Prevenzione: solo il 23% degli italiani molto proattivo
Il monitoraggio dell’erogazione dei LEA sul territorio nazionale ha messo in luce come solo 13 Regioni e Province Autonome siano risultate adempienti nelle 3 macro-aree Prevenzione collettiva e salute pubblica, Assistenza Distrettuale e Assistenza Ospedaliera. I dati fanno emergere un importante grado di difformità e un forte gradiente Nord-Sud con ripercussioni sull’equità di accesso alle prestazioni sanitarie. Il quadro è emerso dall’ultimo rapporto di Meridiano Sanità, presentato di recente a Roma. Inoltre, a livello complessivo, le aree Prevenzione e Assistenza Distrettuale mostrano le maggiori criticità, con l’Area Prevenzione che ha ottenuto il punteggio complessivo più basso e l’Area Distrettuale che è peggiorata nell’ultimo triennio.
L’Area Ospedaliera è l’unica in costante miglioramento, con tutte le Regioni, ad eccezione della Valle d’Aosta, che nel 2022 hanno incrementato il loro punteggio rispetto al 2020. L’attuale sistema di monitoraggio dei LEA deve superare alcune criticità che lo contraddistinguono per diventare uno strumento più completo e accurato, in grado di restituire una fotografia della capacità dei SSR di rispondere ai bisogni di salute dei cittadini, si legge nel report. Se il sistema di monitoraggio deve permettere di valutare in modo sistematico l’erogazione delle prestazioni sanitarie essenziali, garantendo l’appropriatezza e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse pubbliche e assicurando che le stesse siano effettivamente fornite a tutti i cittadini in modo uniforme sul territorio, è necessaria un’integrazione della griglia di indicatori di monitoraggio per catturare la complessità e la diversità delle sfide affrontate dai sistemi sanitari regionali.
Ad esempio, sottolinea il rapporto, appare prioritario superare la distinzione tra indicatori CORE e non-CORE, garantire la disponibilità di flussi di dati completi e affidabili in tutte le Regioni e definire nuovi indicatori a partire da quelli relativi alla salute mentale e ai soggetti ad alto rischio cardio-metabolico nell’area Distrettuale, alle coperture delle vaccinazioni indicate nel Calendario Vaccinale/di Immunizzazione e al monitoraggio delle infezioni correlate all’assistenza nell’area Prevenzione.
La prevenzione, come sottolineato dal Ministro della Salute Orazio Schillaci in apertura del Forum Meridiano Sanità, è anche la prima leva su cui agire se “vogliamo che un sistema universalistico come il nostro possa continuare a essere sostenibile, in considerazione dei trend demografici ed epidemiologici”. “Nonostante gli investimenti in prevenzione siano in grado di migliorare la resilienza sociale ed economica del Paese, al centro delle nuove regole europee di programmazione economica, nel Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029 occupano uno spazio residuale – ha spiegato Daniela Bianco, Partner di The European House – Ambrosetti e Responsabile Practice Healthcare di TEHA Group. “Nel nuovo regime di Governance europea, la spesa sanitaria e, in particolare, la spesa per la prevenzione, può essere considerata un investimento in sicurezza sociale, allo stesso modo degli investimenti in difesa, digitale e green, non concorrendo quindi al deficit e offrendo maggiore flessibilità agli Stati Membri, a partire dall’Italia caratterizzata da un elevato indebitamento”.
In Italia permangono ampie differenze di spesa in prevenzione tra le varie Regioni e Province Autonome, con poche Regioni che superano il target di spesa in prevenzione del 5%. La spesa pro capite in prevenzione, con una media nazionale pari a 109,6 euro nel 2023, oscilla tra un massimo di 160,8 in Molise e un minimo di 85,9 in Liguria, con un differenziale per singolo cittadino di quasi 75 euro, in riduzione rispetto agli anni precedenti. Alla variabilità regionale si aggiunge una criticità relativa all’allocazione delle risorse dedicate alle singole voci: anche nel 2023, le voci di spesa più propriamente dirette alla salute delle persone (sorveglianza, prevenzione e controllo delle malattie infettive e parassitarie, sorveglianza e prevenzione delle patologie croniche) rimangono al di sotto della soglia del 50% del totale.
Prevenzione: solo 23% proattivo
Secondo una survey realizzata da Meridiano Sanità con SWG – che ha avuto come oggetto proprio le opinioni e i comportamenti degli italiani nei confronti della prevenzione – solo il 23% degli italiani si definisce molto proattivo verso la prevenzione, sostenendo di impegnarsi regolarmente per uno stile di vita sano e sottoporsi a controlli medici periodici. Tra le ragioni sottese a una limitata propensione/partecipazione alle attività di prevenzione figurano le barriere economiche tra i senior, e il senso di benessere percepito e di mancanza di tempo, soprattutto tra i giovani: tutti fattori che, insieme al timore di fare scoperte negative in fase di controllo, contribuiscono a ridurre la frequenza dei controlli preventivi.
Con riferimento agli stili di vita, il 18% dichiara di non presentare alcun fattore di rischio tra consumo di alcol e tabacco, dieta non equilibrata e sedentarietà, con percentuali che aumentano tra i laureati e tra coloro che abitano nelle grandi città. Un altro 18% invece presenta almeno 3 fattori di rischio, con valori più elevati tra la Gen Z, gli abitanti di Isole e Nord-Est e gli abitanti dei piccoli centri.
Guardando agli screening il 30% dei cittadini di età compresa tra 50 e 70 anni ha dichiarato di non aver mai eseguito lo screening del colon-retto, percentuali che scendono al 15% per la cervice uterina nelle donne di 25-64 anni e al 13% per la mammografia nelle donne di 50-69 anni. Preoccupante anche che circa il 40% dei cittadini non esegua gli screening oncologici da più di 1 anno.
Vaccini, comunicazione carente
In termini di adesione alle campagne di immunizzazione, l’indagine mette in luce un aumento significativo della propensione degli italiani verso i vaccini anti-pneumococco, anti-Herpes Zoster e anti-HPV, con un particolare incremento tra le donne, mentre tra i giovani emerge una generale e crescente apertura nei confronti della vaccinazione. Se in termini di vaccinati e possibilisti rispetto a queste campagne vaccinali, la percentuale di adesione si aggira intorno al 50%, tra coloro che mostrano atteggiamenti meno propensi, la vera causa di una scarsa adesione alle campagne vaccinali sembra essere la mancanza di comunicazione, tanto che, secondo la survey, 1 italiano su 4 potrebbe avvicinarsi a queste vaccinazioni grazie ad una maggiore informazione.
La qualità delle informazioni relative alla prevenzione viene percepita come scarsa, contraddittoria e confusa da quasi l’80% degli intervistati, che denunciano una carenza di dati e notizie adeguate: solo i neo-genitori e coloro che godono di una migliore salute esprimono giudizi più positivi. Per migliorare la comunicazione sulla salute, è necessaria una combinazione di iniziative di tipologie tra loro differenti: i Boomers preferiscono un contatto diretto con il medico o il farmacista e apprezzano le campagne istituzionali frequenti, mentre i giovani danno maggiore importanza alla sensibilizzazione attraverso eventi in presenza. Nella comunicazione il tono di voce e lo stile comunicativo devono essere semplici e chiari e provenire da professionisti; tra i giovani, l’aspetto visivo della comunicazione è particolarmente rilevante.
Prevenzione e campagne regionali
Meridiano Sanità ha condotto anche un’indagine con le Direzioni Prevenzione delle Regioni e Province Autonome italiane volta a comprendere se, in che misura e con quali modalità, le Regioni hanno realizzato delle campagne di comunicazione sulle tematiche di prevenzione nel corso dell’ultimo anno (2023). Ad oggi 3 Regioni su 4 dichiarano di essersi dotate di un piano o di una strategia di comunicazione delle attività del Piano Regionale Prevenzione (43%) o di aver previsto una sezione/capitolo dedicato a queste tematiche all’interno del Piano regionale di Comunicazione (29%). 1 Regione su 3 dichiara invece di avere un ufficio/settore specificamente dedicato alla comunicazione in quest’ambito. Il finanziamento delle attività di comunicazione in prevenzione avviene principalmente attraverso l’utilizzo di fondi regionali (86% delle Regioni).
Molteplici sono anche i canali di comunicazione che sono stati attivati, mediamente 5 per Regione: il sito web della Regione e il materiale informativo sono utilizzati dalla quasi totalità dei territori; meno diffusi i siti web dedicati alle attività di prevenzione. I social network sono più utilizzati rispetto ai canali di comunicazione tradizionali locali, a causa di una maggior capillarità dei canali social rispetto a TV e radio locali (81% vs. 62%). Iniziano ad essere utilizzate anche le App (29% delle Regioni). Il personale scolastico/universitario, insieme alla medicina generale e alle associazioni di volontariato/terzo settore sono gli stakeholder maggiormente coinvolti nella realizzazione delle campagne di comunicazione. Ulteriori elementi interessanti riguardano un buon coinvolgimento dei farmacisti (43% dei casi) e un maggior coinvolgimento di specialisti (28%) e del personale socio-sanitario (24%) rispetto alle società scientifiche (14%).
Con riferimento alle campagne sugli stili di vita, prevalgono quelle rivolte al contrasto del tabagismo e quelle a favore di un’alimentazione corretta (rispettivamente 76% e 72% delle Regioni); leggermente meno diffuse quelle contro l’abuso di alcolici e la sedentarietà. La quasi totalità delle Regioni prevede una comunicazione mirata per le campagne vaccinali stagionali; superiore all’80% anche la percentuale di Regioni che comunicano le campagne rivolte alla popolazione pediatrica e adolescenziale e all’età adulta; meno della metà delle Regioni prevede attività di comunicazione per i soggetti a elevato rischio di fragilità.
Per gli screening oncologici (mammografia, screening della cervice uterina e del colon-retto), la quasi totalità delle Regioni utilizza simultaneamente la chiamata attiva attraverso lettera, SMS, telefonata o notifica sull’app, l’invio di materiale informativo e un sito internet ad hoc. Emerge come non vi siano strategie differenziate in funzione del tipo di screening ma le Regioni tendano a riproporre la stessa modalità di azione. Diverse Regioni si sono mosse per la realizzazione anche di altri screening di massa a partire da quello per l’epatite C (17 Regioni) e lo screening cardiovascolare (8 Regioni).
Le Regioni si sono attivate nella realizzazione di ulteriori campagne di comunicazione anche su altri ambiti di prevenzione: ad esempio, il 76% prevede campagne sul contrasto dell’AMR e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro; seguono le campagne per la prevenzione delle malattie infettive tropicali, la sicurezza alimentare, l’invecchiamento attivo e la relazione tra Ambiente e Salute (per più del 60% delle Regioni). Per tutte queste campagne le ASL rappresentano l’attore maggiormente coinvolto, mentre per quanto riguarda gli strumenti utilizzati prevalgono i siti internet e la realizzazione di incontri specifici. Dai dati emerge la consapevolezza, da parte delle Regioni, dell’importanza della comunicazione in ambito prevenzione, della necessità di utilizzare una molteplicità di strumenti di comunicazione e di coinvolgere una pluralità di stakeholder.
Integrare politica sanitaria e la politica industriale
In chiusura del Forum si è discusso dell’integrazione tra la politica sanitaria e la politica industriale e della strategia Life Science nazionale con il coinvolgimento di referenti del Ministero della Salute, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e del Ministero dell’Università e della Ricerca.
Rispetto a 20/30 anni fa, il settore farmaceutico, che è quello a più alta intensità di ricerca e sviluppo e tra quelli più tecnologici, in Europa e in Italia ha perso competitività e attrattività, come sottolineato anche dal recente Rapporto Draghi “The Future of European Competitiveness”. Negli anni però molti Paesi diretti competitor dell’Italia (Regno Unito, Francia, Germania, Spagna) sono partiti con interventi di vario tipo per il rafforzamento del settore, accomunati da un forte impegno da parte del Governo e una forte collaborazione tra Istituzioni e industria verso obiettivi condivisi e una visione unitaria delle Life Sciences. Per l’Italia, l’attivazione dei Tavoli per i settori della farmaceutica e del biomedicale avviati a marzo 2023 e la presentazione del Libro Verde per la politica industriale “Made in Italy 2030” elaborato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che inserisce il farmaceutico tra i settori strategici, rappresentano un’occasione importante di rilancio: serve però un’accelerazione per colmare i divari nei confronti dei Paesi competitor.