Tempo di lettura: 3 minutiPer i pazienti oncologici le cure sul territorio migliorano la qualità di vita a patto di mantenere uno stretto rapporto con l’oncologo ospedaliero. A un anno dal via libera del Dm77 che ha aperto alla deospedalizzazione per i malati cronici, il CIPOMO ha lanciato una Survey da cui sono emersi alcuni aspetti critici.
Pazienti oncologici: i dati della Survey
La deospedalizzazione, cioè la possibilità di essere seguiti fuori dall’ospedale, può migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici. Infatti, per il 30,7% degli assistiti è un’opportunità per sentirsi più liberi e a proprio agio. Per il 10,8% è anche un modo per sentirsi meno malato. Dall’altra parte, circa il 30% la percepisce con timore e pensa che potrebbe “non essere curato al meglio”. Quasi il 13% teme di non poter più essere visitato in ospedale mentre il 5,27% ha paura di essere abbandonato.
Per effettuare le visite di controllo dopo le terapie, il 59,67% dei pazienti oncologici vorrebbe essere seguito in ospedale dall’oncologo, il 5,47% dal medico di famiglia, il 35,4% da entrambi e solo il 9,45% da un possibile oncologo del territorio.
La Survey condotta dal CIPOMO, il Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri, ha coinvolto 1.443 pazienti oncologici in tutte le regioni italiane. I dati preliminari sono stati presentati in anteprima al XXVII Congresso Nazionale “L’Oncologia tra i successi di oggi e i traguardi di domani”, appena concluso. Obiettivo dell’indagine è stato quello indagare il gradimento dei pazienti oncologici sul DM77 che riforma la sanità territoriale.
“Il Decreto Ministeriale 77, con fondi del Pnrr, ha aperto le porte alla deospedalizzazione per i malati cronici e ha definito le strutture territoriali dove verranno erogate una serie di prestazioni che saranno gestite da medici di base e/o personale infermieristico – spiega Sandro Barni, già Direttore di oncologia all’Asst BG Ovest Ospedale di Treviglio e primo autore della ricerca – per quanto riguarda l’oncologia, non sono ancora state stabilite le tipologie di prestazioni e le modalità di coinvolgimento dell’oncologo. Soprattutto nessuno ha mai chiesto cosa ne pensano i pazienti”.
Gli intervistati hanno un’età media di 64 anni (il 58% donne, il 42% maschi). Sono state rivolte 11 domande su quali attività potevano essere svolte fuori dall’ospedale e dove; da chi si vorrebbe essere seguiti; qual è la sensazione di essere seguiti vicino casa; qual è il disagio maggiore quando si va in terapia; qual è il tempo massimo o la distanza tollerabile per la terapia e se la telemedicina o la posta elettronica favoriscano il passaggio all’assistenza territoriale.
Dalle risposte dei pazienti è emerso che le cure sul territorio posso apportare dei benefici, ma a condizione di poter mantenere uno stretto rapporto con l’oncologo ospedaliero e con la collaborazione del Medico di medicina generale. A parità di sicurezza ed efficacia delle cure, il 19,1% pensa che accetterebbe di effettuare fuori dall’ospedale la chemioterapia orale, il 26,68% il follow-up (FU), il 19,15% alcune terapie parenterali, il 32,16% gli esami di base. Il 21,83% preferisce il domicilio, il 36,31% una struttura sanitaria vicina a casa, il 37,54% l’ospedale.
I disagi più frequenti
Per quanto riguarda l’utilizzo di nuovi strumenti tecnici, come la telemedicina e la posta elettronica, per favorire la deospedalizzazione, il 44,15% li vede di buon occhio, ma c’è anche chi diffida (circa il 16%) e il 30,7% non sa rispondere.
La Survey ha anche indagato su quali siano le criticità legate al recarsi in ospedale per le terapie. Il 41% punta il dito sui tempi di attesa, 20,4% sulla mancanza di parcheggio, il 17% sulla rotazione dei medici, il 12,76% sul tempo di viaggio. Da sottolineare inoltre che per il 39,5% dei malati oncologici la distanza non è importante, ma solo la continuità delle cure.
“La preferenza espressa dai pazienti per la prosecuzione delle visite di controllo con l’Oncologo in Ospedale ci ha inizialmente sorpresi – confermano Carlo Aschele e Michela Giordano – ma ad una lettura più attenta appare invece ben comprensibile in quanto riflette la forza delle relazioni di cura che si creano tra medico e paziente in oncologia, relazioni di particolare valore per quest’ultimo e quindi verosimilmente più strette rispetto a quanto avviene in altre malattie croniche, e che vanno assolutamente salvaguardate”.
“I pazienti oncologici – conclude Luigi Cavanna, Presidente CIPOMO – esprimono un certo numero di bisogni non nascondendo anche una serie di timori legati ad un’organizzazione sul territorio che va definita in maniera organica. Crediamo che le istituzioni debbano tenere conto dei pareri esternati dai pazienti”.
Pazienti oncologici: deospedalizzazione migliora vita se rimane stretto rapporto
Economia sanitaria, Medicina funzionale, News PresaPer i pazienti oncologici le cure sul territorio migliorano la qualità di vita a patto di mantenere uno stretto rapporto con l’oncologo ospedaliero. A un anno dal via libera del Dm77 che ha aperto alla deospedalizzazione per i malati cronici, il CIPOMO ha lanciato una Survey da cui sono emersi alcuni aspetti critici.
Pazienti oncologici: i dati della Survey
La deospedalizzazione, cioè la possibilità di essere seguiti fuori dall’ospedale, può migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici. Infatti, per il 30,7% degli assistiti è un’opportunità per sentirsi più liberi e a proprio agio. Per il 10,8% è anche un modo per sentirsi meno malato. Dall’altra parte, circa il 30% la percepisce con timore e pensa che potrebbe “non essere curato al meglio”. Quasi il 13% teme di non poter più essere visitato in ospedale mentre il 5,27% ha paura di essere abbandonato.
Per effettuare le visite di controllo dopo le terapie, il 59,67% dei pazienti oncologici vorrebbe essere seguito in ospedale dall’oncologo, il 5,47% dal medico di famiglia, il 35,4% da entrambi e solo il 9,45% da un possibile oncologo del territorio.
La Survey condotta dal CIPOMO, il Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri, ha coinvolto 1.443 pazienti oncologici in tutte le regioni italiane. I dati preliminari sono stati presentati in anteprima al XXVII Congresso Nazionale “L’Oncologia tra i successi di oggi e i traguardi di domani”, appena concluso. Obiettivo dell’indagine è stato quello indagare il gradimento dei pazienti oncologici sul DM77 che riforma la sanità territoriale.
“Il Decreto Ministeriale 77, con fondi del Pnrr, ha aperto le porte alla deospedalizzazione per i malati cronici e ha definito le strutture territoriali dove verranno erogate una serie di prestazioni che saranno gestite da medici di base e/o personale infermieristico – spiega Sandro Barni, già Direttore di oncologia all’Asst BG Ovest Ospedale di Treviglio e primo autore della ricerca – per quanto riguarda l’oncologia, non sono ancora state stabilite le tipologie di prestazioni e le modalità di coinvolgimento dell’oncologo. Soprattutto nessuno ha mai chiesto cosa ne pensano i pazienti”.
Gli intervistati hanno un’età media di 64 anni (il 58% donne, il 42% maschi). Sono state rivolte 11 domande su quali attività potevano essere svolte fuori dall’ospedale e dove; da chi si vorrebbe essere seguiti; qual è la sensazione di essere seguiti vicino casa; qual è il disagio maggiore quando si va in terapia; qual è il tempo massimo o la distanza tollerabile per la terapia e se la telemedicina o la posta elettronica favoriscano il passaggio all’assistenza territoriale.
Dalle risposte dei pazienti è emerso che le cure sul territorio posso apportare dei benefici, ma a condizione di poter mantenere uno stretto rapporto con l’oncologo ospedaliero e con la collaborazione del Medico di medicina generale. A parità di sicurezza ed efficacia delle cure, il 19,1% pensa che accetterebbe di effettuare fuori dall’ospedale la chemioterapia orale, il 26,68% il follow-up (FU), il 19,15% alcune terapie parenterali, il 32,16% gli esami di base. Il 21,83% preferisce il domicilio, il 36,31% una struttura sanitaria vicina a casa, il 37,54% l’ospedale.
I disagi più frequenti
Per quanto riguarda l’utilizzo di nuovi strumenti tecnici, come la telemedicina e la posta elettronica, per favorire la deospedalizzazione, il 44,15% li vede di buon occhio, ma c’è anche chi diffida (circa il 16%) e il 30,7% non sa rispondere.
La Survey ha anche indagato su quali siano le criticità legate al recarsi in ospedale per le terapie. Il 41% punta il dito sui tempi di attesa, 20,4% sulla mancanza di parcheggio, il 17% sulla rotazione dei medici, il 12,76% sul tempo di viaggio. Da sottolineare inoltre che per il 39,5% dei malati oncologici la distanza non è importante, ma solo la continuità delle cure.
“La preferenza espressa dai pazienti per la prosecuzione delle visite di controllo con l’Oncologo in Ospedale ci ha inizialmente sorpresi – confermano Carlo Aschele e Michela Giordano – ma ad una lettura più attenta appare invece ben comprensibile in quanto riflette la forza delle relazioni di cura che si creano tra medico e paziente in oncologia, relazioni di particolare valore per quest’ultimo e quindi verosimilmente più strette rispetto a quanto avviene in altre malattie croniche, e che vanno assolutamente salvaguardate”.
“I pazienti oncologici – conclude Luigi Cavanna, Presidente CIPOMO – esprimono un certo numero di bisogni non nascondendo anche una serie di timori legati ad un’organizzazione sul territorio che va definita in maniera organica. Crediamo che le istituzioni debbano tenere conto dei pareri esternati dai pazienti”.
Dieta estrema e fai-da-te, a rischio salute e linea
Alimentazione, BenessereUn approccio alla dieta troppo restrittivo mette a rischio lo stato mentale e il benessere psicologico. Gli studi dimostrano che diete dimagranti con privazioni estreme sono persino controproducenti, soprattutto nel lungo periodo. Per ottenere risultati è importante rispettare le dinamiche metaboliche del proprio organismo, sottolineano i nutrizionisti dott. Mario Giglio e il dott. Valerio Morello Zenatello, promotori della “Dieta Flessibile”. «Ovviamente, riducendo drasticamente le calorie, si perderà peso, ma nel lungo termine, si finirà per pagare le conseguenze di un regime dietetico così estremo – continua il Dott. Valerio Morello Zenatello.
Calorie e metabolismo
Il metabolismo, cioè l’insieme dei processi biochimici che l’organismo mette in atto per estrarre energia dagli alimenti, è strettamente correlato al dispendio energetico quotidiano. Tuttavia, una dieta ferrea può incidere negativamente ed è su questo punto che insistono i due nutrizionisti. «Una dieta squilibrata danneggia il metabolismo. Lo rallenta, lo inceppa”. Invece, per risvegliarlo serve «una rieducazione alimentare».
Non esistono studi scientifici che provino che «un alimento specifico faccia ingrassare. Si può mangiare ogni tipo di alimento e bruciare grasso tutto il giorno, ogni giorno. Non è necessario eliminare i carboidrati, la pizza, la pasta, i dolci. Basta soltanto seguire poche regole alimentari, in modo da soddisfare il fabbisogno metabolico, assecondando al contempo i gusti alimentari di ciascuno. Va da sé che non c’è bisogno di spendere cifre pazzesche al supermercato».
«Il corpo brucia kcal, quindi brucia ciò che si immagazzina tramite gli alimenti – carboidrati, grassi e proteine, noti come “macronutrienti” – e li usa come carburante. Se l’introito di ciò che si mangia è minore delle necessità metaboliche, si perderà peso. Oltre al peso, tuttavia, si potrebbe perdere anche massa muscolare se ci si basa solamente sulle calorie. Se l’obiettivo è dimagrire, la dieta flessibile si baserà sul deficit calorico e la giusta ripartizione dei macronutrienti. Se invece è quello di mettere massa muscolare, si utilizzerà un leggero surplus calorico, calcolato in maniera precisa, che verrà anch’esso scomposto nel corretto apporto di macronutrienti – nutrienti che forniscono energia per la crescita e per mantenere il metabolismo (carboidrati, grassi e proteine). Se ci si attiene a queste semplici norme, si perderà prevalentemente la massa grassa e non quella muscolare. Anzi, si potrà addirittura migliorare il tono muscolare», precisa il dott. Zenatello.
I macronutrienti nella dieta
«Un bravo nutrizionista segue sicuramente i giusti dettami, però solitamente impone i macronutrienti senza dire quali siano. In pratica è lui a selezionare gli alimenti e a effettuare il calcolo dei macronutrienti». Tuttavia, i nutrizionisti propongono una ‘corrente di educazione alimentare’, in cui ognuno diventa nutrizionista di se stesso. «Calcolando ogni giorno, tramite il diario alimentare (un’applicazione per smartphone) da noi creato, quello che si sta consumando siamo noi a capire da dove prendiamo i macronutrienti».
Per quanto riguarda la scelta dei cibi: «ribadiamo l’importanza di un’alimentazione salutare (l’80%). Per questo parliamo di ‘educazione alimentare’, indicando quali siano i cibi sani, in termini di proteine vegetali e animali e fornendovi una corretta classificazione di frutta e verdure. Per il restante 20% si può comunque sgarrare e scegliere alimenti che soddisfino il nostro cervello. Anche perché la sensazione di ‘piacere’ e soddisfazione hanno una notevole rilevanza a livello motivazionale. Ecco perché parliamo di ‘flessibilità’ a tutti gli effetti: metabolica e mentale».
Falcone (Simit): in futuro mini ondate virus. A rischio fragili
Covid, PrevenzioneL’emergenza di sanità pubblica internazionale è finita, sebbene il virus Covid-19 circoli ancora, ma con un altro volto, anche grazie alla vaccinazione. La preoccupazione rimane soprattutto per i soggetti fragili, anziani e immunodepressi.
Intanto si fa strada la ‘stanchezza da pandemia’ su cui il business delle fake news trova terreno fertile. Il punto della situazione è stato fatto in occasione dell’evento ‘Dalla pandemia al new normal, tra Covid e long Covid’, organizzato da Hc Training a Roma, presso il Palazzo dell’Informazione di Adnkronos.
No-vax e negazionisti del virus
Gerardo D’Amico, caporedattore di RaiNews 24, ha aperto il suo intervento ricordando le fake news che hanno fatto più clamore nei giorni di isolamento. Dall’idrossiclorochina agli effetti benefici dei lavaggi con varechina, fino all’avigan: tutte sono state subito smentite dalla scienza.
Sui vaccini: “è una questione di domanda e offerta – ha spiegato Livio Gigliuto, presidente Istituto Piepoli. “A quasi tre anni dall’inizio della pandemia, c’è un 6 per cento di italiani che sostiene che il Covid-19 non esiste. Un 11 per cento addirittura ritiene che i vaccini non servano e che non siano stati poi così utili. Un concittadino su 3 ritiene che i vaccini siano farmaci sperimentali che abbiamo fatto come se fossimo delle cavie”. Tra le bufale in circolazione una riguarda Bill Gates, il quale punterebbe a controllare il cervello delle persone attraverso il vaccino. “Ci crede il 16 per cento delle persone intervistate” – ha rivelato Gigliuto, una percentuale non proprio piccola.
In futuro mini-ondate e vaccinazione stagionale
“Ciò che ora la scienza ci deve dare – ha sottolineato Pier Luigi Lopalco, docente di Igiene all’Università del Salento – sono le indicazioni per il futuro, per essere preparati e pronti per una prossima pandemia che, si spera, avverrà il più lontano possibile nel tempo. Le indicazioni per ora ci danno l’idea che la vaccinazione, con molta probabilità, sarà stagionale. In autunno-inverno, insomma, potrebbe essere utile un richiamo. Ma la stagionalità non si è ancora stabilizzata”. Lopalco sottolinea l’importanza di “proteggere le persone più vulnerabili al virus, in una fase in cui c’è una certa stanchezza vaccinale”.“Covid-19 ci ha insegnato ad essere molto cauti con le previsioni. Sappiamo che la malattia si è attenuata grazie a una minor patogenicità ma anche all’effetto dei vaccini – ha spiegato Marco Falcone, dell’Università di Pisa – Gli studi ci dicono che anche Omicron avrebbe avuto un effetto pesante senza le vaccinazioni. Per il futuro possiamo prevedere non più grandi ondate ma delle mini-onde a livello locale, con il virus che andrà a colpire soprattutto i pazienti fragili e immunodepressi. Ecco: per anziani, malati oncoematologici e immunodepressi la pandemia non è finita”.
Gli effetti del Long Covid
I pazienti colpiti da Long Covid hanno una molteplicità di sintomi che persistono dopo la guarigione per settimane, mesi, anni. In 40mila si sono riuniti e hanno creato l’Associazione Italiana Long Covid, fondata da Morena Colombi, contagiata prima che arrivassero i vaccini.
L’associazione ha realizzato un’indagine fra gli iscritti rilevanto più di 200 sintomi diversi. Le donne sono più colpite. L’età media è di 45 anni e la frequenza dei disturbi cognitivi è maggiore del 40% fra i non vaccinati.
Lotta al cancro: dalle terapie innovative all’assistenza
News PresaLe grandi innovazioni, realizzate grazie alla ricerca, nell’ambito della lotta al cancro, creano nuove opportunità e sfide. I traguardi raggiunti hanno aumentato in modo esponenziale il numero di pazienti guariti o con malattia cronicizzata. Di conseguenza aumenta il bisogno di assistenza personalizzata. Il Congresso Nazionale Cipomo, iniziato oggi a La Spezia, è un’occasione per fare il punto sui progressi scientifici, ma anche per affrontare le “lacune comunicative” che scoraggiano pazienti e caregivers. Lo sottolineano Carlo Aschele, Monica Giordano e Luigi Cavanna, Presidenti del XXVII Congresso Nazionale CIPOMO, il Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri, dal titolo “L’Oncologia tra i successi di oggi e i traguardi di domani”.
Le terapie e il fattore umano
“I nuovi farmaci continuano a dare sempre maggiori opportunità di cura. Ma la complessità dei trattamenti – specifica Aschele – richiede competenze specialistiche e iper-specialistiche sempre più raffinate, gestione rapida dei possibili effetti collaterali, anche con posti di degenza dedicati, capacità decisionali e tempismo. Inoltre, l’aumento dei tassi di cronicizzazione e guarigione moltiplica il numero dei controlli da eseguire e rende difficile concentrare tutte le attività all’interno degli ospedali. Oggi è quindi fondamentale che i professionisti siano preparati anche sul piano organizzativo, umano e relazionale”.
“L’assenza di empatia provoca disorientamento e spesso mancanza di aderenza alle terapie con successivo aggravamento delle condizioni del paziente e compromette potenzialmente anche le possibilità di trattamento” commenta Monica Giordano.
L’organizzazione dell’assistenza
I progressi medico-scientifici hanno aumentato l’aspettativa e la qualità di vita dei pazienti. Tuttavia emerge, secondo gli esperti, l’esigenza di rimodulare l’organizzazione dell’offerta sanitaria oncologica tra i vari setting assistenziali oggi disponibili: “Nel continuum del percorso oncologico, segnato da una alternanza di fasi di ‘acuzie’ e di ‘stabilità’ (cronicità) – sottolinea Luigi Cavanna, Presidente CIPOMO – è necessario coniugare attività iper specialistiche in ambito ospedaliero con attività a minore intensità assistenziale offerte sul territorio in prossimità del domicilio del paziente, inquadrate in una programmazione terapeutica senza soluzione di continuità con l’ospedale. Per questo ci stiamo adoperando per favorire non solo l’integrazione tra ospedale e territorio ma anche la cooperazione con IRCCS, Università e associazioni dei pazienti, per sostenere la ricerca clinica diffusa nei territori ove si curano i malati e per rispondere al meglio ai loro bisogni. Una delle sessioni del Congresso infatti è dedicata al primo incontro con i rappresentanti della FAVO”.
La chirurgia
Sul piano clinico: “i trattamenti diventano sempre più smart – spiega il Presidente Aschele – per questo abbiamo voluto dedicare a questo tema una sessione ad hoc. Per esempio, le chemioterapie precauzionali che permettono, in molti pazienti, di ridurre le ricadute dopo l’asportazione chirurgica di un tumore – ma con il grosso limite di essere applicate empiricamente solo sulla base di un calcolo statistico del rischio di recidiva – potrebbero essere indirizzate in modo mirato ai pazienti che hanno residui microscopici di malattia dopo l’intervento chirurgico, sfruttando tecniche che consentono oggi di misurare il DNA tumorale circolante con un esame del sangue (biopsia liquida) come ‘spia’ della effettiva presenza di malattia residua. Questo non solo eviterebbe possibili effetti collaterali su pazienti completamente guariti (anche a livello molecolare) già con il solo intervento chirurgico, ma potrebbe potenzialmente aumentare l’efficacia delle terapie stesse. Anche la scelta della terapia per i pazienti metastatici – aggiunge – non dipende più solo dai risultati istologici ma anche e soprattutto dalla carta di identità molecolare del tumore, con conseguenti eclatanti miglioramenti in fatto di efficacia e di riduzione della tossicità”.
I nuovi farmaci
I nuovi farmaci, nell’ultimo anno, hanno rivoluzionato il trattamento delle neoplasie gastrointestinali, del polmone, rene, prostata, del distretto testa-collo e quelle femminili, dal tumore alla mammella a quello di endometrio, cervice uterina e ovario, come conferma Monica Giordano: “Grazie ai progressi della ricerca, sono stati ottenuti risultati straordinari in tutte le principali neoplasie solide: ad esempio, nei tumori con un difetto genetico dei meccanismi di riparazione del DNA, con un trattamento immunoterapico di pochi mesi si può ottenere una completa regressione di tumori altrimenti incurabili o curabili solo con interventi chirurgici demolitivi, abbinati a radio e chemioterapia. Ciò rende necessario che tutti i pazienti sul territorio nazionale abbiano pari opportunità di accesso a diagnostiche innovative anche di tipo molecolare – che aprono le porte a questi trattamenti – e che gli oncologi abbiano le competenze, la sensibilità e la motivazione per implementarle”.
“Le nuove opportunità di cura rendono infine ancora più importanti la tempestività della diagnosi e dell’accesso a percorsi di presa in carico multidisciplinare su tutto il territorio nazionale, anche per pazienti con malattia avanzata, per non perdere le chances di trarre beneficio dai trattamenti oggi disponibili” conclude Carlo Aschele.
Pacemaker e defibrillatori a rischio hackeraggio
News Presa, Ricerca innovazionePacemaker e defibrillatori sono vulnerabili agli attacchi hacker. Quella che sembra una storia uscita dalla trama di un film di fantascienza è invece una realtà con la quale siamo chiamati a fare i conti. Non tanto i singoli cittadini, che comunque hanno diritto ad essere informati; quanto chi è deputato a garantire la sicurezza. Nessun allarme, diciamolo subito. Questi dispositivi sono prodotti e gestiti in modo tale da ridurre al minimo il rischio.
SPY STORY
Una prima traccia di questo pericolo la troviamo nella storia americana. L’allora vice presidente usa Dick Cheney (lo è stato dal 2001 al 2009) pare che si interessò tanto alla questione da chiedere ai medici di disattivare la funzione wireless dal proprio defibrillatore per paura di poter essere vittima di un attacco. Un eccesso? Probabilmente sì, ma oggi giorno si deve fare i conti con i numeri di una tecnologia in continua evoluzione.
I DATI
Ripreso da una autorevole agenzia di stampa, Gaetano Marrocco (professore ordinario di Campi Elettromagnetici dell’Università Tor Vergata di Roma e coordinatore del corso di studi in Ingegneria Medica, dipartimento di Ingegneria Civile e Ingegneria informatica) ha fatto cenno alle paure dei diplomatici portatori di pacemaker. «Negli ultimi 5 anni sono stati registrati tra 150-200 attacchi hacker a dispositivi medici, fatti per estorcere soldi alle aziende che li producono – dimostrandone fragilità della sicurezza – o per minare la salute di personaggi politici. I dispositivi medici sono oggetti vulnerabili perché sempre più connessi e che ad oggi non hanno nessun tipo di normativa che ne garantisce la sicurezza da questo punto di vista e ci sono stati casi di personalità diplomatiche in visita in alcuni paesi a rischio che hanno avuto fastidi fisici causati dal bombardamento magnetico generato a distanza.
SICUREZZA
Proprio per avere una reale valutazione del rischio e per affrontare eventuali problemi alla radice, gli esperti hanno dato vita ad un Osservatorio che promuove la ‘Cyber-Physical Security by Design’ che. Un approccio basato sulla conoscenza e sulla prevenzione, che potrà certamente tornare utile in tempi che si preannunciano non certo semplici.
Un selfie in spiaggia può costare la vista
Prevenzione, Ricerca innovazioneUn selfie al sole, cosa potrà mai accadere? A quanto pare, il rischio per gli occhi c’è ed è concreto. Quando ci si scatta un selfie, infatti, ci si mette rivolti con lo sguardo verso il sole. Altrimenti la foto verrebbe in controluce. Questo però ci espone al rischio di fissare il sole, anche solo per pochi secondi, mentre cerchiamo l’inquadratura migliore.
LA RETINA
Stando ad un allarme della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (Siso), riunita di recente a Roma per il secondo congresso nazionale, questo comportamento può determinare un danno, anche permanete, alla retina. Anche se non si fissa il sole in modo diretto, inoltre, lo schermo agisce un po’ come uno specchio, indirizzando i raggi solari sugli occhi dove possono produrre un effetto degenerativo.
I CASI
Il rischio è anche quello di rovinarsi la vista leggendo il tablet in spiaggia. Di recente sul Journal of Medical Case Reports è stato presentato il caso di un uomo di trent’anni che ha riportato danni permanenti alla retina dopo avere trascorso tre ore a leggere sul tablet durante una gita in montagna. Lo stesso era accaduto a una ragazza di venti anni che aveva trascorso due ore a guardare il telefono in spiaggia.
MACULOPATIA
Alla base del danno c’è quella che gli esperti chiamano “maculopatia solare”, una condizione patologica che è causata dall’assorbimento da parte della retina e dell’epitelio pigmentato di una elevata energia radiante. Gli esperti avvertono che si può arrivare a casi nei quali le cellule nervose possono formare una macchia nera al centro dell’occhio. La lesione può essere permanente e causare una riduzione della visione centrale irreversibile.
Celiachia, 9mila diagnosi l’anno. Sintomi e rischio moda “gluten free”
Alimentazione, PrevenzioneSono 6 milioni gli italiani che si considerano affetti da celiachia senza avere una diagnosi. Acquistano prodotti senza glutine sulla scia di falsi miti. In totale sprecano ogni anno 105 milioni di euro per l’acquisto di cibi a loro non necessari. Inoltre gli esperti mettono in guardia dai rischi dell’esclusione di nutrienti senza motivo. La dieta senza glutine è invece l’unica terapia possibile per i celiaci e non una scelta.
La celiachia, infatti, è una malattia irreversibile. Chi ne soffre deve nutrirsi senza glutine per tutta la vita, in ogni circostanza. Una volta diagnosticata la patologia, il Servizio Sanitario Nazionale eroga ai pazienti i prodotti dietetici fino a un tetto massimo di spesa pari, in media, a 90 euro/mese per paziente. Per i pazienti celiaci, i prodotti senza glutine sono dei salvavita.
Sintomi e diagnosi
I sintomi possono variare, ma i più comuni sono: diarrea, gonfiore addominale e meteorismo, crampi all’addome e perdita di peso. In alcune persone la celiachia potrebbe non presentare alcun sintomo.
Quando si sospetta la patologia, è importante rivolgersi al medico prima di iniziare una dieta priva di glutine. Gli esperti sottolineano che interrompere o ridurre la quantità di questa proteina prima di sottoporsi al test, potrebbe, infatti, alterare i risultati degli esami diagnostici.
La patologia viene riscontrata attraverso gli esami del sangue con sierologia per celiachia. In caso di risultato positivo, si effettua una gastroscopia con biopsie multiple a livello del duodeno.
La celiachia in Italia
In media, in Italia ogni anno vengono effettuate circa 9.000 diagnosi di celiachia. Per un totale, nel 2021, di 241.729 celiaci di cui il 70% (168.385) appartenenti alla popolazione femminile e il restante 30% (73.344) a quella maschile.
La maggioranza dei celiaci diagnosticati si trova in Lombardia (18,2%) e, a seguire, nel Lazio (10,2%), in Campania (97%,), in Emilia Romagna (8,1%). La celiachia è una patologia autoimmune cronica che si sviluppa in soggetti geneticamente predisposti. Nel complesso colpisce circa l’1% della popolazione generale.
I dati emergono dalla Relazione annuale del Ministero della salute. Sono raccolte anche le informazioni sulle mense – scolastiche, ospedaliere e annesse alle strutture pubbliche – che, grazie alla legge 123/2005, devono garantire il pasto senza glutine ai celiaci che ne fanno richiesta. Dalle anagrafi regionali risulta che nel 2021 le mense nazionali così organizzate sono state 37.727, di cui 27.233 scolastiche (72%), 7.475 ospedaliere (20%) e 3.019 annesse alle strutture pubbliche (8%).
Nel 2021 sono stati realizzati 433 corsi di formazione che hanno visto coinvolti circa 7.701 operatori del settore ristorativo e alberghiero. Le regioni più attive sono state Piemonte, Emilia Romagna e Abruzzo. Non sono stati attivati corsi di formazione in Friuli Venezia Giulia e Umbria.
I dati del 2021 – si fa notare nella Relazione – riflettono ancora le problematiche legate alla pandemia, tanto è vero che i corsi di formazione attivati (433) risultano ancora molto ridotti rispetto al 2019 (678) ma sicuramente in ripresa se si osservano quelli del 2020 (313). Inoltre, anche il numero dei partecipanti ai corsi di formazione risulta dimezzato (7.701) rispetto al periodo pre-pandemia (16.987) ma in leggera ripresa rispetto al 2020 (5.783).
Obesità, chirurgia meno invasiva. Se ne parla in Puglia
Prevenzione, Ricerca innovazioneL’Organizzazione mondiale della Sanità ha definito l’obesità come uno dei principali problemi di salute pubblica mondiale. L’innovazione tecnologica ha reso la chirurgia bariatrica meno invasiva. La laparoscopia è praticata nel 98% dei casi. Nel frattempo emerge il potenziale dell’endoscopia, soprattutto per i pazienti fragili. I farmaci, la psicoterapia e la nutrizione, inserite in un follow-up personalizzato, sono necessari per mantenere i risultati raggiunti. Infatti, l’intervento da solo non basta, spiegano gli specialisti. Se ne parla in Puglia il 18 e 19 maggio, in un meeting sui temi della gestione delle complicanze, la gravidanza e la formazione dei giovani chirurghi.
Chirurgia dell’obesità, le nuove tecnologie
Oggi il 98% dei chirurghi opera in laparoscopia, mettendo da parte gli interventi più invasivi e dolorosi del passato. Inoltre cresce l’integrazione tra chirurgia ed endoscopia – oltre alla chirurgia robotica. A questo si aggiungono le nuove terapie farmacologiche che facilitano la perdita di peso e riducono le percentuali di recupero ponderale. Infine il follow-up personalizzato monitora le abitudini alimentari, l’attività fisica e include la psicoterapia.
Questa strategia aiuta a mantenere l’obiettivo e a ridurre le comorbidità (diabete, rischi cardiovascolari e persino il rischio di cancro) a patto che il paziente sia assiduo e aderente nel tempo. Infatti il solo intervento non basta.
Endoscopia per i pazienti fragili
L’endoscopia può “evitare nuovi interventi in caso di recupero ponderale – spiega Antonio Braun, Delegato Regionale per la Puglia della SICOB, Direttore Dipartimento di Chirurgia Bariatrica di GVM Care & Research in Puglia. Si può per esempio “ridurre l’ampiezza di un by-pass gastrico o di una sleeve.
“In futuro, in casi selezionati, se i pazienti non potessero candidarsi alla laparoscopia per elevati rischi legati all’intervento, le procedure endoscopiche potrebbero persino sostituirla. Questo per esempio vale per i pazienti cardiopatici, per i pazienti fragili e per chi, essendo avanti negli anni, dovrebbe evitare l’intervento chirurgico. Questi pazienti un tempo non sarebbero stati operabili e avrebbero avuto una aspettativa di vita breve e aggravata da varie comorbidità. Con l’innovazione della chirurgia bariatrica, sempre più sofisticata e delicata, i pazienti non candidabili diventeranno sempre meno“.
“Anche il follow-up personalizzato deve prevedere una integrazione tra dieta, attività fisica, psicoterapia e farmacologia, ma va seguito attentamente per non riprendere peso, come conferma Giuseppe Navarra, Presidente Eletto SICOB: “E’ statisticamente provato che chi dopo l’intervento si “distrae” dal percorso terapeutico, negli anni successivi tende a riprendere peso.
La letteratura scientifica ci dice chiaramente che dopo la sleeve gastrectomy si tende a riprendere peso nel 28% dei casi (con un range che va dal 14 al 37%). Chi si sottopone ad un by-pass gastrico tende a riprenderlo nel 4% dei casi. Per questo è fondamentale continuare a farsi seguire”.
Obesità e infertilità
Per quanto riguarda l’infertilità: la maggior parte degli studi scientifici riporta una prevalenza di irregolarità del ciclo mestruale nelle donne con obesità del 30%-36%. Si traduce in una riduzione del tasso di fertilità: “I dati del Nurses’ Health Study – chiarisce il Prof. Stefano Bettocchi, presente al meeting – confermano quindi che le donne con indice di massa corporea superiore a 30 mostravano un rischio 2,7 volte più elevato di infertilità rispetto a quelle normopeso.
Tra le donne obese trattate per infertilità il tasso di gravidanza è minore rispetto a quelle normopeso. Infatti, dopo il trattamento di fecondazione il rischio di interruzione spontanea di gravidanza è molto elevato. Questo perché l’obesità influisce negativamente anche sulle procedure di fecondazione assistita e le donne con obesità hanno una probabilità 1,3 volte maggiore di abortire spontaneamente”.
La formazione dei giovani chirurghi
“Noi vogliamo rassicurare non solo i pazienti, ma anche motivare e spingere i giovani medici che affrontano oggigiorno una vera e propria crisi vocazionale – conclude il Prof. Marco Antonio Zappa, Presidente SICOB.
Se oggi il rischio di mortalità è precipitato allo 0,08 %, grazie alle nuove tecnologie si abbasserà sempre più. Anche le curve di apprendimento dei giovani chirurghi si velocizzano. Oggi – prosegue il Professor Zappa – un giovane chirurgo può partecipare attivamente a molti interventi in maniera diretta e molto più intuitiva.
Nei centri di Eccellenza ad alto flusso un giovane specializzando può partecipare anche a 10 interventi al giorno. Grazie alla interattività e all’ aiuto dei monitor, non solo lo staff chirurgico ha sempre tutto sotto controllo, ma tutti gli interventi sono registrati e puntualmente rivisti. In questo modo si apportano continui miglioramenti alle procedure, per cui i giovani chirurghi invece di impiegare 5 anni, dopo 8-10 mesi hanno già una alta formazione, cosa impensabile con la chirurgia tradizionale.
Per essere ancora più persuasivi verso i nostri giovani- conclude il Presidente Zappa – abbiamo deciso di ospitarne a Bari 160, completamente a carico nostro. In sede di Congresso metteremo a loro disposizione anche dei simulatori con i quali potranno iniziare ad esercitarsi prima di entrare in una vera sala operatoria”.
Nuova aggressione ad una psichiatra
News Presa, PsicologiaStavamo per andare a casa, improvvisamente ci siamo ritrovati il paziente, che ha precedenti penali, con un’arma al suo fianco. L’ha posata sul tavolo, l’ha carica, poi l’ha puntata. Ho pensato ai miei figli. In un’intervista televisiva rilasciata alla RAI, la psichiatra dell’ASL Napoli 1 Centro racconta i momenti che probabilmente resteranno i più lunghi e spaventosi della sua vita. Un’aggressione subita poco prima di tornare a casa da parte di un paziente con problemi psichiatrici, ma anche incline a delinquere.
I FATTI
Un triste dejavou rispetto ai fatti che hanno portato al decesso della psichiatra Barbara Capovani, andato in scena stavolta al Centro di Salute Mentale di Secondigliano (provincia di Napoli). Un’aggressione che solo per un caso non ha avuto l’epilogo più drammatico. La psichiatra in servizio presso la struttura, che nel frangente si trovava con un’infermiera, si è salvata grazie al proprio sangue freddo. Entrambe sono riuscite a scappare al piano di sopra e a chiedere aiuto. Pronto l’intervento della Polizia di Stato che ha messo in sicurezza la situazione. I sanitari dell’ASL Napoli 1 Centro hanno chiesto il fermo per il paziente, ma si è poi proceduto – avendo il paziente problemi psicopatologici – al ricovero.
SOTTO SHOCK
«La nostra dottoressa, ancora sotto shock, ma con un grande spirito di servizio – dice il direttore Generale Ciro Verdoliva – ha accompagnato il paziente in ambulanza sino all’Ospedale del mare. Un comportamento encomiabile che, ancora una volta, la dice lunga sulla professionalità e sulla qualità umana del nostro personale». Verdoliva, oltre a ribadire il proprio sostegno e la vicinanza della Direzione Strategica a quanti subiscono violenza in servizio, ringrazia anche le forze dell’ordine per il lavoro che ogni giorno svolgono «rendendo più sicuri i presidi».
IN SERVIZIO
Anche nel corso del trasporto verso l’Ospedale del mare, il paziente ha tenuto atteggiamenti di molestia nei confronti della psichiatra. L’uomo è stato visitato al Pronto Soccorso dell’Ospedale del mare e poi ricoverato nel reparto psichiatrico di diagnosi e cura del P.O. San Giovanni Bosco per ulteriore approfondimento psicodiagnostico. I direttori delle Unità di Salute Mentale di Napoli – unitamente al Direttore del Dipartimento di Salute Mentale – si riuniranno stamattina presso il Centro di Salute Mentale dì Secondigliano per esprimere sostegno alla collega e fare il punto della situazione. «Abbiamo messo a disposizione della nostra dottoressa un avvocato penalista per sporgere querela di parte e siamo pronti a costituirci parte civile in un eventuale processo», conclude Verdoliva.
Batteri resistenti, 450mila morti in Italia nel 2050. Al Gemelli primo centro
Economia sanitaria, Ricerca innovazioneNell’Unione Europea più di 670mila infezioni sono dovute a batteri resistenti agli antibiotici. Come diretta conseguenza di queste infezioni, muoiono circa 33mila persone. In Italia si stimano circa 11mila decessi, la metà dei quali potrebbero essere prevenuti.
Si tratta di numeri preoccupanti che evidenziano il crescere dei “super-microbi”, cioè batteri che hanno sviluppato la capacità di resistere a molti dei trattamenti disponibili. Richiedono, quindi, nuove strategie. Per questo al Gemelli nasce il primo centro specializzato, reso possibile dalla collaborazione con un privato.
Batteri resistenti, emergenza in numeri
Aumentano le infezioni e le morti causate da agenti patogeni resistenti ai farmaci. Si tratta di una vera e propria emergenza “super-microbi” in Italia e nel mondo. Si stima che nel 2050 potrebbero esserci fino a 450mila morti per infezioni solo nel nostro Paese.
Oltre a prevenire, quindi, sono necessarie soluzioni diagnostiche in grado di rilevare nei pazienti la presenza di un’infezione microbica in corso. Di conseguenza, individuare con appositi test rapidi a quali antibiotici quel patogeno è resistente e quindi facilitare la scelta del farmaco adatto. La cosiddetta diagnostica molecolare ad approccio sindromico è una strategia pro-attiva al contrasto dell’urgente problema dell’antimicrobico-resistenza.
Il primo AMS COE nel nostro Paese
Grazie alla partnership con bioMérieux, al Policlinico Gemelli è nato l’Antimicrobial Stewardship Center of Excellence (AMS COE), primo in Italia e secondo il Europa. Si tratta del decimo AMS COE realizzato dalla multinazionale bioMérieux con altrettanti partner nel mondo. Oggi partirà un progetto di tre anni per accelerare l’impatto della strategia diagnostica nella lotta all’antimicrobico-resistenza.
Agire pro-attivamente consente di individuare i patogeni resistenti, con strategie diagnostiche innovative e farmaci in grado di sconfiggerli. Questo è uno dei cardini dei programmi globali di ‘Antimicrobial Stewardship’, ovvero l’insieme di azioni e misure da implementare per l’utilizzo degli antimicrobici per contrastare l’evoluzione delle resistenze.
Un nuovo approccio contro i batteri resistenti
Il primo AMS COE nel nostro Paese viene inaugurato ufficialmente oggi. “Conoscere il proprio nemico è essenziale per poterlo sconfiggere – spiega Maurizio Sanguinetti, direttore del Dipartimento Scienze di Laboratorio e infettivologiche, direttore della UOC Microbiologia, Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, ordinario di Microbiologia all’Università Cattolica e past president ESCMID (European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases) –. Sapere con esattezza qual è l’agente patogeno specifico responsabile di un’infezione e a quali degli attuali trattamenti a nostra disposizione è resistente, aumenta le chances di cura e riduce il rischio di diffusione dei ‘super-microbi’. In Italia il problema è più urgente che altrove, dato che nel nostro Paese si verificano circa un terzo di tutti i decessi in Europa legati a patogeni resistenti. Se le cose non cambieranno, si stima che nel 2050 in Italia potrebbero esserci fino a 450mila morti per infezioni”.
“Con l’approccio sindromico, l’obiettivo è dunque quello di contrastare la vecchia abitudine di ricorrere a trattamenti antibiotici ‘sequenziali’, cioè di provare nello stesso paziente farmaci diversi prima di trovare quello giusto – spiega Sanguinetti –. Una procedura, quest’ultima, ancora troppo diffusa e pericolosa in quanto alimenta a sua volta la diffusione dell’antibiotico resistenza. Il risultato di una diagnostica superficiale porta all’utilizzo indiscriminato di diversi trattamenti antibiotici e antimicotici che alla fine possono rivelarsi inutili e dannosi, non solo per il paziente che li riceve, ma anche per l’intera comunità. È ormai assodato che il problema dell’antimicrobico-resistenza dipende in grandissima parte dal sempre più diffuso abuso di farmaci”.
I progetti
Oltre al campo clinico, l’AMS COE attiverà iniziative educazionali e progetti di ricerca. “Verranno organizzati diversi eventi di formazione, aperti a tutti gli operatori del settore in Italia, dai microbiologi ai chirurghi fino ai rianimatori e internisti, che avranno lo scopo di diffondere un approccio diagnostico accurato per l’utilizzo consapevole degli antibiotici, tasto fondamentale nella lotta alla resistenza agli antimicrobici – spiega Sanguinetti –. Oltre alla parte teorica, gli eventi formativi prevedono anche una fase pratica: ai partecipanti verranno aperte le porte dei laboratori per permettere loro di fare esperienza diretta con gli strumenti, algoritmi e dispositivi, che ci consentono di avere un ruolo proattivo nella gestione antimicrobica”.