Tempo di lettura: 4 minutiDopo quasi due anni di pandemia si assiste nuovamente a una fortissima riduzione di attività diagnostiche e interventi chirurgici per molti pazienti e anche per i malati oncologici. “Sicuramente qualcosa non ha funzionato e sarebbe corretto ammetterlo. Anche perché le soluzioni per evitare che ulteriori ritardi e che i progressi raggiunti in termini di guarigione e di sopravvivenza per i malati oncologici vengano vanificati dalla pandemia ci sono: dal potenziamento reale della medicina territoriale alle cure precoci domiciliari fino all’utilizzo di medici pensionati e medici militare negli Hub vaccinali per far sì che i medici degli ospedali non siano sottratti ad attività fondamentali come la diagnostica”. A scrivere è Luigi Cavanna , Presidente del CIPOMO, Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri, in una lettera aperta.
“Negli ultimi anni sono stati ottenuti progressi molto importanti nella cura di pazienti affetti da tumore maligno: aumento di guarigioni, prolungamento della sopravvivenza per chi non guarisce e miglioramento della qualità di vita per la maggior parte dei pazienti. Questi progressi sono stati ottenuti attraverso la prevenzione (screening), la ricerca tecnica, biologica, farmacologica, e strategie di cura multiprofessionale. Questi importanti progressi rischiano di essere vanificati dalla pandemia COVID-19”.
Il Presidente fa poi un elenco dei punti da considerare:
1) a febbraio-marzo 2020 il nostro Paese, soprattutto il Nord, è stato pesantemente colpito dalla pandemia, con le conseguenze che tutti ben conoscono e per quanto concerne i malati di tumore questo si è tradotto in: blocco degli screening, ritardi diagnostici, ritardi per interventi chirurgici ecc. Per una malattia tempo dipendente come il cancro, il ritardo della diagnosi e dell’intervento chirurgico (si pensi ai tumori di stomaco, colon, mammella, ecc), può significare la perdita di possibilità di guarigione vera ed essere quindi destinati a morire per una malattia che se trattata in tempo utile poteva essere guaribile;
2) mentre a marzo-aprile 2020 si è assistito e si è accettato che una buona parte degli ospedali pubblici e privati del nostro Paese fosse riconvertita per le cure esclusive di malati COVID, con sospensione o fortissima riduzione delle attività diagnostiche e di interventi chirurgici per molti pazienti – malati oncologici compresi – diventa ora molto difficile accettare che tutto questo si stia ripetendo dopo quasi due anni di pandemia;
3) due anni in ambito medico, scientifico e sanitario sono una enormità. In due anni cambiano tantissime conoscenze, merito della ricerca, non solo biomedica, farmacologica e tecnica, ma anche organizzativa, relazionale ecc. Perché dopo 2 anni gli ospedali si stanno nuovamente riempiendo di malati COVID? Perché gli interventi diagnostici e chirurgici anche per i malati oncologici sono ancora ritardati-rimandati? Sicuramente qualcosa non ha funzionato e crediamo sia corretto ammetterlo.
Quali soluzioni allora?
“Ci sia permesso ricordare – scrive il dott. Canepa- che in oncologia, attraverso la ricerca clinica ed organizzativa su di una malattia che fino a poco tempo fa non la si chiamava per nome, tumore o cancro, ma si preferiva chiamarla “brutto male”, sono stati sviluppati molteplici processi innovativi. Si pensi agli screening, che sono essenzialmente oncologici, si pensi alle cure del fine vita quando la guarigione non è possibile: le cure palliative e gli hospices sono stati introdotti per i malati oncologici. Sono stati inoltre sviluppati anche i concetti della cura multiprofessionale, multidisciplinare, diventati poi modello di comportamento pratico anche per altre branche della medicina e chirurgia”.
”Sosteniamo, inoltre, che venga finalmente potenziata la medicina territoriale (molto declamata negli ultimi mesi), che si sviluppino una volta per tutte le cure precoci domiciliari, in modo da lasciare liberi gli ospedali. In due anni di pandemia troppa poca ricerca è stata finalizzata alle cure precoci ed i drammatici risultati si stanno vedendo. Chi oggi, a gennaio 2022, ha bisogno dell’ospedale per patologie non COVID-19 rischia di non ricevere una cura adeguata, o comunque di gran lunga inferiore al gennaio 2020 (pre COVID)”.
“Ora sono in commercio farmaci per bocca per le cure precoci a domicilio del COVID, si sviluppino quindi protocolli diagnostico/terapeutici su base scientifica per le cure domiciliari e si raccolgano i dati e si faccia ricerca. La cura precoce domiciliare deve prevedere un approccio multidisciplinare tra medici del territorio, medici specialisti ospedalieri, medici delle unità speciali di continuità assistenziale (USCA). L’obiettivo deve essere quello di ridurre i ricoveri e lasciare liberi gli ospedali per pazienti non COVID.
I vaccini. Negli Hub vaccinali non vengano dirottati i medici degli ospedali, sottratti ad attività fondamentali come la diagnostica (endoscopie, ecografie, ecc) con conseguente impatto molto negativo sui tempi di diagnosi. Si chiamino medici pensionati, si dia l’incarico a medici militari, ecc.
Infine la comunicazione. Troppi “virologi”, terminologia introdotta per il grande pubblico, parlano della pandemia “alzando i toni” l’uno contro l’altro, spesso ridicolizzando chi la pensa diversamente. Non va bene. Abbiamo imparato anni fa, durante le manifestazioni a sostegno della “cura di Bella” che ridicolizzare, parlare con arroganza, non paga, anzi spesso si ottiene l’effetto opposto. Sarebbe opportuno che si parlasse con più umiltà, avendo il coraggio di dire che molti aspetti ancora non si conoscono e qualche volta dire “non lo so”, si deve cercare di unire le persone, infondere tolleranza, fiducia e rispetto, anche per chi la pensa diversamente.
CIPOMO cercherà in ogni modo di tutelare i tanti cittadini che si ammalano di tumore (oltre mille ogni giorno), al fine di evitare che di fronte all’ennesima variante di COVID gli ospedali tornino in ginocchio, le diagnosi vengano ritardate e gli interventi chirurgici non eseguiti. Le soluzioni ci sono e devono essere attuate, i mezzi di comunicazione provino a considerare che esistono purtroppo tante altre categorie di malati oltre ai pazienti COVID e molte malattie come il cancro sono tempo dipendenti e mentre un’alta percentuale di malati COVID può essere curata in sede extra ospedaliera, questo non è possibile per chi deve essere operato per un carcinoma del colon, dello stomaco, del polmone, della mammella o di altro tumore”.
Fibromi uterini: spesso silenti, ma interessano oltre 70% delle donne
PrevenzioneI fibromi uterini sono la neoplasia benigna più diffusa al mondo. L’incidenza è al 70% nelle donne tra i 30 e i 50 anni, ma secondo gli esperti è un numero sottostimato. In totale, a livello europeo sono circa 24 milioni le donne interessate da fibroma e di queste più di 3 milioni solo in Italia.
Pur essendo formazioni benigne, si tratta di una patologia ginecologica che spesso compromette la qualità della vita della paziente. Una volta diagnosticato un fibroma va monitorato seguendo le prescrizioni del proprio ginecologo e facendo attenzione a quei campanelli d’allarme che possono indicare la necessità di un intervento tempestivo. Ad approfondire l’argomento è la dottoressa Annamaria Baggiani, Responsabile del Servizio di Infertilità Femminile e Procreazione Medicalmente Assistita di Humanitas Fertility Center.
I sintomi dei fibromi uterini
Queste formazioni interessano il tessuto muscolare dell’utero in particolare nelle donne in età fertile. Presentano caratteristiche variabili, per dimensioni, forma, collocazione ed evoluzione. “Possono manifestarsi in maniera silente o asintomatica – sottolinea la specialista – motivo per cui possono venire individuati casualmente durante una visita ginecologica di controllo, ma anche essere associati a sintomatologia specifica.
I sintomi correlati ai fibromi uterini sono svariati e vanno da un sanguinamento abbondante durante le mestruazioni, a dolori mestruali e addominali accentuati, a dolore durante i rapporti sessuali, a minzioni più frequenti o a una sensazione di “peso” addominale causate da una compressione della vescica. Anche l’anemia può essere una condizione associata al fibroma uterino”. Per quanto riguarda la cura “il ginecologo,– continua la specialista – in base alla sintomatologia riportata dalla paziente e ad altri elementi tra cui l’età e la storia clinica e riproduttiva, saprà indicare il percorso di cura più adatto, che può essere sia farmacologico, sia chirurgico, sia di attesa”.
I rischi di una diagnosi tardiva
“Fibromi diagnosticati in ritardo – continua l’esperta – se associati a sintomatologia importante, o la presenza di fibromi multipli e voluminosi, può comportare un intervento d’urgenza e l’impossibilità di salvaguardare l’utero della paziente. Quando si presenta una situazione clinica del genere, in particolar modo se la paziente è in età riproduttiva, la prima opzione è quella di considerare un trattamento medico o chirurgico conservativo, cercando dunque di evitare l’asportazione dell’utero. Ad oggi sono infatti disponibili trattamenti farmacologici grazie ai quali si possono evitare i trattamenti demolitivi, preferibili in donne che hanno superato la menopausa”.
Per quanto riguarda la gravidanza: “i fibromi possono presentarsi in maniera asintomatica anche in questo caso – sottolinea – e alcune tipologie di fibromi possono comprometterla o condizionarla significativamente. I fibromi sottomucosi, infatti, possono ostacolare impianto e sviluppo dell’embrione, arrivando anche al rischio di aborto. I fibromi intramurali possono invece indurre un parto prematuro, per un possibile aumento dell’attività contrattile uterina. Inoltre, in gravidanza alcuni fibromi aumentano di volume, soprattutto nel primo periodo della gestazione, e talvolta provocano dolori e, se molto voluminosi, malposizionamenti fetali”.
Plastica e stili di vita, cosa c’è da sapere
Stili di vitaLa plastica può essere un rischio per la salute più di quanto si creda. Comoda per conservare cibi e utilizzata in tutti gli oggetti con i quali entriamo in contatto ogni giorno, la plastica può essere un problema a causa di quelli che si definiscono “plastificanti”, ovvero sostanze chimiche che conferiscono le caratteristiche che tutti conosciamo. Il bisfenolo A (BPA), ad esempio, è utile per dare alla plastica trasparenza e resistenza, ed è usato per la produzione di resine anche per usi alimentari, plastiche in policarbonato e come reagente nella carta da forno. Allo stesso modo, gli ftalati conferiscono flessibilità e morbidezza e vengono utilizzati principalmente in prodotti polimerici, in alcuni imballaggi per prodotti alimentari, cosmetici e in attrezzature mediche. Il problema è che queste sostanze chimiche possono essere rilasciate nei prodotti in cui sono stati utilizzati, determinando l’esposizione della popolazione attraverso i prodotti di uso quotidiano, l’ambiente di vita e l’alimentazione. In altre parole, i nostri stili di vita possono esporci al rischio di assumere queste sostanze sia per contatto, sia per ingestione. Ovviamente questo non significa che utilizzando una bottiglia di plastica o della pellicola per alimenti mettiamo a rischio la nostra salute, ma di certo che dovremmo limitare quanto più possibile l’uso e il contatto con la plastica.
LO STUDIO
Proprio i rischi connessi all’uso delle plastiche sono stati presi in considerazione da un progetto denominato “Life persuaded”, che ha misurato i livelli di ftalati e di BPA nelle urine di bambini dai 4 ai 14 anni e nelle urine delle loro madri, inoltre ha valutato alcuni aspetti dello stile di vita e delle abitudini alimentari delle persone arruolate nello studio attraverso un questionario preparato ad hoc. Dalla valutazione delle risposte fornite in relazione ai livelli di esposizione misurati, con questo progetto è stato possibile stilare una lista di suggerimenti grazie ai quali ognuno di noi può apportare dei cambiamenti al proprio stile di vita per limitare l’esposizione a queste sostanze con benefici per la propria salute e quella dell’ambiente. Ecco i 10 consigli da seguire per cercare di limitare al massimo l’assunzione di queste sostanze.
Chirurgia pediatrica tra telemedicina e tecnologia 5G
News PresaPiù di 300 chirurghi pediatri africani, indiani e russi si preparano ad apprendere nuove tecniche d’intervento grazie alla seconda edizione del Master Europeo di Chirurgia Pediatrica realizzato dalla Società Europea di Chirurgia Laparoscopica Pediatrica (ESPES) per fronteggiare l’emergenza Coronavirus in Africa, in India e in Russia e organizzato grazie alla telemedicina e al telementoring, dal professor Ciro Esposito (direttore della UOC di Chirurgia Pediatrica del Policlinico Federico II e CEO ESPES. «Questa situazione di emergenza globale legata alla pandemia da Covid – spiega Esposito – è stata uno stimolo a migliorare la qualità dell’assistenza chirurgica pediatrica per i nostri piccoli pazienti e per accelerare la realizzazione di progetti internazionali di modernizzazione ed innovazione utilizzando le nuove tecnologie, come il telementoring e la tecnologia 5G». Fino al 2019, gli esperti europei di chirurgia mini-invasiva pediatrica si recavano spesso in Africa, India e Russia e in altre nazioni ad operare piccoli pazienti con complesse malformazioni congenite o con patologie oncologiche utilizzando tecniche mini-invasive per aiutare i colleghi chirurghi pediatri stranieri. «Per fronteggiare l’emergenza Covid – prosegue Esposito – abbiamo pensato di aiutare i nostri colleghi in maniera reale ed efficace organizzando la seconda edizione del Master interattivo di Chirurgia Pediatrica via webinar, dopo il grande successo della prima edizione, organizzata nel 2021. Il percorso è interamente online e totalmente gratuito per i chirurghi africani, indiani e russi e sono circa settanta gli esperti europei coinvolti come docenti e tutor».
INVESTIRE IN SALUTE
Il percorso inizia venerdì 14 gennaio e proseguirà fino a settembre 2022 con lezioni interattive online ed interventi in diretta dalla sala operatoria Storz OR1 di ultima generazione della Chirurgia Pediatrica del Policlinico Federico II. «La chirurgia pediatrica del Policlinico Federico II, grazie agli investimenti e al sostegno della direzione aziendale, è oggi dotata di due sale operatorie multimediali integrate di ultima generazione, che ci permettono di realizzare interventi chirurgici utilizzando le più moderne tecnologie mini-invasive, laser, endourologiche e robotiche e trasmetterli in live surgery in tutto il mondo», conclude il chirurgo. «Gli iscritti al Master potranno, inoltre, effettuare anche una fase di telementoring a distanza utilizzando la tecnologia 5G: i docenti-tutor europei seguiranno i colleghi africani che opereranno nelle loro sale operatorie coordinati e guidati in tempo reale da un chirurgo esperto da remoto».
Metabolismo e rischio di sovrappeso sono scritti nel DNA. Lo studio
Ricerca innovazioneNuove scoperte sulla predisposizione ereditaria al sovrappeso emergono da uno studio sul Dna di migliaia di individui. I ricercatori hanno identificato ben 74 nuove regioni genomiche connesse al metabolismo, ossia alla capacità individuale di trasformare il cibo in energia. Il metabolismo di ciascuno è a sua volta connesso con il rischio di sovrappeso e obesità. L’obiettivo dello studio, condotto da Cristina Menni del King’s College di Londra, è quello di individuare nuove possibilità di cura personalizzate. I risultati sono stati pubblicati su Metabolites.
Metabolismo e sovrappeso. Lo studio
Per realizzare la ricerca sono stati analizzati i campioni di sangue di 8.809 partecipanti arruolati nel progetto BioResource, biobanca a scopo di ricerca scientifica. I ricercatori hanno misurato la concentrazione plasmatica di 722 molecole collegate al metabolismo. In contemporanea hanno analizzato l’intero genoma di ciascun partecipante, cercando regioni del Dna che influenzassero la concentrazione plasmatica dei metaboliti. In tal modo gli scienziati hanno identificato 202 regioni genomiche la cui sequenza è direttamente collegata alla concentrazione di 478 molecole nel sangue. Di queste regioni, 74 non erano mai state collegate al metabolismo. “Il metabolismo è alla base di molti aspetti della salute umana – spiega Menni–, la scoperta potrebbe aiutare a capire diverse malattie”. Inoltre potrebbe fare luce sulle radici dell’obesità in alcune persone. Ad oggi l’obesità è una delle malattie più diffuse al mondo, ma c’è ancora tanto da capire sui meccanismi biologici che la scatenano. Questa ricerca è un passo in avanti.
Omicron: vaccino Pfizer pronto a marzo
News PresaUn vaccino contro Omicron, prodotto da Pfizer, sarà pronto a marzo. L’azienda ha già iniziato a produrre le dosi, secondo quanto annunciato dall’amministratore delegato di Pfizer Albert Bourla. Durante un un’intervista alla Cnbc. Bourla ha spiegato che il vaccino sarà efficace anche contro le altre varianti del Covid che stanno circolando. Nel frattempo, l’agenzia europea del farmaco sta valutando la domanda di autorizzazione per l’antivirale Paxlovid, il farmaco di Pfizer, per il trattamento di Covid-19 in adulti e adolescenti. A renderlo noto è la stessa Ema che valuterà nelle prossime settimane la domanda che perviene da Pfizer Europe.
Intanto Omicron corre. In Italia si registra un nuovo record di contagi da Coronavirus: sono 220.532 in 24 ore e 294 i morti. Si tratta del numero più alto della quarta ondata. Secondo l’Oms “oltre il 50% della popolazione della Regione europea sarà contagiata” dalla nuova variante Omicron “nelle prossime 6-8 settimane”. Lo ha dichiarato Hans Kluge, direttore regionale per l’Europa dell’Oms, ricordando che la regione europea “ha registrato oltre 7 milioni di nuovi casi di Covid segnalati nella prima settimana del 2022, più che raddoppiati in un periodo di due settimane”. Per quanto riguarda la scuola, la posizione del presidente Kluge è chiara: “Le scuole devono essere l’ultimo posto a chiudere e il primo a riaprire. Lasciare le scuole aperte ha importanti benefici per il benessere mentale, sociale ed educativo dei bambini”.
Napoli 2 Nord, vaccini esauriti e stop alle somministrazioni
News PresaI vaccini a disposizione dell’ASL Napoli 2 Nord sono finiti. Ad annunciarlo è la stessa Azienda Sanitaria che in una nota ha fatto sapere che domani (12 gennaio) tutti i centri vaccinali della terraferma dell’ASL Napoli 2 Nord (che gestisce anche le Isole di Ischia e Porcida) si fermeranno per la mattinata (ad esclusione di quanti sono già prenotati per i richiami) a causa della mancanza dei vaccini. L’Azienda, infatti, prevede di terminare entro oggi la dotazione di vaccini settimanale che le viene consegnata dalla struttura commissariale nazionale. Al momento i 21 centri vaccinali dell’ASL Napoli 2 Nord stanno lavorando a pieno regime, facendo registrare mediamente 12000 vaccinazioni al giorno, contro le poche centinaia di somministrazioni che si registravano nei giorni precedenti il Natale. Mercoledì 12 gennaio le attività degli hub vaccinali riprenderanno ad accesso diretto a partire dalle ore 14.00 e proseguiranno filo alle ore 20.00 (ultimi accessi alle ore 19.00). Per gestire al meglio la dotazione di vaccini disponibili, in ragione della grande richiesta dei cittadini, a partire da giovedì 13 gennaio le vaccinazioni riprenderanno avvalendosi del sistema delle prenotazioni sulla piattaforma regionale http://adesionivaccinazioni.soresa.it e limitando le vaccinazioni ad accesso diretto alle sole giornate di Open Day che saranno comunicate dall’ASL. Il sistema delle prenotazioni sarà introdotto anche per ridurre la ressa dei cittadini fuori i centri vaccinali; una condizione questa, che aveva determinato anche casi di aggressione al personale dell’ASL.
I CENTRI
Attualmente l’ASL Napoli 2 Nord ha somministrato 1.800.000 dosi a circa 770.000 cittadini residenti sul proprio territorio, raggiungendo una copertura vaccinale di oltre l’80% della popolazione arruolabile. Le vaccinazioni pediatriche saranno eseguite anche presso i centri di vaccinazione infantile presenti presso i Distretti Sanitari oltreché nei due hub vaccinali dedicati ai bambini:
Positivi non isolamento, l’allarme dei medici di famiglia
News Presa«Pazienti positivi al Covid che non ricevono alcun provvedimento di isolamento, restano liberi di uscire e quindi di trasmettere l’infezione». A denunciarlo sono i medici di famiglia della FIMMG Napoli Vincenzo Schiavo, Ciro Cozzolino, Pietro Di Girolamo e Antonio Sardu (competenti per le tre ASL di Napoli) che parlano di una situazione surreale quanto pericolosa. Sono loro a spiegare che il sistema è saltato a causa della mancanza di un automatismo di invio dei documenti di isolamento ora che si registra un aumento fuori controllo dei casi di positività. «Una volta ricevuto un tampone positivo – dicono i segretari aziendali FIMMG – il paziente dovrebbe ricevere in automatico dalla piattaforma un provvedimento che impone l’isolamento, questo passaggio è invece affidato ad un ufficio che deve manualmente provvedere all’invio». Un passaggio burocratico – denunciano i medici di famiglia – che oggi mette seriamente a rischio la salute pubblica e, potenzialmente, favorisce la diffusione del contagio da Covid. Molto semplice per i camici bianchi verificare il bug. «Basta verificare sui gestionali – spiega Luigi Sparano (FIMMG) – troviamo registrati nel sistema pazienti con un tampone positivo per i quali non si trova però alcun provvedimento di isolamento, e ovviamente neanche di fine isolamento. Potremmo definirle delle “infezioni fantasma” che nascono e terminano senza che vi sia mai un reale obbligo di isolamento». Un problema che in Campania ha proporzioni enormi.
POSITIVITÀ FANTASMA
Stando ai dati stimati dalla FIMMG, circa l’80% dei positivi non riceve alcun provvedimento, dunque – con circa 13.000 nuovi positivi al giorno – i “fantasmi” del Covid, liberi di uscire e potenzialmente di trasmettere l’infezione, sono circa 50.000. «Questa situazione – denuncia Corrado Calamaro (FIMMG) crea grandi problemi anche per quanto riguarda il Green Pass, perché questi pazienti hanno difficoltà a ricevere il certificato verde e avendo avuto il Covid non possono fare la vaccinazione». Anche sul fronte Green Pass si crea un problema non da poco, visto che il meccanismo – in questo caso nazionale – ripristina spesso la pretendete carta verde, non sempre con una nuova data di scadenza. I medici FIMMG fanno appello alla Regione affinché risolva il problema realizzando un automatismo per l’invio dei documenti di isolamento e di fine isolamento, evitando così che migliaia di pazienti positivi siano liberi di girare nei mezzi pubblici e in altri luoghi dove potrebbero facente diffondere il virus. «È anche necessario che i medici di medicina generale – sottolinea Vincenzo Schiavo – possano partecipare al procedimento diagnostico con tamponi antigienici di ultima generazione consentendo al paziente, a fine isolamento, di ottenere il Green Pass. Questo può realizzarsi solo con un accordo nazionale che veda assieme il ministero della Salute, il sistema TS e i medici di famiglia».
Covid: funziona autotrapianto cellule staminali in paziente con polmonite
Ricerca innovazioneL’autotrapianto di cellule staminali per curare il covid funziona. Il trattamento sperimentale è stato eseguito su un paziente con Covid colpito da forma clinica medio-severa di polmonite virale interstizio-alveolare, sottoposto alle terapie tradizionali. L’autotrapianto ha avuto effetti terapeutici significativi nei confronti della patologia in atto. Il dato emerge dal case report pubblicato sul Journal of Personalized Medicine.
Covid e autotrapianto di cellule staminali
Il trattamento sperimentale di autotrapianto di cellule staminali è stato effettuato su un paziente maschio di 56 anni, affetto da polmonite da Covid, eseguito nel Punto di Primo Intervento del 118 dell’ospedale Moscati di Taranto poco prima del ricovero in Pneumologia. Il procedimento prevede un prelievo venoso, mettendo a contatto il plasma, dopo averlo fatto sedimentare in provette per 120 minuti, con antiossidanti, ed iniettandole sottocute al paziente, con procedura ripetuta più volte nelle settimane successive. “In virtù delle proprietà di riparazione e di rigenerazione tissutale, nonché di immunomodulazione – si legge nel report – l’autotrapianto di staminali risulta essere una protezione biologica self, cioè generata da cellule del nostro stesso organismo”. Il paziente si è negativizzato in soli 10 giorni. Si tratta di un buon punto di partenza per approfondire una nuova strategia di cura, spiegano gli specialisti.
COVID-19: “così si rischia di allontanare la possibilità di guarigione per molti malati oncologici”
PrevenzioneDopo quasi due anni di pandemia si assiste nuovamente a una fortissima riduzione di attività diagnostiche e interventi chirurgici per molti pazienti e anche per i malati oncologici. “Sicuramente qualcosa non ha funzionato e sarebbe corretto ammetterlo. Anche perché le soluzioni per evitare che ulteriori ritardi e che i progressi raggiunti in termini di guarigione e di sopravvivenza per i malati oncologici vengano vanificati dalla pandemia ci sono: dal potenziamento reale della medicina territoriale alle cure precoci domiciliari fino all’utilizzo di medici pensionati e medici militare negli Hub vaccinali per far sì che i medici degli ospedali non siano sottratti ad attività fondamentali come la diagnostica”. A scrivere è Luigi Cavanna , Presidente del CIPOMO, Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri, in una lettera aperta.
Deltacron, una nuova variante è stata individuata a Cipro
News PresaI ricercatori che l’hanno sequenziata le hanno dato il nome di Deltacron, dalla fusione di Delta e Omicron, ovvero le due varianti del Covid che stanno imperversando in tutto il mondo. La nuova variante è stata individuata per la prima volta a Cipro e già sono stati identificati più di 25 casi, molti dei quali in pazienti ospedalizzati. Ora secondo gli esperti è essenziale comprendere se Deltacron ha una contagiosità e una patogenicità maggiore di Omicron e di Delta. Certo è che la nuova variante qualche allarme lo ha creato, anche perché potrebbe circolare assieme a quelle già presenti aumentando ancor più la pressione sulle strutture ospedaliere già in forte affanno.
DUE PANDEMIE
Intanto a fare un po’ di chiarezza sulla situazione Covid è stato il direttore dell’Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi, intervento alla trasmissione Mezz’ora in più di Rai3. «Sono due le pandemie contemporaneamente in corso in Italia in questo momento: una è quella preesistente causata dalla variante Delta e l’altro è quella più recente dovuta alla variante Omicron: se quest’ultima riuscirà a prendere il sopravvento sulla prima, forse riusciremo a vedere la discesa della curva epidemica nel giro di qualche settimana». Remuzzi ha poi ammesso di essere stato sorpreso dalla capacità di diffusione mostrata da Omicron. Attualmente, ha aggiunto, «abbiamo in un certo senso due pandemie: una sostenuta dalla variante Omicron e una dalla Delta» e, sebbene i dati siano ancora allo studio, ci sono secondo Remuzzi elementi per ritenere che «le persone ricoverate in terapie intensiva in questo momento siano persone che hanno contratto la variante Delta». Ci si trova così di fronte a una sorta di gara. Guardando al futuro «si può temere che Omicron non riesca a contagiare un grandissimo numero persone, vicino al 95%, prima che la Delta continui lungo la sua strada». Se infatti le due varianti dovessero coesistere, «questo potrebbe rappresentare un ulteriore problema, ci sarebbero delle preoccupazioni in più». Se invece Omicron riuscisse a sopraffare Delta, «dal momento che è abbastanza chiaro che la malattia che provoca è meno severa, soprattutto per quanto riguarda l’interessamento polmonare, allora forse riusciamo a vedere la discesa della curva nel giro di qualche settimana». Dunque, per ora non resta che attendere e continuare a rispettare scrupolosamente le norme per il contrasto della diffusione del virus, unica vera arma assieme ai vaccini per difendersi da questo nemico invisibile e ancora temibile.