Tempo di lettura: 2 minutiIl sonno è un grande alleato del nostro benessere, ma quando soffriamo di mal di schiena è molto importante anche sapere come dormire: assumere una postura corretta durante le ore di riposo è fondamentale tanto quando mantenere una postura adeguata durante il giorno.
Il mal di schiena lombare, o lombalgia, è un disturbo molto diffuso che causa un dolore invalidante in molti pazienti e che è, nella maggioranza dei casi, dovuta a un infortunio dei muscoli o dei legamenti appartenenti alla schiena; più raramente, è il risultato di una frattura vertebrale, un tumore vertebrale, l’ernia discale, la stenosi vertebrale, la sciatalgia o della gravidanza. Questa condizione dolorosa a comparsa repentina può mantenersi anche fino a poco più di un mese.
La lombalgia non impatta soltanto sulle attività quotidiane, ma può anche interferire con il sonno, disturbandolo. Posizioni inadeguate possono provocare dolore durante la notte o al risveglio.
Ecco perché è importante capire quali sono le migliori posizioni e quali quelle da evitare se si soffre di questo disturbo.
1. Dormire su un fianco con un cuscino tra le ginocchia
Probabilmente, se soffri di lombalgia e ti metti sdraiato sulla schiena sentirai dolore. Ecco perché può essere comodo sdraiarsi su un fianco e mettere un cuscino tra le ginocchia. Se resta spazio fra la vita e il materasso, puoi riempirlo con un piccolo cuscino, in modo da avere un maggior supporto. In ogni caso, è sempre bene cambiare spesso lato, in modo da non andare a caricare soltanto un lato del tuo corpo.
Questa posizione è utile perché il cuscino fra le ginocchia da da sostegno alla fascia lombare, aiutando bacino e colonna vertebrale ad allinearsi meglio.
2. Dormire in posizione fetale
Se la lombalgia è dovuta a un’ernia del disco, può risultare utile dormire in posizione fetale, cioè su un fianco con le ginocchia rannicchiate verso l’alto, in modo che risultino avvicinate al petto: in questo modo si allungano le vertebre e si dà quindi sollievo alla colonna. È bene cambiare spesso lato, per evitare squilibri.
3. Dormire a pancia in giù con un cuscino sotto l’addome
Dormire a pancia in giù può favorire lo stress a livello cervicale, perché impone di ruotare la testa, ma il cuscino sotto l’addome aiuta a migliorare l’allineamento della colonna.
4. Dormire supini con un cuscino sotto le ginocchia
Dormire a pancia in su è ritenuta una delle migliori posizioni per la schiena, perché permette di distribuire in maniera uniforme il peso su tutto il corpo, mentenendo un buon allineamento della colonna. In caso di lombalgia, però, è consigliabile mettere un cuscino sotto le ginocchia, in modo da rilassare i muscoli della zona.
5. Dormire su una poltrona reclinabile
In caso di lombalgia dormire su una poltrona reclinabile può aiutare ad alleviare il dolore, perché la poltrona può essere regolata a seconda delle proprie esigenze. Esistono in commercio anche letti reclinabili che hanno lo stesso scopo e che offrono la possibilità di un miglior allineamento bacino-colonna vertebrale e un maggior supporto.
Le migliori posizioni per dormire se si soffre di lombalgia
PrevenzioneIl sonno è un grande alleato del nostro benessere, ma quando soffriamo di mal di schiena è molto importante anche sapere come dormire: assumere una postura corretta durante le ore di riposo è fondamentale tanto quando mantenere una postura adeguata durante il giorno.
Il mal di schiena lombare, o lombalgia, è un disturbo molto diffuso che causa un dolore invalidante in molti pazienti e che è, nella maggioranza dei casi, dovuta a un infortunio dei muscoli o dei legamenti appartenenti alla schiena; più raramente, è il risultato di una frattura vertebrale, un tumore vertebrale, l’ernia discale, la stenosi vertebrale, la sciatalgia o della gravidanza. Questa condizione dolorosa a comparsa repentina può mantenersi anche fino a poco più di un mese.
La lombalgia non impatta soltanto sulle attività quotidiane, ma può anche interferire con il sonno, disturbandolo. Posizioni inadeguate possono provocare dolore durante la notte o al risveglio.
Ecco perché è importante capire quali sono le migliori posizioni e quali quelle da evitare se si soffre di questo disturbo.
1. Dormire su un fianco con un cuscino tra le ginocchia
Probabilmente, se soffri di lombalgia e ti metti sdraiato sulla schiena sentirai dolore. Ecco perché può essere comodo sdraiarsi su un fianco e mettere un cuscino tra le ginocchia. Se resta spazio fra la vita e il materasso, puoi riempirlo con un piccolo cuscino, in modo da avere un maggior supporto. In ogni caso, è sempre bene cambiare spesso lato, in modo da non andare a caricare soltanto un lato del tuo corpo.
Questa posizione è utile perché il cuscino fra le ginocchia da da sostegno alla fascia lombare, aiutando bacino e colonna vertebrale ad allinearsi meglio.
2. Dormire in posizione fetale
Se la lombalgia è dovuta a un’ernia del disco, può risultare utile dormire in posizione fetale, cioè su un fianco con le ginocchia rannicchiate verso l’alto, in modo che risultino avvicinate al petto: in questo modo si allungano le vertebre e si dà quindi sollievo alla colonna. È bene cambiare spesso lato, per evitare squilibri.
3. Dormire a pancia in giù con un cuscino sotto l’addome
Dormire a pancia in giù può favorire lo stress a livello cervicale, perché impone di ruotare la testa, ma il cuscino sotto l’addome aiuta a migliorare l’allineamento della colonna.
4. Dormire supini con un cuscino sotto le ginocchia
Dormire a pancia in su è ritenuta una delle migliori posizioni per la schiena, perché permette di distribuire in maniera uniforme il peso su tutto il corpo, mentenendo un buon allineamento della colonna. In caso di lombalgia, però, è consigliabile mettere un cuscino sotto le ginocchia, in modo da rilassare i muscoli della zona.
5. Dormire su una poltrona reclinabile
In caso di lombalgia dormire su una poltrona reclinabile può aiutare ad alleviare il dolore, perché la poltrona può essere regolata a seconda delle proprie esigenze. Esistono in commercio anche letti reclinabili che hanno lo stesso scopo e che offrono la possibilità di un miglior allineamento bacino-colonna vertebrale e un maggior supporto.
Allergia e ipersensibilità alle punture di zanzara: cosa c’è da sapere
PrevenzioneLa maggior parte delle persone non è allergica alle punture di zanzara, sviluppando una reazione lieve intorno alla zona della puntura, come gonfiore e prurito, che guarisce nel giro di qualche ora o al massimo qualche giorno, senza conseguenze.
Esistono però individui che, nel corso degli anni, sviluppano una vera e propria allergia alle punture di zanzara, nota come Sindrome di Skeeter: in questo caso il sistema immunitario reagisce in modo sproporzionato al fluido anticoagulante che la zanzara inietta nella cute con la sua puntura, producendo una quantità eccessiva di immunoglobuline specifiche (IgE e IgG 4).
Vediamo quali sono i sintomi, i soggetti più esposti e i possibili rimedi.
La sindrome di Skeeter è un disturbo piuttosto raro e nella maggior parte dei casi si manifesta in forme lievi. Per alleviare i sintomi si può usare il cortisone in forma topica, meglio se associato all’antibiotico, importante per scongiurare l’ingresso di eventuali batteri e germi nella cute.
I soggetti più esposti a questa allergia sono quelli con il sistema immunitario più fragile: i bambini, gli immunodepressi e le persone che visitano per la prima volta un luogo popolato da zanzare con le quali non sono mai venute in contatto.
La sintomatologia comprende pomfi molto gonfi, estesi e arrossati, che possono rilasciare liquidi acquosi, prurito e rossori che possono estendersi anche su tutto il corpo. Talvolta può comparire anche la febbre e i sintomi possono durare diversi giorni.
I rimedi prevedono l’utilizzo di cortisone e antibiotici in forma topica, cioè applicati direttamente sulle aree interessate, da usare sempre sotto il controllo del proprio medico fino all’attenuarsi dei pomfi. Il cortisone guarisce l’irritazione, facendo diminuire il prurito. L’antibiotico, invece, combatte i germi che possono penetrare nelle ferite aperte proprio in seguito allo sfregamento.
Quando il prurito è molto intenso, è possibile utilizzare un antistaminico. Nei casi più lievi, per contrastare il prurito e l’infiammazione può essere usata, soprattutto per i bambini, una pomata all’ossido di zinco. Se i sintomi sono più gravi e fastidiosi una pomata al cortisone può essere utilizzata anche per i più piccoli.
Dopo essere stati punti da una zanzara, quando i pomfi sono ancora evidenti, è bene non esporsi al sole o, se non se ne può fare a meno, è bene usare una crema solare con un adeguato filtro protettivo, per evitare che il calore e il sudore vadano a complicare la situazione, aumentando la sensazione di bruciore e il prurito.
L’unico modo per provare a evitare questi inconvenienti è cercare di prevenire le punture di zanzara. Esistono in commercio diversi spray, adatti ad adulti e bambini, alcuni specifici per i più piccoli, da spruzzare preferibilmente sui vestiti, non direttamente sulla pelle. Oppure i cerotti che rilasciano estratti vegetali sgraditi alle zanzare. Un altro modo per allontanare gli insetti è quello di assumere vitamina B tramite pastiglie: quando la vitamina viene espulsa dall’organismo col sudore, funziona come repellente contro le zanzare.
Cancro e attività fisica: 30 minuti al giorno riducono il rischio di morte
PrevenzioneCancro e attività fisica: una ricerca recente rivela che facendo almeno 30 minuti di moto al giorno si riduce di molto la probabilità di morire di tumore. Non c’è bisogno di fare sport a livelli agonistici, basta dedicarsi a un’attività fisica moderata per aumentare la possibilità di sopravvivere a un tumore.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Jama Oncology, ha evidenziato una forte associazione tra sedentarietà e morte per tumore.
In che modo l’attività fisica è collegata a un minor rischio di morire di tumore?
L’esercizio fisico ha innumerevoli effetti positivi sull’organismo: un’attività fisica di tipo moderato riduce, ad esempio, i livelli degli ormoni sessuali come gli estrogeni, diminuendo il rischio di tumore al seno o al colon; riduce, inoltre, la possibilità di insorgenza di infiammazioni e migliora la funzione del sistema immunitario e del sistema digestivo. Prevenendo l’obesità, riduce uno dei fattori di rischio dell’insorgenza del cancro. Uno stile di vita sedentario comporta diversi rischi per il corpo, che è costretto ad assumere posizioni scorrette per lunghi periodi di tempo, con l’aumento della possibilità di sviluppare malattie croniche.
Lo studio ha preso in esame circa 8.000 persone sane il cui livello giornaliero di attività fisica è stato tracciato con appositi strumenti per un periodo di 5 anni: alla fine i ricercatori hanno calcolato che i più sedentari hanno una probabilità di morire per tumore più alta dell’82% rispetto ai meno sedentari.
La ricerca ha già portato a scoperte molto interessanti, ma saranno necessari approfondimenti per indagare, ad esempio, come la sedentarietà influisca sull’incidenza di differenti tumori e se sesso ed etnia possano fare la differenza.
Colpo di calore: sintomi, rimedi e consigli utili per prevenirlo
PrevenzioneIl caldo estivo e il tasso di umidità superiore al 90%, insieme a comportamenti individuali poco prudenti o a rischio, possono predisporre all’insorgenza del colpo di calore, una condizione patologica molto comune ma anche piuttosto pericolosa.
Vediamo quali sono i sintomi del colpo di calore e quali i rimedi da applicare per gestirlo in modo adeguato.
Cos’è il colpo di calore
Comunemente conosciuta come colpo di calore o insolazione, l’ipertermia è una condizione patologica caratterizzata da un rapido aumento della temperatura corporea, che può raggiungere i 40°C: un innalzamento della temperatura anomalo, che può avere anche gravi ripercussioni sulla salute dell’individuo.
Questa condizione patologica può insorgere indifferentemente in entrambi i sessi, a qualunque età o in qualunque stato di salute generale, ma è più probabile che si verifichi nei soggetti più fragili, come gli over-65 e i bambini, nei quali la termoregolazione corporea è meno efficiente e capace di gestire il grande sbalzo termico interno.
Il colpo di calore può manifestarsi a seguito dell’esposizione prolungata a tre fattori ambientali particolari, quali: elevate temperature, scarsa ventilazione, alto tasso di umidità.
Il corpo umano è programmato per disperdere il calore accumulato tramite sudore o vasodilatazione cutanea ma, nel caso di lunga esposizione a tali condizioni, è possibile che la capacità di termoregolazione si alteri, portando le temperature corporee ad un innalzamento anomalo.
Sintomi del colpo di calore
Il sintomo principale è, ovviamente, l’innalzamento della temperatura corporea.
A questo possono accompagnarsi, a seconda della gravità dell’ipertermia, altre alterazioni come la sensazione di nausea, vomito, stanchezza e spossatezza, vertigini, crampi, acufene. Nei casi più gravi i sintomi possono diventare più seri, con aumento della frequenza cardiaca, ipotensione e perdita di coscienza.
Come prevenire il colpo di calore
Per prevenire il colpo di calore è possibile adottare dei comportamenti cautelativi che ne dimuniscano il rischio d’insorgenza: non esporsi al sole o fare attività fisica nelle ore più calde della giornata, fornire all’organismo il giusto apporto di liquidi e adottare un’alimentazione leggera e ricca di minerali. Evitare di indossare abiti scuri che attirano i raggi del sole, bagnarsi e mantenere la cute umida, facilitando così la termoregolazione esterna.
Rimedi al colpo di calore
Importantissimo è, in caso di sospetto di colpo di calore, intervenire immediatamente, chiamando subito il Pronto Soccorso e, nell’attesa, cercare di riportare rapidamente la temperatura corporea a quella fisiologica, posizionando del ghiaccio sulla fronte, sotto le ascelle e a livello dell’inguine.
Altra cosa da fare è far distendere la persona colpita da insolazione a terra, con le gambe sollevate e in un ambiente dove vi sia ombra e la giusta ventilazione. Se la persona non ha perso i sensi, è utile anche farle bere dell’acqua, non gelata e a piccoli sorsi.
Smettere di fumare: i benefici sulla salute aumentano col tempo
PrevenzioneIl fumo provoca gravi danni all’organismo. Anzi, uccide. Nonostante questa consapevolezza sia largamente diffusa, smettere di fumare può risultare molto difficile, anche se è una delle cose più importanti che un fumatore possa fare per la propria salute: l’abbandono delle sigarette, infatti, porta grandi benefici per il corpo, sia nell’immediato sia nel lungo termine.
Quali sono i principali rischi legati al fumo?
Il tabagismo è correlato a tutta una serie di malattie e disturbi:
Quali sono i benefici per il corpo quando si decide di smettere di fumare?
Smettere di fumare può risultare difficile, poiché la caratteristica principale della nicotina è quella di creare dipendenza, sia fisica sia psicologica. Insonnia, irritabilità, ansia, costipazione e diarrea sono alcuni dei sintomi delle crisi di astinenza. Ma dire addio alle sigarette comporta anche benefici immediati per la salute, che aumentano significativamente con il passare del tempo negli ex-fumatori.
Mangiare una mela al giorno fa bene: la scienza lo conferma
Prevenzione, Stili di vitaLa saggezza popolare lo ha sempre sostenuto, col famoso proverbio “una mela al giorno toglie il medico di torno”: oggi anche la scienza conferma i benefici delle mele, grazie a numerosi studi scientifici che evidenziano che questo frutto è un concentrato di benessere per l’organismo.
Lo studio sui benefici delle mele
Uno studio australiano ha preso in esame un gruppo di circa 1500 donne di età compresa tra i 70 e gli 85 anni e li ha analizzati in un periodo di tempo di 15 anni, attraverso la somministrazione di questionari sul consumo di frutta.
I risultati ottenuti da questa ricerca della Scuola di Medicina e Farmacologia dell’Università del Western Australia sono sorprendenti: chi mangiava una mela al giorno aveva un rischio di morire del 35% più basso rispetto a chi non ne mangiava affatto. I ricercatori si sono concentrati sulle mele perché sono tra i frutti più comunemente consumati, insieme a banane e arance.
Il responsabile dello studio – Jonathan Hodgson – ha affermato che le mele offrono un contributo significativo apportando fattori dietetici ritenuti importanti per la salute: fibra dietetica, flavonoidi, vitamine importanti come la C, potassio e magnesio. I flavonoidi sono sostanze nutrienti contenute nella buccia delle mele, mentre la fibra è contenuta nella polpa.
Potrebbe tuttavia esistere un legame fra le donne che mangiano regolarmente frutta e un loro stile di vita più sano, un fattore di cui lo studio ha tenuto conto, spiega Hodgson. Benché lo studio si sia concentrato sulle mele, è dimostrato che la frutta di ogni genere migliora lo stato di salute.
La mela è dunque un alimento che non dovrebbe mai mancare in tavola, perché veicolo di diversi benefici per la salute. Questo frutto è utile non solo per i piccoli disturbi – come quelli intestinali – e per tenere sotto controllo il colesterolo, ma vanta anche proprietà antitumorali.
Benefici delle mele: le proprietà antitumorali
Tra le caratteristiche che la rendono più interessante dal punto di vista scientifico vi è sicuramente quella di antitumorale. Le mele contengono grandi quantità di polifenoli, contenuti nella polpa, ma soprattutto nella buccia. I polifenoli sono antiossidanti in grado di contrastare i danni causati dall’invecchiamento.
Studiando il comportamento delle cellule derivate da numerosi tumori umani come quelli al colon e al fegato, la leucemia e il melanoma, si è rilevato che con le mele lo sviluppo delle cellule tumorali in coltura viene ridotto rispettivamente di circa il 40-60% aggiungendo la mela con la buccia e del 30-40% aggiungendo solo la polpa.
Le mele contribuiscono alla buona digestione
Le mele contengono anche una grande quantità di fibre, che si trovano sia nella polpa sia nella buccia. Le fibre contribuiscono al buon funzionamento del transito intestinale e sono utili sia per stimolare l’intestino pigro sia a contrastare la diarrea.
Benefici delle mele: tengono sotto controllo il colesterolo
Tra le fibre contenute nella mela c’è anche la pectina che ha un particolare ruolo nel controllo del colesterolo cattivo (LDL).
Le mele proteggono la salute dei polmoni
Le mele sono ricche di una sostanza dalle molteplici proprietà benefiche: la quercetina. Questo flavonoide protegge i polmoni dai danni sia del fumo che dell’inquinamento atmosferico, rallentando la degenerazione cellulare. Alcune ricerche hanno addirittura sottolineato come consumare cinque mele a settimana possa contribuire a mantenere i polmoni in salute. La quercetina ha inoltre effetti molto positivi nel combattere sia gli stati infiammatori che a prevenire le patologie cardio-vascolari e agisce contro le patologie neurodegenerative.
Tutte queste proprietà benefiche rendono la mela un valido alleato dell’organismo e quindi un alimento che non dovrebbe mai mancare in tavola.
Colesterolo cattivo, ecco cosa c’è da sapere per tenersi in salute
News Presa, Partner, PrevenzioneTanti buoni propositi ma poi, alla prova dei fatti, troppi peccati di gola. Mantenere un regime alimentare sano non è facile, tantomeno in estate con la possibilità di concedersi qualche aperitivo in più. Essere attenti alla dieta, e soprattutto ai valori di colesterolo non è però un vezzo, bensì un necessario comportamento di prevenzione.
Lo ha spiegato ai microfoni di Radio Kiss Kiss il professor Ciro Indolfi, presidente della Società italiana di cardiologia (SIC). Nel corso delle pillole di Salute promosse e organizzate dal network editoriale PreSa, il professor Indolfi ha chiarito, infatti, che «il colesterolo “cattivo” non è solo un fattore di rischio, ma anche la causa dell’arteriosclerosi e quindi di infarti». Proprio per questo, negli ultimi anni c’è stata una grande attenzione nell’individuare i pazienti che maggiormente a rischio, ma anche nel cercare di individuare terapie e strategie capaci di ridurre il colesterolo LDL, quello “cattivo” appunto. Già, perché esiste anche un colesterolo “buono”, che si chiama HDL. «Chi ha l’HDL alto – aggiunge Indolfi – ha una forma di protezione naturale, purtroppo però non esiste alcuna terapia medica che possa aumentare i livelli di HDL nel sangue». Un vero e proprio toccasana, chiarisce il professore, è lo sport. «Solo l’esercizio fisico, 150 minuti alla settimana, può far crescere i nostri livelli di HDL. Ovviamente, non una passeggiata per vetrine, ma un po’ di esercizio a moderata intensità».
La buona notizia è che oggi i clinici hanno nuove armi terapeutiche, «un’ampia gamma di farmaci che ci consentono di abbassare il colesterolo cattivo e quindi di combattere in modo efficace questo fattore di rischio». Ma quando e quanto ci si dovrebbe controllare per non avere sorprese? Il professor Indolfi non ha dubbi: «Se non si hanno particolari patologie almeno una volta l’anno, se invece si hanno patologie o condizioni fisiche che aumentano il rischio è bene affidarsi ai consigli del medico».
Ascolta l’intervista:
“Contenuto realizzato da Radio Kiss Kiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
Alluce valgo: come e quando intervenire. Parla l’esperto
PrevenzioneL’alluce valgo è una patologia del piede molto diffusa. Si tratta di una deviazione dell’alluce verso le altre dita e colpisce soprattutto le donne.
Spesso si accompagna al dito a martello, ovvero a una sovrapposizione del secondo dito del piede all’alluce. “Il secondo dito del piede tende a curvarsi verso l’alto e a sovrapporsi all’alluce deviato: in questo modo il dito spesso sbatte contro la scarpa, motivo per cui in genere il paziente si rivolge all’ortopedico”, spiega il dottor Leonardo Maradei.
Alluce valgo, come nasce
Le cause della deformazione possono essere diverse; ma un ruolo fondamentale lo gioca la familiarità. Può accelerare la comparsa in maniera significativa l’uso di calzature che affaticano il piede, come le scarpe dalla pianta e dalla punta stretta e con il tacco alto. In altri casi, l’alluce valgo può essere dovuto a lesioni a carico del piede, presenza di altre patologie (come alcuni tipi di artrite) oppure a problemi di peso, di postura o di tono muscolare.
“L’alluce valgo, quando sintomatico, altera il modo di camminare e comporta un sovraccarico dei metatarsi. Deve quindi essere trattato. Il trattamento può essere conservativo, con l’utilizzo di plantari correttivi, ma nella maggior parte dei casi, quando diventa sintomatico, la soluzione è chirurgica. La chirurgia tradizionale, attraverso l’apertura chirurgica della cute e dei tessuti sottostanti, consente la correzione della deformità mediante l’asportazione di una parte di osso e l’esecuzione di osteotomie con l’inserimento di supporti volti a riportare l’alluce nella corretta posizione”, spiega il dottor Maradei, Responsabile di Chirurgia del piede e mininvasiva in Humanitas.
“Alla chirurgia tradizionale si sono affiancate altre procedure, come l’osteotomia percutanea distale (PDO), che prevede l’osteotomia in maniera percutanea, ovvero attraverso un’incisione di qualche millimetro. La correzione viene mantenuta con l’infissione di un filo metallico (detto di Kirschner) che verrà rimosso dopo 4 settimane in ambulatorio.
Gioca un ruolo di primo piano, dove l’indicazione lo permette, la chirurgia mini invasiva (detta MIS), che consente di correggere l’alluce valgo e di intervenire anche per la correzione del secondo dito a martello e di altre deformità attraverso piccole incisioni della cute e senza utilizzare mezzi di sintesi”, continua lo specialista.
“I vantaggi di queste procedure mininvasive sono molteplici: minor dolore per il paziente, diminuito rischio di infezioni e necrosi della cute e ripresa rapida; si pensi infatti che il paziente ricomincia a camminare subito dopo l’intervento. La ripresa definitiva però necessita del tempo biologico per la guarigione dell’osso. Nel caso dell’osteotomia percutanea distale (PDO) il paziente dovrà indossare scarpe ortopediche che gli permetteranno di camminare fin da subito, nel caso della chirurgia mini invasiva (MIS), invece, basterà una calzatura comoda per un mese”, conclude il dottor Maradei.
Sclerosi multipla, ecco come si presenta
PrevenzioneAlcune malattie hanno un esordio insidioso per il fatto che si manifestano con i sintomi più vari, la Sclerosi multipla è una di queste. I sintomi della Sclerosi multipla possono essere diversi, l’infiammazione può infatti colpire i più disparati sistemi funzionali del cervello. «Per questo motivo – spiega il professor Paolo Gallo – non sempre per i medici di medicina generale è facile ricondurre i disturbi della malattia. Si possono avere problemi motori, sensoriali, visivi e persino sfinterici. Ma è bene non suggestionarsi, da un punto di vista prettamente clinico, la definizione internazionale per i sintomi della Sclerosi multipla è quella di un disturbo del sistema nervoso centrale che duri almeno 24 ore. E’ in questi casi che è sempre bene rivolgersi al proprio medico di famiglia».
A volte i sintomi si presentano con particolare violenza, ad esempio gravi problemi di vista o l’impossibilità di muovere un arto, in questi casi la persona si rivolge direttamente al pronto soccorso. Ma la figura chiave nella cura dei pazienti con Sclerosi multipla è sempre il neurologo. Il professor Gallo spiega anche che esistono diverse forme di Sclerosi multipla e quindi anche diversi esordi. In prima battuta si parla di “sindrome clinicamente isolata del sistema nervoso centrale”, si tratta insomma di un episodio. Dopo si ha in moltissimi casi un tipico andamento a ricadute e remissioni.
«La malattia – dice Gallo – tende a ripresentarsi con sintomi che si acuiscono e poi spariscono per un periodo più o meno lungo. Si alternano, insomma, fasi di benessere a ricadute. Questa forma passa poi in una seconda fase che viene definita progressiva. Esiste anche una forma primaria progressiva, nella quale il paziente non ha un esordio acuto, pian piano sviluppa un deficit che progressivamente va peggiorando». Come detto ciascuna di queste forme si diversifica anche per i sintomi che produce, rendendo spesso difficile il primo approccio da parte dei medici di famiglia che devono essere particolarmente bravi a proporre un primo sospetto diagnostico che porti a visite specialistiche.
La demenza senile si previene anche con la cura dei denti: lo studio
PrevenzioneI risultati di recenti ricerche hanno evidenziato il legame tra la cura delle malattie dei denti e la demenza senile. La cura dei denti diminuisce le probabilità di soffrire di demenza in età avanzata.
L’Università del Minnesota ha pubblicato i risultati di una ricerca da cui emerge che la perdita dei denti e la scarsa salute orale si associano a demenza senile e deficit cognitivi.
Vediamo qual è la relazione tra queste due condizioni patologiche
Può sembrare strano, ma a quanto pare lavarsi i denti può aiutare a scongiurare l’insorgenza di neuropatie come la demenza senile. Sono le conclusioni che emergono dallo studio americano condotto su diverse migliaia di anziani in 20 anni: dalla ricerca emerge che la parodontite (perdita dei denti) è associata, ad esempio, ad un raddoppio del rischio di sviluppare deficit.
Questi studi confermano il legame che i ricercatori stanno sempre più scoprendo tra il sistema digestivo e cerebrale, con correlazione fra la composizione della flora intestinale e le malattie degenerative come l’Alzheimer e la malattia di Parkinson.
In generale la perdita dei denti è indicativa di uno stato di salute compromesso e determina una limitazione nelle possibilità del soggetto di nutrirsi seguendo una dieta completa ed equilibrata.
La parodontite determina anche una notevole disfunzione masticatoria, che è associata allo sviluppo di demenza: la corretta masticazione stimolerebbe positivamente proprio le aree cerebrali che risultano compromesse nella demenza.
Lo studio non dimostra che esiste una relazione di causa-effetto per cui una scorretta igiene orale provoca la demenza senile, ma viene evidenziata una forte associazione tra le due condizioni.
Le ragioni per mantenere i propri denti sani e curati sono moltissime: la carie dentaria, infatti, oltre a essere fastidiosa e provocare infezioni e dolori, se trascurata può arrivare a provocare anche malattie cardiache.
La demenza senile è influenzata dalla concomitanza di diverse variabili come la dieta, l’esercizio fisico, il fumo, l’abuso di alcol, la pressione sanguigna e la genetica; uno stile di vita sano, quindi, può contribuire a ridurre il rischio di insorgenza della malattia.
L’Italia ha un triste record per quanto riguarda l‘igiene orale: si calcola, infatti, che soltanto il 39% degli italiani sia consapevole dell’importanza di una corrette igiene orale, usi correttamente lo spazzolino e monitori la salute dei propri denti dal dentista. La metà dei cittadini italiani è affetta da parodontite cronica, il cui esito nel 10-14% dei casi è la caduta dei denti.
In conclusione, la prevenzione quotidiana ha un ruolo fondamentale nella salute orale e il consiglio resta quello di lavare i denti almeno due volte al giorno, spazzolandoli accuratamente; è importante anche andare dal dentista a fare visite di routine ed evitare cibi e bevande che contengono molto zucchero.