Tempo di lettura: 2 minutiLa dieta mediterranea è il modello alimentare ritenuto più equilibrato e sano dalla comunità scientifica. Oggi uno studio ha tracciato l’identikit di chi segue questo tipo di dieta: dai risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Frontiers in Nutrition, è emerso che si tratta di un utente più informato rispetto alla media. La ricerca è stata realizzata dal CREA Alimenti e Nutrizione e coordinato dalle ricercatrici Laura Rossi e Vittoria Aureli.
In particolare l’obiettivo dello studio è quello di misurare la conoscenza nutrizionale e l’aderenza alla dieta mediterranea nella popolazione adulta italiana e di valutare come questi fattori siano correlati tra di loro. Studi precedenti, infatti, hanno mostrato come una conoscenza nutrizionale ottimale sia correlata ad una maggiore aderenza al modello della Dieta mediterranea, ad una minore prevalenza di obesità, nonché a una riduzione dell’indice di massa corporea (IMC), della circonferenza vita e della massa grassa.
Lo studio sull’aderenza degli italiani alla dieta mediterranea
Un’indagine trasversale è stata condotta su un campione di 2.869 intervistati, rappresentativo della popolazione italiana (età >18 anni) nel periodo compreso tra il 26 giugno e il 10 luglio 2020. Tale lasso di tempo è stato selezionato in considerazione delle restrizioni legate alla pandemia di COVID-19 in Italia. Il lavoro sul campo è stato svolto da un’agenzia di ricerche di mercato specializzata, SWG Italy ®. Agli intervistati è stato somministrato un questionario multisezione comprendente di una parte iniziale relativa alle informazioni personali e una seconda parte formata da due moduli principali: il questionario sulla conoscenza nutrizionale italiana e il questionario sull’adesione alla Dieta mediterranea.
In Italia il punteggio medio di conoscenza nutrizionale delle famiglie è stato pari al 56,8% delle risposte esatte. Il valore medio di aderenza alla Dieta mediterranea ha raggiunto il 40% del punteggio massimo. Tuttavia, solo il 13,3% riportava un’aderenza alta, mentre il 31,4% della popolazione si è attestato su una fascia bassa, il 31,3% nella fascia medio-bassa e il 24% nella fascia medio-alta. Dall’incrocio tra i due fattori è stata trovata un’associazione significativa tra le conoscenze nutrizionali degli intervistati e la loro aderenza al modello mediterraneo. Coloro che hanno riportato un’aderenza più bassa corrispondevano anche a quelli con le conoscenze nutrizionali peggiori (36,7%) e allo stesso modo, quelli con il più alto livello di aderenza alla dieta mediterranea, hanno anche ottenuto i punteggi di conoscenza nutrizionale più alti (41,7%).
Si conferma come nel nostro Paese l’aderenza alla Dieta Mediterranea sia significativamente associata alle caratteristiche socio-demografiche della popolazione: le donne, gli anziani, le persone con livelli di istruzione elevati e coloro che vivono in aree urbanizzate mostrano, infatti, un’aderenza più elevata. È emerso, inoltre, come ci sia una differenza Nord-Sud ben definita, sia per conoscenza nutrizionale, che per aderenza alla Dieta mediterranea. Le regioni del nord-est e della Campania hanno mostrato l’aderenza più bassa (rispettivamente 45,4% e 44,2%), mentre Emilia-Romagna e Lazio, nonché le isole (Sicilia e Sardegna), hanno mostrato l’aderenza al modello mediterraneo più alta (rispettivamente 17,2, 16,2 e 17,7%). Le regioni del Centro-Nord hanno registrato punteggi di conoscenza più elevati (Lazio, 29,5% ed Emilia-Romagna, 27,3%) rispetto alle regioni del Sud (Molise 3,3%).
I problemi al cuore che possono essere causati dal Covid
CovidIl Covid può portare ad un maggior rischio cardiovascolare e questo rischio continua ad esistere anche dopo tre mesi dalla negativizzazione del tampone. La notizia, non certo rassicurante, arriva da uno studio portato a termine dalla fondazione Policlinico Agostino Gemelli di Roma, condotto su 658 pazienti con Covid-19 in fase post-acuta. I dati emersi disegnano una realtà che deve indurre alla cautela e che in alcuni casi richiede controlli approfonditi. Il fulcro del problema è nel fatto che il virus riesce a provocare in alcuni pazienti una disfunzione endoteliale, che a sua volta porta ad un aumentato rischio cardiovascolare. Proprio grazie alle ricerche svolte nel pieno della pandemia è ora più chiaro il meccanismo che talvolta porta a problemi cardiovascolari, dovuti principalmente all’azione del virus sull’endotelio. In parole semplici, l’endotelio è il tessuto che riveste le pareti interne del cuore e dei vasi sanguigni e modula l’aggregazione piastrinica, i processi coagulativi, la risposta all’infiammazione, regola le resistenze vascolari, protegge dall’effetto nocivo dei radicali liberi dell’ossigeno. Il ruolo centrale dell’endotelio è stato confermato anche da una recente sperimentazione fatta all’ospedale Cotugno di Napoli, che ha portato all’evidenza che con un supplemento di L-arginina, aminoacido che presiede la produzione di ossido nitrico e citrullina da parte della cellula endoteliale, si dimezzano i tempi di degenza ospedaliera e si riduce la necessità del supporto ventilatorio.
LONG COVID
Pericoloso per il Cuore è anche il cosiddetto “long Covid” che espone i pazienti ad un alto rischio anche mesi dopo la malattia. Una ricerca condotta negli Stati Uniti su milioni di casi clinici ah confermato i sospetti di centinaia di migliaia di clinici in tutto il mondo, vale a dire che il Covid è una malattia sistemica e che può mettere a dura prova il cuore. Per realizzare lo studio i ricercatori hanno utilizzato i dati messi a disposizione dal Dipartimento degli Affari dei Veterani, che si occupa degli ex combattenti delle forze armate statunitensi. L’analisi ha compreso circa 154mila individui che si erano ammalati di Covid-19 tra marzo 2020 e gennaio 2021, e che erano sopravvissuti almeno per 30 giorni dall’inizio dell’infezione. Il gruppo di ricerca ha poi selezionato due gruppi di controllo per mettere a confronto i dati: uno era costituito da 5,6 milioni di ex combattenti che avevano richiesto assistenza medica, senza risultare positivi al coronavirus, e l’altro da 5,9 milioni di ex combattenti che avevano fatto altrettanto nel 2017, quando non c’era ancora la pandemia. I risultati hanno confermato un aumento del rischio di almeno 20 diverse malattie cardiache e circolatorie tra le persone che avevano avuto il Covid-19 nell’anno precedente, rispetto a chi invece non l’aveva avuta.
Reumatologia 4.0: tra big data e multidisciplinarietà
PrevenzioneParte da Roma la rivoluzione della Reumatologia 4.0 con la quinta edizione del Convegno RomaReuma che ha messo al centro della scena le risorse messe a disposizione dalle innovazioni tecnologiche e in particolare dall’enorme flusso di dati che generano.
Quali sono le prospettive che attendono i reumatologi tra innovazione e sostenibilità? Come ha spiegato la Dottoressa Palma Scolieri, Dirigente medico dell’UOC di Medicina Interna e Reumatologia del Polo Ospedaliero Nuovo Regina Margherita S. Spirito di Roma e Responsabile Scientifico del Congresso: “la Medicina 4.0 vede la fusione di tecnologie fisiche, biologiche e digitali. La ricerca molecolare in reumatologia, le scienze -omiche, insieme ai referti diagnostici e i dati delle cartelle cliniche hanno generato quel patrimonio di informazioni che chiamiamo Big data. Il passo successivo è interpretare queste informazioni e metterle a disposizione della pratica clinica. Penso ad esempio alla medicina di precisione
che ci permetterà di capire quale terapia tra quelle disponibili è quella più adatta, sicura ed efficace a quel determinato paziente con la possibilità di arrivare in tempi brevi alla terapia più adeguata per ogni singolo paziente.
Questa rivoluzione pone delle sfide: la gestione e l’interpretazione dei dati, la loro sicurezza, la formazione e l’adeguamento delle competenze professionali, una accorta valutazione dei rapporti costo-beneficio in termini di appropriatezza degli interventi e la proposta di nuovi modelli organizzativi più snelli ed efficaci. Un futuro che è dietro l’angolo e si evolve lungo tre assi portanti: la medicina riparativa, quella rigenerativa (ad esempio con l’uso delle cellule staminali e della terapia genica), e la medicina di precisione.
La sfida di questa nuova reumatologia è però solo in parte l’innovazione: il processo fondamentale è operare in maniera multidisciplinare e aprirsi a nuove e diverse aree di approfondimento, includendo i pazienti come i maggiori esperti della loro condizione”.
Minori, in Campania un tavolo tecnico per le crisi familiari
PsicologiaInfezione da Covid: ecco cosa avviene nelle nostre cellule
News PresaCosa succede quando il coronavirus SARS-CoV-2 infetta le cellule umane è stato descritto da uno studio internazionale, pubblicato in copertina dalla rivista Jacs, che descrive il meccanismo di fusione cellulare. La ricerca internazionale che ha coinvolto l’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom), l’Istituto Laue Langevin (ILL) di Grenoble, l’Università di Cambridge e l’Australian National Deuteration Facility, ha rivelato il funzionamento del meccanismo critico di fusione con cui SARS-CoV-2 entra in contatto e infetta le cellule umane. In particolare, SARS-CoV-2, appartiene a una famiglia di virus a RNA conosciuti e chiamati β-coronavirus, che possono causare malattie respiratorie anche gravi e che sono altamente contagiosi.
“Nonostante faccia parte di una famiglia già nota di virus, però, non si era ancora compreso il meccanismo con cui SARS-CoV-2 infetta le cellule umane”, spiega Daniela Russo del Cnr-Iom. In questo studio “siamo stati in grado di riprodurre alcuni aspetti importanti per studiare il meccanismo di infezione, semplificando il sistema fino ai suoi elementi principali, che possono essere analizzati mediante la spettroscopia di diffusione di neutroni (scattering). Usando le possibilità offerte da questa metodica, si è potuto studiare nel dettaglio le interazioni tra la proteina virale e la membrana cellulare, analizzando gli effetti sulla struttura della membrana e la dinamica a scala molecolare di questa interazione a temperatura ambiente”.
La ricerca si è concentrata sulla proteina Spike virale, che svolge un ruolo importante nell’infettività: in particolare, si è identificata la sequenza proteica precisa coinvolta nel processo di fusione (peptidi di fusione), cioè quella responsabile del processo con cui il virus riesce a penetrare e infettare l’organismo. “La proteina Spike può mediare l’ingresso cellulare tramite fusione diretta sulla membrana plasmatica dove i livelli di calcio sono alti, o sulla membrana endosomiale, dove i livelli di calcio sono inferiori”, prosegue Russo.
I ricercatori del Cnr-Iom hanno potuto utilizzare le strutture dell’ILL di Grenoble, dove sono insediati presso un’unità di ricerca, e realizzare gli esperimenti in stretta collaborazione, ottenendo informazioni cruciali per capire i meccanismi molecolari dell’infettività. “Assieme ai ricercatori dell’ILL abbiamo prodotto i campioni e pianificato gli esperimenti”, aggiunge Francesca Natali del Cnr-Iom. “Grazie all’impiego di un approccio multi-metodo e alle competenze dei diversi gruppi di ricerca che lavorano nel sito di Grenoble si è effettivamente compreso che i diversi segmenti del peptide di fusione della SARS-COV-2 Spike assumono diverse funzioni nelle fasi di fusione e infezione”.
Emerge però anche il ruolo fondamentale del calcio. “In presenza di calcio, la regione di fusione N-terminale si arpiona attraverso il doppio strato lipidico. La membrana viene destabilizzata e resa più fluida, avviando la fusione in cui i lipidi della membrana virale e della membrana ospite iniziano a mescolarsi. Rimuovendo il calcio, il peptide di fusione N-terminale cambia posizione e si colloca meno in profondità nella membrana, dove funziona in modo molto più simile agli altri peptidi di fusione studiati, fungendo cioè da ponte tra l’ospite e la membrana virale”, conclude Russo. “Secondo questi risultati i livelli di calcio intracellulare possono quindi fornire un’indicazione di dove e come le membrane virali e dell’ospite si fondono durante l’infezione da SARS-CoV-2. Questi dati, oltre a essere interessanti nel contesto dell’attuale pandemia di Covid-19, forniscono un quadro interdisciplinare per future indagini sui meccanismi di fusione eucariotica e virale”.
Dieta Mediterranea: chi la segue è istruito, vive in città, al Centro Nord e nelle Isole
News PresaLa dieta mediterranea è il modello alimentare ritenuto più equilibrato e sano dalla comunità scientifica. Oggi uno studio ha tracciato l’identikit di chi segue questo tipo di dieta: dai risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Frontiers in Nutrition, è emerso che si tratta di un utente più informato rispetto alla media. La ricerca è stata realizzata dal CREA Alimenti e Nutrizione e coordinato dalle ricercatrici Laura Rossi e Vittoria Aureli.
In particolare l’obiettivo dello studio è quello di misurare la conoscenza nutrizionale e l’aderenza alla dieta mediterranea nella popolazione adulta italiana e di valutare come questi fattori siano correlati tra di loro. Studi precedenti, infatti, hanno mostrato come una conoscenza nutrizionale ottimale sia correlata ad una maggiore aderenza al modello della Dieta mediterranea, ad una minore prevalenza di obesità, nonché a una riduzione dell’indice di massa corporea (IMC), della circonferenza vita e della massa grassa.
Lo studio sull’aderenza degli italiani alla dieta mediterranea
Un’indagine trasversale è stata condotta su un campione di 2.869 intervistati, rappresentativo della popolazione italiana (età >18 anni) nel periodo compreso tra il 26 giugno e il 10 luglio 2020. Tale lasso di tempo è stato selezionato in considerazione delle restrizioni legate alla pandemia di COVID-19 in Italia. Il lavoro sul campo è stato svolto da un’agenzia di ricerche di mercato specializzata, SWG Italy ®. Agli intervistati è stato somministrato un questionario multisezione comprendente di una parte iniziale relativa alle informazioni personali e una seconda parte formata da due moduli principali: il questionario sulla conoscenza nutrizionale italiana e il questionario sull’adesione alla Dieta mediterranea.
In Italia il punteggio medio di conoscenza nutrizionale delle famiglie è stato pari al 56,8% delle risposte esatte. Il valore medio di aderenza alla Dieta mediterranea ha raggiunto il 40% del punteggio massimo. Tuttavia, solo il 13,3% riportava un’aderenza alta, mentre il 31,4% della popolazione si è attestato su una fascia bassa, il 31,3% nella fascia medio-bassa e il 24% nella fascia medio-alta. Dall’incrocio tra i due fattori è stata trovata un’associazione significativa tra le conoscenze nutrizionali degli intervistati e la loro aderenza al modello mediterraneo. Coloro che hanno riportato un’aderenza più bassa corrispondevano anche a quelli con le conoscenze nutrizionali peggiori (36,7%) e allo stesso modo, quelli con il più alto livello di aderenza alla dieta mediterranea, hanno anche ottenuto i punteggi di conoscenza nutrizionale più alti (41,7%).
Si conferma come nel nostro Paese l’aderenza alla Dieta Mediterranea sia significativamente associata alle caratteristiche socio-demografiche della popolazione: le donne, gli anziani, le persone con livelli di istruzione elevati e coloro che vivono in aree urbanizzate mostrano, infatti, un’aderenza più elevata. È emerso, inoltre, come ci sia una differenza Nord-Sud ben definita, sia per conoscenza nutrizionale, che per aderenza alla Dieta mediterranea. Le regioni del nord-est e della Campania hanno mostrato l’aderenza più bassa (rispettivamente 45,4% e 44,2%), mentre Emilia-Romagna e Lazio, nonché le isole (Sicilia e Sardegna), hanno mostrato l’aderenza al modello mediterraneo più alta (rispettivamente 17,2, 16,2 e 17,7%). Le regioni del Centro-Nord hanno registrato punteggi di conoscenza più elevati (Lazio, 29,5% ed Emilia-Romagna, 27,3%) rispetto alle regioni del Sud (Molise 3,3%).
Dieta non significa fame, ecco cosa c’è da sapere
AlimentazioneDimagrire non è mai semplice, ma il rischio più grande è quello di rallentare il metabolismo seguendo regimi alimentari scorretti spesso seguendo diete da rivista. Premesso che nessun articolo potrà mai sostituire la visita di un esperto nutrizionista, proviamo almeno a spiegare alcuni concetti di base e magari segnare qualche buon consiglio che può essere valido per tutti. Una delle regole più importanti è quella che riguarda i pasti, che in una dieta equilibrata devono essere regolari, moderati nelle quantità e possibilmente accompagnati da spuntini. Per dimagrire è fondamentale evitare le grandi abbuffate, seguite magari da giorni di digiuno. E ogni ogni regime alimentare corretto non può che partire dal pasto più importante della giornata: la colazione. Se non si hanno problemi particolari di salute, allergie o intolleranze, una buona colazione per un adulto (uomo o donna che sia) può essere a base di latte scremato, magari con 5 fette biscottate integrali. Niente zucchero e niente marmellate o creme spalmabili. E per finire un bel caffè, sempre senza zucchero. Sarebbe anche una buona abitudine quella di alternare la colazione con cereali integrali nel latte, al posto delle fette biscottate. A tavola, variare è sempre una buona idea. Una seconda regola è quella di bere, un po’ alla volta e spesso nel corso della giornata. Non diremo nulla su come proseguire tra pranzo e cena, né tantomeno sugli spuntini, perché il nostro scopo non è quello di prescrivere una dieta, cosa che può essere fatta solo da un nutrizionista, ma bensì trasferire qualche buon consiglio di salute alimentare.
METABOLISMO BASALE
Un concetto chiave per chi ha intenzione di perdere perso o di mantenersi in forma è quello di metabolismo basale. Di che si tratta? e Diciamo che il metabolismo basale è la quantità di energia che consumiamo o impieghiamo in condizioni di base. Quindi il carburante che serve al nostro corpo per funzionare senza prevedere sforzi o lavori di alcun tipo; in uno stato di totale rilassamento fisico e psichico nell’arco delle 12 ore. Quindi, il metabolismo basale è il minimo dispendio energetico che serve al nostro organismo per mantenere le funzioni vitali e lo stato di veglia. Normalmente, in un soggetto sano e sedentario questo dispendio rappresenta circa il 65-75% del dispendio energetico totale. E più alto negli uomini rispetto alle donne e diminuisce con l’età: tra i 60 ed i 90 anni cala di circa l’8% ogni 10 anni. Per calcolare il metabolismo basale si usano di solito dei software ad hoc sentati sulla base di precise indicazioni personali, ma un’indicazione può arrivare anche da una stima approssimativa.
VERDURE
Alimenti poco calorici come le verdure andrebbero consumate per abitudine. Noi ve ne segnaliamo cinque che riteniamo gustosi e che di certo fanno bene alla salute e alla linea: I Broccoli contengono vitamina C, calcio, fosforo, potassio, magnesio. Inoltre contengono solo 31 chilocalorie per 100 grammi, con una porzione proteica del 3,0 per cento e contiene anche fibre alimentari. I Funghi sono costituiti per il 2,9% di proteine, hanno un basso contenuto calorico (22 kcal/100 g) e hanno un indice glicemico (IG) molto basso di 15 (per fare un confronto: il glucosio ha il valore massimo con un IG di 100). Ciò significa che non aumentano quasi mai il livello di zucchero nel sangue. Sono quindi tra i migliori cibi per dimagrire. I Finocchi hanno solo 23 chilocalorie per 100 grammi, quasi come i funghi, con un contenuto proteico inferiore all’1,1%. I Cavoli hanno solo 45 calorie per 100 grammi, ma 4,3 grammi di proteine e 4,2 grammi di fibre. Forniscono più del doppio di vitamina C rispetto a un limone e contengono importanti sostanze nutritive come potassio, calcio, magnesio e iodio. Tante verdure che inserite in un piano alimentare equilibrato possono riempiere lo stomaco e dare grande soddisfazione al palato, perché dieta non fa rima con fame.
Antibiotico resistenza: livelli in Europa restano preoccupanti
News PresaRestano ancora alti i livelli di resistenza agli antibiotici in batteri comuni come Salmonella e Campylobacter. A mettere in luce la situazione dell’Europa è il rapporto 2019-20 sugli indicatori di antibiotico resistenza negli animali, negli esseri umani e negli alimenti, appena pubblicato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa).
I batteri Campylobacter isolati nell’uomo e nel pollame continuano a mostrare una resistenza molto alta alla ciprofloxacina, antibiotico usato comunemente. Una tendenza all’aumento della resistenza sono state osservate per infezioni da Campylobacter jejuni nell’uomo (anche in Italia) e nei polli da carne. La nota positiva è che la resistenza simultanea a due antibiotici di importanza primaria rimane bassa per E. coli, Salmonella e Campylobacter.
Nel nostro Paese, invece, il dato più preoccupante riguarda gli allevamenti di pollame, dove si registrano alti livelli di resistenza per tutti e tre i batteri presi in considerazione dall’analisi.
In generale, l’antibiotico resistenza è in aumento in tutto il mondo, questo rende problematica la terapia di molte infezioni, ed è aggravata anche dalla mancanza di nuovi antibiotici in commercio o in fase di sperimentazione, che risultano efficaci nel trattamento di infezioni altrimenti incurabili. Le infezioni causate da microrganismi resistenti, non rispondendo al trattamento standard, portano ad un prolungamento della malattia, all’insorgenza di possibili complicazioni e ad un maggiore rischio di morte.
Le uova di Pasqua in sostegno dell’AIL
News PresaDal 1 al 3 aprile torna il consueto appuntamento con la solidarietà promosso dall’Associazione Italiana Leucemie (Ail). In oltre 4.300 piazze italiane si potranno prendere le Uova di Pasqua AIL, iniziativa posta sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica, per sostenere la ricerca contro le leucemie, i linfomi e il mieloma. Un gesto concreto per essere al fianco dei pazienti ematologici e delle loro famiglie. Il contributo minimo associativo per ricevere l’Uovo di Pasqua AIL è di 12 euro; per sapere in quali piazze trovare i Volontari dell’AIL vai su www.ail.it, rivolgiti alla sezione provinciale AIL più vicina, scarica l’app “AIL Eventi” o chiama il numero 06 7038 6060 attivo dal 29 marzo. Quest’anno le Uova AIL, al latte o fondente, saranno ancora più riconoscibili grazie a un nuovo incarto in cui il logo dell’Associazione è ancor più presente e che racchiude simbolicamente l’impegno quotidiano dell’Associazione: donare un futuro ai sogni dei pazienti con tumore del sangue.
L’IMPEGNO
AIL da sempre mette al primo posto il paziente con tumore del sangue (ogni anno in Italia ci sono 33mila diagnosi) che è particolarmente fragile e delicato in quanto il suo sistema immunitario è altamente compromesso e, quindi, più a rischio. I risultati negli studi scientifici e le terapie innovative sempre più efficaci e mirate, tra cui l’immunoterapia con CAR-T, ultima frontiera nella cura dei tumori, e il trapianto di cellule staminali, hanno determinato un grande miglioramento nella diagnosi e nella cura dei pazienti ematologici, adulti e bambini. È necessario però proseguire su questa strada e investire sempre più risorse nella Ricerca per raggiungere nuovi traguardi e rendere queste malattie sempre più guaribili. L’Ematologia italiana in questi due anni di pandemia da Covid-19, attraverso i Centri di cura e grazie all’intensa opera delle 82 sezioni provinciali AIL e dei suoi 15.000 volontari, è stata in grado di garantire la continuità assistenziale e terapeutica. L’iniziativa Uova di Pasqua AIL ha permesso in tanti anni di mettere in campo progetti di Ricerca e assistenza e ha contribuito a far conoscere i progressi nel trattamento dei tumori del sangue.
PERCHÈ SOSTENERE AIL
Gaming, quanti rischi per i giovanissimi
BambiniQuanto tempo possono passare i ragazzi davanti ai videogiochi senza che questo incida sulla salute, anche psicologica? È una domanda alla quale molti genitori non sanno dare una risposta, ma che (per ovvie ragioni) torna spesso in tutte le famiglie. E ora a mettere in allarme le mamme e i papà di tutta Europa è anche uno studio dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche, del Dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’Università di Padova (Unipd) e dall’australiana Flinders University secondo il quale in Europa un ragazzo su cinque è ad alto rischio di gaming problematico (circa il 20%) e l’esposizione al fenomeno dei ragazzi (30.8%) risulta tre volte più alto di quello delle ragazze (9.4%). La ricerca si è focalizzata su come i fattori individuali, sociali e contestuali siano associati a un maggiore rischio per gli adolescenti europei di gaming problematico, cioè un utilizzo eccessivo dei videogame che possa mettere a repentaglio la salute e favorire l’allontanamento dalla scuola e dagli affetti.
SUPPORTO EMOTIVO
La ricerca ha analizzato i dati dello studio European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs del 2019, relativi ai comportamenti di gaming di 89.000 adolescenti tra i 15 e i 16 anni residenti in 30 Paesi «È emerso anche che gli adolescenti residenti in Danimarca riportano i livelli più bassi di gaming problematico (12%), mentre quelli in Romania riferiscono una maggiore percezione di problemi associati all’uso di videogiochi (30.2%)», spiega Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr-Ifc e coordinatrice dello «La percentuale di studenti italiani con un alto rischio di gaming problematico (23.9%) – aggiunge – è superiore alla media europea, con un numero maggiore di ragazzi (34%) che percepisce conseguenze negative legate al gaming rispetto alle ragazze (12.8%)». Il contesto familiare e le politiche nazionali possono diminuire la probabilità che gli adolescenti sperimentino un uso problematico dei videogiochi. «La ricerca indica come la presenza di regole genitoriali e di supporto emotivo familiare proteggano in adolescenza da un utilizzo eccessivo e distorto dei videogiochi», conclude Alessio Vieno, professore Unipd. La ricerca sembra confermare la centralità del supporto emotivo della famiglia nel prevenire il fenomeno e l’importanza delle politiche di protezione sociale, grazie alle quali un maggiore sostegno economico può migliorare la qualità della relazione genitori-figli e fornire risorse per attività ricreative alternative per un sano sviluppo degli adolescenti.
Endometriosi, 3 mln di diagnosi, si ritarda in media 7 anni
News PresaIl 10-15% delle donne in età riproduttiva sono affette da endometriosi e almeno 3 milioni hanno una diagnosi conclamata. I dati che riguardano l’Italia sono stati diffusi dal Ministero Salute. Il report sottolinea che una “limitata consapevolezza della patologia è causa di un grave ritardo diagnostico, valutato intorno ai 7 anni”. Nel nostro Paese sono 300.000 le esenzioni per forme più grave. L’endometriosi, infatti, è inserita nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti, negli stadi clinici più avanzati (moderato o III grado e grave o IV grado”) che dà il diritto alle pazienti di usufruire in esenzione di alcune prestazioni specialistiche di controllo.
Endometriosi: i campanelli d’allarme
Il sintomo principale che caratterizza questa malattia è: il dolore mestruale, spesso cronico e persistente, che si associa spesso a fenomeni depressivi e a infertilità: la patologia interessa infatti circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficolta a concepire. La diagnosi spesso arriva dopo un lungo percorso dispendioso e che comporta un grave carico emotivo, con ripercussioni sulla salute psicologica, la diagnosi arriva in media tra i 25 e i 35 anni. Le donne che hanno la madre o la sorella affette da endometriosi hanno un rischio di svilupparla sette volte maggiore. Tra i trattamenti, l’ormone progestinico è capace di migliorare il quadro sintomatologico in quanto abolisce la stimolazione ormonale e la crescita degli impianti endometriosici. Il trattamento più invalidante con gli analoghi del GnRH, farmaci che bloccano totalmente la stimolazione delle ovaie sono limitati a casi che richiedano un intervento chirurgico. Ma sono in corso diversi studi con composti che pur inibendo la stimolazione ovarica, creano meno effetti collaterali. La dottoressa Maria Rita Rampini, ginecologa, esperta in diagnosi e terapia dell’infertilità, ribadisce che forti dolori durante il ciclo mestruale non sono normali. “Recatevi subito da uno specialista – esorta l’esperta – perché, qualora si tratti di endometriosi, è importante diagnosticarla il prima possibile, per gestirla al meglio, tenerla sotto controllo e preservare la vostra fertilità”.