse sarà, forse non sarà, nel frattempo non è” ma che, tuttavia, nel suo impatto concreto con una parte importante dei nostri bisogni di animali sociali, parla alla “pancia” di ognuno di noi.
I sistemi psicofisiologici degli esseri umani sono predisposti a rispondere ad un livello precosciente alle interazioni con l’ambiente circostante che possono minacciare e/o interessare la sopravvivenza dell’individuo. Semplificando, possiamo ricondurre queste risposte a due “sistemi” che caratterizzano il nostro funzionamento di base: il sistema di difesa e quello di ingaggio sociale. Le attivazioni del primo ci permettono di essere “pronti” ad affrontare un pericolo prima ancora di esserne pienamente consapevoli mentre, al contrario, l’attivazione del sistema di ingaggio sociale porta ad essere maggiormente ricettivi nei confronti dei messaggi provenienti da soggetti portatori di bisogni relazionali e/o di accudimento (dai figli al partner), che consentono la costruzione dei sistemi umani significativi necessari alla sopravvivenza della specie. Semplificando ancora, questi due sistemi funzionano in modo complementare: quando uno dei due è attivo l’altro tende ad avere un funzionamento ridotto.
Il SARS-CoV-2, nella contingenza attuale, ci ha messo nella (seppur momentanea) situazione paradossale di un potenziale funzionamento di “emergenza” all’interno di quello che dovrebbe essere il contesto di sicurezza per definizione: la nostra casa. In questo paradosso, nella prossimità di una minaccia invisibile, potremmo ritrovarci di fronte a un sistema di difesa sovra stimolato dalle notizie sull’emergenza in una dimensione di riferimento coattivamente ravvicinata, con una maggiore facilità di incomprensioni e/o difficoltà nella convivenza.
Come sottolineato dai diversi vademecum diffusi in questi giorni dalle Istituzioni ed Associazioni psicologiche italiane, anche in queste circostanze, la prevenzione e il benessere psicologico sono possibili e si costruiscono sulla base di comportamenti concreti, come ad esempio:
- darsi dei tempi stabiliti per la ricerca di informazioni, evitando di stimolare continuamente un’attenzione selettiva già iperattiva;
- direzionare la ricerca di informazioni a poche fonti affidabili, contrastando quella che potrebbe essere una tendenza protettiva naturale a massimizzare sia la quantità di informazioni raccolte che le fonti;
- in presenza di uno stato di maggiore allerta, con manifestazioni di irritabilità e una minore capacità di utilizzare il dialogo come meccanismo di gestione dei rapporti, cercare di essere consapevoli della minore predisposizione all’interazione con l’altro e tradurre il proprio linguaggio relazionale esplicitando i “non detti”, rallentando i ritmi della comunicazione con maggiori chiarimenti, andando a prevenire quella che potrebbe trasformarsi in una comunicazione di “contrapposizione”;
- cercare di mantenere dei riferimenti basici “sicuri” nella propria giornata, quali una routine di allenamento, l’orario dei pasti, alcuni piccoli rituali di benessere;
- laddove non si possano integrare le giornate con le previste forme di “smart – working”, mantenere comunque, al di là delle attività di svago, dei comportamenti produttivi finalizzati (ad esempio acquisire nuove abilità, imparare una nuova lingua, iniziare un piano di allenamento, fare dei corsi on-line);
- in caso di difficoltà ad adattarsi alla situazione, con risvolti significativi sul proprio funzionamento quotidiano e/o in caso di risvolti traumatici, non vergognarsi a chiedere aiuto a professionisti specializzati, anche attraverso le possibilità che gli attuali strumenti di comunicazione multimediale offrono.
Dobbiamo tutti essere consapevoli che la crescita “post-traumatica” è sempre, attraverso la sofferenza che ne caratterizza i percorsi, un obiettivo da raggiungere. Quella della nostra Comunità italiana (e di conseguenza del nostro Paese), passerà per la capacità di ogni cittadino di prendersi cura di sé stesso e delle proprie relazioni ma, soprattutto, per la capacità dell’intero sistema di far progressivamente “ripartire” chi in questa emergenza sarà stato più sfortunato di altri.
Dott. Paolo Trabucco Aurilio – Psicologo Militare
Disturbi alimentari: le parole degli adulti hanno un peso
Alimentazione, News Presa, Prevenzione, PsicologiaContinua a leggere
COVID-19: Più si conosce, prima si sconfigge!
Ricerca innovazionePiù si conosce, prima si sconfigge! Ecco lo slogan che lancia la campagna di crowdfunding per sostenere la ricerca contro il coronavirus.
Il Dott. Paolo Antonio Ascierto, direttore dell’Unità di Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Ospedale Pascale, nonché “scopritore” dell’efficacia del farmaco tocilizumab contro la polmonite da Covid-19, nel suo videomessaggio chiede l’aiuto di tutti noi affinché si possa realizzare un laboratorio di ricerca per studiare la genetica del virus. «Prima impariamo a conoscerlo, prima capiamo come muta, prima possiamo anticiparlo, aggredirlo con terapie sempre più efficaci» ribadisce Ascierto, «la ricerca può salvare vite umane».
Adesso è il nostro momento, possiamo fare una donazione per aiutare la ricerca sul Covid-19 , collegandoci a Gofundme al link: https://www.gofundme.com/f/8f3ac-coronavirus-aiutiamo-la-ricerca-del-dott-ascierto . Tutte le donazioni consentiranno all’Ospedale Cotugno, all’Istituto Tumori Pascale di Napoli ed all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, di allestire un laboratorio con tutte le attrezzature, i mezzi e il personale specializzato.
La ricerca deve andare avanti, il coronavirus rappresenta un nemico e per sconfiggerlo serve il nostro sostegno.
E ricordate: #restateacasa
Vuoti di memoria: quando preoccuparsi
News Presa, PrevenzionePuò capitare a tutti di perdere le chiavi della macchina o dimenticare dove è parcheggiata, per non parlare delle volte in cui ci si reca al supermercato per comprare qualcosa per poi dimenticarla. I vuoti di memoria sono comuni a tutti, specie nei periodi di forte stress e sono il segno della normale attività del cervello che immagazzina informazioni continuamente. Quando però la mancanza di memoria impedisce la riuscita di attività normali, come mantenere l’igiene personale o guidare, allora è preoccupante.
La Food and drug administration (Fda), l’agenzia Usa che regola i farmaci, sul suo sito spiega che bisogna preoccuparsi quando i vuoti di memoria diventano frequenti. Dimenticarsi ogni giorno dove si è parcheggiata l’auto o continuamente degli appuntamenti, oppure non ricordare una persona dopo averci passato parecchio tempo insieme è un’anomalia. Molti fanno fatica a ricordare i dettagli di una conversazione, ma dimenticare l’intera conversazione può essere un segnale d’allarme, così come il ripetersi o fare le stesse domande nella stessa discussione.
Altri segnali allarmanti possono essere il perdersi in un posto familiare o mettere ad esempio le chiavi nel frigorifero e se i vuoti di memoria peggiorano nel tempo. In questi casi è opportuno rivolgersi al medico. Tra le cause della perdita di memoria non c’è solo l’Alzheimer o le altre forme di demenza. Possono influire anche farmaci, come sonniferi, antidepressivi o antidolorifici usati dopo un intervento chirurgico, alcol e droghe, lo stress dovuto a traumi emotivi, la depressione, lesioni alla testa, infezioni come hiv, tbc o sifilide, disfunzioni della tiroide, insonnia, carenze nutritive e il normale invecchiamento.
Quarantena: difesa e relazioni nella quotidianità
News Presa, Psicologia, Stili di vitaL’emergenza pandemica da COVID-19 ha attraversato la quotidianità del nostro Paese, trasformandola in tempi ristretti, costringendo ad una modifica radicale delle abitudini e delle possibilità con cui ognuno di noi è solito pensare alla propria vita. Nella necessità di una reazione comunitaria per la sopravvivenza, la dimensione diretta del nostro spazio sociale si è contratta, accorciando le distanze dei nuclei familiari (riportati in una prossimità a cui forse non erano più abituati) e allo stesso tempo tagliando fuori quella catena di eventi, incontri e relazioni che costituiscono il più fluido tessuto interpersonale di ciascun individuo. Dalle finestre, aperte nel tentativo di mantenere un passaggio con il mondo, si guarda ad una minaccia che per molti “forse sarà, forse non sarà, nel frattempo non è” ma che, tuttavia, nel suo impatto concreto con una parte importante dei nostri bisogni di animali sociali, parla alla “pancia” di ognuno di noi.
I sistemi psicofisiologici degli esseri umani sono predisposti a rispondere ad un livello precosciente alle interazioni con l’ambiente circostante che possono minacciare e/o interessare la sopravvivenza dell’individuo. Semplificando, possiamo ricondurre queste risposte a due “sistemi” che caratterizzano il nostro funzionamento di base: il sistema di difesa e quello di ingaggio sociale. Le attivazioni del primo ci permettono di essere “pronti” ad affrontare un pericolo prima ancora di esserne pienamente consapevoli mentre, al contrario, l’attivazione del sistema di ingaggio sociale porta ad essere maggiormente ricettivi nei confronti dei messaggi provenienti da soggetti portatori di bisogni relazionali e/o di accudimento (dai figli al partner), che consentono la costruzione dei sistemi umani significativi necessari alla sopravvivenza della specie. Semplificando ancora, questi due sistemi funzionano in modo complementare: quando uno dei due è attivo l’altro tende ad avere un funzionamento ridotto.
Il SARS-CoV-2, nella contingenza attuale, ci ha messo nella (seppur momentanea) situazione paradossale di un potenziale funzionamento di “emergenza” all’interno di quello che dovrebbe essere il contesto di sicurezza per definizione: la nostra casa. In questo paradosso, nella prossimità di una minaccia invisibile, potremmo ritrovarci di fronte a un sistema di difesa sovra stimolato dalle notizie sull’emergenza in una dimensione di riferimento coattivamente ravvicinata, con una maggiore facilità di incomprensioni e/o difficoltà nella convivenza.
Come sottolineato dai diversi vademecum diffusi in questi giorni dalle Istituzioni ed Associazioni psicologiche italiane, anche in queste circostanze, la prevenzione e il benessere psicologico sono possibili e si costruiscono sulla base di comportamenti concreti, come ad esempio:
Dobbiamo tutti essere consapevoli che la crescita “post-traumatica” è sempre, attraverso la sofferenza che ne caratterizza i percorsi, un obiettivo da raggiungere. Quella della nostra Comunità italiana (e di conseguenza del nostro Paese), passerà per la capacità di ogni cittadino di prendersi cura di sé stesso e delle proprie relazioni ma, soprattutto, per la capacità dell’intero sistema di far progressivamente “ripartire” chi in questa emergenza sarà stato più sfortunato di altri.
Dott. Paolo Trabucco Aurilio – Psicologo Militare
Cioccolato? Fa bene, ma solo se è quello giusto
News PresaAmanti della cioccolata al latte, dite addio ad ogni alibi. Consumare regolarmente cioccolata fa bene, ma solo se si tratta di cioccolata fondente. Tutto si ricollega ad uno studio che ha revisionato 19 ricerche cliniche; lo studio in questione è della Brown University di Providence ed è stato pubblicato sulla rivista Journal of Nutrition. Lo scopo? Sfatare falsi miti e capire se consumare regolarmente cioccolato può portare davvero benefici per la salute. Si è guardato al consumo di cioccolato fondente, perché è quello più ricco in flavanoli.
I dati
Lo studio ha preso in considerazione i dati relativi 1.131 volontari che hanno consumato o flavanoli del cacao o placebo per un periodo minimo di due settimane, sino a più di un anno. I risultati hanno cancellato ogni dubbio sui benefici prodotti da un consumo moderato di cioccolato fondente. Nei volontari che hanno assunto il più alto consumo di flavanoli è stata riscontrata una riduzione della resistenza all’insulina e dei livelli di infiammazione sistemica. Questo, tradotto in parole povere, significa abbassare i fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cardiometaboliche. Ovviamente per beneficiare degli effetti benefici della cioccolata è bene puntare sulla qualità. Il cioccolato deve essere a base di cacao in polvere ricco di flavanoli e povero di zuccheri aggiunti e di additivi.
Il cinema e il cioccolato
Al di là dell’aspetto “clinico” il cioccolato ha da sempre giocato un ruolo importante anche nella cura dell’anima. Hollywood ha dedicato a questo tema pellicole memorabili, tra le quali non si può non ricordare Chocolat. Un’intera generazione ha sognato di vivere nel tranquillo paesino di Lansquenet. Moltissime donne hanno desiderato di essere nei panni dell’estrosa Vianne e di poter vivere una romantica storia d’amore con l’affascinante Roux, naturalmente coccolate dalla dolcezza di un finissimo cioccolato.
Quali cibi incidono sui livelli di stress?
AlimentazioneIl lavoro, la famiglia, i figli, la casa: è difficile tenere a bada lo stress tutti i giorni. Essere continuamente sotto stress, però, alla lunga provoca una serie di reazioni fisiologiche (per esempio aumento di produzione del cortisolo, l’ormone dello stress). Se qualche volta questo insieme di reazioni permette di far fronte a situazioni particolari, nel tempo può portare ad un aumento di peso o infiammazioni croniche e persino ad un aumento del livello di zuccheri nel sangue. Lo stress cronico può anche causare “affaticamento surrenale”, una condizione che si verifica quando le ghiandole surrenali (situate al di sopra dei reni) non producono la giusta quantità di ormoni e faticano a far fronte agli stressori esterni (agenti che causano stress) portando a sintomi come depressione, infiammazione o problemi di concentrazione.
Anche il cibo può influire sullo stress. Quando si è stressati il corpo rilascia cortisolo, l’ormone che aiuta a tenere a bada i livelli di zuccheri nel sangue e i livelli di stress. Se si mangiano troppi zuccheri, sarà necessario più cortisolo per riportare i livelli in equilibrio. Al contempo, il rilascio di cortisolo può anche causare disturbi del sonno, abbassare l’efficacia del sistema immunitario e aumentare i mal di testa e gli attacchi di fame. Gli squilibri dei livelli di zuccheri nel sangue causano anche altre sensazioni simili allo stress, come ansia e paura.
Non solo gli zuccheri, anche i dolcificanti artificiali causano problemi di salute come frequenti mal di testa, alterazioni del metabolismo e disturbi cardiovascolari. Insomma è meglio scegliere dolcificanti naturali.
Infine, l’alcol fa aumentare la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca: molte bevande alcoliche sono ricche di zuccheri (che causano stress a loro volta). L’alcol scombussola anche i cicli di sonno. Se anche addormentarsi sarà più semplice, non si tratterà di un sonno profondo e riposante. Troppa caffeina infine, potrebbe dare problemi alle ghiandole surrenali sovrastimolando il corpo. E poiché stimola il sistema nervoso, la caffeina può causare un aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, oltre che causare una sensazione di ansia. Per questo chi soffre di ansia, dovrebbe eliminare il caffè.
Post-verità e fake news: quanto fanno male alla scienza
News Presa, PrevenzioneQuella di oggi è stata definita l’era della post-verità. In questo scenario, la notizia viene percepita e accettata come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, non di un’analisi effettiva sulla veridicità o meno dei fatti. Il fatto oggettivo diventa meno influente nel formare l’opinione pubblica rispetto a emozioni e convinzioni personali.
Un problema che riguarda anche la scienza, come dimostrano i dibattiti in rete, quello sui vaccini in primis. In questo caso la post-verità e le fake news possono causare danni molto seri per le persone e per la società nel suo insieme.
Ad esempio, prendendo il caso dei vaccini, i movimenti antivaccinali non sono una novità. Nel 1800, dopo la pubblicazione delle ricerche con cui si rendeva nota la vaccinazione, il noto disegnatore satirico britannico James Gillray pubblicava una vignetta per terrorizzare i lettori contro le vaccinazioni, nella quale a un gruppo di cittadini accalcati spuntavano vacche dai punti d’inoculo del vaccino. Ma da allora e fino al 1980 i movimenti antivaccinali sono state frange minoritarie, perlopiù appartenenti alle classi sociali più sfortunate. È con gli anni Novanta del Novecento, ovvero con la diffusione del web e di documentari TV critici verso le vaccinazioni, che gli anti- vaccinisti hanno iniziato ad aumentare incessantemente e a cambiare fisionomia sociale. Oggi molti studi confermano che in Italia, come in Europa, Usa e nel mondo occidentale, i genitori critici verso le vaccinazioni appartengono alla fascia alta della popolazione, quella cioè con maggiore grado di istruzione e reddito.
Dunque anche i media, e in particolare i new media, sono sul banco degli imputati. Studi hanno mostrato gli effetti collaterali dei meccanismi di condivisione e diffusione delle informazioni sui social networks: in particolare, la possibilità che questi ultimi producano echo chambers, casse di risonanza online in cui le medesime informazioni, anche quelle non corrette, sono confermate e amplificate continuamente.
Tuttavia, anche la comunità scientifica deve assumersi la propria parte di responsabilità. Le ipotesi formulate dalla scienza sono per loro natura provvisorie, e questa caratteristica della ricerca scientifica deve essere comunicata e spiegata al pubblico. Come diceva lo scrittore André Gide: «Abbi fiducia in chi cerca la verità, ma dubita di chi dichiara di averla trovata».
Coronavirus: è il momento della responsabilità
News Presa, PrevenzioneQuello che sta accadendo in queste ore per l’emergenza Coronavirus rimarrà certamente nei libri di storia: i blocchi di intere regioni e province di manzoniana memoria e poi dell’intero Paese ci portano ad una riflessione approfondita e critica.
La pandemia (perché ormai si va verso questa definizione) riporta all’attenzione – finalmente – la centralità della scienza rispetto all’orientamento e l’indirizzo delle istituzioni in campo sanitario. Il primo decreto (9 marzo) firmato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte su indicazione del comitato tecnico scientifico, già non lasciava spazio ad interpretazioni: non si entra e non si esce (se non per gravi e comprovati motivi di lavoro o famiglia) in Lombardia e 14 provincie di Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. Oltre a Scuole e Università chiuse anche – giustamente – discoteche, palestre, piscine, sale giochi e musei. Infine, in serata, dopo un pomeriggio di consultazioni serrate e solo dopo aver informato il Presidente della Repubblica, il Premier Conte prende la decisione più’ difficile: Tutta Italia è zona rossa, anzi, zona protetta. Le stesse misure applicate in un primo momento alla Lombardia ora riguarderanno tutti gli italiani ed allo stato attuale dureranno fino al 3 Aprile.
Unica assente? La comunicazione, o meglio una comunicazione realmente utile ed efficace per i cittadini. Ora si corre al riparo, lanciando appelli attraverso personaggi noti, da Fiorello ad Emma Marrone, cercando di intercettare i meno recettivi e forse i più irresponsabili: i giovani. Fino a ieri sera, infatti, le piazze ed i locali erano ancora gremite di giovani aitanti non curanti del pericolo. Si ferma lo sport tutto, si ferma finalmente anche l’intoccabile serie A, dopo che nei giorni scorsi la Lega Calcio aveva irresponsabilmente snobbato la sacrosanta proposta di sospensione da parte del Ministro dello Sport Spadafora.
Ora basta sottovalutazioni, basta improvvisati pareri dai social o di pseudo virologi della porta accanto. Tutti devono seguire soltanto le indicazioni diffuse tramite la Protezione Civile. Senza se e senza ma, giovani ed anziani, i cittadini di Napoli come quelli di Milano.
E’ il momento della responsabilità e della solidarietà , che passata “la nottata”, ci restituirà un Italia più forte e più unita.
Marco Trabucco Aurilio
Donne: correre anche solo un minuto al giorno migliora le ossa
PrevenzioneBasta un singolo minuto di esercizio fisico intenso (ad esempio una corsetta) ogni giorno per migliorare la salute delle ossa nelle donne. Uno studio pubblicato sull’International Journal of Epidemiology mostra infatti che coloro che hanno fatto brevi sessioni di attività ad alta intensità di carico avevano una migliore salute ossea.
Insomma, basta davvero poco per fare prevenzione.
La buona salute ossea ha molti vantaggi per la salute, incluso un rischio ridotto di fratture in età avanzata. A causa dei cambiamenti ormonali, le donne in menopausa sono ad alto rischio di sviluppare osteoporosi e debolezza ossea.
In particolare è noto che questo rischio diminuisca con l’aumentare dell’attività fisica.
Nonostante l’esercizio sia di carico sulle ossa, ovvero non ciclismo e nuoto, ma salti, ginnastica e corsa, la forza di gravità e le contrazioni muscolari, infatti fungono da stimolo per la formazione dell’osso stesso. Per stabilire quanta debba essere questa attività, i ricercatori dell’Università di Exeter e dell’Università di Leicester hanno esaminato i dati relativi a più di 2.500 donne e hanno confrontato i livelli di attività (misurati dai monitor a polso) con la salute delle ossa (misurata con scansione ad ultrasuoni dell’osso del tallone).
In conclusione hanno scoperto che le donne che in media hanno fatto 60-120 secondi di attività ad alta intensità al giorno hanno una salute ossea del 4% migliore rispetto a quelli che hanno fatto meno di un minuto. I miglioramenti aumentavano al crescere del tempo dedicato: hanno infatti trovato una salute ossea del 6% migliore tra coloro che hanno corso più di due minuti al giorno.
Se bruxismo fa rima con bullismo
Bambini, Ricerca innovazionePer i genitori di oggi il fenomeno del bullismo è un vero e proprio incubo. In molti si chiedono come si possa capire in tempo se ci sono dei problemi e quali possono essere i campanelli d’allarme. Uno studio pubblicato dal Journal of Oral Rehabilitation risponde proprio a questa domanda, e invita i genitori a prestare attenzione al sonno dei loro bambini. A quanto pare uno dei campanelli d’allarme è infatti il bruxismo notturno, digrignare i denti nel sonno è in alcuni casi il segno di un problema. Secondo gli esperti ne soffre infatti il 65% degli adolescenti che hanno avuto a che fare con i bulli, percentuale quasi quattro volte maggiore rispetto a chi non ha avuto esperienze di questo tipo.
Stress e ansia
Digrignare i denti, ovvero strofinare involontariamente quelli superiori e inferiori a causa della contrazione delle articolazioni temporomandibolari, è notoriamente sintomo di stress e in alcuni casi di ansia, e provoca un’eccessiva abrasione dei denti, unita a disturbi del sonno e mal di testa costante al risveglio. Normalmente questo tipo di condizione viene sottovalutata, molti genitori non sanno infatti che il bruxismo può causare gravi problemi e abbassare di molto la qualità di vita dei loro figli. Lo studio pubblicato sul Journal of Oral Rehabilitation ha stimato che il bruxismo colpisce oltre 15 milioni di italiani e l’incidenza della malattia è in significativo aumento. Dal punto di vista medico questa malattia può portare, alla lunga, a gravi problemi di odontoiatria, come denti usurati, scheggiati, incrinati. Lo studio, condotto dalla Oral Health Foundation, ha esaminato le esperienze di più di 300 adolescenti in Brasile.
Sotto attacco
I ricercatori hanno scoperto che i ragazzi dai 13 ai 15 anni che avevano subito bullismo verbale a scuola mostravano quasi quattro volte più probabilità di digrignare i denti nel sonno rispetto ad altri adolescenti. Soffriva del problema il 65% di chi aveva subito episodi di bullismo, a fronte del 17% di chi non ne aveva subiti. Stando a questa ricerca è evidente che il digrignare i denti durante la notte può nascondere nei più piccoli episodi di bullismo, un vissuto doloroso che troppo spesso resta sommerso. Ecco perché è bene prestare sempre attenzione a questi piccoli, ma sintomatici, campanelli d’allarme.