Tempo di lettura: 4 minutiIl 32% delle donne che hanno vissuto la gravidanza durante la pandemia non si è sentita supportata dalla propria rete sociale. La percentuale sale al 38% fra le mamme con un bimbo fino ai 6 mesi di età. Sono i dati del primo studio, coordinato dall’ISS, che ha rilevato lo stato emotivo in epoca perinatale coinvolgendo le utenti dei Consultori Familiari.
Il 12%, quasi una donna su 8, ha riferito sintomi di distress psicologico durante la gravidanza più spesso associati a difficoltà economiche, a un pregresso disturbo dell’umore o d’ansia e a uno scarso supporto sociale percepito da parte dei professionisti sanitari del percorso nascita.
Non è emersa invece un’associazione tra l’esposizione diretta all’infezione da SARS-CoV-2 o la residenza in un’area ad alta diffusione di COVID-19 e il distress psicologico.
I risultati dello studio fanno riferimento alla seconda ondata pandemica (ottobre 2020 – maggio 2021). Per la prima volta è stato analizzato su larga scala il distress psicologico nel periodo perinatale in un campione opportunistico di utenti dei Consultori Familiari, che hanno aderito a un’indagine via web.
Disagio psicologico in gravidanza, i dati dello studio
La prevalenza complessiva di disagio psicologico riscontrato è coerente con i tassi osservati in un ampio studio europeo basato su un’indagine online condotta poco dopo il picco della prima ondata pandemica su un campione con analoghe caratteristiche socio-demografiche. Lo studio “COVID-19 e salute mentale perinatale: impatto del COVID-19 sul vissuto e lo stato emotivo in epoca perinatale delle donne in contatto con i Consultori Familiari (CF)”, ha coinvolto le utenti dei CF di 9 Aziende sanitarie collocate in 8 Regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Sardegna, Calabria).
“Poiché il disagio psicologico in gravidanza e nei primi mesi dopo il parto aumenta il rischio di esiti di salute negativi per la madre e il bambino – commenta Ilaria Lega dell’ISS e responsabile dello studio – questi dati evidenziano l’urgenza di fornire maggior supporto alle donne più vulnerabili che affrontano la gravidanza e i primi mesi dopo il parto nel contesto attuale, anche indipendentemente dall’esposizione diretta al SARS-CoV-2. Sebbene un disagio psicologico clinicamente rilevante sia stato riscontrato in una minoranza delle partecipanti, i cambiamenti nell’assistenza alla maternità e il ridotto supporto sociale correlato all’epidemia di COVID-19 sono motivo di preoccupazione nella grande maggioranza delle donne in gravidanza e delle neo-mamme che hanno espresso la necessità di un maggiore ascolto da parte degli operatori sanitari, un più diffuso supporto alla salute mentale e un più largo accesso a risorse di auto-aiuto”.
I numeri nel dettaglio
Dal 1° ottobre 2020 al 31 maggio 2021, 1168 donne in gravidanza e 940 donne nei primi sei mesi dopo il parto hanno partecipato allo studio compilando un questionario online.
Nonostante il tasso di positività al SARS-CoV-2 tra le partecipanti nel periodo postnatale sia risultato pari al 5%, il 20% delle neo-mamme ha affrontato il parto senza il supporto di una persona di fiducia. L’esclusione del partner dal parto è risultata meno frequente nelle aree geografiche ad alta diffusione di COVID-19 rispetto alle altre, suggerendo che i servizi sanitari dislocati nelle Regioni più colpite dalla prima ondata pandemica siano stati in grado di sviluppare una migliore preparazione.
Caratteristiche sociodemografiche
- Più del 90% delle partecipanti è sposata o convivente e di cittadinanza italiana, la maggior parte ha un grado di istruzione elevato (laurea triennale o più), lavora e non dichiara difficoltà economiche. La gravidanza è stata vissuta senza complicazioni ostetriche da oltre il 67% delle partecipanti, il 14% circa ha indicato di aver sofferto in passato di un disturbo d’ansia o dell’umore.
Infezione da SARS-CoV-2
- Il 6% delle donne in gravidanza e il 5% delle donne con un bambino fino ai 6 mesi d’età ha sviluppato l’infezione.
Supporto sociale e da professionisti e servizi sanitari
- Il 32% delle donne in gravidanza e il 38% delle donne nel periodo post natale non si sente supportata dalla propria rete sociale (nel periodo pre-pandemico erano poco più di un quarto). Il supporto ricevuto da servizi e professionisti sanitari è descritto come adeguato dalla maggioranza delle partecipanti, ma con delle differenze nei due gruppi: fra le donne in gravidanza solo il 9% si è sentita “non molto ben supportata”, percentuale che sale al 23% fra le donne nel periodo postnatale. Più specificamente, una donna su cinque non ha potuto parlare del proprio stato d’animo con un professionista sanitario dopo essere stata dimessa dall’ospedale.
Percorso nascita durante la pandemia
- Il 60% delle donne in gravidanza è preoccupata per la salute del bambino, oltre l’80% per la possibile assenza del partner durante il parto come conseguenza delle misure restrittive legate al COVID-19. Fra le donne che hanno già partorito, il 21% ha vissuto il parto senza la vicinanza del partner o altra persona di fiducia.
Risorse percepite come importanti durante la pandemia
- La risposta rapida a domande e preoccupazioni e una più ampia disponibilità di colloqui individuali con i professionisti sanitari del percorso nascita sono state indicate come importanti/molto importanti da oltre il 95% delle partecipanti. La maggior parte delle donne, sia in gravidanza che nel periodo postnatale, ritiene importante/molto importante: avere accesso a informazioni sulla gestione dello stress (rispettivamente 91% e 93%); a un professionista della salute mentale (83% e 89%) e a risorse di supporto tra pari, inclusi gruppi di supporto online (79% e 81%), interazioni con altre donne in gravidanza/neo-genitori (92% e 94%) e a esperienze di donne che hanno affrontato la gravidanza, il parto e i primi mesi di vita del bambino durante la pandemia (84% e 85%).
Distress psicologico
- Per quanto riguarda i sintomi di distress psicologico valutati con il Brief Symptom Inventory-18 (BSI-18), la percentuale di partecipanti con un punteggio complessivo (Global Severity Index – GSI)maggiore o pari a 25, che identifica sintomi di distress psicologico clinicamente rilevanti, è risultata più elevata tra le partecipanti in gravidanza (12%) rispetto alle donne nel periodo postnatale (9%; p = 0,038).
Santobono, un week end di interventi per battere il Covid
BambiniDopo una forte contrazione nel 2020 dovuta al Covid, il numero di interventi portati a termine dall’Unità Operativa Complessa di Urologia pediatrica (in particolare DRG chirurgici) del Santobono di Napoli è aumentato nel 2021 del 32,9%. Dato legato anche alla capacità di aver intercettato molta della migrazione passiva che normalmente andava a favore di altre Regioni, appesantendo la sofferenza di famiglie e piccoli pazienti. Nonostante questo, sono molti i bambini che ora attendono di essere operati perché i loro interventi sono saltati a causa di una positività riscontrata proprio nell’imminenza dell’operazione. Questo week end – per questi bambini – i medici, gli infermieri e tutto il personale del reparto di Urologia pediatrica del Santobono Pausilipon diretto dal professor Giovanni Di Iorio hanno scelto di rinunciare al meritato riposo e di essere in servizio, con l’obiettivo di battere il Covid. «Questa pandemia – spiega il primario – ci ha messo duramente alla prova, ma la nostra Azienda ha dimostrato di saper garantire ai piccoli pazienti un accesso facile e sicuro alle cure». Il modo per garantire reparti “Covid free” è stato quello di dedicare un intero padiglione ai pazienti Covid, e a tutti coloro che fossero in attesa di tampone per accedere in ospedale. In questo modo è stato possibile svolgere l’attività in elezione, garantire smaltimento delle liste d’attesa, e Day Hospital in tutta sicurezza.
IL PROGETTO
«Il nostro impegno maggiore – prosegue Di Iorio – è stato profuso nell’assicurare ai nostri pazienti Covid, ma anche a quelli affetti da altre patologie, le cure necessarie, proprio come in epoca pre-pandemica». Aspetto fortemente simbolico, i medici del Santobono Pausilipon hanno scelto di onorare la prima Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari (prevista domani 12 marzo) con un grande gesto d’altruismo. «Vogliamo che nessuno resti dietro a causa del Covid. Anche quei bambini, e sono circa 70 negli ultimi 6 mesi, che non si sono potuti operare perché positivi non devono perdere il diritto di essere operati nei tempi stabiliti. Grazie al supporto della nostra direzione possiamo recuperare terreno e alleggerire le liste d’attesa». Così, domani e domenica, il personale medico ed infermieristico, della sala operatoria e dell’area anestesiologica del reparto di Urologia del Santobono Pausilipon si è reso disponibile a lavorare consentendo di recuperare alcuni degli interventi persi a causa del virus. Il progetto, che non a caso si intitola “Così battiamo il Covid” prevede interventi in regime di Day Surgery, con un controllo clinico ambulatoriale dopo 7 giorni. Saranno arruolati pazienti chirurgici in lista operatoria presso la Struttura complessa di chirurgia Urologica Pediatrica in codice A (che devono essere operati entro 30 giorni).
Covid-19: risale la curva dei nuovi casi. I dati principali
News PresaAumenta in Italia l’incidenza settimanale dei nuovi casi di Covid-19. Si tratta di 510 contagi ogni 100.000 abitanti contro i 433 casi ogni 100.000 abitanti della settimana precedente. Nessuna Regione supera, questa settimana, la soglia di allerta del 10% per l’occupazione di malati Covid nelle terapie intensive. I dati sono stati diffusi oggi dal Ministero della Salute.
Nel periodo 16 febbraio 2022 – 1 marzo 2022, l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è stato pari a 0,83 (range 0,73 – 0,95), in aumento rispetto alla settimana precedente, ma al di sotto della soglia epidemica. Lo stesso andamento si registra per l’indice di trasmissibilità basato sui casi con ricovero ospedaliero: Rt=0,82 (0,79-0,85) al 1/03/2022 vs Rt=0,77 (0,75-0,79) al 22/02/2022.
Il tasso di occupazione in terapia intensiva è al 5,5% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 10 marzo) vs il 6,6% (al 03 marzo). Il tasso di occupazione in aree mediche a livello nazionale è al 12,9% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 03 marzo) vs il 14,7% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 03 marzo).
Cinque Regioni/PPAA sono classificare a rischio Moderato, di cui una ad alta probabilità di progressione verso il rischio alto. Le restanti Regioni/PPAA sono classificate a rischio basso secondo il DM del 30 aprile 2020. Nove Regioni/PPAA riportano almeno una singola allerta di resilienza. Una Regione/PA riporta molteplici allerte di resilienza.
La percentuale dei contagi rilevati attraverso l’attività di tracciamento dei contatti è in leggero aumento (17% vs 16% la scorsa settimana). È in aumento la percentuale dei casi rilevati attraverso la comparsa dei sintomi (37% vs 35%), mentre diminuisce quella dei casi diagnosticati attraverso attività di screening (46% vs 49%).
Prostata, un week end di prevenzione al Cardarelli di Napoli
PrevenzioneDal 18 al 20 marzo il Cardarelli di Napoli propone una serie di visite gratuite per la prevenzione del carcinoma prostatico. L’iniziativa è promossa dalla Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, in occasione della Festa del Papà. In particolare, le visite gratuite e gli opuscoli informativi saranno distribuiti in tutti gli ospedali con i Bollini Rosa e dei Centri multidisciplinari che si occupano di questa problematica di salute, tra cui quelli che hanno conseguito il Bollino Azzurro. «Per prenotare le visite – spiega il direttore dell’Unità Operativa Complessa di Urologia Paolo Fedelini – basterà chiamare il numero 335.6506710 dalle 10.00 alle 16.00. Per accedere non sarà necessario presentare un tampone, ma è indispensabile essere in possesso del Green Pass. La nostra speranza è quella di ricevere molte prenotazioni, perché intercettare presto un problema alla prostata significa poter intervenire in modo efficace e spesso risolutivo contro un nemico che nella maggior parte dei casi attacca senza presentare sintomi».
I servizi offerti nelle giornate del 18,19 e 20 marzo saranno consultabili già a partire dal 7 marzo sul sito www.bollinirosa.it con indicazioni su date, orari e modalità di prenotazione dei diversi servizi gratuiti offerti in occasione dell’(H)-Open Weekend, tra cui sono previsti visite e colloqui con gli specialisti, esami e incontri (anche virtuali) con la distribuzione di materiale informativo per la prevenzione e la diagnosi precoce del tumore della prostata.
BOLLINO AZZURRO
«Il Bollino Azzurro – dice il direttore sanitario Giuseppe Russo – è il nuovo riconoscimento che identifica proprio i centri ospedalieri come il Cardarelli di Napoli, centri he garantiscono un approccio multiprofessionale e interdisciplinare nell’ambito dei percorsi diagnostici e terapeutici rivolti alle persone con tumore alla prostata».
L’iniziativa (H)Open Weekend gode del patrocinio di Associazione Italiana Radioterapia e Oncologia clinica (AIRO), Collegio Italiano dei Primari Oncologici Medici Ospedalieri (CIPOMO), Fondazione Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica), Società Italiana di Uro-Oncologia (SIUrO) ed è resa possibile anche grazie al contributo incondizionato di Bayer. «ll tumore alla prostata, in Italia, conta ogni anno circa 37.000 nuove diagnosi, rappresentando il 19% di tutti i tumori maschili», ricorda Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda. Ed è poi il direttore generale del Cardarelli Giuseppe Longo a sottolineare come queste iniziative siano fondamentali per «sensibilizzare, quanto più possibile, la popolazione sull’importanza della corretta informazione, della prevenzione primaria e della diagnosi precoce del tumore alla prostata». I Bollini Rosa sono il riconoscimento agli ospedali che offrono servizi dedicati alla prevenzione, diagnosi e cura delle principali patologie che riguardano l’universo femminile, ma anche quelle che riguardano trasversalmente uomini e donne in ottica di genere.
Prostata: uno studio per identificare soggetti a rischio tumore
News PresaIl tumore della prostata (PCa) è la neoplasia solida più diagnosticata nel genere maschile e seconda causa di morte cancro-specifica nella popolazione maschile occidentale. L’obiettivo di uno studio Humanitas è identificare individui a rischio, ovvero soggetti sani portatori di mutazioni DRG, che possono sviluppare tumori più aggressivi e a un’età inferiore rispetto alla media della popolazione. Questi soggetti eleggibili per l’indagine si individuano investigando la linea femminile della famiglia, donne in cui possono manifestarsi tumori al seno e all’ovaio correlati alla stessa mutazione genetica. In altre parole, una buona prevenzione femminile può avere effetti benefici anche per il genere maschile. Dopo l’analisi genetica per verificare la presenza di mutazioni DRG, i casi positivi vengono monitorati mediante visita urologica e determinazione del PHI (Prostate Health Index), un marcatore tumorale dimostratosi più accurato del PSA totale nelle diagnosi precoce di neoplasia prostatica. La ricerca figura tra i 10 progetti selezionati da Fondazione GIMBE e premiati nell’ambito del Bando “Roche per la ricerca clinica – A supporto delle figure di data manager e infermieri di ricerca”.
Cancro alla prostata e analisi del rischio genetico
“Questo è un progetto traslazionale tra generi: partendo dalla conoscenza che abbiamo del rischio genetico e della malattia della donna, possiamo trasferire maggiore consapevolezza agli uomini. Basti pensare che, a oggi, su 100 uomini a rischio, solo il 25% ha accettato di sottoporsi al test genetico. Questo inoltre è un progetto di medicina personalizzata, il che vuol dire che a supporto del paziente c’è un intero gruppo di persone, all’interno del quale uno dei punti di riferimento, reso possibile proprio grazie al bando Roche, è la data manager, la dottoressa Francesca Bernuzzi”, ha spiegato il dottor Massimo Lazzeri, urologo in Humanitas e coordinatore del progetto premiato.
La figura di data manager, pur esistendo da tempo, ha iniziato a essere riconosciuta solo negli ultimi anni. Oggi è consolidata a livello nazionale non solo per l’ordinaria gestione del dato, ma soprattutto per il coordinamento delle procedure e di tutto il personale coinvolto nei trial clinici. Gli altri 9 Enti vincitori, infatti, provengono da diverse regioni d’Italia: Friuli Venezia-Giulia (ASU Friuli Centrale di Udine e ASUGI di Trieste), Lombardia (ASST Spedale Civili di Brescia e ASST di Monza), Emilia-Romagna (IRCCS di Bologna e AOU di Modena e di Parma), Piemonte (Università degli Studi di Torino) e Sicilia (AOU Policlinico G. Rodolico-San Marco di Catania). Oltre all’oncologia, i progetti della seconda edizione sono stati candidati per le aree ematologia oncologica, reumatologia, neuroscienze, malattie respiratorie e coagulopatie ereditarie.
Morto l’uomo che aveva ricevuto un cuore di maiale
Ricerca innovazioneÈ morto l’uomo che aveva ricevuto un cuore geneticamente modificato estratto da un maiale. La notizia arriva a due mesi dallo storico intervento, anche se l’Università del Maryland, dove David Bennett, 57 anni, era stato operato a gennaio non ha dato molte spiegazioni in merito al decesso. «Le sue condizioni hanno iniziato a peggiorare diversi giorni fa. Dopo che è diventato chiaro che non si sarebbe ripreso, gli sono state somministrate cure palliative. È riuscito a parlare con la sua famiglie nelle sue ultime ore di vita», si legge nel comunicato. L’operazione di trapianto era stata effettuata il 7 gennaio e in un primo momento sembrava riuscita. Nessun segnale rigetto immediato e una discreta ripresa. L’uomo aveva deciso non senza difficoltà di sottoporsi all’intervento sperimentale, del resto non aveva altre alternative. Troppo grave la sua situazione per attendere un cuore umano, pari a zero le possibilità di farcela senza intervento. Prima dell’intervento si limitò a dire: «Morire o fare il trapianto. E voglio vivere. So che è un passo nel buio ma è la mia scelta definitiva».
IL PRECEDENTE
Non è la prima volta che la medicina cerca nuove strade per risolvere l’annoso problema della donazione di organi. Già nel 2021 alcuni chirurghi a New York avevano provato a trapiantare un rene di maiale geneticamente modificato su una persona, anche se in quel caso il ricevente era già cerbralmente morto. La tecnologia che permette di inseguire questo sogno, che risolverebbe un enorme problema, salvando migliaia di vite ogni anno, è quella dell’editing genetico e questo tipo di trapianti vengono definiti xenotrapianti, (vale a dire trapianti di organi e cellule da una specie diversa dall’uomo). Negli anni ’60 furono trapiantati in alcuni pazienti i reni di scimpanzé, ma il paziente più fortunato visse 9 mesi. Nel 1983, venne trapiantato un cuore di babbuino in un bimbo, ribattezzato Baby Fae, che però visse venti giorni appena. La scelta di usare i maiali dipende invece dal fatto che gli organi di questi ultimi raggiungono le dimensioni adatte a essere trapianti in un corpo umano in appena sei mesi. Resta al di là del problema medico anche un interrogativo di carattere etico e morale, anche se la possibilità di salvare una vita probabilmente vale bene l’impresa.
COVID-19 e disagio psicologico in gravidanza. I dati
News PresaIl 32% delle donne che hanno vissuto la gravidanza durante la pandemia non si è sentita supportata dalla propria rete sociale. La percentuale sale al 38% fra le mamme con un bimbo fino ai 6 mesi di età. Sono i dati del primo studio, coordinato dall’ISS, che ha rilevato lo stato emotivo in epoca perinatale coinvolgendo le utenti dei Consultori Familiari.
Il 12%, quasi una donna su 8, ha riferito sintomi di distress psicologico durante la gravidanza più spesso associati a difficoltà economiche, a un pregresso disturbo dell’umore o d’ansia e a uno scarso supporto sociale percepito da parte dei professionisti sanitari del percorso nascita.
Non è emersa invece un’associazione tra l’esposizione diretta all’infezione da SARS-CoV-2 o la residenza in un’area ad alta diffusione di COVID-19 e il distress psicologico.
I risultati dello studio fanno riferimento alla seconda ondata pandemica (ottobre 2020 – maggio 2021). Per la prima volta è stato analizzato su larga scala il distress psicologico nel periodo perinatale in un campione opportunistico di utenti dei Consultori Familiari, che hanno aderito a un’indagine via web.
Disagio psicologico in gravidanza, i dati dello studio
La prevalenza complessiva di disagio psicologico riscontrato è coerente con i tassi osservati in un ampio studio europeo basato su un’indagine online condotta poco dopo il picco della prima ondata pandemica su un campione con analoghe caratteristiche socio-demografiche. Lo studio “COVID-19 e salute mentale perinatale: impatto del COVID-19 sul vissuto e lo stato emotivo in epoca perinatale delle donne in contatto con i Consultori Familiari (CF)”, ha coinvolto le utenti dei CF di 9 Aziende sanitarie collocate in 8 Regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Sardegna, Calabria).
“Poiché il disagio psicologico in gravidanza e nei primi mesi dopo il parto aumenta il rischio di esiti di salute negativi per la madre e il bambino – commenta Ilaria Lega dell’ISS e responsabile dello studio – questi dati evidenziano l’urgenza di fornire maggior supporto alle donne più vulnerabili che affrontano la gravidanza e i primi mesi dopo il parto nel contesto attuale, anche indipendentemente dall’esposizione diretta al SARS-CoV-2. Sebbene un disagio psicologico clinicamente rilevante sia stato riscontrato in una minoranza delle partecipanti, i cambiamenti nell’assistenza alla maternità e il ridotto supporto sociale correlato all’epidemia di COVID-19 sono motivo di preoccupazione nella grande maggioranza delle donne in gravidanza e delle neo-mamme che hanno espresso la necessità di un maggiore ascolto da parte degli operatori sanitari, un più diffuso supporto alla salute mentale e un più largo accesso a risorse di auto-aiuto”.
I numeri nel dettaglio
Dal 1° ottobre 2020 al 31 maggio 2021, 1168 donne in gravidanza e 940 donne nei primi sei mesi dopo il parto hanno partecipato allo studio compilando un questionario online.
Nonostante il tasso di positività al SARS-CoV-2 tra le partecipanti nel periodo postnatale sia risultato pari al 5%, il 20% delle neo-mamme ha affrontato il parto senza il supporto di una persona di fiducia. L’esclusione del partner dal parto è risultata meno frequente nelle aree geografiche ad alta diffusione di COVID-19 rispetto alle altre, suggerendo che i servizi sanitari dislocati nelle Regioni più colpite dalla prima ondata pandemica siano stati in grado di sviluppare una migliore preparazione.
Caratteristiche sociodemografiche
Infezione da SARS-CoV-2
Supporto sociale e da professionisti e servizi sanitari
Percorso nascita durante la pandemia
Risorse percepite come importanti durante la pandemia
Distress psicologico
Covid, alto il rischio di un danno ai reni
News PresaIl Covid può essere molto pericoloso per i reni, anche di persone del tutto sane. A dimostrarlo sono le indagini svolte su un ampio campione di pazienti deceduti a causa del virus, che hanno mostrato un danno renale acuto in un paziente su quattro.Ciò che è bene sapere è che il rischio prosegue anche nel periodo di convalescenza, dimostrando ancora una volta tutta la pericolosità di un virus che conosciamo ancora molto poco. Si parla in questo caso di “long Covid”, che a quanto pare si sta dimostrando estremamente dannoso per i reni. Il virus può infettare direttamente le cellule renali e causare danni cellulari ai soggetti con funzione renale normale prima della infezione. L’impatto della pandemia sui reni è uno dei temi al centro di NefroFocus, il convegno che si terrà a Roma il 25 e 26 marzo, a ridosso della Giornata Mondiale del Rene che si celebra il 10 marzo. All’inizio del 2020, i medici di Wuhan in Cina avevano segnalato insufficienza renale acuta legata all’infezione da Sars-CoV-2 nei pazienti. A distanza di 2 anni, gli studi hanno mostrato che questa compare in una quota tra il 24 e il 57% dei ricoverati per Covid-19, ma può arrivare anche all’80% tra chi necessita di terapia intensiva.
RISPOSTA INFIAMMATORIA
Dal report dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) su un campione di circa 7.900 deceduti per Covid, il 24,9% riportava un danno renale acuto. Le cause di questi danni sono dovute sia a effetti diretti che indiretti. «Il virus – spiega Massimo Morosetti, presidente Fondazione Italiana del Rene (FIR) e direttore UOC Nefrologia dell’Ospedale Grassi di Roma – provoca sui reni un effetto indiretto, determinato dalla risposta infiammatoria diffusa che provoca la liberazione di mediatori dell’infiammazione nel sangue, il cui accumulo è tossico per reni». Ma il Sars-Cov-2 arriva anche direttamente nei reni che abbondano di recettori ACE2, porta d’ingresso del virus nelle cellule. «Le ultime evidenze – prosegue – mostrano che il virus può infettare direttamente le cellule renali e causare un processo di fibrosi». L’infiammazione, inoltre, può persistere per mesi. Una recente ricerca su 89.000 veterani statunitensi mostra un calo del 50% delle funzioni renali, in molti casi fino a un anno dopo l’infezione da Sars-Cov-2
Iodio a ruba contro radiazioni, ma gli esperti mettono in guardia
News PresaCon l’intensificarsi del conflitto in Ucraina è partita la corsa alla ricerca di pastiglie di ioduro di potassio (KI). Un composto utilizzato come farmaco contro l’ipertiroidismo e come fattore di protezione in caso di emissioni di radiazioni. L’incubo è quello di una nuova Chernobyl dopo l’attacco russo alla centrale più grande d’Europa. Tuttavia, questo sale di iodio stabile, in realtà, è in grado di bloccare l’assorbimento dello iodio radioattivo da parte della tiroide, in particolare dallo iodio 131, ma non da altri radionuclidi emessi in incidenti nucleari che si sono verificati nella storia.
Inoltre, gli esperti hanno ribadito che non si tratta di una sostanza da usare come prevenzione, perché può provocare danni alla salute, quindi va assunto in dosi opportune e non come preventivo in assenza di radioattività.
Iodio come prevenzione, esperti mettono in guardia
Le cronache danno conto di un’accresciuta richiesta di “pillole allo iodio” nei Paesi europei, tra cui l’Italia. L’intento è contrastare gli effetti negativi sulla salute dell’esposizione a radiazioni.
“A tale proposito – scrivono gli esperti in un documento – si precisa che attualmente in Italia è raccomandato il solo utilizzo del sale iodato per la preparazione e la conservazione degli alimenti, mentre è sconsigliato il ricorso fai-da-te a preparati contenenti elevate quantità di iodio che invece potrebbero determinare conseguenze negative per l’organismo, incluso il blocco funzionale della tiroide. Il continuativo e costante utilizzo di sale iodato in accordo con la campagna del Ministero della Salute POCO SALE MA IODATO, garantisce il normale funzionamento della tiroide e, saturando la ghiandola di iodio stabile, contribuisce anche a proteggerla da una eventuale esposizione a radiazioni”.
“Solo in caso di una reale emergenza nucleare, al momento inesistente nel nostro Paese, sarà la Protezione Civile a dare precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l’intera popolazione”. Il documento è redatto dagli esperti dell’Associazione Italiana della Tiroide-AIT, Associazione Medici Endocrinologi-AME, Società Italiana di Endocrinologia-SIE, Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica-SIEDP, Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi in Italia-OSNAMI e Istituto Superiore di Sanità.
Emergenza Ucraina, si mobilita anche la sanità campana
News PresaAnche il mondo della sanità si mobilità per far fronte all’emergenza umanitaria legata all’invasione russa dell’ Ucraina. A livello nazionale e regionale si moltiplicano infatti le iniziative e le istituzioni locali stanno facendo il possibile per prestare aiuto a chi fugge dalla guerra. In Campania, ultima struttura in ordine di tempo ad essere scesa in campo è il Policlinico Federico II che in linea con gli indirizzi regionali, si è detto pronto a dare accoglienza e cure a tutti i bambini che sono in fuga dalla guerra. «Siamo desiderosi di contribuire allo sforzo messo in campo dalla Regione – ha detto il direttore generale Anna Iervolino – in risposta al dramma della guerra». Una disponibilità che si avvale in modo particolare del lavoro dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive Pediatriche diretta dal professor Alfredo Guarino proprio per garantire ai bambini in fuga dall’ Ucraina un’attenzione particolare ad ogni esigenza di salute, a partire da eventuali positività al Covid. L’Unità Operativa Complessa diretta dal professor Guarino vanta peraltro un’esperienza decennale nella assistenza al bambino migrante ed è Centro di riferimento regionale per i bambini con malattie infettive e contagiose. L’iniziativa si iscrive inoltre in un programma di cooperazione internazionale diretto al sostegno di bambini dell’ Ucraina con malattie infettive già avviato negli scorsi giorni nell’ambito del Network Europeo della Tubercolosi Pediatrica (pTBnet) e della Società Europea di Malattie Infettive Pediatriche (ESPID). Inoltre, la presenza al Policlinico Federico II di un’Unità Operativa di Malattie Infettive dell’adulto, cosi come la possibilità di isolamento nel corso del ricovero, permettono un’assistenza completa alla coppia madre-figlio senza necessità di una loro separazione nel corso del ricovero. Le richieste possono essere indirizzate alla mail malattieinfettive.pediatria@gmail.com o si può contattare il numero 348 2655270.
ASSISTENZA TERRITORIALE
Ai cittadini dell’Ucraina è dedicata anche la pagina del portale www.aslnapoli2nord.it/emergenza-ucraina, alla quale i cittadini che arrivano sul territorio dell’ASL Napoli 2 Nord e che hanno bisogno di assistenza sanitaria possono accedere per compilare online (anche dal telefonino) un modello per fornire i propri dati. L’Azienda provvederà a contattare via mail o telefono quanti compileranno il modulo, informandoli sulle modalità di accesso ai servizi. Mediante questo sistema, inoltre, l’ASL raccoglie informazioni circa lo stato di salute del cittadino appena arrivato sul territorio, l’età, il sesso e il Comune presso cui è temporaneamente domiciliato, oltreché conoscere lo stato vaccinale rispetto al Covid 19. Ad oggi sono stati presi in carico dall’Azienda Sanitaria venti cittadini Ucraini appena arrivati sul territorio dell’Azienda, in fuga dalla guerra. L’età media di questi primi rifugiati è di 32 anni (vi sono anche cinque bambini), e in gran parte si tratta di donne; una di esse è in stato di gravidanza. Intanto a a Palazzo Santa Lucia (sede della Regione) si è insediato il Comitato regionale per il coordinamento degli interventi e delle attività di soccorso ed assistenza alla popolazione proveniente dall’Ucraina. Il primo incontro è servito a fare un primo punto della situazione e a tracciare le linee di intervento. Le priorità saranno quelle di garantire ai cittadini ucraini l’assistenza sanitaria e a verificare la distribuzione dei profughi sul territorio, secondo il Piano di accoglienza del Ministero dell’Interno che viene attuato dalle Prefetture. Un appello è stato rivolto ai cittadini residenti in Italia che ospitano profughi affinché comunichino alle Asl le persone che sono arrivate dall’estero al fine di permettere il rilascio dei codici STP (straniero temporaneamente presente) che consentono l’accesso alle prestazioni sanitarie.
Disuguaglianze di genere: nascono in famiglia, l’istruzione le attenua
News PresaI ruoli stereotipati di genere vengono interiorizzati nei primi anni di vita, con una tendenza alla riduzione di questo condizionamento nel passaggio all’adolescenza. A dimostrarlo sono due indagini: la prima realizzata tra aprile e maggio 2021 su un campione di 410 bambine e bambini delle scuole primarie dei Municipi VI e VIII di Roma; la seconda è ancora in corso su oltre 2.500 adolescenti di secondarie di secondo grado d’Italia. Le ricerche sono state effettuate dall’Osservatorio sulle tendenze giovanili (OTG), cogestito da Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpps) e Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Stereotipi di genere nascono in famiglia nei primi anni di età, l’indagine
Ai bambini e ragazzi coinvolti nella ricerca è stato sottoposto un elenco di azioni e ruoli chiedendo chi li svolgesse meglio tra maschi e femmine, o se il sesso fosse irrilevante. “L’analisi dei risultati mostra tra i bambini un livello di adesione medio-alto al ruolo stereotipato sia maschile (58,6%) sia femminile (52,9%), ossia all’idea che capacità, come fare il poliziotto, il presidente, lo scienziato e comandare al lavoro siano di dominio dei maschi, mentre pulire la casa, cucinare, fare la spesa e occuparsi dei figli siano di ordine femminile”, commenta Antonio Tintori del Cnr-Irpps. “Il livello più alto di adesione al ruolo sociale maschile si registra tra i bambini (25,6% contro il 18,2% delle femmine), mentre quello più alto di adesione al ruolo sociale femminile tra le bambine (22,5% contro il 17,8% dei maschi). Nella fascia adolescenziale, i risultati mostrano livelli medio-alti di adesione al ruolo stereotipato maschile (28,3%) e femminile (30,8%) decisamente inferiori a quelli registrati nella scuola d’infanzia. Il livello più alto di adesione si ritrova sempre tra gli alunni: ruolo maschile 13,1% maschi e 1,9% femmine; ruolo femminile 16,7% maschi e 6,4% femmine”.
L’indagine fa emergere un processo complesso di costruzione delle rappresentazioni sociali. “La riproduzione delle disuguaglianze di genere avviene mediante l’interiorizzazione di specifici stereotipi, l’adesione all’idea che esistano ruoli sociali differenziati, stabilendo squilibri che perpetuano una visione sessista”, conclude Tintori. “Come i dati dimostrano, la convinzione dell’esistenza di ruoli di genere, predeterminati e rigidi, che prevedono il primato dell’uomo nelle posizioni apicali di carriera e quello della donna negli oneri di cura e assistenza familiare, viene acquisita fin dai primi anni di vita attraverso la socializzazione primaria e categorie interpretative che stereotipizzano il contesto sociale. Le disuguaglianze si riproducono fortemente in ambito familiare ove i più piccoli, anche per imitazione, seguono condizionamenti che appaiono attenuarsi nel corso della crescita, ma più nelle femmine che nei maschi. È chiaro, dunque, il ruolo cruciale dell’educazione scolastica nello sradicamento di vincoli che compromettono il benessere e l’equità di genere, nonché lo sviluppo economico”.