Tempo di lettura: 3 minutiL’enfisema è una malattia respiratoria progressiva che colpisce gli alveoli polmonari riducendo la quantità di ossigeno che si può assorbire con ogni respiro. Nel corso degli anni e nei casi più gravi, l’enfisema rende sempre più difficile la corretta respirazione e lo svolgimento delle attività quotidiane senza fermarsi per respirare, fare una pausa o chiedere aiuto. L’enfisema in Italia ha una prevalenza di 2,6 milioni con un’incidenza di 300.000 nuovi casi all’anno con alto tasso degenza ospedaliera e di mortalità. Secondo i dati Istat, in Italia, la bronco-pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), di cui l’enfisema è una manifestazione, colpisce il 5,6% degli adulti (circa 3,5 milioni di persone) ed è responsabile del 55% dei decessi per malattie respiratorie.
“Sebbene questi pazienti siano sottoposti a terapia medica ottimale (TMO) – spiega il Prof. Giuseppe Failla, Direttore dell’U.O.C. Servizio Pneumologia Interventistica dell’AORN Cardarelli di Napoli – attualmente non esiste un trattamento in grado di arrestare o ritardare l’evoluzione della malattia. Per molto tempo l’approccio chirurgico ha previsto la riduzione chirurgica di volume polmonare, fino al trapianto dell’organo. La cura farmacologica prevede, invece, la somministrazione di farmaci broncodilatatori e antinfiammatori inalatori, la riabilitazione respiratoria e l’ossigenoterapia o ventilazione non invasiva in casi più gravi”.
Enfisema polmonare: come funzionano le valvole
Le valvole endobronchiali sono delle protesi posizionate per via endoscopica nei bronchi. Lo scopo è ridurre il volume del lobo polmonare più affetto da enfisema e permettere al tessuto sano di espandersi in maniera corrispondente. I dati più recenti sull’impiego delle valvole endobronchiali in pazienti affetti da enfisema grave e molto grave, sono stati presentati al XXIII Congresso della Società Italiana di Pneumologia SIP.
A partire dalla loro introduzione nel 2003 con l’ottenimento del marchio CE, le valvole endobronchiali si sono diffuse come alternativa più sicura e meno invasiva rispetto all’intervento chirurgico di rimozione del lobo. Possono essere impiegate anche nei casi per i quali la chirurgia non è un’opzione percorribile, ma dopo un’attenta analisi attraverso la TAC polmonare e la spirometria globale.
Le valvole, durante l’inspirazione, impediscono l’ingresso di aria nel lobo trattato e, durante l’espirazione, permettono la fuoriuscita dell’aria intrappolata, portando ad una diminuzione del volume del lobo. In questo modo la respirazione diventa meno difficoltosa ed inoltre l’aria viene indirizzata nelle aree del polmone che sono meno compromesse dalla malattia e possono ancora assorbire ossigeno in maniera efficace.
Gli studi
La sicurezza e l’efficacia della terapia con valvole Endobronchiali (EBV) è stata valutata in diversi studi clinici controllati randomizzati: tra i principali ci sono STELVIO, IMPACT, TRANSFORM e LIBERATE. Gli studi hanno dimostrato che la riduzione unilaterale del volume lobare mediante EBV è sicura e clinicamente superiore alla terapia medica ottimale.
Una revisione sistematica di recente pubblicazione, condotta con metanalisi dei principali trial randomizzati controllati che confrontavano l’efficacia e sicurezza di questo tipo di valvole, come le Zephyr®, con quella della terapia medica ottimale, ha dimostrato un chiaro vantaggio nell’utilizzo di queste protesi.
“Gli studi in tutto il mondo – continua Failla – dimostrano miglioramenti nella qualità della vita (SGRQ), della capacità di esercizio (6MWD) e degli indicatori prognostici di sopravvivenza (BODE) a un anno dal trattamento con le valvole. In particolare, i trial più recenti hanno registrato un miglioramento delle condizioni cliniche nel 48 per cento dei soggetti. L’aspettativa di vita proiettata nell’arco di 5 anni cresce dal 66 al 70 per cento; quella a 10 dal 33 al 39”.
“Questi dati – conclude Failla – dimostrano efficacia e costo efficacia di gran lunga superiori alla TMO e ci fanno ben sperare per il futuro. Grazie al progressivo impiego delle valvole endobronchiali contiamo di poter evitare la morte prematura e di migliorare la qualità della vita di pazienti con capacità respiratorie seriamente compromesse per i quali, ad oggi, non esistono trattamenti soddisfacenti”.
Enfisema polmonare. Come funzionano le valvole endobronchiali
News PresaL’enfisema è una malattia respiratoria progressiva che colpisce gli alveoli polmonari riducendo la quantità di ossigeno che si può assorbire con ogni respiro. Nel corso degli anni e nei casi più gravi, l’enfisema rende sempre più difficile la corretta respirazione e lo svolgimento delle attività quotidiane senza fermarsi per respirare, fare una pausa o chiedere aiuto. L’enfisema in Italia ha una prevalenza di 2,6 milioni con un’incidenza di 300.000 nuovi casi all’anno con alto tasso degenza ospedaliera e di mortalità. Secondo i dati Istat, in Italia, la bronco-pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), di cui l’enfisema è una manifestazione, colpisce il 5,6% degli adulti (circa 3,5 milioni di persone) ed è responsabile del 55% dei decessi per malattie respiratorie.
“Sebbene questi pazienti siano sottoposti a terapia medica ottimale (TMO) – spiega il Prof. Giuseppe Failla, Direttore dell’U.O.C. Servizio Pneumologia Interventistica dell’AORN Cardarelli di Napoli – attualmente non esiste un trattamento in grado di arrestare o ritardare l’evoluzione della malattia. Per molto tempo l’approccio chirurgico ha previsto la riduzione chirurgica di volume polmonare, fino al trapianto dell’organo. La cura farmacologica prevede, invece, la somministrazione di farmaci broncodilatatori e antinfiammatori inalatori, la riabilitazione respiratoria e l’ossigenoterapia o ventilazione non invasiva in casi più gravi”.
Enfisema polmonare: come funzionano le valvole
Le valvole endobronchiali sono delle protesi posizionate per via endoscopica nei bronchi. Lo scopo è ridurre il volume del lobo polmonare più affetto da enfisema e permettere al tessuto sano di espandersi in maniera corrispondente. I dati più recenti sull’impiego delle valvole endobronchiali in pazienti affetti da enfisema grave e molto grave, sono stati presentati al XXIII Congresso della Società Italiana di Pneumologia SIP.
A partire dalla loro introduzione nel 2003 con l’ottenimento del marchio CE, le valvole endobronchiali si sono diffuse come alternativa più sicura e meno invasiva rispetto all’intervento chirurgico di rimozione del lobo. Possono essere impiegate anche nei casi per i quali la chirurgia non è un’opzione percorribile, ma dopo un’attenta analisi attraverso la TAC polmonare e la spirometria globale.
Le valvole, durante l’inspirazione, impediscono l’ingresso di aria nel lobo trattato e, durante l’espirazione, permettono la fuoriuscita dell’aria intrappolata, portando ad una diminuzione del volume del lobo. In questo modo la respirazione diventa meno difficoltosa ed inoltre l’aria viene indirizzata nelle aree del polmone che sono meno compromesse dalla malattia e possono ancora assorbire ossigeno in maniera efficace.
Gli studi
La sicurezza e l’efficacia della terapia con valvole Endobronchiali (EBV) è stata valutata in diversi studi clinici controllati randomizzati: tra i principali ci sono STELVIO, IMPACT, TRANSFORM e LIBERATE. Gli studi hanno dimostrato che la riduzione unilaterale del volume lobare mediante EBV è sicura e clinicamente superiore alla terapia medica ottimale.
Una revisione sistematica di recente pubblicazione, condotta con metanalisi dei principali trial randomizzati controllati che confrontavano l’efficacia e sicurezza di questo tipo di valvole, come le Zephyr®, con quella della terapia medica ottimale, ha dimostrato un chiaro vantaggio nell’utilizzo di queste protesi.
“Gli studi in tutto il mondo – continua Failla – dimostrano miglioramenti nella qualità della vita (SGRQ), della capacità di esercizio (6MWD) e degli indicatori prognostici di sopravvivenza (BODE) a un anno dal trattamento con le valvole. In particolare, i trial più recenti hanno registrato un miglioramento delle condizioni cliniche nel 48 per cento dei soggetti. L’aspettativa di vita proiettata nell’arco di 5 anni cresce dal 66 al 70 per cento; quella a 10 dal 33 al 39”.
“Questi dati – conclude Failla – dimostrano efficacia e costo efficacia di gran lunga superiori alla TMO e ci fanno ben sperare per il futuro. Grazie al progressivo impiego delle valvole endobronchiali contiamo di poter evitare la morte prematura e di migliorare la qualità della vita di pazienti con capacità respiratorie seriamente compromesse per i quali, ad oggi, non esistono trattamenti soddisfacenti”.
Salva la madre con un trapianto di cuore, dopo 33 anni salva anche la figlia
News PresaUna storia di buona sanità che unisce due generazioni, madre e figlia, e un cardiochirurgo. Raccontata da Il Messaggero Veneto e Il Piccolo, questo bel racconto di vita è quello di Roberta Rapisardi, che nel 1989, a 28 anni, si rivolge al cardiochirurgo Ugolino Livi a causa di una grave cardiopatia. Nell’89 Roberta vive a Padova e viene sottoposta ad un trapianto di cuore, il primo trapianto di cuore eseguito dal professor Ugolino Livi. L’operazione va per il meglio e Roberta dopo alcuni anni diventa mamma. Nella storia ripercorsa dai quotidiani il racconto dei dubbi e delle paure della donna. Quando Roberta decide di avere un figlio sa bene la cardiopatia può essere a rischio trasmissione genetica. Il professor Livi le starà accanto anche al momento del parto e ancora una volta tutto andrà per il meglio.
LA SCOPERTA
In questa bella ma difficile storia si aggiunge a questo punto il nome Benedetta, figlia di Roberta, che purtroppo manifesta gli stessi sintomi della cardiopatia della madre. Oggi la giovane ha 25 anni e a ottobre ha subito lo stesso intervento che da giovane ha salvato la vita alla madre. La cosa straordinaria è che a operarla è stato sempre il professor Livi, e per lui (scrivono i quotidiani) è stato l’ultimo trapianto della sua carriera da direttore della Cardiochirurgia del Santa Maria della Misericordia di Udine. Anche per Benedetta l’intervento è andato bene e la giovane donna potrà tornare presto alla sua vita. «Ogni mattina quando mi alzo – dice Roberta – anziché pensare “sono una trapiantata” penso a vivere normalmente la giornata. Tutto questo è servito a Benedetta per affrontare la paura dell’intervento».
Polmoni: “siamo l’aria che respiriamo”. Come proteggerli
News PresaIl Covid-19 ha fatto capire ancora di più l’importanza della salute dei polmoni. “Ora è essenziale capire che bisogna salvaguardarli per evitare che si ammalino” – ribadisce la Società Italiana di Pneumologia. Gli esperti sottolineano l’importanza di proteggersi dall’inquinamento atmosferico, evitando fattori di rischio come il fumo di sigaretta o esposizioni a sostanze chimiche irritanti al lavoro e a casa. In Italia quattro milioni di persone soffrono di Broncopneumopatia Cronico Ostruttiva alla quale si aggiungono asma, tumori al polmone e oltre 200 diverse patologie delle vie respiratorie. “Senza aria pulita le malattie respiratorie cresceranno” – avvertono gli esperti.
Salute dei polmoni una priorità
«Possiamo stare un giorno senza bere, tre giorni senza dormire e magari quattro giorni o più senza mangiare, ma non possiamo vivere che pochissimi minuti senza ossigeno. Questa è l’importanza dei polmoni che grazie all’ossigeno rendono possibili tutti i meccanismi cellulari a livello dei vari organi». Così Luca Richeldi, past president della Società Italiana di Pneumologia e presidente della Federazione Italiana di Pneumologia, professore ordinario e direttore dell’Unità operativa complessa di Pneumologia presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. «L’esame ai polmoni – continua l’esperto – deve divenire una routine come quello del sangue. Il Covid-19 ha riportato l’attenzione sui polmoni: organi discreti dei quali è troppo facile dimenticarsi».
“Quando si cominciano a sentire i primi sintomi – continua Richeldi – può essere già troppo tardi. Sia che si tratti di un tumore ai polmoni – uno dei grandi killer del nostro tempo – od una delle piú di 200 patologie che possono colpire l’apparato respiratorio, una diagnosi tardiva può pregiudicare la capacità del polmone di guarire infliggendo danni permanenti ove non minacciando direttamente la vita della persona”.
Fare prevenzione. Il congresso
«Rispetto agli altri organi del corpo, i polmoni sono costantemente esposti al mondo esterno, perché nell’aria che respiriamo non c’è solamente il prezioso ossigeno, ma sono presenti anche inquinanti atmosferici, virus, batteri, allergeni, muffe, polveri sottili e altre particelle estranee». Lo sottolinea Carlo Vancheri, professore ordinario e direttore dell’Unità operativa complessa di Pneumologia presso il Policlinico universitario di Catania e presidente della Società italiana di pneumologia.
La Società italiana di Pneumologia si riunisce per il XXIII Congresso a Catania dal 5 e al 7 novembre. Nella prima giornata si terrà la Tavola rotonda “La gestione del malato respiratorio nell’era del Post Covid-19” con i professori Stefano Centanni, Fabiano Di Marco, Franco Locatelli, Giuseppe Remuzzi, Luca Richeldi, Valeria Tozzi e Carlo Vancheri. Seguirà l’intervento del geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi. L’ambiente e l’impatto della qualità dell’aria sulla salute del polmone e la prevenzione delle malattie respiratorie sarà, invece, uno dei temi cardini del Congresso, a chiusura del quale il 7 novembre si terrà il Talk Show “Un albero per respirare, per prevenire e contrastare le malattie respiratorie”, presso il Teatro ABC di Catania alle ore 20,00. L’evento, aperto alla partecipazione dei cittadini, sarà condotto dal giornalista Salvo La Rosa con la partecipazione dell’attore Enrico Guarneri in arte “Litterio”.
Centinaia di nuovi alberi a Catania e Bari
Con l’occasione, FIP – Federazione Italiana della Pneumologia ONLUS con le Associazioni Scientifiche AIPO – Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – e SIP – Società Italiana di Pneumologia, supporterà un progetto di piantumazione che prevede la messa a dimora di un totale di 300 alberi a Catania e Bari con l’obiettivo di: riqualificare l’ambiente e valorizzare il territorio; trasformare luoghi abbandonati o inutilizzati in aree riqualificate, destinate a diventare polmoni verdi e spazi di aggregazione a disposizione della collettività; migliorare l’aria che respiriamo perché un solo albero può compensare la produzione di 700 kg di CO2. L’iniziativa vedrà coinvolta anche Legambiente nelpiantare i 300 alberi nel lasso di tempo compreso tra il Congresso di Catania a quello organizzato il 9 giugno 2023 a Bari dall’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri(AIPO).
L’ambiente, l’inquinamento, le variazioni del clima giocano un ruolo prioritario sul benessere e la salute delle popolazioni, rendendo ormai inscindibile il binomio ambiente/salute. L’obiettivo del talk show del 7 novembre è dunque quello di divulgare e sensibilizzare la popolazione tutta sulla riduzione dei rischi connessi all’insorgere delle malattie dell’apparato respiratorio. Senza aria pulita, prevenzione sui luoghi di lavoro e a casa e controlli periodici, conclude la Società italiana di Pneumologia, le malattie respiratorie sono destinate ad aumentare.
Biopsia liquida e Tac a basso dosaggio, così si punta a battere il tumore del polmone
PrevenzioneUna biopsia liquida (quindi un esame del sangue) e un test di valutazione del rischio. Sono i due elementi attraverso i quali i ricercatori dell’Md Anderson Medical Center di Huston (Texas) possono individuare le persone ad alto rischio di sviluppare un tumore al polmone. Il test, per ora solo sperimentale, si basa in prima istanza su un prelievo di sangue. Con l’anali si punta ad una valutazione personalizzata di 4 marcatori chiave e viene associato ad un modello predittivo (chiamato PLCOm2012) che tiene conto dell’età del soggetto e degli anni di dipendenza dal fumo. Grazie a questo modello diagnostico sarà possibile individuare precocemente i casi a rischio, ma non deve mai mancare uno stile di vita sano.
KILLER SILENZIOSO
Il tumore al polmone è un killer silenzioso, che quasi mai viene individuato prima che la situazione sia già grave. I decessi annui in Italia sono 40.000, dando a questo insidioso nemico il triste primato di prima causa di morte per neoplasia negli uomini e la seconda nelle donne. Proprio il suo progredire in silenzio rende la diagnosi tempestiva estremamente rara, lasciando a chi si ammala poche speranze di guarigione.
TAC A BASSO DOSAGGIO
Un altro progetto in fase di sperimentazione è quello che valuta l’impiego di Tac a basso dosaggio per individuare precocemente neoplasie polmonari in soggetti a rischio. Se lo studio produrrà dati significativi questa mitologia potrebbe diventare presto una nuova forma di screening gratuito di prevenzione. Il progetto pilota durerà due anni ed è stato avviato dalla Rete Italiana Screening Polmonare che coinvolge 18 tra IRCCS, Ospedali e Policlinici Universitari distribuiti su tutto il territorio nazionale. Lo screening polmonare gratuito prevede la TAC a basso dosaggio di radiazioni e un prelievo di sangue per la ricerca di marcatori tumorali. Lo studio mira a coinvolgere fumatori o ex fumatori di età compresa tra i 55 e i 75 anni: poco meno di 10.000 a livello nazionale.
Medicina di genere: donne meno considerate nella diagnosi
Ricerca innovazioneNasce in Italia un gruppo di studio sull’endocrinologia e la diabetologia di genere. L’obiettivo è realizzare studi clinici per fare luce su aspetti specifici legati al genere. Inoltre, promuovere eventi scientifici per aggiornare la comunità endocrino-diabetologica. Il Gruppo di Studio congiunto “Medicina di Genere” è stato costituito dalla Società Italiana di Diabetologia (SID) e la Società Italiana di Endocrinologia (SIE). Il team è coordinato dal Professor Livio Luzi, Direttore del Dipartimento interpresidio di Endocrinologia, Nutrizione e Malattie Metaboliche di MultiMedica e membro del Tavolo Tecnico sulla Medicina di Genere di Regione Lombardia.
Medicina di genere e Sindrome di Yentl
“Lo studio delle differenze con cui le malattie si manifestano, sono diagnosticate e trattate negli uomini e nelle donne, ha già iniziato a produrre dati interessanti in diabetologia, dove è a uno stato più avanzato rispetto ad altri ambiti terapeutici”. Lo ha sottolineato il prof. Luzi, tra gli autori del volume “La Medicina di Genere: Importanza e Normative”,pubblicato dal CRD della Camera dei Deputati per volere dell’On. dott.ssa Fabiola Bologna, Segretario Commissione Affari Sociali e Sanità, e presentato di recente a Montecitorio. Nel suo capitolo il professor Luzi, insieme alla prof.ssa Daniela Perani dell’Università Vita-Salute San Raffaele, spiega le caratteristiche genere-specifiche delle interazioni metabolismo-cervello e descrive la Sindrome di Yentl in campo diabetologico. Si tratta di una condizione di minore attenzione diagnostica verso le donne in condizioni di cardiopatia. La disparità di genere nel trattamento del diabete viene sottolineata attraverso la disamina dei più recenti studi scientifici sul tema. “L’esigenza di un Gruppo di studio congiunto SID-SIE – continua Luzi – è nata durante il congresso-consensus dello scorso febbraio a Milano ‘La Diabetologia di Genere: Aspetti Diagnostico-Terapeutici’, dove diversi interventi hanno analizzato gli aspetti relativi all’epidemiologia, alla fisiopatologia e alla terapia nei due generi, giungendo a importanti conclusioni. Infatti, oltre alle differenze di genere note nella predisposizione alle malattie cardiovascolari (maggiore nei maschi rispetto alle femmine in età fertile), e diversamente dalle endocrinopatie (ad esempio quelle della tiroide) e dall’osteoporosi (prevalenti nel sesso femminile, pur essendo meno studiate nel genere maschile), sono emersi dati nuovi e interessanti in ambito neurologico e delle neuroscienze: differenze sostanziali nella neurobiologia della malattia di Parkinson, una differente riserva cerebrale tra maschi e femmine nella Malattia di Alzheimer e una minore protezione cerebrale dall’obesità, mostrando come le donne siano più vulnerabili rispetto agli uomini”.
Superare l’impostazione androcentrica
“Tuttavia, sebbene sia noto che le donne si ammalano di più degli uomini, consumano più farmaci e sono più soggette a reazioni avverse, la medicina, anche in ambito endocrino-metabolico, ha sempre mantenuto un’impostazione androcentrica relegando gli interessi per la salute femminile ai soli aspetti più squisitamente legati alla riproduzione. Eppure, questa visione non è più condivisibile, se consideriamo che le manifestazioni cliniche, la storia naturale e la risposta alle terapie possono essere molto diverse nel genere maschile e nel genere femminile” sottolinea la prof.ssa Renata Simona Auriemma, Docente di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Da qui si è deciso di costituire un solido panel di esperti e di pianificare eventi scientifici nel corso degli anni 2022 e 2023. L’obiettivo è studiare alcuni specifici aspetti della diabetologia genere-specifica e di eliminare, ove possibile, le disparità.
“Con il neonato Gruppo di lavoro – conclude Luzi – ci auguriamo di poter presto gettare ulteriore luce su questa che è una problematica di natura non solo clinica ma anche sociale”. “È auspicabile che la sensibilizzazione alla medicina di genere permetta di approfondire le differenze tra uomo e donna e di rispettarle e valorizzarle nella sperimentazione di nuovi farmaci ed in generale nell’accesso ai trattamenti” conclude la prof.ssa Auriemma.
L’iniziativa per i cittadini
Il diabete e le malattie endocrine hanno un forte impatto sociale. Da qui l’importanza di diffondere una corretta informazione anche tra i non addetti ai lavori, aiutando la popolazione a comprendere un aspetto spesso sottovalutato nella diagnosi e nella gestione della malattia. Per questo motivo, il 16 novembre, presso l’Ospedale San Giuseppe di Milano, MultiMedica organizzerà un evento divulgativo rivolto ai cittadini, durante il quale il professor Luzi parlerà delle differenze di genere nella cura delle malattie metaboliche e risponderà alle domande dei presenti.
Sandro Ruotolo salvato in ospedale: Mi hanno preso in tempo
News PresaFinalmente il peggio è passato. Solo ora vi posso raccontare quello che mi è successo negli ultimi dodici giorni. E ve lo posso raccontare perché sono vivo e mi ha salvato la vita il servizio sanitario nazionale del nostro Paese». Inizia così il breve post con il quale il giornalista e senatore uscente Sandro Ruolo ha scelto di rivolgersi ai suoi amici e ai suoi follower dopo un broncospasmo che ha rischiato di costargli la vita. «Mi hanno preso in tempo. Domenica 23 ottobre. Un broncospasmo mi blocca la respirazione. Chiamo il 118. In 4 minuti arriva l’autoambulanza Perdo subito conoscenza. Codice rosso.
RIANIMAZINOE
Ruotolo parla dell’esperienza vissuta e dalle sue parole traspare chiara la gratitudine. «Sedato e intubato per due giorni e mezzo. E poi la rianimazione in un ospedale romano, per tutti questi giorni fino al passaggio in reparto, avvenuto oggi pomeriggio. Ringrazio pubblicamente queste donne, questi uomini, medici, infermieri del servizio sanitario pubblico. Tutti, ma proprio tutti, li ringrazio per la passione, la professionalità, l’impegno. So che tanti amici hanno pregato per me nei momenti più drammatici. E li ringrazierò per sempre. Volevo aspettare di uscire dalla rianimazione prima di parlarne pubblicamente. Viva il servizio sanitario nazionale del nostro Paese!»
COS’È
Non se ne sente parlare spesso, ma il broncospasmo è un problema più frequente di quanto si possa credere. Consiste nel restringimento improvviso dei bronchi che porta alla cosiddetta “fame d’aria”. Valer a dire la difficoltà respiratoria legata alla riduzione del passaggio dell’aria ai polmoni. Succede a causa di una forte bronchite o di un’altra infezione delle basse vie respiratorie (soprattutto nei bambini). Può essere causato dall’asma o da una reazione allergica. In questi casi è bene allertare subito il 118 e seguire le indicazioni che vengono date telefonicamente in attesa dell’arrivo dell’ambulanza.
Malattie rare: premiati tre progetti con HACK-E-RARE
News PresaHACK-E-RARE vuole incentivare l’ideazione di soluzioni per migliorare la vita delle persone affette da malattie rare e di chi se ne prende cura. L’hackathon sulle malattie rare realizzato da CSL Behring con il contributo scientifico-culturale della SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera) quest’anno è arrivato alla sua terza edizione. I vincitori sono stati proclamati durate il Congresso Nazionale SIFO. La sfida su cui si sono confrontati i farmacisti ospedalieri, con il supporto di designer e dei mentor SIFO era: “Come possiamo migliorare la comunicazione fra farmacisti ospedalieri, pazienti, clinici e azienda farmaceutica per facilitare l’accesso alla cura nelle patologie rare?”.
Malattie rare, il contest
I progetti sono stati valutati secondo quattro driver: aderenza al concept, approccio umanistico, visione sistemica e fattibilità. I team hanno risposto con entusiasmo e tre sono stati i progetti che riceveranno il premio di 2.500,00 euro come vincitori .
Sottolinea Arturo Cavaliere, presidente SIFO: “La maggiore conoscenza delle malattie rare e la loro quantità numerica rappresenta una sfida per la comunità scientifica della quale i farmacisti ospedalieri fanno parte. Ecco perché il progetto Hack-E-Rare riscuote ad ogni edizione grande consenso non solo dai team di giovani ma anche dai tutor della SIFO. Si tratta di una esperienza che permette la messa in campo di competenze nuove che si riverberano nell’assistenza. Inoltre, le proposte dei giovani sono indispensabili per aiutare i clinici a pensare e operare out of the box”.
I premiati
Il Team 2 è composto da Leonardo Vallesi, Tiziana Corsetti, Federica Tangari, Arturo Maria Greco, Antonella Mongelli, che hanno proposto “MyRare”, un applicativo prescrittivo per i medici e di dispensazione per i farmacisti, munito di banca dati e forum per gli addetti ai lavori e i pazienti. Il tutto completato da una app collegata all’applicativo, per raccogliere i dati e favorire la comunicazione con i vari attori in gioco. L’idea nasce dall’esigenza di velocizzare l’accesso alle cure per i pazienti affetti da malattie rare e di aiutare farmacista e medico a risparmiare tempo nella ricerca delle normative e ridurre il rateo di piani terapeutici non appropriati che possono ritardare l’erogazione delle terapie. MyRare fornisce anche un supporto al paziente favorendo il suo empowerment grazie alla disponibilità di schede informative che lo aiutano nella gestione del farmaco. La forza del progetto e nella trasversalità di comunicazione e la garanzia di appropriatezza prescrittiva rivolgendosi contemporaneamente a tutti gli attori coinvolti.
Si chiama “Un gioco molto serio” il progetto vincitore del Team 4 composto da Federica di Ruocco, Sonia Venezia, Flora Romano, Francesca Mortillaro, Caterina Martinelli. Si tratta di un progetto educativo sul tema delle malattie rare pediatriche rivolto ai bambini delle scuole primarie e alle loro famiglie e guidato da un gruppo di operatori sanitari e caregiver. Il gioco focalizza l’attenzione sulla parte razionale della comunicazione ma anche sulla emozione, dando così l’opportunità e il tempo ai bambini di imparare e conoscere le regole della diversità ed entrare in sintonia con sé stessi e con gli altri. Il progetto è stato premiato per la capacità di superare la linea di frontiera che separa persone malate e no. Il progetto utilizza il gioco come linguaggio e coinvolge tutta la società, può essere giocato da bambini e da adulti, aumentando la consapevolezza della diversità e abbattendo il muro della solitudine di chi convive con una malattia rara.
Il valore dell’idea risiede nell’utilizzo del gioco per generare una ricaduta formativa favorendo l’empatia e instaurando una solidarietà costruttiva in grado di far uscire i bambini con malattia rara dal loro isolamento e coinvolgere le loro famiglie.
Vincitore anche il progetto del Team 5 Formato da Teresa Alfonsi, Enrica Fabri, Esther Liberatore, Jessica Miele e Elena Lanzone con la piattaforma “CARE.RARE”. La piattaforma online ha lo scopo di migliorare e velocizzare la comunicazione tra medico prescrittore, farmacista e paziente e prevede anche un database con l’elenco aggiornato delle patologie rare e i relativi PDTA che potrà essere consultato da qualsiasi cittadino. Il valore di questa proposta risiede nell’essere uno strumento a supporto del processo decisionale per garantire standard di cura e presa in carico elevati.
Contro il Covid arriva il vaccino spray
Ricerca innovazioneAddio siringhe, in Cina la vaccinazione anti Covid si fa con lo spray. La notizia arriva da Shangai, dove nei giorni scorsi la tv ha trasmesso le immagini delle prime somministrazioni in spray. Il vaccino viene aspirato attraverso la bocca ed è offerto gratuitamente come dose di richiamo per le persone già vaccinate. Le vaccinazioni senza ago potrebbero essere la nuova arma contro il Covid, soprattutto perché potrebbero rendere le somministrazioni più immediate e semplici. Bastano 20 secondi per questa modalità decisamente più confortevole, il ché potrebbe convincere tutti i cittadini che guardano con diffidenza alla tradizionale iniezione.
COPERURA
Obiettivo della Cina è quello di dare nuovo impulso alla campagna vaccinale e rendere possibile un allentamento delle restrizioni che stanno avendo un forte impatto sull’economia. A metà ottobre, il 90% dei cinesi era completamente vaccinato e il 57% aveva ricevuto un’iniezione di richiamo. Il vaccino inalabile è stato sviluppato dalla società biofarmaceutica cinese CanSino Biologics Inc. come versione aerosol del vaccino adenovirus one-shot dell’azienda, che utilizza un virus del raffreddore relativamente innocuo.
TEST
Il tradizionale vaccino monouso è stato approvato per l’uso in più di 10 mercati tra cui Cina, Ungheria, Pakistan, Malesia, Argentina e Messico. La versione per inalazione ha ricevuto il via libera per gli studi clinici in Malesia, secondo quanto riportato dai media malesi il mese scorso. Circa una dozzina di vaccini nasali vengono testati a livello globale, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. La Cina ha fatto affidamento su vaccini sviluppati a livello nazionale, principalmente due vaccini inattivati che si sono dimostrati efficaci nel prevenire morte e malattie gravi, ma meno dei vaccini Pfizer e Moderna per fermare la diffusione della malattia.
L’intimità ritrovata scacciando i tabù
News PresaPer effetto di quello che evidentemente è un gap culturale ancora tutto da risolvere, per gli uomini affrontare il tema della salute è sempre molto difficile. Figurasi quando si tratta di salute riproduttiva o, addirittura, di problemi dell’apparato genitale. Un vero tabù. Di questi temi, e dei progressi enormi fatti dalla chirurgia, abbiamo parlato con il professor Fabrizio Iacono, urologo e andrologo, pioniere della chirurgia andrologica a Napoli. È proprio lui a svelare che «la chirurgia genitale maschile ha avuto negli ultimi decenni una decisa evoluzione grazie all’avvento di tecniche sempre più raffinate, ideali per correggere diversi problemi che solo un ventennio fa erano considerate poco risolvibili o corredate di un’enormità di complicanze. Tutto questo si è sempre sommato al pregiudizio di non avere mote remore a parlare di patologie che ci colpiscono nella sfera più intima». Per fare degli esempi, tra i casi più comuni si pensi alla chirurgia dell’uretra in caso di malformazioni congenite, come quella che consiste nella posizione anomala del “meato uretrale esterno” (vale a dire il condotto attraverso il quale si fa la pipì) e che si chiama ipospadia o anche le stenosi, che sono restringimenti causati da infiammazioni sottovalutate e mal curate. «Le tecniche chirurgiche del passato – ricorda Iacono – prevedevano interventi ripetuti e spesso con risultati poco soddisfacenti, sia dal punto di vista estetico che funzionale. Oggi abbiamo tecniche che adoperano lembi di mucosa della bocca per ricostruire lunghi tratti dell’uretra, in un unico intervento si ottengono risultati straordinari e le complicanze sono molto rare».
MICROCHIRURGIA
Anche le malformazioni del pene sono oramai facilmente risolvibili con metodologie chirurgiche molto raffinate che possono restituire la giusta forma nei casi di incurvamento congenito o acquisito (in caso di malattia di La Peyronie, ndr) .«Un’altra richiesta che spesso viene rivolta a noi chirurghi che ci occupiamo di questa materia – prosegue il professor Iacono – è l’allungamento del pene. In questi casi va sempre posta la massima attenzione clinica, perché molto spesso si tratta solo di insicurezze e non di problemi reali. In rari casi, però, effettivamente c’è esigenza di un intervento e questo tipo di chirurgia ci consente di avere risultati gratificanti, riuscendo ad ottenere effetti cosmetici molto buoni». Sentito da moltissime coppie è poi il tema dell’infertilità maschile, un campo nel quale oggi si possono raggiungere risultati straordinari in casi per i quali prima non c’erano possibilità. «L’azoospermia (assenza totale di spermatozoi, ndr) e uno degli esempi lampanti. Grazie alla microrchirurgia (microtese) possiamo estrarre direttamente gli spermatozoi dal testicolo per procedere poi ad una successiva fecondazione in vitro (ICSI) con risultati di gravidanze nel 40-50% dei casi. In più, tecniche chirurgiche già collaudate sono diventate sempre meno invasive, come l’intervento per varicocele che prevede già da molti anni un accesso chirurgico molto piccolo a livello inguinale e si può eseguire in regime di “dayhospital” e in anestesia locale».
Filtri endonasali per bloccare il sars-cov2 e non solo
Ricerca innovazioneUn filtro da inserire nel naso potrebbe diventare la nuova frontiera dei dispositivi di protezione contro il Sars-Cov 2. Inoltre, i filtri endonasali potrebbero bloccare anche altri virus o patogeni. Se ne è parlato in una delle sessioni parallele all’interno del XV Congresso Nazionale della Società Italiana di Health Technology Assessment, che si è tenuto a Roma dal 25 al 27 ottobre.
I filtri endonasali
Nascono già negli anni 60 e hanno la forma di una piccola spirale, capace di bloccare gli agenti infettivi o il polline. Inoltre, consentono di regolare il flusso d’aria, quindi possono essere indossati anche durante l’allenamento. Si tratta di dispositivi ancora considerati orfani di sufficienti evidenze scientifiche, ma promettenti. “Quando siamo di fronte a una scarsità di evidenze – spiega Giandomenico Nollo, vicepresidente vicario della società – l’evidence base si ferma. L’approccio di HTA più moderno cerca invece di capire quali sono i percorsi per colmare le lacune”. In questo particolare caso, la Fondazione Smith Kline ha riunito più esperti per costruire assieme un percorso di sviluppo delle evidenze, là dove ancora mancano.
Studi scientifici
“Come esperti di HTA – continua Nollo – stiamo lavorando per validare un prodotto che ha ancora molto da imparare in termini di ricerca ma che mostra già delle evidenze. Alcuni studi clinici infatti affermano che questi dispositivi hanno un’efficacia nel contrasto delle allergie. Va ricordato che tutti i meccanismi di contrasto, come le mascherine, sono complementari, ognuno è uno strato protettivo”.
Il protocollo per misurare l’efficacia dei filtri endonasali è stato tracciato in un lavoro pubblicato sulla rivista International Journal of environmental research and public health. Francesco Broccolo, virologo e ricercatore dell’Università Bicocca di Milano è tra gli autori dello studio. L’esperto spiega come il team abbia ricreato la condizione in laboratorio grazie a un naso artificiale inserito in una camera contenuta in una cappa, nel rispetto della sicurezza degli operatori. “Il virus viene nebulizzato – spiega -, proprio come avviene nella respirazione o con uno stranuto. Tramite dei test viene poi valutata la capacità di filtro del dispositivo, osservando i microorganismi che riescono a passare e, in particolare, il virus ancora attivo. Il laboratorio in collaborazione con Università di Trieste, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina, IRCCS Burlo Garofolo, Consorzio INSTM e Società Italiana di Medicina Ambientale è quindi predisposto per le ricerche da parte delle aziende che vogliono testare l’efficacia dei dispositivi”.