Tempo di lettura: 2 minutiTraumi sportivi, artrosi al ginocchio, disturbi cronici considerati incurabili potrebbero essere risolti con un approccio diverso da quello tradizionale: la medicina rigenerativa.
Grazie al sangue del paziente è possibile curare muscoli, tendini e articolazioni facendo sparire il dolore e restituendo anche la corretta mobilità. Finora questo tipo di approccio era riservato agli sportivi che, quando subiscono un infortunio, hanno necessità di ritornare in forma in tempi molto brevi. Ma visti i risultati positivi nel 70% dei casi, la medicina rigenerativa è stata estesa anche a coloro che non praticano sport a livello agonistico o non lo praticano affatto.
I benefici per quanto riguarda la qualità della vita sono innumerevoli: ad esempio, esistono patologie che diventano invalidanti a causa del dolore cronico e che possono essere curate con la medicina rigenerativa; inoltre, con questa disciplina è possibile ritardare interventi molto invasivi anche di anni, ad esempio gli impianti di protesi.
Come funziona la medicina rigenerativa?
Ce lo spiega la Dottoressa Francesca Facchini, chirurgo ortopedico del Centro di traumatologia dello sport all’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, Gruppo San Donato.
La Dottoressa Facchini spiega che la medicina rigenerativa utilizza il nostro stesso corpo, che ha qualità auto-riparanti: viene prelevato il sangue dal paziente e poi viene trattato grazie a tecnologie all’avanguardia che permettono di trasformarlo in un vero e proprio farmaco rigenerante e riparante.
Come agisce il sangue trattato una volta iniettato nei muscoli, nei tendini o nelle articolazioni?
Con gli emoderivati viene attivato un meccanismo attraverso il quale le piastrine rilasciano alcune sostanze chiamate fattori di crescita che riescono a curare le infiammazioni – o a ridurle di percentuali molto alte – e che facilitano l’irrorazione sanguigna.
Per la medicina rigenerativa possono essere utilizzati anche derivati del midollo osseo o del tessuto adiposo: in questo caso, però, vengono sfruttate alcune cellule chiamate mesemchimali, che insistono sulla zona danneggiata favorendone la rigenerazione e la guarigione.
All’interno dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano è nato un vero e proprio centro di eccellenza per quanto riguarda la ricerca e le applicazioni nel campo della medicina rigenerativa: il RE.GA.IN. Qui vengono trattate molte patologie, tra cui l’artrosi dell’anca, della spalla, del ginocchio, la pseudoartrosi, e la tendinopatia rotulea. Ma la ricerca si concentra anche nel campo dell’odontoiatria (rialzi di seno mascellare o chirurgia orale) e del dolore cronico alla schiena.
L’obiettivo è ripristinare il più velocemente possibile la mobilità necessaria ad uno stile di vita soddisfacente, o, nel caso degli atleti, poter tornare a gareggiare senza le conseguenze negative invalidanti dovute agli infortuni.
Bambini, la noia aiuta a sviluppare la personalità
Bambini, Pediatria, PsicologiaLa noia è un diritto dei bambini, ma spesso genitori ipercontrollanti negano questo diritto. Gli esperti li chiamano «genitori elicottero» e per la crescita emotiva e comportamentale dei figli sono un vero disastro. Il temine «elicottero» viene usato dagli psicologi, riferito alle mamme e ai papà, per indicare che sono troppo controllanti e protettivi, e questo atteggiamento alla fine avrà effetti visibili a lungo termine anche sul rendimento scolastico. Lo rivela lo studio di Nicole Perry, della University of Minnesota, pubblicato sulla rivista Developmental Psychology.
Lo studio
Perry ha seguito lo sviluppo di un gruppo di 422 bambini fino al loro decimo compleanno con incontri periodici a 2, 5 e 10 anni. Durante gli incontri Perry ha studiato l’interazione bambino-genitore per valutare quanto quest’ultimo fosse controllante ed eccessivamente protettivo. La crescita emotiva e sociale dei bambini è stata valutata a 10 anni ed è emerso che i figli di «genitori elicottero», che vorrebbero guidare ogni attimo della vita dei figli, presentano un minore sviluppo delle capacità di controllo emotivo e comportamentale, minori capacità di reagire in modo appropriato a situazioni difficili ad esempio nel contesto scolastico o con i propri coetanei, minore rendimento scolastico. Viceversa se il genitore lascia maggiore autonomia ai figli, i bambini crescono più capaci di calmarsi e reagire autonomamente in situazioni stressanti ed hanno meno difficoltà sia scolastiche sia di relazione.
Diritto di annoiarsi
Quello che molti genitori non sanno è che la noia dovrebbe essere riconosciuta tra i diritti dei bambini, esattamente come il diritto ad avere una vita serena. Molte mamme e papà, spesso dimenticando la propria infanzia, pensano invece che sia un problema da risolvere. Così, le giornate di molti bambini diventano tour de force ricchi di attività, così numerose e intense che non ci si annoia più. In realtà non si hanno nemmeno le energie vitali per annoiarsi. Questo è un grave danno per i piccoli che nella noia, invece, trovano un importante momento di introspezione e creatività. Deve essere il bambino o il ragazzo ad attivarsi in prima persona per trovare una soluzione alla noia, e non gli adulti a farlo al posto suo mettendo in piedi attività di ogni genere.
Ansia: per combatterla basta un “grazie”
News Presa, Prevenzione, PsicologiaNon è facile la vita quando si è ansiosi: è difficile dormire, concentrarsi e ci si sente spesso stanchi e irritati. Ma la buona notizia – riporta il Washington Post – è che per combattere l’ansia basta veramente poco: anche solo un “grazie”.
Due psicologi della University of British Columbia hanno deciso di fare un test. I soggetti più ansiosi sembrano essere più introspettivi e una conseguenza dell’ansia è quella di chiudersi in se stessi. Partendo da questo assunto, Jennifer Trew e Lynn Alden, i due psicologi della University of British Columbia, hanno tentato di scoprire se gli atti di gentilezza verso il prossimo potessero contribuire ad alleviare l’ansia sociale. Da qui è partita la ricerca: per rispondere a questa domanda sono stati analizzati 115 studenti universitari ansiosi, suddivisi in tre gruppi. Lo studio apparso per la prima volta su journal Motivation and Emotion, è durato 4 settimane, durante le quali è stato chiesto al primo gruppo di compiere tre atti di gentilezza, due volte a settimana, al secondo di esporsi in situazioni sociali (ad esempio parlare con uno sconosciuto, invitare un collega a pranzo) e al terzo semplicemente di tenere un diario nel quale annotare gli eventi della giornata.
Gli studenti del primo e secondo gruppo sono stati inoltre preparati con esercizi di respirazione, per far sì che riuscissero a gestire l’ansia nel momento in cui si mettevano alla prova.
I risultati hanno dimostrato che il primo gruppo, impegnato in gesti gentili, aveva riportato dei benefici. Gli atti di gentilezza, infatti, contribuiscono a rafforzare le relazioni sociali, l’impegno sociale e ampliare le reti sociali. Tutto ciò favorisce l’aumento dell’ottimismo, che a sua volta, com’era già stato dimostrato in altri studi, riduce l’ansia.
Per godere di questi benefici non servono gesti eclatanti. Un semplice grazie, un aiuto in qualche faccenda domestica, un cenno di riconoscimento, può avere risvolti terapeutici inaspettati.
Aspettativa di vita: potremo davvero vivere fino a 150 anni?
Ricerca innovazioneSecondo alcuni recenti studi, sì, per l’essere umano potrebbe essere possibile vivere fino ai 150 anni d’età. La maggior parte della popolazione ha un’aspettativa di vita che si aggira intorno agli 80 anni.
Naturalmente, non è sempre stato così: l’aspettativa di vita, negli ultimi decenni, è aumentata grazie al velocissimo avanzamento della ricerca e delle scoperte scientifiche e tecnologiche applicate alla medicina.
Esistono luoghi, nel mondo, nei quali l’aspettativa di vita è molto più alta, come Okinawa in Giappone e Perdasdefogu in Sardegna, dove ci sono casi familiari di persone ultracentenarie. Si tratta di casi isolati, che sono sotto la lente di ingrandimento degli studiosi.
Cosa accadrebbe se la tecnologia avanzata delle intelligenze artificiali venisse applicata in modo da farci vivere fino a 150 anni? E, soprattutto, sarebbe una cosa possibile?
Sulla famosa rivista scientifica Nature Communication è stato pubblicato uno studio scritto dai ricercatori di un’azienda biotech di Singapore in collaborazione con i ricercatori del Roswell Park Comprehensive Cancer Center di Buffalo (Stati Uniti).
Dallo studio emerge la possibilità di poter aumentare la durata della vita fino a 150 anni grazie alla tecnologia applicata alla medicina: in particolare, si fa riferimento alla possibilità di contrastare le malattie e la vecchiaia grazie all’intelligenza artificiale.
L’AI potrebbe portare alla scoperta di nuovi farmaci e biomarcatori digitali, ovvero avanzatissimi indicatori che analizzano i dati con l’obiettivo di fornire diagnosi precisissime e definire cure molto più mirate.
Si tratta di uno studio innovativo, poiché i ricercatori sono riusciti a calcolare non soltanto l’aspettativa di vita media, ma il limite massimo dell’invecchiamento umano.
Sono stati analizzati campioni di sangue prelevati a 70mila partecipanti con età superiore agli 85 anni e si sono osservati i cambiamenti delle cellule del sangue, in modo da poter capire chi avrebbe sviluppato più facilmente malattie attraverso un parametro chiamato “indicatore dello stato dinamico degli organismi”, il DOSI, che unisce il numero dei globuli bianchi (che può indicare infiammazioni in atto) e quello dei globuli rossi (che indica se c’è rischio ad esempio di malattie cardiache).
Il DOSI ha mostrato che, al di là della genetica e dello stato di salute, l’organismo avrebbe perso resilienza, ossia avrebbe smesso di “resistere” a 150 anni, limite teorico della durata della vita umana.
Ma come sarebbe vivere fino a un’età così avanzata? Sulla questione è intervenuto anche Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, che fa presente come una vita tanto longeva sarebbe disastrosa, piena di fatica, malattie e dolore anche psicologico.
Sbalzi d’umore e ansia: i cibi giusti per combatterli
Alimentazione, News Presa, Prevenzione, PsicologiaOltre alle carenze nutrizionali, anche gli sbalzi di umore si possono combattere con una dieta sana.
Chi mangia in modo equilibrato, non solo mantiene un buon livello nutrizionale, ma ritrova benessere anche dal punto di vista psicologico. Anche le carenze nutrizionali, infatti, possono aggravare i livelli di stress e ansia. Un mancato apporto può essere causa scatenante di emozioni negative e indebolimento delle funzioni cerebrali (es. indebolimento della memoria).
Le comunità scientifiche lo hanno ormai dimostrato da tempo. Ma quali sono gli alimenti che fanno bene al corpo e alla mente? Partendo dalla frutta secca, quest’ultima è ricca di acidi grassi e omega tre che aiutano le cellule del cervello (non vengono prodotte dall’uomo e quindi necessitano di essere assunte attraverso il cibo). Le banane contengono la vitamina B, indispensabile per la formazione di globuli rossi e per il buon funzionamento del sistema nervoso (oltre a ridurre il rischio di ictus, a sostenere la crescita delle unghie e a idratare la pelle). Secondo il National Center for Biotechnology Information, una carenza di vitamine del gruppo B può avere un’influenza notevole sugli stati d’animo, tanto che una grande percentuale di donne anziane depresse, è risultata essere carente di vitamina B12.
L’avocado e gli spinaci hanno una grande quantità di acido folico (che contribuisce al buono stato di salute mentale).
Ottimo anche il cioccolato fondente per lo zinco (fondamentale nella produzione e funzione dei neurotrasmettitori), insieme alla carne magra di manzo.
Per la presenza di selenio è ottimo il tonno e il pane integrale. Il selenio svolge un ruolo primario nel supportare la funzionalità tiroidea
Le lenticchie sono perfette per il magnesio, importante per il buon funzionamento dei muscoli, del cervello e soprattutto per eliminare il malumore.
Il tofu per la vitamina D (alleata contro gli sbalzi d’umore, soprattutto durante i cambi di stagione).
Per lo iodio bisogna mangiare mirtilli e pesce che rafforzano le prestazioni del cervello e della memoria, mantenendo buona la salute mentale.
Le cozze sono ricche di ferro, la cui carenza può portare a un’insufficienza di globuli rossi, con conseguente anemia e affaticamento del cervello.
Infine, per gli aminoacidi è bene mangiare latticini. L’assunzione di aminoacidi serve a bilanciare i neurotrasmettitori del cervello e quindi a ridurre la paura, l’ansia, gli attacchi di panico e lo stress.
I benefici di una risata, anche quando non c’è nulla da ridere
News Presa, Prevenzione, PsicologiaIn una risata è custodito il segreto per una vita migliore. E se non c’è nulla da ridere, ridere ugualmente, anche nei momenti più difficili. Gli effetti positivi si hanno grazie al semplice movimento delle labbra che manda segnali positivi al cervello.
Lo stesso medico, suggerisce che qualcosa di ironico c’è sempre nella vita, basta scegliere la giusta prospettiva con cui guardare il mondo.
Secondo una ricerca della St. Edwards University di Austin del Texas, che ha coinvolto 2500 impiegati, l’81% si dichiara maggiormente produttivo se nell’ambiente lavorativo regna il buonumore. E questo lo hanno capito molti imprenditori. Per i ricercatori della Mayo Foundation for Medical Educationand Research, ridere riduce in modo significativo gli ormoni dello stress: il cortisolo del 39%, l’epinefrina del 70% e la dopamina del 38%.
Inoltre, una risata migliora la circolazione del sangue, aiuta a prevenire le malattie cardiovascolari, allena il cervello, contrasta ansia e depressione e fa bene al sistema immunitario.
Secondo un’indagine della californiana Loma Linda University, alla vista di un video comico le beta-endorfine, che alleviano la depressione, hanno una poderosa impennata del 27%.
Non è tutto. Secondo Robert R. Provine, neuro-scienziato e docente di psicologia alla University of Maryland, i benefici della risata si ripercuotono anche su chi sta attorno, sul luogo di lavoro come a casa.
È scontato dirlo, ma non rientra nel novero delle risate positive quella sarcastica, spesso amara e anche cattivella. Lo ribadisce Scott Weems, neuro-scienziato e autore del libro «Ah! The science of when we laugh and why», ricordando che quel tipo di risata invece fa addirittura male, abbassa l’autostima, accresce l’ansia e la depressione.
I ricci di mare sono amici del cuore
Ricerca innovazioneI medici lo ripetono da sempre, una corretta alimentazione fa bene e ci aiuta a restare in salute. Questo significa ridurre il consumo di grassi e cercare di consumare tanta frutta e verdura di stagione. E poi ci sono quelli che potremmo definire “super alimenti”, capaci di migliorare la salute di alcuni organi grazie alle molecole che contengono. In questo senso l’ultima scoperta riguarda i ricci di mare, capaci di neutralizzare i radicali liberi e di favorire la funzionalità del sistema cardiovascolare e il flusso del sangue nei vasi. Queste molecole si chiamano Ovotioli e potrebbero essere usate come integratori alimentari.
Anton Dohrn
Le caratteristiche speciali delle Ovotioli sono state studiate da due ricercatrici della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Imma Castellano e Anna Palumbo, in collaborazione con il gruppo di Assunta Pandolfi, dell’università di Chieti. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Oxidative Medicine and Cellular Longevity. I ricercatori hanno sperimentato le molecole sulle cellule endoteliali umane, ossia quelle che rivestono la superficie interna dei vasi sanguigni, dei vasi linfatici e del cuore. Le cellule sono state isolate dalla vena di cordone ombelicale di donne affette da diabete gestazionale e di donne sane.
Radicali liberi
Con la somministrazione delle molecole di Ovotiolo si è riscontrata nelle cellule una notevole riduzione dei livelli di radicali liberi e un aumento dei livelli di una piccola molecola (ossido nitrico) nota per favorire il flusso del sangue e la funzionalità del sistema vascolare. Questa scoperta potrebbe avere importanti sviluppi nel prossimo futuro, sia nell’ottica di nuovi farmaci, sia per la possibilità di sviluppare integratori alimentari amici del cuore.
Medicina rigenerativa: il corpo umano può curare se stesso?
Ricerca innovazioneTraumi sportivi, artrosi al ginocchio, disturbi cronici considerati incurabili potrebbero essere risolti con un approccio diverso da quello tradizionale: la medicina rigenerativa.
Grazie al sangue del paziente è possibile curare muscoli, tendini e articolazioni facendo sparire il dolore e restituendo anche la corretta mobilità. Finora questo tipo di approccio era riservato agli sportivi che, quando subiscono un infortunio, hanno necessità di ritornare in forma in tempi molto brevi. Ma visti i risultati positivi nel 70% dei casi, la medicina rigenerativa è stata estesa anche a coloro che non praticano sport a livello agonistico o non lo praticano affatto.
I benefici per quanto riguarda la qualità della vita sono innumerevoli: ad esempio, esistono patologie che diventano invalidanti a causa del dolore cronico e che possono essere curate con la medicina rigenerativa; inoltre, con questa disciplina è possibile ritardare interventi molto invasivi anche di anni, ad esempio gli impianti di protesi.
Come funziona la medicina rigenerativa?
Ce lo spiega la Dottoressa Francesca Facchini, chirurgo ortopedico del Centro di traumatologia dello sport all’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, Gruppo San Donato.
La Dottoressa Facchini spiega che la medicina rigenerativa utilizza il nostro stesso corpo, che ha qualità auto-riparanti: viene prelevato il sangue dal paziente e poi viene trattato grazie a tecnologie all’avanguardia che permettono di trasformarlo in un vero e proprio farmaco rigenerante e riparante.
Come agisce il sangue trattato una volta iniettato nei muscoli, nei tendini o nelle articolazioni?
Con gli emoderivati viene attivato un meccanismo attraverso il quale le piastrine rilasciano alcune sostanze chiamate fattori di crescita che riescono a curare le infiammazioni – o a ridurle di percentuali molto alte – e che facilitano l’irrorazione sanguigna.
Per la medicina rigenerativa possono essere utilizzati anche derivati del midollo osseo o del tessuto adiposo: in questo caso, però, vengono sfruttate alcune cellule chiamate mesemchimali, che insistono sulla zona danneggiata favorendone la rigenerazione e la guarigione.
All’interno dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano è nato un vero e proprio centro di eccellenza per quanto riguarda la ricerca e le applicazioni nel campo della medicina rigenerativa: il RE.GA.IN. Qui vengono trattate molte patologie, tra cui l’artrosi dell’anca, della spalla, del ginocchio, la pseudoartrosi, e la tendinopatia rotulea. Ma la ricerca si concentra anche nel campo dell’odontoiatria (rialzi di seno mascellare o chirurgia orale) e del dolore cronico alla schiena.
L’obiettivo è ripristinare il più velocemente possibile la mobilità necessaria ad uno stile di vita soddisfacente, o, nel caso degli atleti, poter tornare a gareggiare senza le conseguenze negative invalidanti dovute agli infortuni.
Combattere la sindrome dell’intestino irritabile
AlimentazioneDiarrea, dolore o fastidio addominale che si presenta con costanza e che migliora dopo essere stati in bagno. È uno campanelli d’allarme della sindrome dell’intestino irritabile, un problema che colpisce molte più persone di quanto si potrebbe credere e che spesso non riceve una diagnosi precoce. Ecco perché la redazione di PreSa – Prevenzione Salute ha voluto approfondire il tema, chiarendo quali sono le cose alle quali prestare attenzione e spiegando quali sono le opportunità terapeutiche.
COS’È
Le nostre madri la conoscevano come “colite spastica”, la sindrome dell’intestino irritabile, si presenta spesso con un fastidio o un vero e proprio dolore addominale, che migliora dopo l’evacuazione. In alcuni questa sindrome può portare alla stitichezza, in altri alla diarrea frequente. Altri pazienti sperimentano un andamento altalenate, tra stipsi e diarrea. Certo è che questa condizione fa crollare la qualità di vita di chi ne soffre, e può portare anche una debolezza e un affaticamento cornico. Ad essere più colpite sono le donne, che associano spesso anche problemi di emicrania, ansia, depressione e cistite.
TRATTAMENTI
Capito come si manifesta il problema, è essenziale chiarire che esitino diversi farmaci e strategie per cercare di porre rimedio alla situazione. Si cerca, di solito di contrastare i sintomi più che di curare la malattia, visto che spesso la causa scatenante resta sconosciuta. In primis, si punta su una buona educazione alimentare e dello stile di vita, cercando di suggerire quali alimenti e bevande possono essere utili o nocivi. Importante una corretta idratazione e praticare attività fisica Per chi soffre principalmente di stipsi possono essere di grande aiuto integratori, lassativi o procinetici a seconda del tipo di stipsi. Mentre contro la diarrea si può ricorrere a probiotici (fermenti lattici), antibiotici non assorbibili , anti-infiammatori intestinali. Sempre e solo sotto il consiglio del medico. Esistono poi, per chi soffre di meteorismo, degli enzimi digestivi, integratori a base di probiotici, piante carminative. Al di là dei rimedi più tradizionali, anche terapie complementari si sono dimostrate efficaci nella cura della sindrome dell’intestino irritabile. Tra queste la più efficace è l’agopuntura, ma anche tecniche di rilassamento. Oltre a mantenere uno stile di vita sano, sarebbe bene imparare a riconoscere i segnali che anticipano l’acuirsi del problema e intervenire tempestivamente con farmaci o integratori in grado di contrastare il dolore, oppure adottare tecniche già sperimentate come attività sportiva, rilassamento o training autogeno.
Lupus: cos’è e come si manifesta
PrevenzioneSi tratta di una patologia cronica autoimmune che provoca un’attivazione incontrollata del sistema immunitario. Di conseguenza si genera una infiammazione cronica che può riguardare qualsiasi organo o apparato dell’organismo. In Italia si registrano più di 60.000 pazienti affetti da lupus, con una percentuale più alta di donne (una caratteristica, questa, tipica delle malattie autoimmuni). I sintomi del Lupus Eritematoso Sistemico (LES) non sono specifici. Questo la rende una patologia dalla diagnosi piuttosto difficoltosa.
Lupus eritematoso sistemico: una malattia cronica autoimmune
Il lupus è una malattia cronica autoimmune ed è dovuto a una reazione del sistema immunitario che può erroneamente attaccare tessuti, organi o apparati perché non li riconosce come appartenenti all’organismo e dunque come propri. Ha spiegato la dottoressa Maria De Santis, dell’Unità di Reumatologia e Immunologia Clinica di Humanitas e docente di Humanitas University.
Alcune malattie autoimmuni colpiscono specifiche zone del corpo, mentre il lupus può interessare qualsiasi organo, in particolar modo cuore, reni, cute, sistema nervoso e articolazioni.
Febbre, stanchezza e rash cutanei: i sintomi del lupus
Il lupus in fase attiva si presenta generalmente con sintomi sistemici: tra questi figurano febbre e stanchezza; con segni cutanei e mucosi come rash a farfalla sul volto, lesioni eritematose sulle zone in cui la pelle è stata esposta al sole, ulcere orali e perdita di capelli. Può anche esservi un coinvolgimento articolare con artralgie e artrite, ma anche pericardite e pleurite. Nei casi più severi possono essere coinvolti anche i reni. Frequente è la leucopenia (globuli bianchi bassi), ma sono comuni anche anemia emolitica e piastrinopenia. L’andamento della malattia varia da individuo a individuo e può esservi l’alternanza di fasi di remissione di riacutizzazione.
Le cause
Negli individui predisposti geneticamente il lupus può essere scatenato da fattori ambientali come uno stress emotivo particolarmente forte, un trauma, un’infezione, l’assunzione di determinati farmaci e l’esposizione al sole. Giocano un ruolo significativo anche le variazioni ormonali, caratteristiche di fase della vita come la pubertà, la gravidanza o la menopausa.
Terapie
Generalmente, le terapie per il lupus eritematoso sistemico prevedono farmaci corticosteroidi, farmaci anti-malarici, e immunosoppressori. Al momento sono anche in fase di studio diversi farmaci biologici.
In ogni caso, a seguito della diagnosi, dev’essere lo specialista a valutare il trattamento più adeguato della patologia, in base alla severità con cui si manifesta, alla sua attività e al quadro clinico del paziente.
Pomodoro e tumore al seno, cosa c’è di vero
AlimentazioneMangiare pomodoro mette a rischio la salute di chi ha avuto un tumore? Sembra una domanda strana, curiosa, ma non lo è. Non di rado chi ha combattuto la propria battaglia contro i cancro si sente dire che il pomodoro andrebbe evitato, perché può aumentare il rischio di una recidiva o può “nutrire” il tumore se ancora si sta combattendo contro la malattia. Proprio per farci strada tra notizie vere e “bufale” abbiamo deciso di approfondire il tema e chiarire qualche punto ancora oscuro ai più. L’interrogativo sul pomodoro nasce dal fatto che questo vegetale contiene una discreta quantità di poliammine. Le poliammide sono molecole che hanno un ruolo importante nella vita delle nostre cellule, ragione per la quale in un soggetto sano il pomodoro è un alimento centrale nell’alimentazione. Il problema, o presunto tale, sorge invece in persone che hanno o hanno avuto il cancro. E il perché è presto detto. Nei tumori si verificano spesso disfunzioni del loro metabolismo ed è stato dimostrato che l’aumento delle concentrazioni intracellulari di poliammina è associato alla proliferazione cellulare e alla tumorigenesi.
PRECAUZIONE
Proprio questo collegamento tra le poliammine e la proliferazione cellulare nei tumori, nel corso degli anni è sorta l’indicazione precauzionale di evitare o ridurre nei pazienti oncologici il consumo dei cibi che ne contengono in alte quantità. Tra questi alimenti ci sono le arance e i pompelmi, i pomodori, e melanzane e i peperoni, ma anche i frutti tropicali e i molluschi. Ma qui arriva il primo e il più importante dei “ma”. È infatti altrettanto giusto sottolineare che non esistono dati scientifici che possano confermare senza ombra di dubbio che il consumo di questi alimenti, in nel contesto di una dieta sana e variegata come quella Mediterranea, possano aumentare il rischio di una recidiva, o di un peggioramento della prognosi. Soprattutto se si guarda al tumore della mammella. Anzi, a volerla dire proprio tutta, alimenti come il pomodoro hanno la grande qualità di essere protettivi, grazie all’azione antiossidante e antiproliferativa di altri composti come i polifenoli e i carotenoidi. Prevalgono insomma gli effetti protettivi di questi alimenti e, dunque, è bene sfatare il mito che i pomodori debbano sparire dalla dieta di donne colpite dal tumore al senso. Inoltre, come buon consiglio che vale a prescindere, prima di modificare la propria alimentazione sarebbe sempre bene consultare un nutrizionista. In fondo, siamo quel che mangiamo.