Diabete: c’è un legame con l’inquinamento
L’esposizione a inquinamento, agli effetti del cambio climatico e a fenomeni antropici o naturali altera lo stato di salute degli individui. Ma cosa c’entra l’inquinamento con il diabete mellito?
Il legame tra inquinamento e diabete mellito
L’associazione tra inquinamento atmosferico e diabete mellito è consolidata. In gran parte viene mediata dall’adiposità e dall’infiammazione di basso grado. Questo uno dei dati illustrato nel simposio “L’ambiente come minaccia per il diabete, il diabete come minaccia per l’ambiente” al 29º Convegno Nazionale della Società Italiana di Diabetologia, moderato da Massimo Federici e Lorenzo Piemonte con gli interventi di Samuele Marcora, Amalia Castaldelli, Vincenzo Atella e Alberto Mantovani.
Ogni esposizione a eventi o fatti traumatici influenza la salute delle persone, come evidenzia uno studio del professor Atella. L’economista dell’Università di Roma Tor Vergata ha compiuto un’analisi statistica su ampie coorti di pazienti. I risultati dimostrano come durante il ciclo di vita gli esseri umani sono esposti a una lunga serie di fenomeni che possono alterare in modo consistente il loro stato di salute.
La pressione demografica, la crescente urbanizzazione e l’aumento delle migrazioni e dei movimenti sono alcuni elementi della globalizzazione che abbattono le barriere e aumentano i contatti tra uomo, animali e aree naturali. Inoltre, l’inquinamento e alcuni metodi di produzione contribuiscono alla perdita di biodiversità.
Le interfacce uomo-natura
I cambiamenti climatici e le catastrofi naturali stanno mutando la faccia del pianeta. Ne consegue una evoluzione delle interfacce uomo-natura. Tutti questi elementi hanno un impatto sugli ecosistemi a vari livelli e, insieme a questi, sul benessere generale globale. Negli anni, questi fenomeni hanno fortemente alterato il tipo di esposizione cui gli essere umani sono soggetti. Tra queste sono incluse le esposizioni a sostanze chimiche esogene e prodotti naturali, nonché a sostanze chimiche generate internamente in risposta a insulti tossici o fattori legati allo stile di vita come dieta, fumo e stress. Negli ultimi anni diversi lavori hanno provato a misurare questi fenomeni. Per farlo hanno utilizzato alcune tecniche statistiche basate sull’esistenza di esperimenti naturali.
Lo studio per l’Italia
Per l’Italia, in particolare, un gruppo di ricercatori dell’Università di Tor Vergata, di Napoli Federico II e della Vrie Universitat di Amsterdam ha condotto uno studio. Il team è riuscito a stimare l’impatto lungo l’intero arco della vita lavorativa di persone concepite in Italia nella Seconda Guerra Mondiale, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Secondo lo studio, chi è stato esposto nei primissimi mesi di vita alle dure avversità di questo particolare periodo ha subito una perdita di reddito pro capite durante l’intera carriera lavorativa. La perdita è stata pari a un anno di salario – misurato all’età di 30 anni – e a un aumento del 17% delle spese mediche per malattie del sistema nervoso e malattie mentali.
“Questi risultati hanno una rilevanza notevole – dichiara il Presidente della SID, Angelo Avogaro. “Dimostrano quanto gli effetti di alcuni shock non si limitino al momento in cui accadono, ma si perpetuano nel tempo. In alcuni casi, possono anche trasferirsi alle generazioni future. Pertanto, è possibile immaginare che interventi nell’infanzia, rivolti alle famiglie vulnerabili, possano scongiurare risultati negativi sul mercato del lavoro o, più in generale, mitigare le avversità degli stessi più avanti nella vita e ridurre la persistenza intergenerazionale”.